Diritto della concorrenza – Europa / Intese e settore dell’aviazione – Il Tribunale dell’UE respinge il ricorso di Laudamotion contro la decisione della Commissione di non avviare un procedimento per una presunta intesa fra Lufthansa ed Air Berlin
Il 1° ottobre 2025, il Tribunale dell’Unione europea (Tribunale) ha rigettato il ricorso di Laudamotion GmbH (Laudamotion) avverso la decisione con cui la Commissione europea (Commissione) aveva respinto una denuncia di questa società contro suoi concorrenti. Secondo Laudamotion, infatti, le rivali Deutsche Lufthansa AG (Lufthansa) ed Air Berlin PLC & Co. Luftverkehrs KG (Air Berlin) avrebbero posto in essere un’intesa anticoncorrenziale vietata, a ridosso della stagione estiva del 2017, con riguardo agli “slot” presso l’aeroporto di Vienna. Tuttavia, il Tribunale ha precisato che, affinché la Commissione sia obbligata ad avviare un’istruttoria in relazione a condotte parallele di due imprese concorrenti, in assenza di ulteriori prove di contatti tra le stesse, è necessario che il denunciante dimostri che un’intesa vietata occulta costituisce l’unica spiegazione plausibile di tali condotte.
La vicenda aveva avuto origine nel 2018, quando Laudamotion aveva denunciato alla Commissione una serie di attività apparentemente coordinate di Lufthansa e Air Berlin (la Denuncia), sostanziatesi in un’ampia e inusuale flessibilità – accordata da Lufthansa ad Air Berlin – nella restituzione di “slot” di decollo/atterraggio presso l’aeroporto di Vienna inutilizzati da Air Berlin. Con la decisione impugnata (Decisione), assunta nel 2023, la Commissione aveva informato Laudamotion che non riteneva di procedere all’avvio di un procedimento e che non avrebbe approfondito la vicenda.
Laudamotion è quindi ricorsa al Tribunale adducendo diversi motivi, tutti respinti.
Innanzitutto, la ricorrente ha argomentato l’avvenuta lesione del proprio diritto ad essere sentita dalla Commissione, a seguito della Denuncia. Secondo Laudamotion, infatti, la Commissione avrebbe assunto la Decisione basandosi anche su uno specifico documento societario di Air Berlin, difficilmente reperibile sul web, senza indicarne l’esatta localizzazione a Laudamotion. Il Tribunale, dopo aver esordito affermando che i denuncianti non godono dello stesso diritto ad un procedimento equo di fronte alla Commissione, accordato invece ai soggetti formalmente sottoposti ad istruttoria antitrust, ha comunque riconfermato la sussistenza del diritto dei denuncianti di ottenere accesso a tutti i documenti sottesi alle decisioni finali della Commissione. Tuttavia, ha precisato che, nel caso in esame, tale diritto di Laudamotion non era stato violato, considerato che la Commissione aveva fornito dettagli idonei a localizzarlo sul web.
Laudamotion ha anche lamentato una lesione del diritto ad una buona amministrazione, sostenendo che – pur non essendo tenuta ad avviare un’istruttoria formale, come ampiamente previsto dalla giurisprudenza – la Commissione avrebbe comunque dovuto esaminare a fondo i fatti addotti dalla ricorrente, eventualmente anche svolgendo dei minimi approfondimenti, e motivare circa la loro irrilevanza. In ogni caso, la Commissione avrebbe altresì errato nella valutazione di tali fatti. Tuttavia, il Tribunale – ripercorrendo la Decisione – ha ricostruito l’analisi della Commissione su tutti i fatti addotti, ritenendola esaustiva e puntualmente motivata, anche considerato che Laudamotion non era stata in grado di provare la natura illecita delle condotte parallele di Lufthansa ed Air Berlin: la flessibilità accordata (più che altro tollerata da Lufthansa) ad Air Berlin era, infatti, secondo il Tribunale spiegabile con riferimento alla particolare situazione di sofferenza economica in cui versava in quel momento Air Berlin, società peraltro oggi non più attiva.
Sul punto, Laudamotion ha inoltre contestato il regime di onere probatorio ivi applicabile. Invero, il diritto europeo della concorrenza prevede che, qualora la Commissione intenda accertare un’infrazione derivante da alcune condotte parallele di due concorrenti, senza però fornire alcuna prova circa i contatti tra questi, essa deve necessariamente dimostrare che un’intesa vietata occulta è l’unica spiegazione possibile di tali condotte. Secondo quanto sostenuto da Laudamotion, tale stringente requisito probatorio non sarebbe applicabile anche ai denuncianti; secondo questa tesi, la Commissione sarebbe obbligata ad avviare un’istruttoria ogni qual volta una denuncia sia stata in grado di provare – a spiegazione delle condotte parallele – anche solo la maggior probabilità dello scenario collusivo rispetto ad altri non problematici. Il Tribunale, richiamando giurisprudenza risalente (T-108/07 e T-354/08 Spira c Commissione), ha rigettato tale interpretazione, rifiutando così anche questo motivo di ricorso.
Infine, Laudamotion ha anche argomentato rispetto alla rilevanza degli effetti anticompetitivi delle condotte di Lufthansa ed Air Berlin. Tuttavia, il Tribunale si è sinteticamente rifiutato di pronunciarsi su tale motivo di ricorso, ritenendolo assorbito, in quanto coincidente con argomentazioni già postulate all’epoca da Laudamotion alla Commissione e che quest’ultima, nella Decisione, aveva trattato unicamente in via subordinata e per completezza.
In sintesi, la sentenza in commento conferma l’ampia discrezionalità istruttoria accordata dai giudici europei alla Commissione, la quale può tradursi in oneri probatori stringenti per potenziali denuncianti, specialmente con riferimento a ipotesi di condotte parallele poste in essere da concorrenti. Non resta ora che attendere, per conoscere se la vicenda proseguirà in appello dinanzi alla Corte di Giustizia.
Riccardo Ciani
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Abusi e settore farmaceutico – La Corte d’appello di Parigi ha condannato Sanofi al risarcimento dei danni in favore di CNAM, fondo francese di assicurazione sanitaria
Con la sentenza del 24 settembre 2025, la Corte d’appello di Parigi (la Corte) ha condannato le società Sanofi SA e Sanofi Winthrop Industrie SA (Sanofi; congiuntamente, le Società) al pagamento, in favore della Caisse Nationale Assurance Maladie (CNAM), ossia il fondo francese di assicurazione sanitaria, della somma totale di 150,7 milioni di euro a titolo di danni e interessi, a risarcimento del pregiudizio subito a causa delle pratiche anticoncorrenziali accertate dalla decisione del 14 maggio 2013 dell’autorità antitrust francese (l’Autorità).
Con questa decisione, l’Autorità aveva condannato le Società al pagamento di una multa di 40,6 milioni di euro, sanzione confermata dalle giurisdizioni di appello, per aver messo in atto una strategia di denigrazione contro i farmaci generici del Plavix, il quarto medicinale più venduto al mondo e principale voce di rimborso della copertura assicurativa sanitaria pubblica in Francia (625 milioni di euro nel 2008).
Secondo l’accertamento operato dall’Autorità, tra settembre 2009 e gennaio 2010, Sanofi aveva messo in atto una strategia comunicativa denigratoria consistente nello screditare la sicurezza e l’efficacia dei farmaci generici equivalenti al Plavix in modo da indurre i medici ad apporre la dicitura “non sostituibile” nelle prescrizioni del Plavix, e i farmacisti a non suggerire la sostituzione del farmaco con i generici concorrenti.
Ritenendo di aver subito un danno a causa delle condotte sanzionate, che avevano comportato rimborsi più elevati agli assicurati e una maggiore remunerazione ai farmacisti, dovuta al prezzo superiore dei farmaci originali rispetto ai generici, CNAM ha promosso un’azione legale dinanzi al Tribunale commerciale di Parigi.
Con la sentenza del 1° ottobre 2019, il Tribunale commerciale di Parigi aveva dichiarato prescritta l’azione promossa da CNAM contro le società. Tuttavia, la Corte, con decisione del 19 febbraio 2022, aveva annullato tale pronuncia, ritenendo che l’azione non fosse soggetta a prescrizione, e riconoscendo la responsabilità civile di Sanofi. La Corte aveva quindi nominato un consulente tecnico d’ufficio per la quantificazione del danno.
All’esito della relativa consulenza tecnica d’ufficio, la Corte ha rilevato, in particolare, che le pratiche denigratorie messe in atto dalle Società avevano avuto un impatto concreto e significativo sulle abitudini dei professionisti della salute, sia nella fase della prescrizione – inducendo i medici a preferire il Plavix rispetto ai generici concorrenti e ad apporre la dicitura “non sostituibile” – sia nella fase della dispensazione, influenzando i farmacisti a non suggerire la sostituzione del Plavix con i farmaci equivalenti. Sebbene tali pratiche si fossero svolte nell’arco di 5 mesi, la Corte ha ritenuto che esse avessero avuto un effetto duraturo, percepibile addirittura fino al 2021, ossia ben 11 anni dopo la cessazione delle condotte illecite, in quanto hanno compromesso la fiducia dei professionisti sanitari nei confronti dei farmaci generici, influenzando a lungo le loro scelte prescrittive e dispensative.
Il danno è stato quantificato considerando due principali componenti: (i) l’aumento dei rimborsi agli assicurati, dovuto alla prescrizione di farmaci originali più costosi rispetto ai farmaci generici, e (ii) la maggiore remunerazione corrisposta ai farmacisti, legata al prezzo dei farmaci dispensati. La Corte ha inoltre rilevato che l’introduzione, nel 2012, di un sistema di bonus volto a incentivare la sostituzione degli originari con i generici aveva prodotto un miglioramento del tasso di sostituzione solo apparente. Secondo la Corte, infatti, l’incremento registrato in quell’anno non derivava da un effettivo impegno dei farmacisti nella promozione dei generici, bensì coincideva con la tardiva immissione in commercio di questi ultimi dovuta alle pratiche delle Società. Tenendo conto di questi elementi, la Corte ha quantificato il danno economico in relazione ai rimborsi agli assicurati e alla remunerazione dei farmacisti in 126 milioni euro, oltre alla rivalutazione.
Resta da vedere se Sanofi deciderà di impugnare la sentenza dinanzi alla Corte di Cassazione francese.
Samuel Scandola e Oriella Trad
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Diritto della concorrenza – Italia / Abusi e settore dei sistemi di sigillatura – Il TAR Lazio conferma la decisione dell’AGCM contro Roxtec per aver posto in essere una strategia escludente nei confronti del concorrente Wallmax
Con la sentenza dello scorso 30 settembre, il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (TAR Lazio) ha respinto il ricorso proposto da Roxtec Italia e dalla capogruppo svedese Roxtec AB (congiuntamente, Roxtec) contro il provvedimento dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), che aveva accertato un abuso di posizione dominante nel mercato dei sistemi di sigillatura modulari. Secondo l’AGCM, Roxtec aveva posto in essere tra il 2015 e il 2023 una strategia escludente nei confronti del concorrente Wallmax, attraverso registrazioni strumentali di marchi, azioni giudiziarie seriali e la diffusione di informazioni denigratorie.
In primo luogo, il TAR Lazio ha confermato la definizione del mercato rilevante operata dall’AGCM, respingendo la tesi di Roxtec secondo cui i sistemi modulari costituirebbero solo una delle possibili soluzioni di sigillatura. Il TAR Lazio ha sottolineato che tali sistemi presentano caratteristiche tecniche e funzionali non sostituibili con soluzioni non modulari (come schiume, siliconi), soprattutto nei settori a più alto grado di specializzazione come quelli della cantieristica navale, delle telecomunicazioni e dell’industria energetica. Il mercato è stato inoltre circoscritto all’Unione europea, sulla base dell’omogeneità normativa e della centralità del sistema di certificazioni, contesto in cui Roxtec detiene una quota di circa l’80% grazie a un’ampia rete distributiva e a un portafoglio di certificazioni tecniche considerato difficilmente replicabile dai concorrenti.
Il TAR Lazio ha poi analizzato le condotte contestate dall’AGCM, ritenendole parte di un disegno unitario finalizzato all’esclusione dei concorrenti. Confermando le conclusioni dell’AGCM, il TAR Lazio ha ritenuto che Roxtec aveva registrato presso l’EUIPO una serie di marchi con finalità non realmente distintive, ma volte a ostacolare la produzione di moduli simili da parte di Wallmax. In parallelo, la società aveva avviato una sequenza di azioni giudiziarie in diverse giurisdizioni (India, Germania, Italia, Stati Uniti e Paesi Bassi) che, pur non qualificabili come sham litigation in senso stretto, sono state considerate dal TAR Lazio uno strumento utilizzato sistematicamente per dissuadere Wallmax dall’espandersi. Infine, Roxtec aveva diffuso presso clienti ed enti certificatori informazioni denigratorie nei confronti del concorrente, anche tramite l’uso distorto di un report tecnico commissionato a CESI S.p.A. (società di consulenza operante anche nel campo delle ispezioni e certificazioni), il cui contenuto era stato orientato per mettere in risalto presunte carenze qualitative dei prodotti Wallmax.
Quanto agli effetti anticoncorrenziali, il TAR ha anche in questo caso confermato la valutazione dell’AGCM. La pressione legale esercitata su Wallmax aveva comportato spese pari ai ricavi annuali della società, con un impatto diretto sulla sua capacità di investimento. Il fatturato era crollato, evidenziando l’effettiva idoneità della condotta a restringere la concorrenza. Le comunicazioni interne di Roxtec hanno inoltre dimostrato la consapevolezza degli effetti escludenti e persino un compiacimento per la marginalizzazione del concorrente, elemento che ha rafforzato la ricostruzione dell’intento abusivo.
Il TAR Lazio ha complessivamente rigettato tutte le otto censure sollevate da Roxtec, incluse la presunta tardività della contestazione, l’erroneità della definizione di mercato, la pretesa insussistenza degli effetti anticoncorrenziali e la sproporzione della sanzione.
In conclusione, la sentenza del TAR Lazio conferma integralmente la decisione dell’AGCM, riconoscendo l’esistenza di una strategia complessiva di esclusione portata avanti da Roxtec, rafforzando così l’orientamento volto a sanzionare pratiche escludenti attuate da imprese dominanti non solo attraverso condotte di mercato, ma anche mediante strumenti giuridici e comunicativi di per sé legittimi. Resta ora da vedere se Roxtec deciderà di proporre appello al Consiglio di Stato.
Numa Blondi
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Tutela del consumatore / Pratiche commerciali scorrette e settore dell’intelligenza artificiale – L’AGCM avvia un’istruttoria nei confronti di NOVA AI Chatbox
Lo scorso 29 settembre, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha pubblicato nel proprio bollettino il provvedimento con cui ha avviato un’istruttoria nei confronti di ScaleUp, società che offre ai consumatori un servizio di intelligenza artificiale (IA) noto come NOVA AI Chatbox (Nova), per possibili pratiche commerciali ingannevoli e scorrette. In particolare, secondo la ricostruzione preliminare dell’AGCM, ScaleUp avrebbe omesso gli opportuni disclaimer sulla possibilità che il proprio servizio renda informazioni inesatte, fuorvianti o inventate (le c.d. allucinazioni) ed avrebbe presentato in modo insufficiente e non chiaro informazioni su alcune caratteristiche principali del servizio stesso, in possibile violazione degli articoli 20, 21 e 22 del Codice del Consumo.
Nova è una c.d. “chatbox cross-platform”, ossia una piattaforma IA sviluppata a sua volta sulla base di altri servizi IA, ed è disponibile sia tramite un apposito sito web, sia tramite applicazione per dispositivi mobili. I consumatori possono usufruire di Nova gratuitamente (in tal caso, con funzionalità limitate) oppure possono accedere a dei servizi aggiuntivi tramite la sottoscrizione di un abbonamento settimanale o mensile.
Quanto alle contestazioni sollevate nel provvedimento, come anticipato e analogamente alla vicenda DeepSeek (già oggetto di commento in questa Newsletter), l’AGCM ha evidenziato che, sia nella versione web, sia nell’applicazione mobile di Nova, non compare alcun riferimento alla possibilità che il servizio possa incorrere in allucinazioni. In particolare, la totale assenza di qualsiasi informativa a riguardo viene riscontrata non solo nelle interfacce al momento dell’utilizzo del servizio, ma anche nelle pagine degli app store cui si accede prima di scaricare l’applicazione e nella presentazione di Nova sul sito web. Una tale omissione, a detta dell’AGCM, sarebbe idonea a condizionare le scelte del consumatore sia perché, (i) in primo luogo, questi verrebbe indebitamente condizionato a preferire Nova rispetto ad un servizio concorrente confidando erroneamente nella totale affidabilità e correttezza delle sue risposte, sia perché (ii) le risposte fornite da Nova potrebbero incidere sulle decisioni quotidiane del consumatore (potenzialmente anche su temi rilevanti come salute, diritto, e finanza).
Inoltre, l’AGCM ha contestato la mancanza di informazioni chiare sui sistemi di IA su cui Nova si basa per offrire il proprio servizio, vista l’incoerenza delle spiegazioni fornite circa le piattaforme a cui attinge, sia nella sua versione gratuita, sia in quella a pagamento. Infatti, in alcune occasioni Nova è presentata come un servizio sviluppato solo su ChatGPT-4o e Gemini, in altre come basata anche su Claude e DeepSeek, risultando così difficile per il consumatore comprendere a quali servizi IA avrà effettivamente accesso. Rispetto agli utenti che intendono sottoscrivere un abbonamento per il servizio, l’AGCM ritiene altresì che ScaleUp non spieghi con sufficiente chiarezza quali versioni dei sistemi IA saranno disponibili all’abbonato, rendendo impossibile al consumatore cogliere il valore aggiunto della versione di Nova a pagamento rispetto a quella gratuita, nonché direttamente rispetto ai servizi IA su cui Nova si basa.
Con il provvedimento in commento, si ha quindi un’ulteriore dimostrazione di come il settore digital, e in particolare i servizi di IA, siano una priorità di enforcement per l’AGCM, sia in ambito antitrust, sia in quello di tutela del consumatore.
Niccolò Antoniazzi e Luca Giacomello
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Appalti, concessioni e regolazione / Giurisdizione e responsabilità della pubblica amministrazione – Le Sezioni Unite ritornano sulla competenza nelle azioni per danno da affidamento incolpevole
Con la sentenza n. 26080 del 25 settembre 2025, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (le Sezioni Unite o la Corte) sono intervenute per definire una questione di giurisdizione in una controversia di risarcimento danni contro una pubblica amministrazione (P.A.). In particolare, con una modifica della precedente giurisprudenza, le Sezioni Unite hanno statuito che le azioni di risarcimento del danno promosse da un soggetto che ha fatto affidamento sulla legittimità di un provvedimento amministrativo annullato non rientrano tutte e sempre nella giurisdizione del giudice ordinario, ma vengono attratte in quella del giudice amministrativo quando riguardano materie incluse nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 133 del Codice del processo amministrativo (c.p.a.).
La questione nasce nell’ambito di una controversia tra due privati e il Comune di Rimini che aveva emesso un provvedimento amministrativo (nella specie, un permesso di costruire) poi annullato dal giudice amministrativo.
A valle dell’annullamento di questo provvedimento, i due privati che avevano fatto affidamento sulla sua validità hanno convenuto il Comune per ottenere il risarcimento dei danni che essi avevano subito per aver dato attuazione all’intervento consentito da tale provvedimento. L’azione è stata promossa davanti al giudice ordinario perché, secondo la giurisprudenza consolidata, l’adozione di un provvedimento dichiarato illegittimo degrada a mero comportamento senza implicare l’esercizio di alcun potere amministrativo, con la conseguenza che la controversia è attratta alla giurisdizione del giudice ordinario. Questo anche nelle materie incluse nella giurisdizione del giudice amministrativo proprio perché manca un collegamento con l’esercizio del potere amministrativo.
In tale contesto, il Comune ha eccepito il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, sostenendo l’appartenenza della controversia alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (G.A.) ai sensi dell’art. 133, comma 1, lettera f), del c.p.a. Gli attori hanno quindi proposto regolamento preventivo di giurisdizione.
Le Sezioni Unite chiariscono, anzitutto, che la pretesa fatta valere dagli attori tutela un diritto soggettivo, rientrando la vicenda negli ambiti della tutela dell’affidamento e dell’autodeterminazione economica.
Ciò, tuttavia, non esclude la giurisdizione del G.A. quando la controversia ricade in una delle materie di giurisdizione esclusiva ex art. 133 c.p.a. Infatti, in tali ambiti, la giurisdizione del G.A. si radica se la condotta contestata è riconducibile, anche solo mediatamente, all’esercizio del potere e non si riduce a meri comportamenti materiali privi di giustificazione nella norma attributiva del potere. La responsabilità della P.A. può dunque configurarsi anche in presenza di un provvedimento legittimo, poiché il parametro è la violazione dei doveri di buona fede e correttezza che guidano l’esercizio del potere, non la legittimità dell’atto in sé.
Applicando questi criteri al caso concreto, le Sezioni Unite hanno dichiarato la giurisdizione esclusiva del G.A., poiché l’oggetto della controversia attiene all’edilizia e all’urbanistica e rientra dunque nella previsione dell’art. 133, comma 1, lettera f), c.p.a.. Inoltre, l’affidamento degli attori è stato generato da condotte del Comune tenute nel corso del procedimento e giustificate dall’esercizio del potere, cioè riconducibili all’esercizio del potere, anche indirettamente.
Sul piano pratico, ciò implica che le controversie in cui l’affidamento incolpevole matura all’interno di un procedimento amministrativo e, più in generale, nelle materie incluse nell’art. 133 c.p.a., appartengono alla giurisdizione del G.A. anche quando il pregiudizio non deriva da un provvedimento illegittimo, ma da condotte dell’amministrazione riconducibili all’esercizio del potere. Resta decisivo, ai fini del riparto, che tali condotte non si riducano a meri comportamenti materiali non giustificati dalle norme che assegnano quel potere.
Andrea Scarpetta
