Diritto della concorrenza - Europa / Diritto della concorrenza e sostenibilità – La Commissione europea utilizza per la prima volta lo strumento delle lettere di orientamento
Lo scorso 9 luglio, la Commissione europea (la Commissione) ha pubblicato i comunicati stampa relativi alle prime due lettere di orientamento (le Lettere di Orientamento) adottate ai sensi della Comunicazione sull’orientamento informale per questioni nuove o irrisolte relative agli articoli 101 e 102 TFUE sollevate da casi individuali (la Comunicazione), come aggiornata nel 2022.
Ai sensi della Comunicazione, le imprese possono chiedere un parere informale alla Commissione su situazioni di incertezza in materia di diritto della concorrenza UE, nella misura in cui le linee guida e le comunicazioni esistenti non consentano una valutazione chiara della fattispecie da parte dei soggetti interessati.
In particolare, in seguito alle modifiche introdotte nella Comunicazione nel 2022, la Commissione valuta l’opportunità di fornire orientamenti laddove sussistano i seguenti requisiti: (i) le questioni sottoposte risultano nuove o irrisolte; e (ii) vi sia un interesse pubblico a intervenire, che viene valutato tenendo conto:
- dell’importanza economica effettiva o potenziale dei beni o servizi coinvolti;
- della pertinenza dell’accordo o pratica rispetto alle priorità della Commissione o dell’UE;
- dell’entità degli investimenti correlati; e/o
- della potenziale portata generale delle questioni sollevate.
Nel caso di specie, le Lettere di Orientamento riguardano due ambiti strategici.
La prima Lettera di Orientamento riguarda la negoziazione di licenze per standard-essential patents (SEP). Alcune delle principali case automobilistiche (tra cui BMW, Mercedes e Volkswagen) hanno chiesto alla Commissione un orientamento in merito al progetto di costituire un gruppo di negoziazione per le licenze SEP per il settore automotive (il Gruppo di Negoziazione).
Nella Lettera di Orientamento, la Commissione ha concluso che la costituzione del Gruppo di Negoziazione non solleva preoccupazioni ai sensi dell’articolo 101 TFUE, a condizione che:
- le negoziazioni riguardino esclusivamente SEP del settore automotive;
- l’adesione al Gruppo di Negoziazione sia aperta anche a eventuali nuovi operatori interessati;
- i titolari dei brevetti SEP non siano vincolati a partecipare alle negoziazioni con il Gruppo di Negoziazione, né obbligati a proseguirle, potendo interromperle liberamente in qualsiasi momento; e
- lo scambio di informazioni sia limitato a quanto strettamente necessario per le negoziazioni.
La Commissione ha ritenuto che i rischi di restrizione della concorrenza fossero attenuati anche in considerazione della ridotta quota di mercato cumulativa degli aderenti al Gruppo di Negoziazione, non superiore al 15 % della domanda complessiva nei mercati per la concessione in licenza di SEP. Inoltre, la Commissione ha osservato che la negoziazione congiunta potrebbe generare un aumento di efficienza, contribuendo in modo significativo al perseguimento degli obiettivi di sostenibilità dell’UE come individuati nel Clean Industrial Deal.
Interessante notare come, in questo caso, la Commissione abbia ritenuto che l’elemento di novità della questione risieda nel fatto che l’operazione, pur presentando alcune caratteristiche tipiche di un accordo di acquisto congiunto disciplinato dalle Linee Guida della Commissione sugli accordi orizzontali, riguardava la costituzione di un gruppo funzionale alla negoziazione congiunta di licenze di diritti di proprietà intellettuale (e in particolare per SEP), non ancora trattato nelle linee guida. Peraltro, le imprese parte del Gruppo di Negoziazione sono state recentemente coinvolte in una violazione dell’articolo 101 TFUE, sicché non sorprende la determinazione a ottenere chiarezza da parte della Commissione.
La seconda Lettera di Orientamento riguarda invece gli accordi di sostenibilità per l’acquisto congiunto di attrezzature elettriche per le infrastrutture portuali. APM Terminals (facente parte del gruppo Maersk) e altri operatori portuali – anche quello portuale, dunque, un settore oggetto di particolare scrutinio da parte della Commissione – hanno richiesto un orientamento in merito a un accordo di sostenibilità volto a favorire la transizione dall’uso di mezzi diesel a mezzi elettrici per la movimentazione dei container nei porti europei. Nello specifico, l’accordo mira a: (i) ridurre i costi di acquisto di strumenti elettrici di trasporto container attraverso la concentrazione di una parte della domanda futura; (ii) offrire ai fornitori una maggiore prevedibilità sulla domanda futura; e (iii) promuovere l’interoperabilità, in particolare tra le attrezzature di ricarica fornite da produttori diversi, oggi non standardizzate.
Anche in questo caso, nella Lettera di Orientamento, la Commissione non ha rilevato la presenza di problemi concorrenziali ai sensi dell’articolo 101 TFUE, a condizione che:
- ogni operatore possa continuare ad acquistare i beni in questione autonomamente;
- il volume di domanda congiunta sia soggetto a un tetto massimo d’acquisto; e
- lo scambio di informazioni sensibili sia limitato a quanto strettamente necessario.
A differenza del primo caso, la previsione di un tetto massimo alla domanda congiunta ha reso superflua un’analisi approfondita delle quote di mercato delle imprese coinvolte.
Sebbene la Commissione abbia ampiamente sottolineato come l’autovalutazione da parte delle imprese resti l’elemento centrale nell’applicazione del diritto antitrust eurounitario, le Lettere di Orientamento in commento rappresentano un chiaro segnale di apertura verso la possibilità di accordi tra imprese concorrenti in settori chiave, soprattutto quando orientati alla sostenibilità e/o in linea con ulteriori obiettivi strategici dell’Unione.
Non resta ora che attendere la pubblicazione della versione non confidenziale delle Lettere di Orientamento per una valutazione più completa delle loro potenziali implicazioni per casi analoghi.
Francesco Tognato e Giacomo Perrotta
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Dawn raids e settore dei pneumatici – Il Tribunale dell’UE annulla in parte la decisione con cui la Commissione europea aveva disposto ispezioni a sorpresa
Con la sentenza dello scorso 9 luglio 2025, il Tribunale dell’Unione europea (il Tribunale) ha annullato parzialmente la decisione con cui la Commissione europea (la Commissione) aveva disposto ispezioni a sorpresa presso le sedi di Compagnie générale des établissements Michelin (Michelin) (la Decisione). La Commissione aveva proceduto con ispezione avendo il sospetto che Michelin avesse utilizzato, unitamente ad altri produttori di pneumatici, le conference call con gli analisti sui propri risultati finanziari per comunicare ai propri concorrenti le sue strategie future di prezzo, in potenziale violazione dell’articolo 101 TFUE in relazione ad un “periodo principale” ed un “periodo più risalente”. Per il Tribunale, la Commissione non ha infatti suffragato i propri sospetti con indizi sufficientemente seri a sostegno dell’ispezione per il “periodo più risalente” considerato nella Decisione.
Più specificamente, la Decisione disponeva ispezioni in relazione all’eventuale partecipazione ad accordi e/o pratiche concordate contrarie all’articolo 101 TFUE relative ad un presunto coordinamento dei prezzi tra i principali produttori di pneumatici, che avrebbe incluso lo scambio di informazioni sensibili anche tramite l’uso di comunicazioni unilaterali pubbliche (in particolare, le conference call con gli analisti) per informarsi reciprocamente sulle rispettive intenzioni future e strategie di prezzo. Michelin ha impugnato la Decisione, sostenendo che non fosse adeguatamente motivata, e che comunque mancassero sufficienti elementi di fatto a sostegno dell’ispezione.
Con la sentenza in commento, il Tribunale offre interessanti spunti sull’onere motivazionale richiesto alla Commissione per giustificare lo svolgimento di ispezioni a sorpresa, sui metodi di indagine della Commissione e sulla crescente attenzione di quest’ultima verso le dichiarazioni unilaterali pubbliche rese dalle imprese, che potrebbero costituire una violazione del diritto antitrust ove capaci di “segnalare” ai concorrenti come intendono agire, o come le altre imprese dovrebbero rispondere al comportamento dei concorrenti (il c.d. “signaling”).
Sotto il primo profilo, il Tribunale conferma che – posto che un’ispezione fa parte della fase preliminare di un’indagine – la Commissione non è tenuta ad esprimere nella Decisione una qualificazione giuridica ovvero una definizione di mercato definitive. È sufficiente che la Commissione articoli in modo chiaro ed il più preciso possibile i propri sospetti, così da consentire all’impresa di comprendere l’ambito dell’ispezione, nonché il perimetro del proprio obbligo di cooperazione, per poter tutelare i propri diritti. È quindi concesso un certo grado di flessibilità linguistica (come l’utilizzo di espressioni quali “e/o”, “in particolare”, “incluso”), purché le imprese comprendano l’oggetto dell’indagine. Per il Tribunale, la Decisione era sufficientemente chiara per comprendere i sospetti della Commissione e consentire a Michelin di difendersi, dunque non era affetta da vizi motivazionali.
Per verificare invece la sussistenza di sufficienti indizi a sostegno della Decisione, il Tribunale analizza come la Commissione avesse condotto le proprie indagini preliminari: dapprima la Commissione aveva condotto uno screening di migliaia di comunicazioni sui risultati finanziari di imprese attive in diversi settori e giurisdizioni, analizzando la frequenza con cui alcune combinazioni di parole associate a frasi sulle intenzioni future sui prezzi e/o ai concorrenti apparivano in tali comunicazioni. I produttori di pneumatici si sono distinti per la frequenza elevata di tali espressioni. La Commissione ha successivamente svolto una verifica qualitativa, identificando alcuni pattern di comunicazioni da cui ha poi – secondo il Tribunale – plausibilmente fatto discendere l’esistenza di possibili comportamenti collusivi. Le difese di Michelin volte a sostenere (i) l’esistenza di interpretazioni alternative a quella fornita dalla Commissione, (ii) che il contenuto delle comunicazioni rispondesse ad obblighi legali di trasparenza ovvero a domande formulate dagli analisti, e che (iii) il loro contenuto fosse usuale e spiegabile alla luce del funzionamento di mercato sono state respinte. Per il Tribunale, l’esistenza di possibili interpretazioni alternative non implica l’implausibilità della ricostruzione offerta dalla Commissione, e l’esistenza di obblighi legali e/o di trasparenza non imponeva l’utilizzo di espressioni che la Commissione poteva legittimamente interpretare come potenzialmente volte a ridurre l’incertezza sul comportamento delle imprese sul mercato, o “segnalare” i prezzi futuri.
Il Tribunale ha quindi ritenuto che la Commissione avesse suffragato, per il “periodo principale” considerato nella Decisione, i propri sospetti con indizi sufficientemente seri. Tuttavia, ha ritenuto che ciò non fosse il caso anche per il “periodo più risalente” coperto dalla Decisione. Il Tribunale ritiene che lo stesso standard probatorio non fosse raggiunto in quanto la Decisione si basava – per gli anni più risalenti – non su comunicazioni contemporanee, ma solo sul fatto che alcune comunicazioni degli anni più recenti contenevano richiami a simili condotte relative agli anni passati. Per il Tribunale, con una motivazione non particolarmente convincente, tali (meri) richiami non costituivano indizi sufficienti a giustificare un’ispezione. Resta da vedere se la Corte di Giustizia confermerà tale impostazione in sede di appello.
La sentenza in commento invia un chiaro segnale alle imprese: anche le trascrizioni ovvero le registrazioni delle conference call con gli analisti (o altre comunicazioni pubbliche comparabili) possono costituire evidenza di una possibile violazione antitrust. Eventuali obblighi regolamentari e/o di trasparenza verso gli investitori non costituiscono una safe harbour e qualsiasi comunicazione, anche pubblica, deve essere gestita considerando anche eventuali profili di compliance antitrust.
Cecilia Carli
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Diritto della concorrenza - Italia / Concentrazioni e settore bancario – L’AGCM ha autorizzato con condizioni l’acquisto del controllo esclusivo di Banca Popolare di Sondrio da parte di BPER Banca
Con il provvedimento del primo luglio 2025, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha autorizzato con condizioni l’acquisizione del controllo esclusivo di Banca Popolare di Sondrio da parte di BPER Banca S.p.A. (BPER) mediante l’offerta pubblica di scambio volontaria lanciata da BPER lo scorso 6 febbraio (l’Operazione).
Come già commentato in questa Newsletter, lo scorso aprile l’AGCM aveva deliberato l’avvio di un’istruttoria approfondita (c.d. Fase 2) ritenendo che l’Operazione fosse suscettibile di ostacolare in modo significativo la concorrenza nei mercati locali – identificati prima facie a livello provinciale – degli impieghi alle famiglie produttrici e alle piccole imprese nelle province di Varese, Pavia e Como.
Dopo aver confermato che in tali mercati l’entità risultante dall’Operazione arriverà a detenere delle quote di mercato significative a livello provinciale (interessante però notare che lo screening a livello provinciale è stato effettuato a partire da una quota di mercato pari o superiore al 25%), l’AGCM ha condotto – come da propria prassi – un’analisi a livello più granulare tramite l’identificazione di bacini di utenza (c.d. catchment areas, CA) definiti secondo un tempo massimo di 30 minuti di percorrenza in auto dal relativo centroide (ossia, secondo l’impostazione dell’AGCM, la filiale oggetto di acquisizione). A seguito di tale analisi, l’AGCM ha identificato serie criticità concorrenziali in 12 CA situate nelle provincie di Como e di Varese, in quanto le quote di mercato post merger sarebbero superiori al 35% (e in 6 CA superiori al 50%) con incrementi di quota ascrivibili all’Operazione non trascurabili e divenendo BPER il primo operatore di mercato nelle stesse.
In tale contesto, BPER ha proposto all’AGCM misure correttive di carattere strutturale, ossia l’impegno alla cessione a terzi di alcune filiali situate nelle CA problematiche, pur ritenendo sproporzionato detto impegno in considerazione dell’impatto irreversibile che ciò comporta sull’intera gamma delle attività gestite dalle filiali, che vanno ben oltre la sola concessione di impieghi alle famiglie produttrici e piccole imprese. Pertanto, BPER ha altresì rappresentato all’AGCM come ritenesse più idoneo subordinare l’autorizzazione all’Operazione ad un mix di misure correttive di carattere strutturale e comportamentale, che includono l’impegno al mantenimento di determinate condizioni commerciali favorevoli per uno specifico periodo di tempo, alla trasparenza delle offerte e alla garanzia di un accesso non discriminatorio agli impieghi, unitamente alla cessione a terzi di un portafoglio di impieghi.
Tuttavia, l’AGCM ha valutato le misure alternative alla cessione di sportelli di cui sopra non idonee a rimuovere le criticità concorrenziali in questione in considerazione, da un lato, delle difficoltà legate alla necessità di un monitoraggio continuo delle misure di natura comportamentale e, dall’altro, del ruolo fondamentale che gioca il rapporto di fiducia tra il personale della filiale e le famiglie produttrici/piccole imprese, ossia un ruolo che qualsiasi misura diversa dalla cessione della filiale “non è in grado di preservare né di valorizzare da un punto di vista competitivo”.
Al contrario, l’AGCM ha ritenuto idonea la dismissione di alcuni sportelli proposta da BPER in quanto, in tutte le CA problematiche, tali cessioni porteranno la quota di mercato post merger ad essere inferiore al 35%, ridurranno significativamente il grado di concentrazione calcolato secondo l’indice HHI o neutralizzeranno l’incremento dovuto all’Operazione.
In conclusione, l’AGCM ha autorizzato l’Operazione condizionatamente alle misure strutturali in commento, ribadendo come la dismissione di sportelli rappresenti la soluzione imprescindibile per neutralizzare gli effetti anticoncorrenziali in caso di concentrazioni orizzontali nel settore bancario e, dunque, salvaguardare le condizioni di concorrenza effettiva nei mercati interessati su base duratura.
Laura Pagliuso e Niccolò Antoniazzi
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Intese e settore del turismo montano – L’AGCM ha avviato un’istruttoria nei confronti del Federconsorzio Dolomiti SuperSki e dei dodici Consorzi aderenti per presunta intesa anticoncorrenziale
Il primo luglio 2025, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha avviato un’istruttoria nei confronti della Federazione dei Consorzi di zona degli imprenditori esercenti il trasporto di persone Dolomiti SuperSki (FDSK) e dei dodici Consorzi di zona (i Consorzi) ad essa aderenti (il Procedimento). Il Procedimento è volto all’accertamento di un’eventuale intesa restrittiva della concorrenza nel contesto di accordi di commercializzazione congiunta di skipass.
Il Procedimento ha origine da una segnalazione da parte di SportIt S.r.l., agenzia viaggi e tour operator attiva nel settore del turismo invernale attraverso la piattaforma SnowIt, un marketplace digitale per la vendita di servizi turistici legati al mondo dello sci, tra cui principalmente skipass e servizi accessori (noleggio attrezzatura, lezioni, esperienze invernali e soggiorni). Alla base della segnalazione vi sarebbe il rifiuto reiterato da parte di FDSK e dei Consorzi di consentire la commercializzazione, tramite SnowIt, dei propri skipass.
Infatti, in questo contesto, è bene evidenziare come FDSK detenga l’esclusiva per la vendita online degli skipass per tutti gli impianti della ski-area Dolomiti SuperSki (vasta area nelle Dolomiti, che include tutti i comprensori parte di FDSK, tra cui quelli di mete famose quali Cortina d’Ampezzo, Kromplatz e molte altre), inclusi dunque sia i super-skipass validi per l’intera area, sia i titoli relativi ai singoli comprensori.
Come rilevato dall’AGCM, lo stesso Statuto di FDSK conterebbe disposizioni capaci di incidere direttamente sulle scelte economiche e strategiche dei Consorzi, attribuendo a FDSK ampi poteri di coordinamento delle politiche tariffarie e commerciali di questi ultimi. In particolare, l’articolo 4 assegnerebbe a FDSK la definizione della politica dei prezzi non solo per il super-skipass valido sull’intero comprensorio, ma anche per i singoli skipass locali, oltre alla gestione e redistribuzione dei relativi proventi. FDSK avrebbe inoltre il compito di vigilare sul rispetto degli obblighi statutari, anche tramite “eventuali sanzioni economiche”. Tale direzione e controllo sarebbe, peraltro, rafforzata dall’articolo 5, che imporrebbe ai Consorzi – e alle relative imprese funiviarie – l’obbligo di non stipulare “convenzioni o accordi tariffari” con soggetti terzi, se non previa autorizzazione di FDSK.
Tra le clausole statutarie ritenute rilevanti dall’Autorità si segnala anche l’articolo 7 dello statuto di FDSK, che prevede la possibilità di esclusione dei Consorzi aderenti in caso di comportamenti in contrasto con gli scopi o gli obblighi previsti. In particolare, tale disposizione può essere attivata qualora un Consorzio partecipi o collabori con soggetti terzi ritenuti “in concorrenza o in contrasto” con le finalità di FDSK, incluse attività di commercializzazione autonome o in partnership con piattaforme digitali concorrenti.
L’AGCM, nel caso di specie, ha identificato il mercato rilevante con quello relativo alla fornitura di servizi di trasporto di persone a mezzo impianti di risalita nelle aree di FDSK, a cui è collegata la vendita di skipass per praticare sport invernali. Si tratta, come anticipato, di un’area di grande rilevanza e attrattività per il turismo sciistico, nota sia in Italia che all’estero.
L’AGCM ha preliminarmente qualificato la condotta come un accordo di commercializzazione congiunta tra imprese concorrenti, idoneo a produrre effetti restrittivi per oggetto, in particolare in quanto prevede la determinazione congiunta dei prezzi degli skipass (anche di area) e il blocco della possibilità per i singoli Consorzi di stipulare accordi distributivi indipendenti. La cooperazione tra i Consorzi – rappresentativi di centinaia di imprese funiviarie – estendendosi alla politica tariffaria, alla ripartizione dei proventi, alla disciplina del canale online e alla vigilanza sulle relazioni commerciali, risulterebbe idonea a comprimere la concorrenza sia all’interno dell’area di FDSK, sia tra le diverse stazioni sciistiche dell’arco alpino.
L’AGCM ha inoltre evidenziato che tale sistema potrebbe costituire un freno all’innovazione e allo sviluppo di strumenti digitali alternativi di vendita (ad esempio, la tecnologia RFID integrata nelle tessere SnowItCard, i modelli di dynamic pricing o la possibilità di comparazione dei prezzi dei servizi sciistici su un’unica piattaforma integrata), con effetti negativi sia per i consumatori, sia per la modernizzazione del settore.
Il caso assume particolare rilevanza quale ulteriore dimostrazione di come intese potenzialmente restrittive della concorrenza possano emergere anche all’interno di previsioni statutarie di realtà associative, quali i consorzi. La mera affermazione statutaria di conformità ai principi di libera concorrenza non è naturalmente di per sé sufficiente a escludere la natura anticoncorrenziale delle previsioni statutarie e la loro idoneità a restringere la concorrenza. Resta ora da vedere se emergeranno nuovi elementi nel corso dell’indagine e in che misura l’AGCM approfondirà il bilanciamento tra la necessità di una qualche forma di cooperazione funzionale all’integrazione dell’offerta sciistica e la necessità di preservare spazi di concorrenza e innovazione anche nel canale digitale.
Fabio Bifarini e Lavinia Pelicella
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Appalti, concessioni e regolazione / Concessioni demaniali marittime – La Corte costituzionale dichiara illegittime le disposizioni della Regione Toscana sulle concessioni balneari per violazione della competenza esclusiva statale
Con la sentenza del 2 luglio 2025, la Corte costituzionale (la Corte) ha dichiarato illegittime alcune disposizioni contenute nella Legge della Regione Toscana n. 30/2024 (la Legge regionale toscana) in tema di concessioni demaniali marittime, per violazione della competenza esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza.
La Legge regionale toscana era intervenuta a fissare alcuni principi per il coordinamento delle procedure selettive di affidamento delle concessioni balneari, in applicazione della Direttiva 2006/123/CE (la Direttiva Bolkenstein), nell’attesa di un intervento del legislatore statale, poi effettivamente avvenuto con il Decreto-legge n. 131/2024.
Il Governo ha però proposto ricorso diretto alla Corte, sostenendo che la Legge regionale toscana violasse la competenza esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza. In particolare, la lesione delle competenze statali era lamentata in relazione a due profili. In primo luogo, la Legge regionale toscana riconosceva un indennizzo a carico del concessionario subentrante, a favore del concessionario uscente, da quantificare secondo criteri affidati a linee guida della Giunta regionale. In secondo luogo, la Legge regionale toscana introduceva un elemento di premialità nell’affidamento delle concessioni, costituito dall’essere micro, piccola o media impresa turistico-ricreativa operante in ambito demaniale marittimo.
Quella delle concessioni demaniali marittime è una materia che, come noto, interseca competenze legislative statali e regionali. Da un lato, le Regioni sono competenti al rilascio di tali concessioni. Dall’altro lato, lo Stato deve garantire, a tutela della libera competizione tra operatori economici, che i criteri per l’affidamento delle concessioni balneari siano coerenti con i principi nazionali ed europei di libera concorrenza.
Al riguardo, in accoglimento delle questioni di legittimità costituzionale prospettate dall’Avvocatura dello Stato, la Corte ha statuito che il limite alla competenza regionale in materia di concessioni demaniali marittime consiste nell’impossibilità di incidere direttamente sull’assetto concorrenziale del mercato. Questo limite è stato però travalicato dalla Regione Toscana: infatti, da un lato, le norme censurate, introducendo un regime di premialità in favore delle micro, piccole e medie imprese turistico-ricreative operanti in ambito demaniale marittimo, influiscono sulla modalità di scelta dei contraenti, scoraggiando a partecipare gli altri operatori economici; dall’altro lato, prevedendo l’indennizzo a carico del concessionario entrante, le medesime norme costituiscono un vero e proprio disincentivo alla partecipazione di operatori economici che non siano il concessionario uscente, sui quali graverebbe il relativo onere economico. In questo modo, la Legge regionale toscana ha invaso le competenze in materia di tutela della concorrenza spettanti esclusivamente allo Stato.
Da ultimo, la Corte ha ritenuto inapplicabile il meccanismo della “cedevolezza invertita”, che secondo la Regione Toscana avrebbe consentito al legislatore regionale di intervenire per assicurare il rispetto degli obblighi derivanti dalla Direttiva Bolkenstein, in attesa dell’intervento del legislatore statale. Tale regime, essendo applicabile unicamente alle materie di competenza legislativa concorrente, non è stato considerato idoneo a legittimare, nel caso di specie, l’intervento normativo della Regione Toscana, che ha invece inciso su una competenza legislativa esclusiva dello Stato.
In ragione di ciò, la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle disposizioni censurate, ritenendo che le stesse fossero state adottate in violazione della ripartizione di competenze tra Stato e Regioni in materia di tutela della concorrenza, delineata dall’Articolo 117 della Costituzione.
Niccolò Ferracuti e Daria Vescovi
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