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Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza UE / Accordi verticali – La Commissione europea ha adottato un nuovo regolamento di esenzione per categoria relativo agli accordi verticali

Lo scorso 10 maggio la Commissione europea (Commissione) ha adottato il nuovo Regolamento di esenzione per categoria relativo agli accordi verticali (il Regolamento) e i relativi nuovi Orientamenti sulle restrizioni verticali (gli Orientamenti), in esito ad un processo di revisione iniziato nel 2018.

Due le principali direttrici dell’intervento riformatorio della Commissione: aggiornare la disciplina in materia di intese verticali alla luce dell’esperienza di applicazione decennale del precedente Regolamento 330/2010 e adattarla alle peculiarità dei mercati digitali. Emblematica in questo senso l’introduzione nel novero delle hardcore restrictions non esentate dal Regolamento della nuova fattispecie di cui all’art. 4 lett. e, che concerne “la pratica di impedire l’uso efficace di internet da parte dell’acquirente o dei suoi clienti per vendere i beni o servizi oggetto del contratto”. Resta tuttavia impregiudicata la facoltà del fornitore, già sancita dalla Corte di Giustizia nel caso Coty, di porre in essere “altre restrizioni delle vendite online” nonché di imporre “restrizioni della pubblicità online che non hanno lo scopo di impedire l’uso di un intero canale pubblicitario online”, condotte che dovranno essere oggetto di valutazione specifica alla luce del contesto economico e giuridico in cui incidono. Sul punto si segnala l’introduzione all’interno degli Orientamenti di due sezioni deputate a guidare l’analisi delle restrizioni sull’utilizzo dei marketplace e in merito agli strumenti di comparazione dei prezzi. Infine, la collocazione sistematica della norma sub lett. e di cui sopra chiarisce che la valutazione di tali categorie di condotte prescinde dal tipo di sistema distributivo su cui si innesta.

Ulteriori innovazioni hanno riguardato la disciplina della doppia distribuzione, che concerne le ipotesi in cui un fornitore non solo vende i propri beni o servizi tramite distributori indipendenti ma vi procede anche direttamente ai clienti finali (dunque in concorrenza diretta con i propri distributori indipendenti). La bozza presentata inizialmente dalla Commissione, già oggetto di commento su questa Newsletter  prevedeva due diversi scenari: nel caso in cui la quota di mercato aggregata delle parti sul mercato al dettaglio non avesse superato il 10%, l’accordo avrebbe beneficiato tout court dell’esenzione; qualora invece la quota fosse stata compresa tra il 10 e il 30%, l’esenzione si sarebbe applicata a tutti gli aspetti dell’accordo, fatti salvi degli scambi di informazioni tra le parti contraenti dell’accordo verticale. Nella versione finale, la Commissione ha eliminato tale dicotomia: sono esentati, sempre se nei limiti generali della quota del 30%, dall’art. 101 tanto l’accordo in sé quanto gli scambi informativi occorrenti tra il fornitore e il distributore in un contesto di doppia distribuzione che siano alternativamente “direttamente connessi all’esecuzione dell'accordo verticale o necessari per migliorare la produzione o la distribuzione dei beni o servizi oggetto del contratto”. Per la verifica di questi ultimi requisiti – oggetto di specifica consultazione con gli stakeholder – la Commissione ha previsto una nuova sezione all’interno degli Orientamenti, comprensiva di una black list e di una white list esemplificative.

La Commissione ha altresì introdotto una disciplina specifica in merito alle cd. parity obligations, o clausole MFN. L’art. 5 comma 1 lett. (d) del Regolamento prevede che non beneficia dall’esenzione, anche se inserito all’interno di un accordo esentato, “un obbligo diretto o indiretto che impedisca agli acquirenti di servizi di intermediazione online di offrire, vendere o rivendere beni o servizi agli utenti finali a condizioni più favorevoli attraverso servizi di intermediazione online concorrenti”. Il beneficio di categoria – conformemente a quanto già previsto nella prima versione presentata dalla Commissione – è dunque escluso solo per le clausole MFN ‘ampie’, ossia estese a una pluralità di piattaforme deputate alla vendita al dettaglio.

Il Regolamento entrerà in vigore il 1° giugno, fatto salvo un periodo di latenza di un anno per gli accordi che, precedentemente esentati ai sensi del vecchio Reg. 330/2010, non lo saranno più ai sensi del nuovo Regolamento. Stante l’ampia portata innovativa dei cambiamenti introdotti, è prematuro dire se lo sforzo di ammodernamento della VBER si sia effettivamente tradotto in un corpus coerente e di facile applicazione per le imprese; sarà la prassi a rivelare se la Commissione è riuscita nel suo intento, con particolare riferimento alle sempre mutevoli dinamiche dei mercati digitali.

Alessandro Canosa

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Abusi e monopoli legali – La CGUE chiarisce i criteri per qualificare un abuso escludente

Con la sentenza del 12 maggio scorso, la Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE) si è pronunciata sulle cinque domande di rinvio pregiudiziale proposte dal Consiglio di Stato (CdS) nell’ambito del ricorso presentato da Enel S.p.A. (ENEL), Servizio Elettrico Nazionale S.p.A. (SEN) e Enel Energia S.p.A. (EE) contro il provvedimento dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’AGCM) che nel 2019 aveva sanzionato le società del gruppo per abuso di posizione dominante nel mercato della vendita dell’energia elettrica in Italia (l’intera vicenda è stata oggetto di commento nelle Newsletter del 14 gennaio 2019, 21 ottobre 2019 e del 13 dicembre 2021), fornendo alcuni chiarimenti per identificare un abuso escludente.

Tale rinvio origina dalla condotta contestata dall’AGCM nei confronti delle società secondo cui queste, nel periodo intercorrente tra il gennaio 2012 e maggio 2017, avrebbero adottato una strategia escludente consistente nel trasferire la clientela di SEN (gestore del servizio di maggior tutela) a EE (operatore del mercato libero) sfruttando illegittimamente le loro posizioni di ‘operatori storici nel mercato della fornitura di energia elettrica in Italia’. A tale scopo, secondo l’AGCM, SEN avrebbe raccolto il consenso a ricevere offerte commerciali relative al mercato libero con modalità discriminatorie, consistenti nel chiedere consensi ‘separati’ per le società del gruppo ENEL, da un lato, e per i terzi dall’altro. Così facendo dunque “SEN avrebbe limitato il numero di consensi da parte dei clienti del mercato tutelato alla ricezione di offerte commerciali provenienti dagli operatori concorrenti”. Tali informazioni contenute in liste (Liste SEN), sarebbero state considerate dall’AGCM quale asset strategico non replicabile da parte degli altri concorrenti non verticalmente integrati. In risposta alle richieste del CdS, la CGUE ricorda che la disciplina di cui all’art. 102 TFUE si inserisce in un plesso normativo volto a tutelare, in ultimo, il benessere dei consumatori, la cui posizione possa risultare pregiudicata dalla distorsione della concorrenza. Per quanto concerne il riparto dell’onere probatorio, ricorda quindi come un’autorità che si approcci ad un caso di abuso dovrà dimostrare che un’impresa in posizione dominante abbia, attraverso il ricorso a mezzi diversi da quelli su cui si impernia una concorrenza sul merito, inciso sulle dinamiche concorrenziali; al contrario, dovrà essere l’impresa dominante in questione a dimostrare che l’effetto escludente di cui trattasi sia quantomeno ‘controbilanciato’ da effetti positivi per i consumatori.

In secondo luogo, secondo la CGUE, un’impresa che voglia dimostrare la legittimità della propria condotta dovrà soffermarsi soprattutto sull’inidoneità di tale pratica contestata a produrre effetti distorsivi; l’assenza della produzione di effetti escludenti in concreto potrà dunque essere solo un indizio a supporto della dimostrazione dell’incapacità stessa della condotta in quanto tale di produrre effetti anticoncorrenziali, poiché “…l’art 102 TFUE mira a sanzionare lo sfruttamento abusivo…indipendentemente dall’esito fruttuoso di un simile sfruttamento…”.

In terzo luogo, la CGUE, sulla scia di una giurisprudenza ormai pacifica sul punto, conferma ancora una volta che l’intento dell’impresa in questione di restringere la concorrenza attraverso l’esclusione dei propri concorrenti - attraverso mezzi o risorse diverse da quelle su cui si impernia una concorrenza basata sui meriti - rimane un elemento ultroneo rispetto alla configurazione dell’abuso e non è necessario darne prova.

In quarto luogo la CGUE chiarisce che una condotta, per quanto possa esser lecita in altri campi del diritto può essere considerata illecita ai sensi del 102 TFUE se produce un effetto escludente e se è basata sull’impiego di mezzi differenti da quelli tipici di una concorrenza basata sul merito. A tal proposito, la normativa settoriale autorizzava il trasferimento di informazioni commercialmente sensibili tra le società venditrici di energia elettrica sul mercato tutelato e le società attive sul mercato libero a condizione che la fornitura di tali informazioni non fosse discriminatoria. Quindi, seppur le liste SEN erano state trasferite dietro corrispettivo ad EE (e quindi ottenute legittimamente) tuttavia, per valutare la natura discriminatoria della condotta e quindi uno sfruttamento abusivo della concorrenza basata sui meriti, la CGUE suggerisce al Cds di analizzare se SEN avesse parimenti offerto l’accesso a tali informazioni ai concorrenti terzi “a condizioni uguali per prestazioni equivalenti” e quindi se il provvedimento dell’AGCM effettivamente conteneva la dimostrazione che “il procedimento utilizzato dal SEN per raccogliere i consensi… era idoneo a favorire le liste destinante a essere cedute a EE”. In quinto luogo, qualora la posizione dominante sia utilizzata in modo abusivo da una o più società figlie e venga presunta l’unità economica tra queste e la società madre, l’esistenza di tale unione in sé rende possibile ritenere anche quest’ultime responsabili della condotta; tuttavia, sussistendo una presunzione relativa, la società madre, anche qualora detenga la totalità o quasi totalità del capitale delle società figlie, potrà dimostrare l’assenza di coordinamento e, quindi, l’autonomia dell’azione delle società figlie, gravando su di essa l’onere della prova contraria.

Con l’enunciazione di tali principi la CGUE chiarisce i contorni della fattispecie di abuso escludente, peraltro in un contesto di mercato in fase di liberalizzazione e soggetto a regolamentazione di settore. Certamente di interesse le considerazioni espresse sia in relazione agli effetti a favore dei consumatori finali che potrebbero controbilanciare quelli anticompetitivi dell’abuso escludente sia, soprattutto, l’avvicinamento dell’abuso ad una violazione “per oggetto” considerata la quasi totale irrilevanza attribuita dalla CGUE agli effetti in concreto della condotta attribuita ad Enel; resta da vedere come tali conclusioni verranno utilizzate nella causa pendente dinanzi al CdS ed, in futuro, in altre fattispecie analoghe.

Maria Spanò

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Proposte di revisione e controllo delle concentrazioni – La Commissione ha avviato una consultazione pubblica relativa alle proposte di semplificazione procedurale in materia di controllo delle concentrazioni

Lo scorso 6 maggio la Commissione europea (la Commissione) ha pubblicato un comunicato tramite cui ha invitato i vari attori attivi sul mercato a presentare le proprie osservazioni – entro il 3 giugno 2022 – nell’ambito di una consultazione pubblica (la Consultazione) circa il progetto di revisione di alcuni aspetti procedurali del Regolamento n. 802/2004 (il Regolamento 802/2004) attuativo del regolamento sul controllo delle concentrazioni n° 139/2004 e della comunicazione sulla procedura semplificata di notifica delle concentrazioni (c.d. ‘Short Form CO’, la Comunicazione Semplificata).

La Consultazione e le relative proposte qui oggetto di analisi si inseriscono nel processo di semplificazione procedurale in tema di controllo delle concentrazioni avviato dalla Commissione nell’ormai lontano 2000, e di cui in questa sede si ritiene utile ripercorrere brevemente gli aspetti principali. Come primo step, nel 2000 la Commissione aveva introdotto una procedura semplificata di notifica – caratterizzata da un minor onere informativo in capo alle società coinvolte – riservata alle concentrazioni per cui appariva evidente sin da subito l’assenza di preoccupazioni antitrust. Nel 2013 erano state poi adottate una serie di misure semplificative di più ampio respiro finalizzate principalmente ad incrementare il numero e le categorie di notifiche ‘semplificate’ (fino a coprire il 60-70% del totale delle operazioni sottoposte allo scrutinio della Commissione) e a ridurre ulteriormente gli obblighi informativi in capo alle parti (sia in caso di procedura ‘semplificata’ che non) (il Pacchetto Semplificazioni).

Successivamente all’adozione di queste riforme, la Commissione nel 2016 aveva avviato un ulteriore processo di valutazione di specifici aspetti procedurali e giurisdizionali, pubblicandone solo 5 anni più tardi una sintesi dei risultati (la Valutazione) (già oggetto di commento su questa Newsletter). A tal proposito, la Valutazione aveva reso evidenti gli aspetti positivi – soprattutto in termini di efficiente allocazione delle risorse e minori oneri amministrativi – del Pacchetto Semplificazioni, lasciando comunque intendere l’esistenza di ulteriori margini di miglioramento: la Valutazione, tra le altre cose, suggeriva che molte concentrazioni generalmente considerate come non problematiche non risultavano ricomprese, in realtà, in nessuna delle categorie per cui era prevista la procedura semplificata.

Dopo un nuovo processo di valutazione d’impatto avviato nel marzo 2021 e atto ad identificare diverse opzioni per la revisione del Regolamento 802/2004 e della Comunicazione Semplificata, la Commissione è giunta alla Consultazione qui in rilievo ed alle proposte di riforma in esame, le quali si concentrano sui seguenti punti:

i) ampliamento e chiarimento delle categorie di concentrazione notificabili in forma semplificata: la Valutazione ha indicato un certo (limitato) margine di ampliamento delle categorie di notifica ‘semplificata’ o, comunque, per l’incremento della flessibilità nell’esaminazione di concentrazioni in forma semplificata, anche nel caso in cui quest’ultime non rientrino strictu sensu in nessuna delle categorie al momento previste dalla normativa. Al contempo, la Valutazione ha altresì suggerito alla Commissione di chiarire gli scenari in cui una concentrazione potenzialmente rientrante nell’alveo applicativo della procedura semplificata venga invece analizzata secondo la procedura non semplificata;

ii) snellimento della procedura di revisione in caso di notifica in forma semplificata:, la Commissione propone di sostituire il formulario caratterizzante l’odierna Comunicazione Semplificata con una versione più snella e di più veloce redazione. In particolare, il formulario attuale richiede determinati dati e informazioni tramite domande a risposta aperta, imponendo così alle parti notificanti la redazione di risposte che possono risultare anche articolate e complesse. Il progetto di formulario semplificato, invece, mira a snellire il processo di valutazione giurisdizionale e sostanziale della concentrazione tramite l’adozione principalmente di domande a scelta multipla e tabelle che devono essere completate con parole e dati. In tal modo, quindi, la notifica in forma semplificata diventerebbe più rapida e meno onerosa sia per le società coinvolte che per la Commissione;

iii) snellimento dell’esame della notifica in forma non semplificata: alcuni obblighi di informazione ricadenti sulle parti in caso di notifiche non semplificate presentano margini di snellimento. In particolare, la Commissione propone di apportare alcune modifiche alla struttura del formulario in modo da ridurre l’impatto di tali obblighi, come ad esempio, limitarne la portata in relazione alle concentrazioni che beneficiano delle cc.dd clausole di flessibilità (concernenti ad esempio sovrapposizioni orizzontali nelle quali la quota di mercato congiunta dei partecipanti è del 20-25%; oppure in cui il fatturato delle imprese comuni è ricompreso tra i 100 ed i 150 milioni di euro) o omogeneizzare le richieste di informazioni relative a sovrapposizioni orizzontali e verticali relativi a prodotti in fase di sviluppo tramite l’adozione di tabelle informative; e

iv) introduzione delle notifiche elettroniche: alla luce dell’esperienza positiva dovuta alla necessaria digitalizzazione eccezionale causata dalla pandemia di Covid-19, la Commissione propone di inserire nel testo del rinnovato Regolamento 802/2004 una previsione chiara che permetta la trasmissione dei documenti di notifica tramite canali digitali.

Come illustrato, le proposte della Commissione sono caratterizzate dal proposito di ‘alleggerire’ gli oneri imposti sia capo alle società coinvolte, sia alla Commissione in caso di notifica di una concentrazione (soprattutto se in forma semplificata). Per comprendere quanto la proposta della Commissione accoglierà il plauso degli attori di mercato, nonché l’effettiva attuazione delle suddette misure, occorrerà quindi attendere l’esito della Consultazione e l’adozione dei testi revisionati del Regolamento 802/2004 e della Comunicazione Semplificata.

Luca Feltrin

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Intese e settore bancario – L’AG Emiliou si pronuncia in materia di diritti e garanzie procedurali delle imprese soggette ad istruttoria antitrust

Lo scorso 12 maggio 2022 l’Avvocato Generale Emiliou (l’AG) ha rassegnato le proprie conclusioni in merito all’appello proposto da tre società appartenenti al gruppo HSBC (le Ricorrenti) avverso la sentenza resa dal Tribunale dell’Unione Europea (il Tribunale) il 24 gennaio 2019 in sede di impugnazione della decisione AT.39914 (la Decisione) della Commissione Europea (la Commissione) che le aveva condannate, insieme ad altre banche, per un’intesa restrittiva “per oggetto” nel settore finanziario.

Sia la decisione della Commissione, sia la sentenza del Tribunale sono già state oggetto della presente Newsletter. Per richiamare gli aspetti principali della vicenda, essa traeva origine da una domanda di clemenza da parte di Barclays, con la quale la Commissione veniva informata dell’esistenza di un cartello tra i principali gruppi bancari europei e avente ad oggetto, sostanzialmente, la manipolazione dei tassi di interessi su alcuni prodotti finanziari derivati, c.d. EIRD (Euro Interest Rate Derivatives), realizzata mediante continui scambi di informazioni e accordi bilaterali tra i trader delle banche partecipanti all’intesa.

Da tale segnalazione scaturivano due sub-procedimenti distinti (Procedimento ibrido): il primo, nel quale alcuni dei gruppi partecipanti all’intesa avevano iniziato una interazione volta a raggiungere un accordo di transazione (Settlement) con la Commissione (ai sensi dell’art. 10-bis del Regolamento n. 773/2004); e un secondo, relativo alle banche non aderenti al Settlement e che si è quindi concluso con la Decisione, la quale aveva qualificato la condotta di tali banche come una restrizione per oggetto, in violazione dell’articolo 101(1) TFUE. In sede di impugnazione avverso la Decisione, il Tribunale ne aveva sostanzialmente confermato la correttezza, salvo che per il capo riguardante l’ammontare della sanzione.

Le conclusioni dell’AG qui in commento concernono i punti principali dell’appello promosso dalle Ricorrenti presso la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE), vale a dire: (i) l’erronea applicazione, da parte del Tribunale, dei criteri che sovrintendono alla ripartizione degli oneri della prova tra imprese destinatarie di una Decisione della Commissione e la Commissione stessa, in occasione di asserite violazioni di norme procedurali, e l’illegittimità del Procedimento ibrido; nonché (ii) l’erronea ricostruzione della qualificazione giuridica della fattispecie consistente nella restrizione della concorrenza “per oggetto”.

In merito al primo punto, le Ricorrenti lamentano, innanzitutto, che la Commissione abbia violato i principi di imparzialità e buona amministrazione, ed il loro diritto di difesa, tramite l’avvio del Procedimento ibrido e l’adozione del Settlement con solo alcuni dei gruppi bancari facenti parte dell’intesa, nonché a causa di alcune dichiarazioni dell’allora Commissario europeo per la Concorrenza (il Commissario) – elementi, questi, dai quali sarebbe emerso un pregiudizio nutrito nei confronti dei gruppi bancari non aderenti al Settlement circa la loro colpevolezza, in violazione del principio fondamentale volto a garantire la presunzione di innocenza.

Inoltre, le Ricorrenti ritengono che il Tribunale abbia errato nell’applicazione dei criteri che sovrintendono all’allocazione dell’onere della prova tra le imprese oggetto dell’istruttoria antitrust e la Commissione, laddove le prime lamentino violazioni procedurali da parte della seconda. Il Tribunale, infatti, richiamando la giurisprudenza della corte di Lussemburgo aveva ritenuto che al caso di specie dovesse applicarsi la dottrina c.d. Suiker Unie, secondo cui, al fine di annullare una decisione della Commissione per vizi procedurali, le imprese devono provare, oltre alla violazione, anche la forte probabilità o quasi certezza che la decisione finale, assente tale vizio procedurale, sarebbe stata diversa.

A tal proposito, dopo aver richiamato la piena legittimità del Procedimento ibrido (in quanto rispondente ad una precisa ratio di velocizzazione dei procedimenti amministrativi che verrebbe del tutto frustrata se, invece, alla Commissione si imponesse di procedere in parallelo con la procedura di transazione e con quella ordinaria, sicuramente più lunga), l’AG concorda con le Ricorrenti, ritenendo che il Tribunale non abbia opportunamente verificato, alla luce della dottrina Pometon, se il Settlement o le dichiarazioni contestate del Commissario contenessero una implicita o esplicita presunzione di colpevolezza nei confronti delle imprese non partecipanti alla procedura di transazione. In secondo luogo, l’AG concorda nuovamente con le Ricorrenti, ritenendo che il Tribunale non abbia opportunamente rilevato come la dottrina da applicare al caso di specie (riguardante vizi procedurali più gravi di quelli relativi alla dottrina Suiker Unie) debba essere quella, decisamente più favorevole alle imprese, espressa dalla CGUE nei casi Infineon Tech e Duravit secondo cui, per soddisfare l’onere della prova che incombe in prima battuta su di loro, le imprese devono provare la semplice “possibilità” che la decisione finale, assente la violazione procedurale, sarebbe stata diversa. Soddisfatto tale livello probatorio, secondo l’AG, l’onere è trasferito sulla Commissione.

In merito al secondo punto, dopo aver richiamato il principio consolidato secondo cui, al fine di individuare un’intesa restrittiva per oggetto, non occorre dimostrare né la consapevolezza, né la volontà delle imprese coinvolte di dare luogo ad una restrizione della concorrenza, né il loro interesse economico nel farlo (essendo in linea di principio sufficiente l’idoneità del comportamento a determinare tale effetto), l’AG concorda con le Ricorrenti ritenendo che vada censurata l’affermazione del Tribunale secondo cui eventuali effetti pro-concorrenziali derivanti da un accordo possono tenersi in considerazione solo nel contesto del 101(3) TFUE (ossia laddove venga valutata la c.d. eccezione di efficienza volta a “sanare” una intesa altrimenti illecita), e non invece anche in quello previsto dal primo comma dell’art. 101 TFUE (ossia ove viene valutata la restrittività della stessa). Richiamando, infatti, una recente pronuncia della CGUE, l’AG afferma significativamente che “…qualora le parti di un accordo facciano valere effetti favorevoli alla concorrenza promananti da quest’ultimo, tali effetti devono, in quanto elementi del contesto di tale accordo, essere debitamente presi in considerazione ai fini della sua qualificazione come «restrizione per oggetto» ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, nei limiti in cui possono rimettere in discussione la valutazione globale del grado sufficientemente dannoso della pratica collusiva di cui trattasi…”.

Nonostante il tenore delle sue conclusioni, l’AG tiene tuttavia a chiarire che la fondatezza delle prospettazioni avanzate dalle Ricorrenti, nei limiti esposti supra, non dovrebbe comunque condurre all’accoglimento nel merito dell’impugnazione da loro proposta. Infatti, né nella decisione conclusiva del Procedimento ibrido, né nelle dichiarazioni del Commissario si rinvengono dichiarazioni o affermazioni dalle quali si evince un pregiudizio nutrito dalla Commissione nei confronti delle imprese non transigenti; e l’accordo di cui alla Decisione, ossia l’asserita collusione tra trader di prodotti finanziari derivati, non può plausibilmente avere degli effetti pro-concorrenziali, tali per cui possa venire meno la sua qualificazione come restrizione “per oggetto”. Resta da vedere cosa ne penserà la CGUE, la cui pronuncia è attesa nei prossimi mesi.

Ignazio Pinzuti Ansolini

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Diritto della concorrenza Italia / Intese e settore del facility management – Il Consiglio di Stato si è pronunciato sui ricorsi presentati dalle società sanzionate contro la decisione con cui l’AGCM aveva accertato un’intesa volta alla manipolazione di una gara CONSIP indetta per l’erogazione di servizi di facility management

Con la sentenza pubblicata il 9 maggio 2022, il Consiglio di Stato (CdS) si è pronunciato sui ricorsi avverso le sentenze del TAR Lazio relative al procedimento I808 presentati sia da alcune società partecipanti alla gara FM-4 indetta da Consip per l’erogazione di servizi di facility management presso uffici pubblici e immobili di enti universitari e di ricerca, sia dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM). Con il procedimento I808, avviato a seguito di una domanda di clemenza, l’AGCM aveva individuato un comportamento anomalo delle partecipanti alla gara FM-4 che avrebbero posto in essere una cooperazione collusiva mediante un meccanismo c.d. a scacchiera.

Ciò, assieme ad alcuni elementi a cui l’AGCM aveva attribuito il valore di prova di natura esogena (come un biglietto “rosa” fornito dal leniency applicant, alcuni scambi via mail e intercettazioni telefoniche) ha portato all’accertamento di un’intesa orizzontale, restrittiva per oggetto, attuata principalmente nella forma di pratiche concordate finalizzate a ridurre o eliminare ogni incertezza in merito alle strategie di partecipazione e di offerta alla predetta gara.

Il CdS ha in primo luogo, inter alia, chiarito che i termini per la contestazione dell’illecito previsti dall’articolo 14 della legge n. 689/1981, oltre i quali l’AGCM perde il potere di agire, decorrono a partire non dalla mera notizia del fatto, bensì dall’acquisizione della piena conoscenza degli elementi e degli effetti della condotta, al fine di consentire una matura e legittima formulazione della contestazione.

In secondo luogo, con riferimento alle presunte lacune istruttorie lamentate dalle ricorrenti, il CdS ha innanzitutto ribadito che la natura sostanzialmente penale delle sanzioni inflitte a valle di procedimenti antitrust non osta all’applicazione di presunzioni relative e alla costruzione di un quadro probatorio costituito esclusivamente da prove indirette, qualora tuttavia sussistano indizi gravi, precisi e concordanti. Il CdS ha ribadito anche che, nei casi in cui la sanzione si basi sull’individuazione di un comportamento economico anomalo piuttosto che su di un provato accordo anticoncorrenziale, le ricorrenti debbano presentare, al fine di adempiere al proprio onere probatorio, una spiegazione alternativa e plausibile della condotta contestata.

In terzo luogo, il CdS ha specificato che nel caso di specie la condotta non si qualificava come un’infrazione unica e continuata, confermando la sentenza di annullamento della sanzione disposta dal TAR a favore di Engie Servizi S.p.a. (e della sua controllante), in quanto gli elementi raccolti a suo carico non sono idonei neppure a formulare una presunzione di concertazione, viste le numerose sovrapposizioni con le offerte dei concorrenti e l’apprezzabile aggressività delle proprie offerte. Inoltre, il CdS ha rilevato l’insussistenza dei necessari elementi di prova, richiesti dalla predetta natura penale della sanzione antitrust, a carico di Kuadra S.r.l. (Kuadra) e ha stabilito che l’AGCM non ha tenuto in debita considerazione le spiegazioni alternative fornite da Manital S.c.p.a. (Manital), tra le quali figurava la qualifica di gestore uscente come criterio di selezione degli specifici lotti. Infine, il CdS ha respinto le censure avanzate da Romeo Partecipazioni S.p.a. (Romeo) in merito ad un’errata applicazione della presunzione di parental liability, in quanto questa non ha fornito prove idonee a superarla, e ha rigettato l’argomentazione dell’AGCM secondo cui l’unico presupposto applicativo della c.d. entry fee consista nella particolare gravità dell’illecito, essendo invece richiesta un’adeguata motivazione della necessità di deterrenza rafforzata.

Il Cds ha quindi respinto gli appelli presentati dall’AGCM e dalle società Rekeep S.p.a., Romeo e Consorzio Innova S.c., e ha invece accolto quelli presentati da Engie, Manital e Kuadra, disponendo nei loro confronti l’annullamento del provvedimento sanzionatorio.

Con questa sentenza, il CdS ha sottolineato la necessità di una attenta e scrupolosa valutazione individuale delle condotte con un elevato standard probatorio, in considerazione sia della natura quasi-penale delle ammende antitrust, sia del fatto che nel caso di specie non vi erano i presupposti per identificare un’infrazione unica e continuata.

Niccolò Antoniazzi

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Appalti, concessioni e regolazione / Proroga automatica delle concessioni demaniali marittime: rimesse alla Corte di Giustizia UE alcune questioni pregiudiziali relative all’applicazione della Direttiva Bolkestein

In data 11 maggio 2022, con l’ordinanza n. 743, il TAR Puglia – Lecce (TAR) ha posto una serie di questioni pregiudiziali alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) riguardanti la c.d. “Direttiva Bolkestein” (Direttiva) e i riflessi della stessa sul ‘tormentato’ tema delle proroghe automatiche delle concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali (concessioni). Sul tema, peraltro, di recente si è pronunciata l’Adunanza Plenaria che - con due sentenze gemelle che sono già state oggetto di commento su questa Newsletter il 15 novembre 2021 - ha statuito l’obbligo di disapplicazione delle proroghe automatiche per contrasto con la Direttiva.

Il contenzioso davanti al TAR origina da un’impugnativa promossa dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) avverso alcuni atti di un Comune del litorale della Provincia di Taranto che, in dichiarata applicazione dell’art. 1, comma 682, della legge n. 145/2018 (legge di bilancio 2019), accordavano la proroga di concessioni in scadenza fino al 2033. In tale contesto, nonostante l’intervento nomofilattico dell’Adunanza Plenaria, il TAR ha riconsiderato la questione delle proroghe da diversa angolazione e ha posto in dubbio la solidità giuridica delle conclusioni raggiunte sul tema dal massimo organo della giustizia amministrativa italiana.

Le questioni pregiudiziali sollevate dal TAR sono, come detto, plurime e interrogano sul tema del rapporto tra diritto nazionale e diritto euro-unitario, anche se con una impostazione che sembra toccare questioni ampiamente superate e che, pertanto, pongono in serio dubbio la loro ammissibilità nel contesto di un rinvio pregiudiziale.

In primo luogo, il TAR ha sollevato dubbi circa la natura self-executing della Direttiva sulla scorta di una lettura inedita della nota sentenza della CGUE “Promoimpresa” che, secondo la prospettazione del TAR, non avrebbe sancito l’immediata applicabilità della Direttiva nell’ordinamento interno. Ne è disceso, pertanto, un quesito alla CGUE sulla natura self-executing o meno della medesima Direttiva.

In secondo luogo, il TAR ha criticato l’impostazione interpretativa che equipara le amministrazioni ai giudici in relazione al rilievo sulla natura self-executing o meno di una direttiva. Ne è disceso, pertanto, un quesito alla CGUE in relazione a se la qualificazione come auto-esecutiva di una direttiva UE debba considerarsi prerogativa esclusiva dei giudici e non anche estesa alle amministrazioni.

In terzo luogo, il TAR ha manifestato di non aderire all’approccio che ravvisa un interesse transfrontaliero nella materia delle concessioni, che fa da presupposto rispetto all’applicazione immediata della direttiva nell’ordinamento nazionale, “come riferito tout court all’intero territorio nazionale” e non, invece, come riferito al territorio costiero di ciascun comune. In altre parole, secondo la prospettazione del TAR, la valutazione dell’interesse transfrontaliero non andrebbe fatta su scala nazionale (ossia in relazione all’intero mercato delle concessioni) ma a livello locale e caso per caso. Ne è disceso, pertanto, un ulteriore quesito sul punto illustrato.

L’ordinanza in commento si segnala per la volontà del TAR di disattendere in toto le indicazioni fornite dall’Adunanza Plenaria nella sua pronuncia dello scorso novembre 2021. È evidente come il caos persistente che avvolge la giurisprudenza amministrativa in relazione ad un settore importante del tessuto economico nazionale quale quello del turismo sia il frutto non solo di una mera contingenza, ma di una prolungata inerzia da parte del legislatore nell’attuazione – attraverso una normativa organica – della Direttiva. Al contrario, la Direttiva continua ad essere disattesa attraverso una moltiplicazione di leggi-provvedimento che prorogano in via unilaterale la durata delle concessioni medesime. Irrilevanti sembrano ora essere anche le pronunce emesse in sede di Adunanza Plenaria.

Spetta ora alla CGUE pronunciarsi sull’ammissibilità delle domande e, in caso positivo, sulla loro portata.

Alessandro Paccione

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