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Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza UE / Revisione delle regole di concorrenza e intese verticali – La Commissione europea lancia una consultazione pubblica sul nuovo VBER

Lo scorso 9 luglio la Commissione europea (Commissione) ha avviato una nuova fase della consultazione pubblica nel contesto della revisione delle regole in materia di accordi verticali, ossia il regolamento di esenzione per categoria (VBER) e gli orientamenti sulle restrizioni verticali (Orientamenti). La consultazione ha ora ad oggetto la proposta concreta della Commissione di revisione del testo del VBER e degli Orientamenti, tenuto conto delle problematiche individuate in occasione delle precedenti fasi.

Le modifiche apportate a VBER ed Orientamenti si ispirano a tre obiettivi, ovvero (i) ridefinire il regime di esenzione in blocco (c.d. safe harbour) previsto dalle regole vigenti; (ii) aggiornare sia la VBER, sia gli Orientamenti, anche in considerazione dello sviluppo del commercio elettronico e delle piattaforme online; nonché (iii) ridurre i costi di compliance a carico delle imprese, semplificando gli aspetti più complessi delle norme in vigore e razionalizzando gli orientamenti esistenti.

In questa sede si ritiene di segnalare i seguenti aspetti.

In primo luogo, la Commissione propone di intervenire sulla disciplina in materia di “duplice distribuzione”, che riguarda le situazioni in cui un fornitore non solo vende i propri beni o servizi tramite distributori indipendenti ma vi procede anche direttamente ai clienti finali (in quest’ultimo caso, dunque, in concorrenza diretta con i propri distributori indipendenti). Al riguardo, la proposta della Commissione è di esentare dall’applicazione dell’art. 101 TFUE gli accordi di “duplice distribuzione” in cui la quota di mercato aggregata delle parti sul mercato al dettaglio non superi il 10%, in linea con l’attuale quota di mercato per gli accordi tra concorrenti prevista dalla comunicazione della Commissione relativa agli accordi cc.dd. de minimis. Nelle ipotesi in cui, invece, la quota di mercato aggregata delle parti sul mercato al dettaglio sia compresa tra il 10% ed il 30%, l’esenzione si applica a tutti gli aspetti dell’accordo, ad eccezione degli scambi di informazioni tra le parti contraenti dell’accordo verticale. Affinché gli scenari di duplice distribuzione possano beneficiare dell’esenzione, inoltre, gli accordi non devono includere restrizioni per oggetto ai sensi dell’art. 101 TFUE o dell’art. 4 del VBER.

Rispondendo ad un bisogno avvertito con insistenza da alcuni operatori del mercato, la Commissione propone quindi di prendere posizione in merito ai cc.dd. obblighi di parità, o clausole MFN. Sotto questo profilo, la Commissione propone di eliminare il beneficio dell’esenzione per categoria per le MFN tra piattaforme a livello di vendite al dettaglio (le cc.dd. wide MFNs). Questo tipo di clausola è aggiunto all’elenco delle restrizioni cc.dd. escluse di cui all’art. 5 VBER, ossia all’elenco di restrizioni da valutare caso per caso ai sensi dell’art. 101 TFUE ma la ci presenza non fa venire meno il beneficio dell’esenzione. Per contro, la proposta prevede ancora un’esenzione per categoria per le MFN a livello di vendite al dettaglio per quanto riguarda le vendite dirette o i canali di commercializzazione (le cc.dd. narrow MFNs). Questo tipo di clausola continua a beneficiare del safe harbour, purché naturalmente siano rispettate le condizioni generali per l’applicazione del VBER, in particolare la soglia della quota di mercato del 30% di cui all’art. 3 del VBER.

Inoltre, la Commissione propone di rivedere la disciplina in materia di doppia tariffazione, ossia quando il fornitore vende allo stesso distributore ad un prezzo all’ingrosso anche più elevato per i prodotti destinati ad essere venduti online, rispetto ai prodotti destinati ad essere venduti offline. La proposta della Commissione non qualifica più la doppia tariffazione come restrizione fondamentale. Di conseguenza, è consentito ai fornitori di fissare prezzi all’ingrosso diversi per le vendite online e le vendite offline da parte dello stesso distributore, nella misura in cui tale pratica possa servire ad incentivare o a ricompensare un livello adeguato di investimenti e rispecchi i costi sostenuti per ciascun canale di vendita.

Infine, la Commissione propone di introdurre una nuova sezione agli Orientamenti, che affronti specificamente il tema delle restrizioni all’uso dei marketplaces. Sulla base della nuova sezione, la Commissione ritiene che le restrizioni alle vendite tramite marketplace siano esentate dall’applicazione del VBER qualora la quota di mercato del fornitore e dell’acquirente sia inferiore al 30% e l’accordo non includa restrizioni qualificabili ai sensi del VBER come hardcore ovvero come restrizioni escluse (che non possano essere separate dal resto dell’accordo). Secondo l’impostazione che la Commissione si propone di adottare, infatti, le restrizioni all’uso di marketplaces riguardano le modalità di vendita di beni o servizi e di conseguenza, esse non hanno l’effetto di limitare le vendite in uno specifico territorio o ad uno specifico gruppo di clienti, e nemmeno quella di precludere completamente ai distributori l’accesso al canale online, che rimane disponibile secondo altre modalità (e.g. il distributore potrebbe vendere tramite il proprio sito internet).

In definitiva, la Commissione sembrerebbe stare dando seguito ad una diffusa esigenza di modernizzazione della disciplina in materia di accordi verticali. Dopotutto, il sistema attualmente vigente, che risale al 2010, mostrava evidenti segni del tempo. Ora non resta che attendere l’esito della consultazione per chiarire se le proposte della Commissione verranno confermate.

Luca Villani

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Revisione delle regole di concorrenza e accordi orizzontali – La Commissione lancia una nuova consultazione sugli accordi orizzontali tra imprese

Lo scorso 13 luglio, la Commissione europea (Commissione) ha posto in pubblica consultazione un questionario online in merito alla revisione dei regolamenti di esenzione per categoria in materia di ricerca e sviluppo e specializzazione (collettivamente, i Regolamenti) e delle linee guida sugli accordi di cooperazione orizzontale (le Linee Guida) (la notizia è stata approfondita anche nel blog dello Studio).

Lo scopo dei Regolamenti è esentare dal divieto di intese anticoncorrenziali, di cui all’art. 101, para. 1, TFUE gli accordi di ricerca e sviluppo e di specializzazione per i quali si può presumere con sufficiente certezza che determinino efficienze in conformità con l’articolo 101, para. 3, TFUE. Le Linee Guida invece delineano i criteri di fondo per la valutazione, ai sensi dell’articolo 101, para. 3, TFUE delle principali tipologie di accordi di cooperazione orizzontale (es. specializzazione, ricerca e sviluppo, produzione e acquisto in comune, normazione tecnica e scambio di informazioni). Entrambi rappresentano la normativa di riferimento in materia di valutazione di accordi di cooperazione tra concorrenti.

La consultazione, parte integrante di un processo di revisione iniziato nel settembre 2019, prende la forma di un questionario online volto a raccogliere le opinioni delle parti interessate sulle opzioni strategiche e le proposte di revisione delineate in precedenza dalla Commissione nel c.d. Inception Impact Assessment. In tale contesto, la Commissione aveva riconosciuto l’inadeguatezza del Regolamento e delle Linee Guida di adattarsi agli sviluppi attuali in materia di digitalizzazione e sostenibilità.

Il questionario pone domande dettagliate, richiedendo alle imprese esempi di esperienze concrete, come, ad esempio, i casi in cui un’impresa è stata dissuasa dallo sviluppare accordi orizzontali favorevoli alla concorrenza.

In tale contesto, emerge la volontà della Commissione di adeguare il regolamento in materia di ricerca e sviluppo in particolare alle esigenze delle PMI ed ai centri di ricerca se ed in quanto qualificabili come imprese. Ciò potrebbe comportare l’introduzione di nuove esenzioni, una definizione più chiara di “imprese concorrenti” e maggiore flessibilità relativamente alle condizioni da soddisfare. In particolare, la Commissione sembra voler rimuovere, o perlomeno limitare, la condizione di fornire il pieno accesso all’eventuale know-how preesistente delle altre parti, nonché i risultati finali dell’attività comune di ricerca e sviluppo.

La Commissione sembrerebbe inoltre intenzionata ad ampliare l’ambito di applicazione del regolamento in materia di accordi di specializzazione agli accordi tra due o più parti e ad estendere l’esenzione agli accordi orizzontali di subfornitura finalizzati ad incrementare la produzione.

Per quanto riguarda le Linee Guida, le principali domande riguardano (i) gli accordi orizzontali tra una joint venture e le società che la controllano; (ii) il c.d. data pooling; (iii) lo scambio di informazioni nella c.d. dual distribution (dove i fornitori vendono direttamente ai clienti finali, entrando così in concorrenza con i loro distributori al dettaglio, area come visto in altro articolo in questa Newsletter, che fuoriesce dall’ambito di applicazione della futura VBER); (iv) gli accordi di standardizzazione, i brevetti essenziali per gli standard (SEP) e le questioni afferenti alle modalità FRAND di determinazione dei “prezzi” per l’accesso alla tecnologia coperta da diritti IP; (v) gli accordi di acquisto in comune; (vi) gli accordi di commercializzazione; (vii) le forme di cooperazione con obiettivi di sostenibilità. In particolare, in relazione a quest’ultimo aspetto, la Commissione è interessata a comprendere le ragioni che possono spingere un’impresa a cooperare con i propri concorrenti per raggiungere obiettivi di sostenibilità. Inoltre, le domande aprono alla possibilità di introdurre degli orientamenti specifici su tali forme di cooperazione.

Il termine per fornire un feedback è il 5 ottobre 2021.

Luigi Eduardo Bisogno

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Diritto della concorrenza Italia / Intese e settore delle telecomunicazione – Il TAR ha accolto i ricorsi degli operatori telefonici annullando la sanzione da 228 milioni nella vicenda della fatturazione a 28 giorni

In data 12 luglio 2021, il TAR Lazio (il TAR) ha pronunciato le sentenze di accoglimento dei ricorsi di TIM, Fastweb, Vodafone e Wind Tre (le Parti), annullando la decisione del 2015 (la Decisione) dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) che le sanzionava per aver posto in essere un’intesa segreta, unica, complessa e continuata restrittiva della concorrenza, tramite cui le Parti avevano modificato il periodo di fatturazione delle offerte per la telefonia mobile e la rete fissa, portandolo da una cadenza mensile ad una quadrisettimanale, ossia ogni 28 giorni.

Per comprendere la portata delle sentenze in commento bisogna necessariamente fare un breve riassunto dei fatti che hanno portato alla Decisione (che è stata approfondita nella nostra Newsletter del 3 febbraio 2020). Nel 2015 le Parti modificavano il periodo di rinnovo e, quindi, di fatturazione delle offerte ricaricabili di telefonia mobile, nonché quello della rete fissa, portandolo da una cadenza mensile a 28 giorni (senza, però, prevedere alcuna riduzione del canone mensile). Interveniva, in prima battuta, l’Autorità per le garanzie nelle telecomunicazioni (Agcom), stabilendo che l’unità temporale per la fatturazione non potesse essere inferiore a 28 giorni. Le Parti non modificavano le tempistiche dei rinnovi e si adeguavano soltanto in seguito ad un intervento del Governo, il quale con il Decreto-legge n. 148 del 16 ottobre 2017 (Decreto Legge) aveva introdotto l’obbligo di prevedere una cadenza con rinnovo delle offerte e della fatturazione dei servizi (sia essi di rete fissa che di telefonia mobile) su base mensile.

In risposta a questo le Parti, quasi contestualmente, comunicavano ai propri clienti che, in attuazione della legge suddetta, la fatturazione delle offerte e dei servizi sarebbe stata effettuata su base mensile e non più quadrisettimanale, con la conseguenza che la spesa annuale complessiva sarebbe stata distribuita su 12 canoni (anziché 13). Ciò si traduceva, in pratica, comunque in un aumento dei singoli canoni mensili del +8,6%.

Alla luce di questa rimodulazione, l’AGCM apriva un’istruttoria ad esito della quale le sanzionava per un totale di 228 milioni di euro per un’intesa per oggetto, segreta, unica, complessa e continuata, decorrente dal 14 novembre 2017 al 13 aprile 2018. Secondo l’AGCM, più in particolare, le Parti avrebbero coordinato le proprie politiche commerciali verso la clientela, sia con riguardo al c.d. repricing connesso alla modifica del ciclo di fatturazione imposto dal Decreto Legge, sia in relazione alle modalità e ai tempi di attuazione degli obblighi legislativi (c.d. rollback), nonché con riguardo al diritto di recesso da concedere o meno ai clienti a seguito della rimodulazione.

Le Parti avevano impugnato la Decisione e ora con le sentenze in commento il TAR ha accolto i loro ricorsi, annullando la sanzione irrogata dall’AGCM.

Soffermandoci sui punti più rilevanti, in primo luogo il TAR ha rilevato quello che sarebbe un evidente difetto di istruttoria, riportando che parte dei documenti che l’AGCM ha utilizzato come base per la Decisione non sono utilizzabili, essendo esterni al perimetro temporale dell’intesa (in quanto tutti precedenti al 14 novembre 2017, data di inizio della presunta intesa ai sensi della Decisione).

In secondo luogo, secondo il TAR, mentre mancano nella Decisione elementi indiziari, gravi precisi e concordanti, tali da delineare un quadro sufficientemente chiaro per confermare l’esistenza di un’intesa anticoncorrenziale, le Parti hanno fornito in via alternativa “una spiegazione plausibile dei ricostruiti incontri e scambi di informazioni, alternativa a quella ricostruita dall’AGCM”. Secondo una narrativa sposata anche dall’Agcom, tutti gli scambi e i confronti sarebbero stati necessitati, infatti, dall’obbligo di adeguamento alla novella normativa e dai dubbi interpretativi sulle modalità dello stesso.

Infine, con riferimento alle modalità con cui il repricing di cui sopra è stato comunicato, a parere del TAR, tutte le considerazioni raccolte dall’AGCM in relazione a ciò “al più, deporrebbero per l’individuazione di una pratica scorretta ai sensi del Codice del Consumo, i cui effetti lesivi si manifestano a danno dei consumatori ma che non sono idonee a sostenere l’esistenza di una pratica concordata fra gli operatori”.

Occorre ora vedere se e come il Consiglio di Stato, a cui verosimilmente l’AGCM farà appello, valuterà definitivamente la vicenda e se confermerà l’annullamento della maxi-sanzione imposta dall’AGCM e che aveva generato un grande clamore mediatico all’epoca della sua irrogazione.

Mila Filomena Crispino

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Concentrazioni e settore delle telecomunicazioni – L’AGCM autorizza con condizioni l’acquisizione da parte di TIM di alcuni rami d’azienda di BT Italia

Con il provvedimento del 22 giugno scorso, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha autorizzato l’acquisizione di alcuni rami di azienda di BT Italia S.p.A. (BT) da parte di Telecom Italia S.p.A. (TIM, congiuntamente con BT, le Parti) (l’Operazione), subordinandola al rispetto di diverse condizioni.

L’Operazione, come inizialmente strutturata dalle Parti all’interno del Preliminary Business Transfer Agreement sottoscritto nell’ottobre 2020, prevedeva che TIM acquisisse da BT: (i) il c.d. “Ramo PA”, concernente la progettazione, vendita, gestione e contract management di servizi di telecomunicazione su rete fissa a pubbliche amministrazioni centrali e locali in Italia; (ii) il c.d. “Ramo SMB”, attivo nella promozione, vendita e gestione di servizi di telecomunicazione principalmente su rete fissa a piccole e medie imprese in Italia; (iii) il c.d. “Ramo Atlanet”, che fornisce servizi di contact e call center, principalmente a supporto delle attività del Ramo SMB, tramite il contact center di Palermo. Le Parti avevano inoltre pattuito alcune clausole, qualificate come restrizioni accessorie all’Operazione e finalizzate a conservare il valore dei clienti e degli asset ceduti, consistenti nell’obbligo, in capo a BT, di: (a) non fornire servizi di telecomunicazione al dettaglio su rete fissa e mobile, ivi inclusi i servizi di connettività, e servizi IT in Italia a clienti rappresentati da pubblica amministrazione e piccole e medie imprese; nonché (b) non detenere partecipazioni in società che svolgono tali attività (c.d. “patti di non concorrenza”).

A seguito dell’avvio dell’istruttoria in data 13 aprile 2021, grazie alle informazioni raccolte dalle Parti e dai loro principali concorrenti, l’AGCM ha tuttavia ritenuto che l’Operazione rischiasse di determinare la costituzione o il rafforzamento della posizione dominante di TIM nel mercato dei servizi al dettaglio di telecomunicazione su rete fissa rivolti alla PA. Infatti, dall’analisi delle quote di mercato per valore detenute dalle Parti negli ultimi cinque anni, è emerso che TIM ha sempre mantenuto una posizione di leader con una quota pari ad almeno il 40-45%, mentre BT si attestava come terzo operatore, con una quota pari a circa il 10-15%. L’AGCM ha anche osservato che, nonostante BT partecipasse ad un numero piuttosto ridotto di gare, queste rappresentavano, in considerazione del valore a base d’asta, circa il 60-70% delle gare alle partecipava anche TIM e, in aggiunta, in certi casi le Parti sono state le uniche due imprese a presentare offerte. Inoltre, nell’ottica dell’AGCM, la scomparsa di BT avrebbe determinato altresì l’eliminazione di un operatore con il quale i concorrenti di TIM avrebbero potuto costruire alleanze sinergiche, ad esempio partecipando in R.T.I. alle gare di maggiore rilevanza. Per questi motivi l’AGCM ha dunque ritenuto che l’Operazione, così come inizialmente strutturata, risultasse in potenziale contrasto con la disposizione di cui all’art. 6 della legge 287/90 (la quale proibisce le operazioni di concentrazione restrittive della libertà di concorrenza) e fosse dunque suscettibile di essere vietata.

Al fine di risolvere le criticità concorrenziali, TIM ha presentato una serie di impegni il 7 maggio 2021 ( integrati il successivo 12 maggio), i quali sono stati accolti da parte dell’AGCM. Tali impegni prevedevano: (i) la rinuncia integrale al patto di non concorrenza inizialmente previsto; (ii) la rinuncia all’acquisizione di uno dei maggiori contratti quadro per la fornitura di servizi di telefonia fissa in favore delle Pubbliche Amministrazioni (il c.d. contratto “TF5”, stipulato con Consip), il quale rientrava inizialmente nel perimetro dell’Operazione ed era considerato un “key contract”; (iii) il rispetto di una serie di obblighi di trasparenza, da adottare in occasione delle gare future e aventi a oggetto informazioni la cui conoscenza può agevolare la partecipazione alle stesse da parte di operatori concorrenti; (iv) l’adozione di misure volte a ridurre le eventuali difficoltà e la durata del processo di migrazione verso l’eventuale nuovo fornitore, circoscrivendola entro tempi definiti, garantendo la collaborazione necessaria al fornitore subentrante diverso da TIM; e (v) la nomina di un esperto, terzo e indipendente, incaricato di monitorare l’effettiva attuazione delle misure proposte (c.d. monitoring trustee).

Ancora una volta l’AGCM ha dimostrato una particolare attenzione alle operazioni di concentrazione nel settore delle telecomunicazioni, chiudendo una seconda c.d. Fase II nel giro di pochi mesi dopo la conclusione dell’operazione con cui Cellnex ha acquistato le torri di telecomunicazioni di CK Hutchison Networks Italia.

Luca Casiraghi

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Attività di segnalazione e pagamento dei parcheggi tramite smartphone – Per l’AGCM esigenze di semplificazione degli oneri amministrativi e gestionali non giustificano il diniego dell’autorizzazione allo svolgimento del servizio di pagamento dei parcheggi tramite smartphone

Il 3 giugno 2021 l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha espresso un parere, su richiesta del Comune di Courmayeur, in merito alla gestione in regime di concorrenza del servizio di pagamento nelle aree di sosta tramite smartphone (il Servizio).

In particolare, il Comune interpellava l’AGCM sulla possibilità di poter rigettare l’istanza presentata da parte di un operatore economico che intendeva essere autorizzato allo svolgimento del Servizio, adducendo ragioni di efficienza amministrativa e gestionale. Il Servizio, infatti, risultava essere stato affidato ad un singolo operatore economico e l’apertura a nuovi operatori avrebbe comportato - ad avviso del Comune - oneri eccessivi per l’amministrazione alla luce del limitato personale disponibile e delle ridotte dimensioni del Comune.

L’AGCM, in continuità con un precedente parere del 2015, ha chiarito che il Servizio costituisce un’attività commerciale a valore aggiunto (in grado di finanziarsi con i proventi corrisposti dall’utenza) separata rispetto al servizio pubblico locale di gestione della sosta a pagamento. Il Servizio costituisce, pertanto, un’attività aperta alla concorrenza. Inoltre, con riguardo ai potenziali oneri amministrativi derivanti dalla gestione del Servizio in regime di concorrenza, l’AGCM ha indicato come possibile soluzione una traslazione degli stessi – in sede di autorizzazione – in capo agli operatori entranti.

Roberta Laghi

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Appalti, concessioni e regolazione / Organismi di diritto pubblico – La FIGC quale organismo di diritto pubblico? Il Consiglio di Stato in riforma della sentenza di primo grado fornisce chiarimenti sul punto

Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 5348 del 15 luglio 2021, ha esaminato la questione relativa alla qualificabilità e riconducibilità della Federazione Italiana Giuoco Calcio – FIGC (FIGC) agli organismi di diritto pubblico.

La vicenda contenziosa origina da una gara pubblica che la FIGC aveva indetto per l’affidamento dei servizi di trasporto, da aggiudicarsi secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.

Uno degli operatori aveva impugnato gli atti di gara dinanzi al Tar Lazio che, per quanto qui interessa, ha ritenuto di confermare la sussistenza della giurisdizione amministrativa sul presupposto che la FIGC dovesse essere configurata come organismo di diritto pubblico.

La riconduzione a questa particolare categoria, infatti, comporta l’obbligo per la FIGC (e per tutti gli enti riconducibili a tale istituto) di applicare alle gare d’appalto la disciplina prevista dal Codice dei contratti pubblici (d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50), ai sensi e per gli effetti del combinato disposto degli artt. 1, comma primo e 3, comma primo lett. a) del medesimo corpo codicistico.

Tre sono, come noto, le condizioni che in via cumulativa e contemporanea devono sussistere perché possa parlarsi di un organismo di diritto pubblico. Deve trattarsi, in particolare, di un soggetto: (i) dotato di personalità giuridica; (ii) che sia stato istituito per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale; (iii) (a) la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi oppure (b) il cui organo d’amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico e dunque sia sottoposto ad influenza pubblica dominante.

Si tratta di una particolare tipologia di ‘amministrazione’ fondata su parametri oggettivi, ossia sulla tipologia delle attività esercitate e sulla natura delle stesse. I requisiti anzidetti non sono tra loro alternativi, ma devono essere posseduti cumulativamente (ex multis, Cons. Stato, V, 12 dicembre 2018, n. 7031) la cui sussistenza deve essere valutata caso per caso, in quanto l’elenco degli organismi di diritto pubblico (contenuto all’allegato IV del Codice dei contratti pubblici) non ha carattere tassativo ma solo esemplificativo.

In primo grado, con sentenza 13 aprile 2018, n. 4100 (in tutt’uno con la sentenza n. 4101/2018 adottata in un giudizio identico e parallelo successivamente riunito in sede di appello), il Tar aveva accolto il ricorso e, per quanto qui interessa, ritenuto che la FIGC dovesse essere ricondotta nel novero degli organismi di diritto pubblico. Pertanto, sempre secondo il Tar, la FIGC doveva necessariamente applicare – in relazione alle gare d’appalto dalla stessa poste in essere – le regole di cui al d.lgs. n. 50 del 2016.

In parte motiva, secondo il Tar Lazio, la FIGC sarebbe istituzionalmente deputata allo svolgimento delle funzioni pubblicistiche, di modo che la connotazione privatistica della forma associativa rivestita dalla stessa ‘conviverebbe’, per definizione, con la valenza pubblicistica di parte delle attività svolte. In buona sostanza, sempre secondo il Tar, sussisterebbero tutti i requisiti richiesti per la configurabilità dell’organismo di diritto pubblico e, nella specie: (i) la personalità giuridica, (ii) il fatto che la federazione siano stata istituita per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale e (iii) l’influenza pubblica dominante.

In sede di appello, il Consiglio di Stato ha invece ritenuto il contrario.

Nel dettaglio, con particolare riferimento all’ultimo dei tre requisiti, il Consiglio di Stato ha statuito che la FIGC non sarebbe sottoposta ad una influenza dominante da parte dell’amministrazione pubblica (nella specie, il CONI). In particolare, secondo i giudici di appello, non potrebbero essere condivise le conclusioni raggiunte dalla decisione (rectius decisioni) del Tar in ordine al terzo requisito perché i poteri di direzione e controllo che ha il CONI nei confronti della FIGC non sarebbero tali da imporre a quest’ultima – per la quale, va ricordato, non opera (a differenza della maggior parte delle federazioni sportive nazionali) il decisivo principio del finanziamento pubblico maggioritario – regole di gestione dettagliate e pervasive. Il riconoscimento della finalità sportiva (e quindi pubblicistica) dell’attività della federazione non sarebbe di per sé dunque sufficiente a consentire al CONI di esercitare un controllo attivo sulla gestione della FIGC, al punto da permettergli di influire sulle decisioni di quest’ultima.

Dunque, in conclusione, difettando uno dei tre requisiti cumulativamente necessari a qualificare l’ente come organismo di diritto pubblico, la FIGC non sarebbe assoggettata alle regole del Codice dei contratti pubblici.

Per l’effetto, nel riformare la sentenza di primo grado, il Consiglio di Stato ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo e rimesso la questione al giudice civile dinanzi al quale il giudizio dovrà essere riassunto successivamente, in applicazione del principio della traslatio iudicii e dell’art. 11 c.p.a.

Tommaso Filippo Massari

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