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Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione - 20 maggio 2024

Diritto della concorrenza – Italia/Poteri dell’AGCM e indagini conoscitive – È stata pubblicata la Comunicazione dell’AGCM relativa alle regole procedurali per l’esercizio dei poteri introdotti dal Decreto Asset

Il 13 maggio 2024, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’AGCM) ha adottato una comunicazione relativa alle regole procedurali per l’esercizio dei poteri introdotti dal decreto-legge del 10 agosto 2023, n. 104 (il c.d. Decreto Asset o il Decreto), come modificato e convertito con legge del 9 ottobre 2023, n. 136, nell’ambito delle indagini conoscitive (la Comunicazione).

Ai sensi dell’articolo 1, co. 5, del Decreto, l’AGCM, qualora ad esito di una indagine conoscitiva ravvisi “problemi concorrenziali che ostacolino o distorcano il corretto funzionamento del mercato con conseguente pregiudizio per i consumatori”, può imporre alle imprese interessate ogni misura strutturale o comportamentale necessaria e proporzionata al fine di eliminare tali distorsioni (i Poteri). L’ambito di applicazione dei Poteri, che in base al testo del Decreto sembrerebbe essere limitato al solo settore del trasporto aereo, è stato oggetto di un parere consultivo (già oggetto di questa Newsletter) del Consiglio di Stato che, il 29 gennaio 2024, ne ha ampliato l’interpretazione sino ad estenderlo a tutti i settori. La Comunicazione qui in commento definisce ora la procedura che l’AGCM dovrà seguire nel corso delle future indagini conoscitive.

Nel definire la struttura del relativo procedimento, la Comunicazione distingue tra una prima fase, che sostanzialmente ricalca la tipica indagine conoscitiva da sempre svolta dall’AGCM, e una seconda fase, questa invece a carattere rimediale, volta a individuare misure necessarie e proporzionate a eliminare le distorsioni della concorrenza eventualmente individuate nella prima fase.

Nei casi in cui intenda procedere ad una indagine conoscitiva, l’AGCM adotta una decisione di avvio nella quale sono indicati, inter alia, l’oggetto dell’indagine e le eventuali criticità concorrenziali prospettate. In questa prima fase, l’AGCM può procedere ad audizioni, ispezioni e richieste di informazioni, nonché all’indizione di consultazioni pubbliche. Allo stesso tempo, può, con apposita delibera, pubblicare rapporti preliminari che illustrino gli esiti degli approfondimenti conoscitivi via via effettuati.

Al termine della fase conoscitiva l’AGCM può, da un lato, adottare il provvedimento di chiusura dell’indagine conoscitiva qualora, alla luce degli elementi acquisiti, non riscontri la sussistenza dei problemi concorrenziali paventati o ne riscontri ma in misura limitata – ferma restando la possibilità di formulare raccomandazioni al legislatore ovvero avviare istruttorie in relazione a ipotesi di intese restrittive, abusi di posizione dominante, di dipendenza economica o pratiche commerciali scorrette. Dall’altro, ove verifichi l’esistenza di effettivi problemi concorrenziali, l’AGCM può adottare una delibera delle risultanze conoscitive (DRC) con cui indichi i profili problematici emersi, le possibili tipologie di misure volte a rispondervi, le imprese potenzialmente destinatarie di tali misure e il termine per presentare memorie ed eventuali impegni.

Sulla base della DRC, e qualora non siano stati proposti impegni da parte delle imprese interessate o questi siano stati rigettati, l’AGCM potrà adottare, ove lo ritenga opportuno, misure strutturali o comportamentali che dovranno previamente essere pubblicate e notificate alle imprese interessate e alle autorità di settore eventualmente competenti. Esse potranno quindi essere definitivamente imposte, nell’ambito del provvedimento di chiusura del procedimento, a seguito dell’instaurazione del contraddittorio e di un’audizione finale.

 La Comunicazione in commento, adottata all’esito di una consultazione pubblica avviata il 6 marzo 2024, rappresenta un primo fondamentale elemento per chiarire l’estensione e le modalità di applicazione di uno strumento che sembra destinato ad avere un importante impatto sulle imprese attive in Italia. Alcuni passaggi della Comunicazione introdotti nella versione definitiva, come quello che indica che – nell’ambito della discrezionalità di cui gode l’AGCM – l’adozione di misure rimediali sarà “prioritariamente orientat[a]” ai casi in cui i pregiudizi per i consumatori siano “significativi e persistenti”, forniscono qualche indicazione preliminare circa i criteri di attuazione dei nuovi poteri. Allo stesso tempo, il rinforzato coinvolgimento delle autorità di settore nella valutazione di impegni e misure – il cui parare è ora obbligatorio – sembra rispondere ad alcune preoccupazioni che erano sorte tra gli osservatori circa il riparto delle competenze regolatorie. Non resta, quindi, che vedere come tali criteri informeranno in concreto l’attività di enforcement dell’Autorità.

Alberto Galasso

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Intese e settore dei diritti televisivi – Il TAR Lazio ha respinto i ricorsi presentati da e TIM e DAZN, e accolto in parte quelli presentati da Sky e Fastweb

Con la sentenza n. 9315 pubblicata lo scorso 11 maggio, il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio (il TAR) si è pronunciato sui ricorsi proposti da DAZN Limited, DAZN Media Services S.r.l. (congiuntamente, DAZN), Telecom Italia S.p.A. (TIM), Fastweb S.p.A. (Fastweb) e Sky Italia S.r.l. (Sky) avverso il provvedimento n. 30699 del 28 giugno 2023 (la Decisione), con il quale l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’AGCM) aveva sanzionato DAZN e TIM per aver asseritamente posto in essere una intesa restrittiva della concorrenza nella distribuzione dei diritti di trasmissione della Serie A per il triennio 2021/2024 (i Diritti).

La Decisione – già commentata nella presente Newsletter  – aveva ad oggetto alcune clausole (le Clausole Contestate) contenute nel contratto sottoscritto a gennaio 2021 da TIM e DAZN in vista della gara bandita dalla Lega Nazionale Professionisti Serie A per l’assegnazione dei Diritti (il Deal Memo). Le Clausole Contestate, in particolare, attribuivano una semi-esclusiva a TIM per la distribuzione del servizio DAZN singolarmente o in bundle, a fronte dell’impegno di TIM di corrispondere a DAZN una somma annuale a titolo di minimo garantito. Somma, quest’ultima, che era risultata decisiva al fine di permettere a DAZN di risultare vincitore nella gara per l’assegnazione dei Diritti, ponendo così fine al monopolio ventennale di Sky nel mercato della pay-TV.

Nonostante DAZN e TIM avessero presentato e attuato tempestivamente diverse misure volontarie ritenute idonee a dissipare i dubbi concorrenziali nutriti dall’AGCM (le Misure Volontarie), quest’ultima aveva ritenuto ugualmente che le condotte tenute da DAZN e TIM dal momento dell’inizio della commercializzazione dei Diritti sino all’attuazione delle Misure Volontarie (ossia, per circa un mese) costituissero una restrizione della concorrenza. Ciò in quanto, secondo la tesi accusatoria, le Clausole Contestate avrebbero permesso a TIM di formulare offerte commerciali non replicabili da altri operatori di telecomunicazioni (gli OAO), ostacolato DAZN nella distribuzione diretta dei propri servizi, e diluito gli incentivi di DAZN ad effettuare investimenti tecnologici per assicurare un’ottima fruizione del proprio servizio sulle reti degli OAO.

Il TAR veniva così investito di due tipologie di ricorsi di tenore opposto.

Da un lato, i ricorsi di DAZN e TIM, diretti al completo annullamento della Decisione e basati su una serie di censure alla ricostruzione fattuale e giuridica offerta dall’AGCM, tra cui quelle relative all’inquadramento giuridico delle condotte contestate, all’assenza del nesso di causalità tra l’accordo e gli effetti asseritamente verificatisi nel mercato dei servizi di connettività, alla mancata valutazione dello scenario controfattuale, all’esclusione dell’applicazione dei regolamenti di esenzione per talune categorie di accordi verticali – Regolamento (UE) n. 330/2010, e Regolamento (UE) n. 720/2022, nonché alla mancata applicazione dell’esenzione di cui all’articolo 101, comma 3 TFUE (che a determinate condizioni ritiene che talune restrizioni della concorrenza siano legittime).

Dall’altro, i ricorsi di Sky e Fastweb, diretti all’ottenimento di una nuova pronuncia dell’AGCM, in virtù di un’asserita contraddittorietà della Decisione in relazione, inter alia, in relazione alla data di inizio dell’infrazione e all’idoneità delle Misure Volontarie a determinare la cessazione dell’illecito.

Nel merito, il TAR ha respinto i ricorsi di DAZN e TIM, accogliendo (solo in parte) quelli di Sky e Fastweb, e ordinando così all’AGCM di adottare un nuovo provvedimento sostitutivo della Decisione al fine di sanare le contraddizioni motivazionali.

Con riguardo ai ricorsi di DAZN e TIM, inter alia, il TAR: (i) ha ritenuto correttamente accertata dall’AGCM un’infrazione per oggetto e per effetto (in contrasto con quanto indicato expressis verbis nella Decisione dall’AGCM e in spregio alla giurisprudenza consolidata della Corte di Giustizia dell’Unione europea (la CGUE) che ritiene che le clausole di esclusiva non abbiano un oggetto restrittivo); (ii) ha ritenuto (in maniera non lineare) che – sebbene il Deal Memo non imponesse il bundle tra servizi di connettività e servizio DAZN da parte di TIM (e pertanto, ove effettivamente attuato, ciò non avrebbe potuto essere causalmente ricollegato al Deal Memo), e senza alcun riguardo al fatto che per DAZN era molto più convenienti effettuare abbonamenti diretti anziché tramite le offerte in bundle di TIM – risulterebbe tuttavia “…[e]vidente che la strategia commerciale puntasse [sul Deal Memo] al fine di aumentare la clientela TIM…”. In relazione alla questione della replicabilità, il giudice di prime cure si è limitato a considerare i Diritti come un “…[u]nicum infungibile…” sulla base del mero fatto che essi risultano assegnati con gara, sicché “…[d]i conseguenza, è inevitabile la qualifica di irreplicabilità…” di un’eventuale offerta combinata Diritti-servizi di connettività, con ciò tralasciando la casistica della stessa AGCM e della Commissione europea (che non considera i Diritti come un mercato a sé) e soprattutto senza considerare che gli altri OAO avrebbero ben potuto competere con offerte in bundling comprensiva, ad esempio, della Champions League, Formula 1 o Moto GP, ossia altri diritti sportivi premium di analogo valore rispetto ai Diritti.

Con riguardo, invece, ai ricorsi di Sky e Fastweb, essi sono stati accolti limitatamente alle censure mosse ad un’asserita contraddittorietà nella Decisione, specialmente con riguardo alla durata dell’infrazione.

La sentenza appare di particolare rilevanza, in quanto offre una ricostruzione alquanto eterodossa rispetto alla consolidata casistica europea e nazionale relativa alla commercializzazione dei diritti televisivi premium, quali quelli relativi alla trasmissione degli incontri di Serie A. Sul punto, se già la ricostruzione offerta dall’AGCM era apparsa in diversi punti quantomeno discutibile, del pari problematica risulta quella fatta propria dal TAR, che in diverse occasioni è anche andato ben oltre quanto affermato dall’AGCM, senza alcun riguardo per la giurisprudenza consolidata della CGUE e la prassi decisoria della Commissione europea e dell’AGCM. Non resta che attendere il probabile sviluppo della vicenda, sia dinanzi alla giustizia amministrativa, sia dinanzi all’AGCM, chiamata dal TAR ad adottare un nuovo provvedimento sostitutivo della Decisione.

Irene Indino

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Legal News/Telecomunicazioni e responsabilità degli hosting provider – Il Consiglio di Stato accoglie l’appello proposto dall’AGCom e conferma la violazione del Decreto Dignità da parte di Google

Con la sentenza pubblicata lo scorso 13 maggio, il Consiglio di Stato (CdS) ha annullato la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio (il TAR) del 28 ottobre 2021 (la Sentenza) confermando la decisione dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (l’AGCom) che aveva accertato la violazione da parte di Google Ireland Limited (Google) del Decreto-legge n. 87 del 12 luglio 2018 (il Decreto Dignità).

In particolare, con la delibera del 22 ottobre 2020 (la Delibera) l’AGCom aveva accertato cha una società di scommesse online aveva ottenuto la diffusione – tramite il servizio ‘Google Ads’ – di un annuncio pubblicitario che pubblicizzava e pertanto indirizzava ad alcuni siti web su cui era possibile giocare a pagamento. Alla luce di tale condotta, l’AGCom ha concluso che Google aveva violato il disposto di cui all’articolo 9 del Decreto Dignità, che vieta “qualsiasi forma di pubblicità, anche indiretta, relativa a giochi o scommesse con vincite di denaro nonché al gioco d’azzardo, comunque effettuata e su qualunque mezzo”, in quanto aveva contribuito a dar luogo alla diffusione di un messaggio illecito.

Come già commentato su questa Newsletter, Google aveva proposto ricorso avverso la Delibera dinnanzi al TAR sostenendo, inter alia, l’applicabilità della Direttiva 2000/31/CE (Direttiva E-commerce) invocando il principio del ‘Paese d’Origine’, in virtù del quale un hosting provider sarebbe soggetto esclusivamente alla legislazione dello Stato membro dell’UE in cui si trova la propria sede legale (nel caso di specie, quindi, l’Irlanda). Inoltre, Google aveva sostenuto l’illegittimità della attribuzione di responsabilità oggettiva a Google dall’AGCom per la presunta violazione dei principi relativi alle attività e agli obblighi in capo agli hosting provider.

Il TAR – dopo aver sottolineato la non rilevanza della Direttiva E-commerce al caso di specie, in quanto i giochi d’azzardo sono espressamente esclusi dal suo perimetro d’applicazione – aveva accolto le restanti doglianze avanzate da Google. In particolare, il TAR aveva sottolineato come il regime di responsabilità degli hosting provider non avrebbe natura oggettiva ma richiederebbe, invece, un ruolo attivo da parte del provider stesso (o quantomeno una piena cognizione della condotta illecita del terzo). A tal riguardo, il TAR aveva ritenuto che l’attività di Google – caratterizzata da una piena autonomia lasciata all’inserzionista nella creazione dei propri contenuti – si fosse limitata alla fornitura di mero hosting ‘passivo’ e non fosse riconducibile alla condotta di rielaborazione (e diffusione) autonoma dei contenuti illeciti, ciò permettendo l’applicazione dell’articolo 16 del Decreto legislativo n. 70 del 9 aprile 2003 (che ha trasposto in Italia la Direttiva E-commerce) (D. Lgs. 70/2003), il quale prevedeva – fino alla sua abrogazione avvenuta lo scorso 2 maggio – la possibilità per gli hosting provider ‘passivi’ di esimersi dalla responsabilità derivante da contenuti illeciti caricati da terzi in maniera autonoma.

L’AGCom ha quindi presentato appello avverso la Sentenza ribadendo, inter alia, la non applicabilità del trattamento favorevole di cui all’articolo 16 del D. Lgs. 70/2003 al caso di specie, poiché Google non avrebbe agito in qualità di hosting provider ‘passivo’, alla luce del fatto che non solo era a conoscenza dell’illiceità del messaggio veicolato ma ha altresì mancato di rimuoverlo tempestivamente.

Con la sentenza in commento il CdS ha ritenuto fondate le doglianze presentate dall’AGCom, pur ribadendo che non esiste una responsabilità ‘oggettiva’ in capo agli hosting provider. Il CdS ha quindi concluso che questi siano comunque soggetti al regime di responsabilità amministrativa di cui alla legge 689 del 1981, la quale “non viene ascritta al trasgressore in via oggettiva, per la merca pubblicazione della pubblicità vietata”.

Il CdS ha sottolineato che l’articolo 16 del D. Lgs. 70/2003 non potesse trovare applicazione in relazione alla fattispecie in esame in quanto la Direttiva E-Commerce (e, di conseguenza, il D. Lgs. 70/2003) esclude testualmente dal proprio ambito di applicazione “i giochi d’azzardo che implicano una posta pecuniaria in giochi di fortuna” e sottolineando come tal esclusione non riguardi solo la fornitura di detti giochi ma anche l’attività diretta alla pubblicità online degli stessi.

In secondo luogo, il CdS ha riconosciuto il fatto che Google ha agito come un hosting provider ‘attivo’, così escludendo l’applicazione soggettiva dell’articolo 16. Secondo il CdS – differentemente da quanto indicato dal TAR – il servizio ‘Google Ads’ – tramite cui è stata caricata in rete la pubblicità oggetto del contendere – è un “servizio di posizionamento pubblicitario” che permette ai singoli operatori di pubblicare ‘link sponsorizzati’ tramite l’utilizzo di determinate parole chiave, che ne garantiscono anche il posizionamento – più o meno favorevole – tra i risultati di ricerca forniti da Google stessa. Alla luce del fatto che l’inserzionista versa una remunerazione a Google parametrata proporzionalmente alle effettive visualizzazioni che la pubblicità riceve e che il servizio di promozione ed indicizzazione offerto da Google non permette a quest’ultima di rimanere neutrale rispetto ai contenuti pubblicizzati, il CdS ha concluso che Google non possa essere considerato quale mero hosting provider ‘passivo’.

In ultimo, il CdS ha sottolineato come la condotta di Google si sia posta in contrasto con l’articolo 9 del Decreto Dignità. Ciò, nonostante il fatto – già riconosciuto dal TAR – che l’annuncio in esame fosse stato pubblicato dall’inserzionista con una formula volutamente volta ad ‘ingannare’ il software di riconoscimento automatico adottato da Google per impedire la pubblicazione di annunci volti a pubblicizzare il gioco d’azzardo online. Sul punto, il CdS ha sottolineato come Google abbia mancato di dimostrare in sede procedimentale la propria mancanza di colpa e ha comunque riconosciuto che Google non poteva non essere a conoscenza del contenuto dell’annuncio, stante la sua attività di indicizzazione e posizionamento.

La pronuncia in esame è sicuramente interessante in quanto esclude una responsabilità oggettiva in capo agli hosting provider in relazione ai contenuti illeciti che trovano diffusione attraverso i loro canali, ma al tempo stesso adotta un approccio alquanto rigoroso circa il livello di diligenza richiesto dell’hosting provider, anche in circostanze analoghe al caso di specie, in cui l’inserzionista ha posto in essere una condotta di natura decettiva per bypassare il sistema di controllo automatico posto in essere dal provider.

Luca Feltrin

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Concentrazioni ed esame ex post – L’Autorità della concorrenza francese ha chiuso la prima istruttoria avviata in base alla giurisprudenza Towercast

Il 2 maggio, l’Autorità della concorrenza francese (l’Autorità) ha emanato la Decisione 24-D-05 (la Decisione) in cui ha, per la prima volta, sottoposto alcune concentrazioni che non raggiungevano la soglia per far scattare un obbligo di notifica ex ante ad un controllo ex post ai sensi dell’articolo 101 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), ossia la norma che vieta le intese restrittive della concorrenza. La Decisione applica principi analoghi a quelli enunciati dalla sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) nel c.d. caso Towercast ai sensi della quale le concentrazioni sotto-soglia possono essere valutate anche ai sensi dell’articolo 102 TFEU.

In particolare, nel caso Towercast, la CGUE aveva stabilito che l’articolo 21, para. 1 del Regolamento (CE) n. 139/2004 (l’EUMR), ai sensi del quale tale regolamento “è il solo applicabile alle concentrazioni”, non esclude che si possa applicare il diritto primario della concorrenza – nel caso specifico, l’articolo 102 TFUE, che vieta l’abuso di posizione dominante – a quelle concentrazioni che non superano le soglie di rilevanza europee o nazionali e non rientrano quindi nell’ambito di applicazione del Regolamento (si veda la nostra Newsletter del 20 marzo 2023).

Nel caso francese, la Decisione riguardava tre imprese (le Imprese) attive nel settore della lavorazione della carne. Le Imprese, nel 2015, avevano raggiunto una serie di accordi di cessione, che risultavano in un totale di cinque concentrazioni (le Concentrazioni), volti a riequilibrare la presenza delle Imprese nel sud-est, sud-ovest e nord-est della Francia. Le Concentrazioni erano tutte sotto-soglia e non erano state oggetto di notifica.

In assenza di una posizione dominante, l’Autorità ha considerato se le Concentrazioni in quanto tali potessero essere qualificate intese restrittive contrarie all’articolo 101 TFUE.

Per applicare l’articolo 101 TFUE, l’Autorità si è espressamente basata su Towercast, specificando che il ragionamento della CGUE in relazione all’articolo 102 TFUE si applicherebbe anche all’articolo 101 TFUE. A detta della CGUE, l’EUMR “… fa parte di un quadro normativo inteso a dare attuazione agli articoli 101 TFUE e 102 TFUE, nonché a creare un sistema di controllo che garantisca che la concorrenza non sia falsata nel mercato interno dell’Unione…” (traduzione di cortesia). Di conseguenza, l’effetto dell’EUMR non potrebbe essere quello di escludere le concentrazioni sottosoglia dall’applicazione degli articoli 101 e 102 TFUE. Inoltre, riguardo al principio secondo cui un’operazione non dovrebbe essere soggetta ad un doppio controllo – ex ante ed ex post – l’Autorità ha notato che nella fattispecie le Concentrazioni non erano state soggette ad alcun controllo ex ante, per cui era ammesso il controllo ex post.

Tuttavia, nell’applicare l’articolo 101 TFUE al caso specifico, l’Autorità non ha trovato sufficienti prove per dimostrare una restrizione della concorrenza – né per oggetto né per effetto – e ha dunque concluso il procedimento con un non-lieu.

In attesa di un’eventuale pronuncia della CGUE sul punto, è interessante notare come l’Autorità francese abbia dato un segnale importante relativo a una lettura “espansiva” (e secondo chi scrive discutibile) della sentenza Towercast. Resta da vedere se tale approccio sarà imitato da altre autorità nazionali.

Gianguido Ghelardi

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Appalti, concessioni e regolazione/Appalti e conflitto russo-ucraino – Alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea l’interpretazione del divieto di aggiudicare appalti e concessioni nei confronti di operatori economici di diritto italiano ma sotto la direzione di persone di nazionalità russa

Con ordinanza del 26 aprile 2024 n. 3838, il Consiglio di Stato (il CdS) ha rimesso alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) l’interpretazione dell’articolo 5-duodecies, lett. c) del Regolamento (UE) 833/2014, introdotta dal Regolamento (UE) 2022/576, in materia di misure restrittive in considerazione delle azioni della Russia nei confronti dell’Ucraina. Il CdS si è chiesto se il divieto di aggiudicare appalti ad “una persona fisica o giuridica, un’entità o un organismo che operano per conto o sotto la direzione di una persona fisica e giuridica di nazionalità russa” andasse applicato anche ad una società di diritto italiano dove due componenti su tre del consiglio di amministrazione sono cittadini russi e dove uno di questi, oltre ad essere amministratore delegato, è anche amministratore unico della società controllante al 90%.

La vicenda è originata da una gara pubblica per l’affidamento della concessione del servizio di caffetteria e piccola ristorazione presso Palazzo Pitti e il giardino di Boboli all’interno del complesso museale delle Gallerie degli Uffizi a Firenze.
La società Scudieri International S.r.l. ha vinto l’aggiudicazione e la seconda classificata – la società Opera Laboratori Fiorentini S.p.A. – ha impugnato il provvedimento davanti al Tribunale Amministrativo Regionale della Toscana (il TAR).

Secondo la ricorrente, l’aggiudicazione sarebbe stata illegittima per violazione del divieto di aggiudicazione diretta o indiretta di appalti e concessioni a soggetti di nazionalità russa.

La società aggiudicataria è infatti una società di diritto italiano con sede in Italia, ma con due terzi del consiglio di amministrazione di nazionalità russa e con Presidente del consiglio di amministrazione e amministratore delegato che, oltre ad essere cittadino russo è anche amministratore unico della società Sielna S.p.A., che deteneva il 90% del capitale sociale della medesima società aggiudicataria.

La questione dipende dunque dall’interpretazione dell’articolo 5-duodecies che vieta le aggiudicazioni: a persone fisiche o giuridiche di nazionalità russa, a persone giuridiche, entità od organismi detenuti per oltre il 50% da persone fisiche o giuridiche russe, a una persona fisica o giuridica, un’entità o un organismo che agisce per conto o sotto la direzione di un soggetto russo o di un’entità detenuta per oltre il 50% da un soggetto russo.

Il TAR ha rigettato la questione interpretativa sul fatto che sia la società aggiudicataria che la sua controllante sarebbero soggetti di diritto italiano con sede in Italia, e quindi si troverebbero fuori dal perimetro del regolamento.

La sentenza di primo grado viene impugnata davanti al CdS, il quale rimette la questione alla CGUE prospettando due opposte interpretazioni del regolamento.

Secondo un’interpretazione ristrettiva, il Regolamento 2022/576 avrebbe lo scopo di impedire il finanziamento delle attività di guerra della Russia, e dunque riguarderebbe il beneficiario effettivo dell’aggiudicazione stessa. Di conseguenza a rilevare non sarebbe la nazionalità degli amministratori ma dei soci dell’aggiudicataria, che nel caso di specie non sarebbero di nazionalità russa.

Secondo una diversa interpretazione invece, a rilevare sarebbe non tanto la struttura societaria ma il fatto che la stessa si pone sotto la direzione indiretta di un cittadino russo, essendo questo socio unico della controllante dell’aggiudicataria.

Giulia Valenti

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