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Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione - 12 giugno 2023

Diritto della concorrenza – Europa / Intese e “block exemptions” – La Commissione europea adotta i nuovi Regolamenti di esenzione per accordi di cooperazione orizzontale e le nuove Linee guida orizzontali

Lo scorso 1 giugno, la Commissione europea (Commissione) ha adottato le nuove Linee guida per gli accordi di cooperazione orizzontale (Linee Guida), unitamente a nuovi regolamenti di esenzione per gli accordi di ricerca e sviluppo e gli accordi di specializzazione, la cui entrata in vigore è prevista per il prossimo 1 luglio.

Tra le significative novità introdotto con l’adozione delle Linee Guida – della cui adozione è stata data notizia in questa Newsletter – per esigenze di sintesi preme in particolare segnalare due sviluppi, aventi ad oggetto (i) la valutazione degli accordi di condivisione di infrastrutture di rete nel settore delle telecomunicazioni (c.d. network sharing); e (ii) gli accordi di sostenibilità.

In materia di network sharing, la Commissione distingue tre tipologie di accordi, elencate in ordine crescente di rischio sul piano antitrust: (i) gli accordi di condivisione della sola infrastruttura passiva (i.e. le antenne), valutati dalla Commissione come generalmente privi di un reale rischio; (ii) gli accordi di condivisione dell’infrastruttura attiva (i.e. RAN), i quali, a differenza dei primi, presentano un coefficiente di rischio maggiore nella misura in cui possono ridurre l’incentivo degli operatori alla concorrenza infrastrutturale; e (iii) gli accordi di condivisione dello spettro, i quali, benché generalmente autorizzati dalle stesse pubbliche amministrazioni concedenti, impongono un’analisi stringente dell’impatto sull’autonomia operativa e di commerciale delle imprese partecipanti.

Fatta salva, per ciascuno di queste categorie di accordi, la necessità di uno scrutinio in concreto, la Commissione fissa quattro criteri cumulativi minimi per valutare la liceità di ogni network sharing agreement:

  • in primo luogo, ciascuna delle imprese partecipanti deve disporre in ogni caso di una propria rete core, preservando inalterata la propria facoltà tecnica e contrattuale di attuare unilateralmente una nuova infrastruttura di rete;
  • in secondo luogo, le imprese partecipanti devono mantenere autonoma la propria attività commerciale retail e wholesale, senza che l’accordo di network sharing porti a un allineamento di prezzi o qualità dei servizi erogati con le altre imprese aderenti all’accordo;
  • in terzo luogo, deve rimanere impregiudicata l’autonomia delle strategie di allocazione dello spettro in capo a ciascuna delle partecipanti;
  • infine, l’accordo non deve essere occasione per lo scambio di informazioni non strettamente funzionali alla gestione operativa della rete.

Per quanto concerne invece gli accordi di sostenibilità, si evidenziano due elementi su cui le Linee Guida si soffermano.

In prima battuta, la Commissione chiarisce sul piano definitorio che, in linea di principio, l’accordo di sostenibilità non individua una categoria generale e autonoma di contratto, ma costituisce invece un carattere accessorio di un qualsiasi accordo di cooperazione che rivesta un rilievo ambientale o che persegua un interesse in tal senso. Così, ad esempio, sarà valutato (anche) come accordo di sostenibilità un accordo di R&D volto a sviluppare una nuova tecnologia che riduca l’impatto ambientale di una determinata attività produttiva. Tale accordo sarà valutato alla luce dei criteri previsti per ciascuna categoria cui l’accordo è riconducibile (in ipotesi, sia i criteri dettati dalla Linee Guida per gli accordi di R&D, sia quelli relativi agli accordi di sostenibilità). Qualora i criteri presentino un conflitto, troveranno applicazione i criteri più favorevole alle parti.

In aggiunta, le Linee Guida forniscono una disciplina specifica per gli accordi di “standardizzazione ambientale”, ovvero accordi con cui le imprese aderenti stabiliscono regole, linee guida o caratteristiche minime di sostenibilità per i prodotti e/o i relativi processi produttivi. Per tali accordi, la Commissione prevede un c.d. “soft safe harbour” di legittimità al ricorrere di una serie di condizioni cumulative, tra cui inter alia: (i) la facoltà per le imprese partecipanti di attuare unilateralmente misure più favorevoli sul piano ambientale, in melius rispetto allo standard comune; (ii) la natura aperta e non discriminatoria dell’accordo; (iii) l’assenza di un “significativo incremento” dei prezzi o a un significativo calo della qualità dei prodotti derivante dall’accordo, oppure – alternativamente – la quota di mercato aggregata delle imprese partecipanti non deve eccedere il 20% del mercato interessato.
Resta da vedere come la Commissione e le autorità nazionali applicheranno in pratica le Linee Guida con particolare riferimento alle menzionate novità.

Alessandro Canosa

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Aiuti di Stato e disciplina fiscale – secondo l’Avvocato Generale Kokott il tax ruling accordato dal Lussemburgo ad alcune società del gruppo Amazon non costituisce un aiuto di Stato

Con le proprie conclusioni depositate lo scorso 8 giugno (le Conclusioni), l’Avvocato Generale Kokott (l’AG Kokott) si è pronunciata in merito alla vicenda che vede opposti alla Commissione europea (la Commissione) il Granducato del Lussemburgo (il Lussemburgo) e alcune società del gruppo Amazon (il Gruppo Amazon) (congiuntamente, le Parti), raccomandando alla Corte di Giustizia dell’Unione europea (la CGUE) di confermare l’annullamento, da parte del Tribunale dell’Unione europea (il Tribunale), della decisione della Commissione che aveva ritenuto alcune società del Gruppo Amazon beneficiarie di un illegittimo aiuto di Stato (la Decisione).

Anche in questo caso, come già avvenuto con le recenti conclusioni rese il 4 maggio scorso nella causa Engie (C-454/21 P – e oggetto di commento nella presente Newsletter) – l’AG Kokott torna a pronunciarsi in merito ai c.d. tax rulings, vale a dire decisioni adottate dalle autorità fiscali nazionali, mediante le quali vengono stabiliti anticipatamente il quantum e/o la metodologia di calcolo di un determinato tributo.

La vicenda trae origine dalla ristrutturazione delle attività del Gruppo Amazon in Europa che prevedeva, inter alia, la creazione di due società – LuxSCS (titolare del diritto di sfruttamento, anche in sublicenza, di alcuni diritti di proprietà intellettuale riconducibili ad Amazon) e LuxOpCo (licenziataria dei medesimi diritti, in cambio del pagamento di una royalty a LuxSCS); in tale contesto, in particolare, l’amministrazione finanziaria del Lussemburgo aveva approvato la proposta del Gruppo Amazon relativa alle modalità di determinazione delle royalties che LuxOpCo avrebbe versato a LuxSCS, nonché al trattamento fiscale riservato a quest’ultima, ai suoi soci stabiliti negli Stati Uniti e ai dividendi distribuiti agli stessi (il Tax Ruling).

La Commissione aveva quindi concluso la propria istruttoria ritenendo che il Tax Ruling costituiva un illegittimo aiuto di Stato, nella misura in cui le autorità del Lussemburgo avrebbero derogato ai principi di libera concorrenza definiti dall’OCSE in diverse linee guida con riguardo alle transazioni infragruppo, e ritenuti dalla Commissione il sistema di riferimento rilevante a fronte del quale valutare selettività e il vantaggio conferito dalle misure accordate dal Lussemburgo. Una ricostruzione, questa, che – come anticipato – non aveva convinto il Tribunale, il quale, investito del ricorso proposto dalle Parti avverso la Decisione, l’aveva integralmente annullata nel maggio del 2021 (si veda, a tal proposito, il relativo contributo pubblicato nella presente Newsletter).

Si giunge, così, dinanzi alla CGUE, e alle Conclusioni in oggetto, mediante le quali l’AG Kokott suggerisce alla CGUE di respingere il ricorso proposto dalla Commissione, e di confermare l’annullamento della Decisione.

In primo luogo, infatti, l’AG Kokott ribadisce anche in questa occasione che – al di fuori dei settori in cui il diritto tributario dell’Unione europea è armonizzato – gli Stati Membri godono di amplissima discrezionalità nell’esercizio delle proprie competenze e della propria autonomia in ambito fiscale; cosicché, né la Commissione, né le corti europee, possono “…valutare il diritto tributario nazionale facendo riferimento ad un regime fiscale ideale o fittizio…”, né “…possono essere presi in considerazione parametri e regole esterni al sistema tributario nazionale di cui trattasi, a meno che quest’ultimo non vi faccia esplicito riferimento…”.

Pertanto – conclude sul punto l’AG Kokott – il Tribunale dovrebbe confermare l’annullamento della Decisione, dal momento che la normativa fiscale lussemburghese non soltanto (i) sembrerebbe essere stata del tutto irrilevante nella verifica effettuata (peraltro in maniera non del tutto lineare) dalla Commissione, ma in ogni caso (ii) non conterrebbe nel caso di specie alcun riferimento, né espresso né tacito, ai principi di libera concorrenza prima menzionati, di cui alle linee guida dell’OCSE.

Infine, e su un piano più generale, l’AG Kokott ritiene che anche laddove la CGUE si dovesse ritenere vincolata al “sistema normativo di riferimento” individuato dalla Commissione – vale a dire le linee guida fissate dall’OCSE – in ogni caso andrebbe confermato l’annullamento della Decisione. In questo caso, infatti, sempre in virtù dell’ampia autonomia riconosciuta agli Stati Membri dell’Unione europea in materia fiscale, secondo l’AG Kokott non ogni Tax Ruling può costituire un aiuto ai sensi del diritto europeo, bensì unicamente i Tax Rulings che siano “manifestamente erronei” in favore del soggetto passivo (nella misura in cui determinino deroghe al sistema di riferimento nazionale applicabile così manifeste, che non possono non apparire evidenti anche al soggetto passivo/beneficiario).

Le Conclusioni in commento risultano di particolare interesse in quanto, se accolte dalla CGUE, potrebbero determinare una netta contrazione dell’area di sindacabilità, da parte della Commissione, circa la compatibilità col diritto sugli aiuti di Stato di decisioni nazionali in ambito fiscale. Non resta che attendere, dunque, la pronuncia finale della CGUE.

Ignazio Pinzuti Ansolini

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Appalti, concessioni e regolazione / Concessioni e demanio marittimo – Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana afferma il carattere immediatamente obbligatorio e vincolato dello sgombero del titolare di concessione scaduta del demanio marittimo

Con la sentenza n. 350 del 22 maggio 2023, il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana (CGARS) ha affermato che lo sgombero degli immobili oggetto di concessione scaduta sia “provvedimento immediatamente obbligatorio e vincolato”, anche qualora il nuovo concessionario non sia stato definitivamente individuato od il bene debba essere sottratto al regime di concessione.

La vicenda trae origine dal procedimento avviato il 21 dicembre 2017 di fronte all’Autorità portuale dello stretto di Messina (l’Autorità), oggi divenuta “Autorità di sistema dello stretto”, su istanza proposta dalla società Meridionale Combustibili s.r.l. (Me Comb), con la quale veniva chiesto il rinnovo della concessione demaniale marittima dell’area alla stessa già precedentemente assentita in concessione per il mantenimento di un impianto di distribuzione carburanti nel Comune di Milazzo. A seguito della pubblicazione dell’istanza della Me Comb, presentava istanza di concessione demaniale concorrente la Med Fuel s.r.l. (Med Fuel).

Verificata la sussistenza dei requisiti delle due società in sede di conferenza dei servizi, si optava per l’individuazione del contraente tramite licitazione privata; all’esito delle operazioni risultava migliore offerente la Med Fuel. L’Autorità adottava quindi un decreto con il quale la domanda di rinnovo della concessione avanzata dalla Me Comb veniva rigettata in ragione del fatto che Med Fuel aveva presentato il maggiore rialzo su base d’asta. Con atto di intimazione di sgombero del giugno 2020 l’Autorità ordinava alla Me Comb di procedere allo sgombero dell’area demaniale occupata entro il termine perentorio di 30 giorni.

Il ricorso avverso queste determinazioni presentato al Tribunale Amministrativo Regionale siciliano (il TAR) dalla Me Comb veniva accolto, essendo stata rilevata la mancata conclusione del procedimento di assegnazione della concessione alla Med Fuel e mancando quindi un nuovo, definitivo titolare di concessione il cui subentro nella gestione dei beni immobili permettere; la Med Fuel impugnava quindi la sentenza di fronte al CGARS.

Il CGARS dichiara fondato il motivo di ricorso con cui Med Fuel deduceva l’erroneità della sentenza appellata nel punto in questione. In particolare, il CGARS osserva che “…la scadenza della concessione rende sine titulo l’occupazione degli immobili,” e che “…[l]o sgombero è, solo per tale motivo, provvedimento immediatamente obbligatorio e vincolato, né necessita attendersi l’individuazione di un nuovo concessionario (che, in linea puramente astratta, potrebbe perfino non esserci mai, laddove l’amministrazione si determini per la gestione diretta dell’area o per la sua devoluzione all’uso pubblico generale: che è, del resto, la forma di godimento normale e residuale del demanio marittimo, in assenza di provvedimenti di diverso contenuto). Diversamente opinando si darebbe luogo, di fatto, ad una proroga inammissibile e sine die di un rapporto concessorio già cessato...”.

La pronuncia appare meritevole d’attenzione per il suo possibile precipitato sulla vicenda delle concessioni balneari: avendo le sentenze nn. 17 e 18 del 2021 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato dichiarato che le concessioni di demanio marittimo oggetto di proroga automatica ex lege diverranno inefficaci il 1° gennaio 2024, indipendentemente dall’eventuale subentro di nuovi titolari di concessione, dalle conclusioni del CGARS deriverebbe il vincolo ad operare già dal primo giorno del 2024 lo sgombero, di proporzioni massive, dei titolari di concessione scaduta.

Guglielmo Puglisi – Alibrandi

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Legal news / Libera circolazione dei servizi e settore digitale – L’Avvocato Generale Szpunar, nella sua opinione sul caso Google Ireland, si è pronunciato sui limiti del principio del paese di origine in materia digitale

È stata pubblicata l’opinione dell’Avvocato Generale Szpunar (l’AG Szpunar) sulla causa Google Ireland (C-376/22) in materia di libera circolazione dei servizi digitali. L’Avvocato Generale ha definito, in particolare, le condizioni per il coordinamento del principio del paese d’origine con le iniziative legislative nazionali in deroga alla libera circolazione.

La vicenda trae origine dall’adozione, nel 2020, della legge federale austriaca sulle misure di protezione degli utenti sulle piattaforme di comunicazione (Kommunikationsplattformen-Gesetz, KoPl-G). Con questa misura, l’Austria – anticipando parte delle disposizioni del Digital Services Act europeo – aveva introdotto una serie di obblighi e adempimenti in capo alle piattaforme di comunicazione digitale, tra cui: (a) l’istituzione di una procedura di segnalazione e revisione per presunti contenuti illeciti, (b) la redazione di una relazione sulla trasparenza e (c) la nomina di un mandatario responsabile e di un delegato per le segnalazioni. A seguito dell’entrata in vigore del KoPl-G, Google Ireland Limited (Google), Meta Platforms Ireland Limited (Meta) e Tik Tok Technology Limited (Tik Tok) (collettivamente, le Ricorrenti) avevano domandato alla Kommunikationsbehörde Austria, i.e. l’autorità austriaca per le comunicazioni(l’Autorità), una decisione dichiarativa circa l’applicabilità ad esse delle nuove prescrizioni. L’Autorità aveva dato seguito a tale richiesta, adottando tre decisioni dichiarative con cui ne affermava l’applicabilità.

Le Ricorrenti avevano quindi impugnato le decisioni sostenendo l’incompatibilità della legge austriaca con il principio del paese d’origine, fissato dalla Direttiva (UE) 2000/31 in materia di legge applicabile ai prestatori di servizi digitali (la Direttiva). Nell’ambito di tale causa, la corte amministrativa federale austriaca aveva proposto un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione europea (CGUE).

Nell’opinione in commento, l’AG Szpunar ha richiamato il principio del paese d’origine, affermato nella Direttiva, secondo il quale gli Stati membri non possono limitare “…la libera circolazione dei servizi società dell’informazione provenienti da un altro Stato membro…” attraverso prescrizioni che siano “…applicabili ai prestatori di servizi della società dell’informazione o ai servizi della società dell’informazione, indipendentemente dal fatto che siano di carattere generale o loro specificamente destinati…”. Non è quindi possibile per uno Stato membro imporre ad un prestatore di servizi digitali prescrizioni o obblighi aggiuntivi rispetto a quelli imposti allo stesso dallo Stato membro in cui ha sede.

Sulla base della Direttiva e dei precedenti della CGUE, l’AG Szpunar ha riconosciuto una deroga a tale principio per quei soli provvedimenti che siano (i) volti al perseguimento di uno degli obiettivi indicate all’articolo 3, paragrafo 4, lettera a), della Direttiva (tra cui la tutela della salute, dell’ordine pubblico, dei consumatori e della sicurezza pubblica); (ii) relativi ad un determinato servizio digitale lesivo di tali obiettivi o che ne costituisca un rischio serio e grave di pregiudizio; e nei limiti in cui siano (iii) proporzionati a tali obiettivi. Ha affermato, inoltre, come tale deroga sia possibile solo a seguito di una richiesta di procedere nello stesso senso disattesa dallo Stato membro d’origine e previa notifica alla Commissione.

In particolare, l’Avvocato Generale si è concentrato sul requisito di cui al punto (ii) per cui – al fine di considerare le disposizioni nazionali compatibili con il principio di libera circolazione dei servizi – è richiesto che la misura nazionale sia diretta ad un servizio “determinato”. Ciò non esclude, secondo la ricostruzione dell’AG, che il provvedimento possa avere carattere generale, a condizione però che questo “…sia sufficientemente diretto, nella misura in cui si applichi chiaramente, fin dall’inizio, a un determinato servizio della società dell’informazione fornito da uno o più prestatori stabiliti in uno o più altri Stati membri…”. Ha invece ritenuto, al contrario, che le condizioni per la deroga non possano ritenersi integrate nei casi – come in quello di specie – in cui si tratti di un provvedimento legislativo di carattere generale e astratto che si applica indistintamente a qualsiasi prestatore di una categoria di servizi.

L’opinione in commento risulta particolarmente rilevante, in quanto attiene a norme nazionali analoghe a quelle previste dal Digital Service Act prima della sua entrata in vigore, evidenziandone la tensione con il principio di libera circolazione dei servizi. Tuttavia, per un quadro più completo della questione, dovrà attendersi la sentenza sul caso della CGUE, la quale potrà condividere o meno le argomentazioni dell’AG Szpunar.

Alberto Galasso

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FLASH – Pubblicità politica targetizzata e della tutela dei minori – L’AGCOM ha siglato un protocollo d’intesa con il Garante per la protezione dei dati personali in tema di pubblicità politica targetizzata e tutela dei minori

È stato pubblicato il testo del protocollo d’intesa (il Protocollo) siglato tra l’AGCOM e il Garante per la protezione dei dati personali (il Garante) (collettivamente, le Parti) volto a disciplinare le modalità di cooperazione tra le due istituzioni al fine di approfondire il tema della pubblicità politica targetizzata e della tutela dei minori.

Il Protocollo, tra le altre cose, impegna le Parti ad avviare un’indagine conoscitiva sul fenomeno della pubblicità politica basata sui dati personali e, in particolare, sulla profilazione e targetizzazione dei destinatari dei messaggi promozionali, nonché sulla tutela dei minori. Tale indagine potrà realizzarsi anche attraverso l’interscambio di dati e notizie utili allo svolgimento dei rispettivi compiti delle due autorità su tali materie.

Il Protocollo ha durata annuale e potrà essere rinnovato dalle Parti.