Diritto della concorrenza – Italia / Indagini conoscitive e settore dell’editoria scolastica – L’AGCM pubblica il proprio rapporto preliminare relativo al mercato dell’editoria scolastica
Lo scorso 29 luglio, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha pubblicato il rapporto preliminare relativo all’esito dell’indagine conoscitiva riguardante il settore dell’editoria scolastica.
L’AGCM ha in primo luogo evidenziato le peculiarità della domanda in questo mercato, determinata dalle scelte sull’adozione dei libri di testo ad opera dei collegi-docenti di ogni singolo istituto scolastico. Secondo quanto riportato nel rapporto preliminare, infatti, sussiste una sostanziale differenziazione tra i libri scolastici adottati per i cicli della scuola primaria (SP) e quelli adottati per la scuola secondaria di primo grado (SS1) e di secondo grado (SS2, con SS1, SS). I libri adottati per i cicli SP sono forniti gratuitamente agli studenti attraverso un regime di acquisto pubblico e di prezzi amministrati, mentre per i cicli SS i libri vengono acquistati direttamente dal privato, il quale può rivolgersi a librerie, cartolibrerie, rivenditori di libri usati, alla grande distribuzione organizzata (GDO), oppure consultando piattaforme online (congiuntamente, i distributori al dettaglio).
Il lato dell’offerta dell’editoria presenta della caratteristiche di forte concentrazione, in quanto pochi operatori soddisfano i requisiti della domanda che, nella stragrande maggioranza dei casi, è orientata verso libri di testo cartacei accompagnati dalla rispettiva versione digitale (tipo B). I libri di testo meramente cartacei (tipo A), oppure quelli solamente digitali (tipo C) sono adottati in casi sporadici, conseguenza derivante dal percorso di regolamentazione avviato negli anni Duemila, volto a incentivare la produzione di libri di tipo B, rendendo facoltativa l’adozione di libri di tipo A (Riforma).
Passando ai profili di maggiore criticità emersi dalle indagini, l’AGCM si è concentrata (i) sulle complesse dinamiche di adozione, produzione e distribuzione dei testi, (ii) sull’andamento del mercato dell’usato e di altri modelli capaci di “contenere” la spesa per il consumatore, (iii) sulle prospettive di sviluppo/criticità riguardanti le edizioni digitali e (iv) sui possibili scenari di riforma normativa.
L’AGCM ha analizzato i meccanismi di adozione dei testi, concentrandosi sulla possibilità di scelta di “nuovi” libri di testo a seguito dell’inizio di un nuovo ciclo di istruzione. Al riguardo, l’Associazione Italiana Editori definisce, all’interno del proprio codice di autoregolamentazione, cosa si intenda per “nuova edizione”, stabilendo che un libro possa essere dirsi tale qualora abbia un tasso di innovazione pari o superiore al 20% rispetto all’edizione precedente. Gli ampi margini di discrezionalità nel calcolo di suddetta percentuale, tuttavia, secondo l’AGCM non rendono possibile svolgere una comparazione adeguata, capace di circoscrivere eventuali pratiche abusive da parte degli editori. Inoltre, tra gli editori si è diffusa la tendenza di pubblicare edizioni valide per interi cicli scolastici; l’AGCM ha evidenziato come una pratica di questo tipo pregiudichi il ricambio tra i libri di testo adottati dal collegio-docenti, prediligendo invece un sistema basato sulla frammentazione in più volumi annuali, in grado di aumentare la scelta del consumatore e la competizione tra gli operatori.
Per quanto attiene ai prezzi praticati, i dati dell’indagine dimostrano un andamento crescente apparentemente spiegabile con l’inflazione, escludendo però maggiorazioni rilevanti adottate dagli editori. I fattori che caratterizzano l’apparato produttivo dei libri di testo, secondo l’AGCM, rappresentano significative barriere d’ingresso per operatori di piccole dimensioni, non essendo questi ultimi muniti del know-how e delle risorse adeguate per gestire piattaforme digitali proprietarie o per produrre versioni digitali dei propri testi. Le stesse dinamiche inerenti alla produzione editoriale influenzano a loro volta i distributori al dettaglio, i quali possono rivolgersi – per le proprie forniture – ai promotori degli stessi editori oppure a grossisti. Pur essendovi stato un intervento sugli sconti applicabili attraverso la Riforma, peraltro criticato dalla stessa AGCM, secondo quest’ultima il mercato è attualmente caratterizzato da forti distorsioni nella catena di distribuzione, sintomatiche dell’inefficienza gestionale delle copie cartacee da parte dei distributori al dettaglio di modeste dimensioni.
Infine, in un’ottica di maggiore circolazione dei libri di testo, l’AGCM ha condotto un’analisi sul mercato dell’usato, constatando però serie difficoltà di accertamento dovute alla non tracciabilità delle vendite tra privati. Le caratteristiche dei canali di produzione/distribuzione e lo scarso utilizzo di modalità di utilizzo più sostenibili, come il noleggio o il comodato gratuito, accrescono il peso economico dell’acquisto sui consumatori. A differenza di altri ordinamenti europei, lo Stato italiano investe in regimi assistenziali quasi interamente rivolti ai cicli SP.
Il rapporto si conclude con l’evidenziazione del atto che le dinamiche di mercato si sono sviluppate in funzione della Riforma, caratterizzata dall’assenza di apparecchiature digitali in possesso agli studenti e a disposizione degli istituti scolastici. Questi aspetti, assieme ad un’evidente predilezione per lo studio su supporto cartaceo, hanno orientato l’offerta sui libri di tipo B, a cui si accostano i servizi offerti dal mercato parascolastico, basati su esercizi digitali integrativi. Come accertato dall’AGCM, la forte frammentazione dei servizi didattici – in grado di aumentare ulteriormente i prezzi per il materiale scolastico – sarebbe mitigata dall’adozione di libri di tipo C, come auspicato dal legislatore ai tempi della Riforma.
In conclusione il rapporto preliminare dell’indagine conoscitiva in commento ha portato alla luce aspetti delicati di un mercato unico nel suo genere, basato peraltro su una domanda rigida che in ultima analisi non dipende dalla scelta diretta del consumatore. Non resta ora che attendere la conclusione del procedimento per vedere se l’AGCM valuterà se questo mercato necessiti o meno di misure rimediali per migliorare il grado di concorrenza ivi presente.
Giacomo Perrotta
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Concentrazioni e settore delle telecomunicazioni – L’AGCOM e l’AGCM hanno autorizzato senza condizioni l’acquisizione del controllo esclusivo di TIM da parte di Poste Italiane
Con le decisioni (le Decisioni) del 23 luglio e del 3 settembre, l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM) e l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) hanno “autorizzato” l’acquisizione del 15% del capitale sociale di TIM S.p.A. (TIM) da parte di Poste Italiane S.p.A. (Poste) (l’Operazione), senza condizioni.
Prima dell’Operazione, Poste deteneva il 9,81% del capitale di TIM, partecipazione che, a seguito dell’Operazione, sale complessivamente al 24,81%, divenendo, dunque, il maggiore azionista di TIM, rivendicandone il controllo esclusivo.
Poste, fornitore del servizio postale universale, è attiva anche nei settori delle telecomunicazioni, dei pagamenti, dei servizi finanziari, assicurativi e della logistica. Come è noto, TIM è il principale operatore italiano nelle telecomunicazioni, e fornisce servizi di comunicazione su rete fissa e mobile, sia all’ingrosso, sia al dettaglio e risulta attiva anche nei servizi audiovisivi e di streaming sotto il marchio TIM Vision.
L’AGCOM ha esaminato la concentrazione focalizzandosi in particolare sui possibili effetti sul c.d. Sistema Integrato delle Comunicazioni (SIC), ossia il settore economico che comprende, tra le altre, le attività di stampa, editoria elettronica e servizi di media audiovisivi. L’AGCOM ha quindi rilevato come la presenza di TIM nel SIC risulti marginale, attraverso TIM Vision, con ricavi pari a circa l’1% legati a contenuti audiovisivi e digitali. Poste, invece, non vi opera direttamente, limitandosi a un’attività editoriale gratuita sotto forma di house organ destinato a dipendenti ed ex dipendenti. Alla luce di questi elementi, l’AGCOM ha concluso che non emergono rischi per il pluralismo informativo e non ha ritenuto necessario avviare un’istruttoria, autorizzando l’Operazione.
L’AGCM ha esaminato l’impatto dell’Operazione su una pluralità di mercati, distinguendo tra i profili orizzontali, verticali e conglomerali. Essa ha inoltre tenuto conto delle osservazioni formulate da alcuni concorrenti, quali Fastweb+Vodafone (FW+VO), Iliad, Wind3 e Sky.
Nel mercato della telefonia fissa al dettaglio per clienti residenziali e SOHO (Small Office Home Office, ossia liberi professionisti, piccole imprese e autonomi che svolgono la propria attività in piccoli uffici o da casa), l’AGCM ha considerato che, sotto il profilo orizzontale, l’aumento della quota che deriverebbe dall’Operazione è risultato marginale (intorno al 2%, derivante da Poste) e non tale da incidere significativamente sugli equilibri concorrenziali. L’AGCM ha sottolineato, in particolare, la progressiva erosione delle quote di TIM e la crescente pressione competitiva esercitata da FW+VO (ora secondo operatore con il 28%) e dagli altri player, in un contesto di riduzione strutturale del potere di mercato dell’ex incumbent.
Per quanto concerne i profili verticali, l’attenzione si è concentrata sulla possibilità che TIM possa sfruttare la capillare rete di sportelli postali (oltre 12.000) per veicolare i propri servizi di telecomunicazioni. L’AGCM ha tuttavia ritenuto che la progressiva digitalizzazione delle modalità di attivazione e la replicabilità dei canali fisici multimarca riducano sensibilmente il rischio di foreclosure. Difatti, le scelte dei consumatori in materia di telecomunicazioni dipendono ormai principalmente dal prezzo più vantaggioso, più che dal canale distributivo.
I concorrenti avevano inoltre lamentato il rischio che TIM potesse acquisire i dati personali della clientela di Poste attraverso la piattaforma informatica di quest’ultima. L’AGCM ha innanzitutto osservato che la loro condivisione configurerebbe una violazione della normativa in materia di tutela dei dati personali e che Poste, in ogni caso, ha espressamente dichiarato che tali informazioni non verranno condivise con TIM.
In relazione ai possibili effetti conglomerali, connessi a eventuali strategie di bundling che l’entità risultante dalla concentrazione potrebbe adottare tra i servizi di TIM e l’offerta postale, finanziaria o assicurativa di Poste, il rischio per l’AGCM sarebbe particolarmente remoto. Ciò, anche in ragione del limitato successo dei precedenti tentativi di Poste di vendere in bundling i suoi servizi di telecomunicazioni e gli altri servizi, nonché delle stesse dichiarazioni di Poste che ha escluso, per l’intera durata del piano industriale 2024-2028, di voler proporre pacchetti integrati.
Anche nei mercati dei servizi di telefonia mobile al dettaglio e di accesso all’ingrosso alla rete mobile, l’incremento della quota congiunta di Poste e TIM è stato valutato come limitato e non idoneo a ridurre la pressione concorrenziale, mantenendo inalterata la struttura dell’offerta a quattro operatori infrastrutturati (MNO), oltre che la presenza di numerosi MVNO (ossia operatori “virtuali”). Infine, neppure nei settori postali, logistici, finanziari e assicurativi sono emerse criticità di natura concorrenziale da parte dell’AGCM.
L’AGCM nel caso di specie è stata particolarmente attenta non solo a valutare gli effetti della concentrazione sulla base degli scenari attuali, ma anche tenendo conto di possibili sviluppi futuri e di come questi siano ad oggi valutati dalle società interessate dall’operazione. In tal senso, sarà interessante valutare se Poste terrà fede alle assicurazioni fornite all’AGCM, tenuto conto della decisione di quest’ultima di non avviare alcuna indagine approfondita e, pertanto, di non poter anche considerare l’ipotesi di misure vincolanti, stante il fatto che nel sistema nazionale non è possibile procedere in questo senso in assenza di una Fase II.
Daria Zumbo e Fabio Bifarini
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Appalti, concessioni e regolazione / Concessioni ed equilibrio economico finanziario – Il piano economico finanziario può essere sintetico e non è sempre necessaria una disamina analitica delle singole voci di costo e di entrata
Con la sentenza del 28 agosto 2025, il Consiglio di Stato (CdS) ha rigettato l’appello di una società che contestava l’aggiudicazione di una concessione lamentando una manifesta inadeguatezza nel Piano economico finanziario (PEF) del concorrente vincitore. Il CdS ha ricordato come la valutazione di adeguatezza del PEF ricada in una sfera di ampia discrezionalità dell’amministrazione, di regola non sindacabile in sede giurisdizionale.
Nel dicembre 2023, il Comune di Abbasanta (il Comune) ha bandito una gara per l’aggiudicazione di una concessione di servizi per la gestione del Parco archeologico di Nuraghe Losa. Tale concessione riguardava non solo la mera gestione dell’area e l’assistenza ai visitatori, ma anche tutta una serie di servizi aggiuntivi di natura commerciale quali, ad esempio, il punto ristoro, il bookshop, i parcheggi e varie iniziative culturali.
Paleotour Società Cooperativa (Paleotour) si è aggiudicata la concessione, superando di pochi punti l’unica altra concorrente, Promakos s.c.a.r.l. (Promakos). Promakos ha contestato la decisione del Comune e presentato ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna, che lo ha tuttavia rigettato. La controversia è dunque giunta al CdS.
La principale censura di Promakos riguardava l’assenza, nell’offerta di Paleotour, di un PEF adeguato a dimostrare la sostenibilità economico finanziaria del progetto. In particolare, Promakos ha contestato che il PEF di Paleotour non contenesse una disamina specifica delle singole voci di costo e dei ricavi stimati. Secondo Promakos, Paleotour si sarebbe limitata ad una rappresentazione generale di costi e ricavi relativi all’intero periodo di durata della concessione, rappresentando un incremento medio annuo del fatturato (del 7%) senza fornire alcuna spiegazione concreta su tale stima.
Il CdS ha tuttavia respinto tale censura. In primo luogo, il CdS ha ricostruito le finalità del PEF quale strumento volto a garantire la sostenibilità economica finanziaria della concessione da aggiudicare. Il CdS ha ricordato come, in sostanza, il PEF vada ad accertare che il rischio operativo trasferito dall’amministrazione concedente al soggetto concessionario non sia un rischio sproporzionato. Infatti, l’amministrazione ha la necessità di verificare che la concessione sia profittevole per il concessionario, che sarà di conseguenza in grado di garantire lo svolgimento del servizio per tutta la durata concordata.
In secondo luogo, il CdS ha sottolineato come, per costante giurisprudenza, la valutazione sull’idoneità del PEF a garantire la sostenibilità dell’offerta sia riservata all’amministrazione. Il giudice amministrativo, al contrario, non può sindacare tale valutazione se non in ipotesi limite di “manifesta e macroscopica erroneità o irragionevolezza”.
In tale contesto, il CdS ha ritenuto che, nel caso di specie, la decisione del Comune fosse priva di errori macroscopici. Ad avviso del CdS, il PEF di Paleotour conteneva tutti i dati necessari al Comune per valutare la sostenibilità del progetto, seppur in maniera non analitica, ma solo sintetica. Inoltre, i dati contenuti nel PEF erano quelli esplicitamente richiesti dalla documentazione di gara.
La sentenza si inserisce nel contesto di una giurisprudenza consolidata in tema di concessioni, che lascia ampio spazio all’amministrazione nella valutazione del PEF. Resta aperto il tema di quali siano i limiti estremi di questa discrezionalità, in presenza di errori o irragionevolezza manifesti.
Massimiliano Gelmi
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Legal News / DSA e settore dei social network – Il Tribunale dell’UE annulla la decisione della Commissione che determinava il contributo dovuto da TikTok ai sensi del DSA
Con la sentenza del 10 settembre 2025, il Tribunale dell’Unione europea (il Tribunale) ha annullato la decisione della Commissione indirizzata a TikTok Technology Ltd (la Società), con la quale era stato determinato il contributo dovuto da quest’ultima ai sensi dell’Art. 43(3) del regolamento (UE) n. 2022/2065 (il Digital Services Act o DSA).
Nell’aprile 2023, la Commissione, ai sensi dell’Art. 33 DSA, aveva designato la Società come “piattaforma online di dimensioni molto grandi” (PMG), ossia una delle categorie di soggetti per il quali il DSA prevede una specifica disciplina. Ogni PMG, in forza dell’Art. 43(3) DSA, è inoltre tenuta al pagamento di un contributo destinato a finanziare le attività di sorveglianza della Commissione nell’ambito del DSA medesimo. Tale disposizione stabilisce che la metodologia di calcolo del contributo debba essere definita mediante atto delegato, mentre il relativo ammontare è successivamente determinato da un atto esecutivo della Commissione. Inoltre, l’importo deve essere proporzionale ad un indice specifico per ciascuna piattaforma, corrispondente al numero medio mensile di destinatari attivi nella piattaforma (l’Indice), la cui metodologia di calcolo può essere determinata dalla Commissione sempre tramite atto delegato, ai sensi dell’Art. 33 DSA.
In attuazione dell’Art. 43 DSA, nel marzo 2023 la Commissione aveva adottato il regolamento delegato n. 2023/1127 (il Regolamento Delegato), volto a precisare la metodologia di calcolo dei contributi. Il successivo novembre 2023, la Commissione aveva poi adottato l’atto esecutivo di determinazione del contributo (la Decisione), allegandovi una metodologia di calcolo dell’Indice.
La Società ha impugnato davanti al Tribunale la Decisione, lamentandone diversi profili di illegittimità.
Con un primo punto, la Società contestava alla Commissione di aver determinato l’importo del contributo sulla base di una metodologia di calcolo dell’Indice che non è prevista dal DSA. Secondo la Società, infatti, in assenza di un atto delegato che definisse tale metodologia, la Commissione avrebbe dovuto limitarsi a utilizzare i dati forniti dalle PMG ai sensi dell’Art. 24(2) DSA. Sul punto, tuttavia, il Tribunale, rigettando il motivo, ha rilevato come il DSA in nessun punto precluda alla Commissione l’adozione di una specifica metodologia.
La Società lamentava poi la violazione delle disposizioni procedurali prescritte dal DSA, dalle quali la Commissione avrebbe deviato a tal punto da sostanzialmente “riscrivere” l’iter procedimentale. In particolare, la violazione sarebbe derivata dall’allegazione alla Decisione di un documento contenente il metodo di calcolo dell’Indice, il quale, secondo la Società, avrebbe dovuto essere adottato mediante atto delegato – come prescritto dall’Art. 43 DSA – anziché tramite atto di esecuzione.
Al riguardo, il Tribunale ha ritenuto che, nonostante l’Art. 43 DSA nulla dica sulla determinazione dell’Indice, l’Indice e il contributo sono inscindibilmente correlati. Infatti, la disposizione richiede che il contributo sia proporzionale all’Indice, il che implica che quest’ultimo costituisca il presupposto del contributo stesso. Di conseguenza, il Tribunale ha ritenuto che l’Art. 43 DSA debba essere letto congiuntamente all’Art. 33(3) DSA: il loro combinato disposto imporrebbe alla Commissione di adottare mediante atto delegato una metodologia non solo per la determinazione del contributo, ma anche per il calcolo dell’indice. Ne discende che la Decisione della Commissione, con la quale la metodologia di calcolo dell’Indice è stata adottata tramite atto esecutivo anziché delegato, debba considerarsi illegittima.
Alla luce di tali conclusioni, il Tribunale ha disposto l’annullamento del provvedimento, pur salvandone temporaneamente gli effetti, di modo da garantire l’attuazione del DSA e il finanziamento delle attività di sorveglianza della Commissione.
La pronuncia – la prima in materia di contributi previsti dal DSA – pur focalizzata su aspetti puramente procedurali, risulta interessante per quanto concerne i metodi di calcolo del contributo e l’interpretazione delle disposizioni attinenti al calcolo dell’indice, che – tra l’altro – non solo condizionano l’ammontare del contributo, ma anche l’ambito applicativo del DSA.
Samuel Scandola e Luca Giacomello