Diritto della concorrenza - Europa / Risarcimenti del danno antitrust e settore alberghiero – L’AG Szpunar chiarisce l’interpretazione della Direttiva Danni sul livello di plausibilità richiesto per l’accesso alle prove
A valle della decisione della Commissione Europea (la Commissione) del febbraio 2020, con la quale era stato accertato che Meliá Hotel International S.A. (Meliá Hotel) aveva concluso accordi in violazione dell’art. 101 TFEU, che limitavano la facoltà degli operatori turistici di vendere liberamente le sistemazioni alberghiere in tutti i paesi del SEE, l’associazione Ius Omnibus (Ius Omnibus) – che tutela i diritti dei consumatori – ha presentato un’azione civile per accedere ad alcuni documenti detenuti da Meliá Hotel allo scopo di determinare e provare, da un lato, gli effetti della pratica anticoncorrenziale accertata dalla Commissione e, dall’altro, quantificare il danno causato ai consumatori da tale pratica. Tale domanda era funzionale all’eventuale proposizione di un’azione collettiva per il risarcimento del danno.
La vicenda è stata esaminata, in ultima istanza, dalla Corte Suprema del Portogallo, che si è rivolta alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (la CGUE) con un rinvio pregiudiziale. In tale contesto, l’Avvocato Generale Maciej Szpunar (AG) ha rassegnato le sue conclusioni, chiarendo alcuni principi giuridici di particolare interesse in ordine all’interpretazione della Direttiva 2014/104/UE (la Direttiva Danni) .
In primo luogo, l’AG ha chiarito che, anche supponendo che la Direttiva Danni riguardi unicamente domande presentate nell’ambito di un’azione per il risarcimento del danno, una siffatta richiesta di accesso a documentazione, presentata, tecnicamente, prima della proposizione dell’azione per il risarcimento del danno, è comunque tale, in virtù del collegamento funzionale, da rientrare nell’ambito di applicazione della Direttiva Danni.
In secondo luogo, l’AG ha chiarito che l’articolo 5(1) della Direttiva Danni deve essere interpretato nel senso che una decisione che constata una violazione del diritto della concorrenza (diversa dai cartelli anticoncorrenziali, per i quali l’articolo 17(2) della Direttiva Danni stabilisce una specifica presunzione relativa secondo cui tali violazioni causano un danno) non è di per sé sufficiente a dimostrare la plausibilità di una domanda di risarcimento del danno.
Infine, l’AG si è pronunciato sul livello di prova richiesto per accedere ai documenti utili a una possibile azione di risarcimento ai sensi della Direttiva Danni. L’AG ha chiarito che non è necessario dimostrare che è “più probabile che improbabile” (c.d. bilanciamento delle probabilità) che si sia verificato un danno; al contrario, per assicurare un adeguato livello di tutela, è sufficiente che l’allegazione sia, o sembri essere, ragionevole o accettabile. Resta naturalmente da vedere se la CGUE confermerà l’approccio suggerito dall’AG.
Frankie Fabbrocini
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Tutela del consumatore / Pratiche commerciali scorrette e servizi finanziari digitali – L’AGCM sanziona Poste Italiane per aver vincolato l’utilizzo delle App Banco Posta e Postepay al rilascio dell’autorizzazione al trattamento dei dati del proprio smartphone
Con il provvedimento dello scorso 20 maggio, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha irrogato una sanzione pari a 4 milioni di euro a Poste Italiane S.p.A. (Poste Italiane) per aver messo in atto pratiche commerciali aggressive ai sensi degli articoli 20, 24 e 25 del Codice del consumo.
A partire da aprile 2024, Poste Italiane aveva infatti subordinato la possibilità di accedere alle App Banco Posta e Postepay al rilascio del consenso al trattamento di dati personali inerenti l’utilizzo di altre applicazioni, con il dichiarato obiettivo di garantire una maggiore tutela da truffe, malware e virus. In assenza di tale autorizzazione, l’accesso alle App in questione è stato inizialmente limitato e successivamente negato del tutto, con la conseguenza che i consumatori che avevano rifiutato le condizioni potevano usufruire del servizio esclusivamente mediante browser oppure recandosi fisicamente presso il BancoPosta. Tale misura, limitata agli utenti aventi un dispositivo Android che, in quanto dotato di un sistema open-source sarebbe – secondo Poste Italiane – maggiormente soggetto ad attacchi informatici, è stata oggetto di istruttoria da parte dell’AGCM, nel corso della quale Poste Italiane ha rimosso la condizione suddetta, confermando che avrebbe comunque assicurato un’idonea protezione dalle frodi informatiche anche agli utenti che avessero scelto di non acconsentire al trattamento dei dati personali.
Dopo aver concluso per l’applicabilità della disciplina del Codice del consumo, ritenendo a tal fine irrilevante il fatto che la raccolta dei dati non avesse finalità commerciali, l’AGCM ha proceduto alla valutazione della proporzionalità della misura in questione, che Poste Italiane dichiarava essere stata adottata al fine di ottemperare agli obblighi imposti dalla c.d. Payment Services Directive e dagli standard tecnici codificati dal Regolamento UE 2018/389.
Interessante notare come la rimozione della condotta in questione, presumibilmente diretta a limitare l’esposizione di Poste Italiane, sia stata valutata negativamente dall’AGCM in quanto il fatto stesso di aver rimosso l’obbligo del consenso circa un anno dopo averlo imposto è stato ritenuto espressivo della possibilità di perseguire le stesse finalità attraverso modalità che comportassero una lesione meno intensa della privacy degli utenti. La condotta è stata quindi giudicata aggressiva, poiché limitativa dell’utilizzo dei servizi mediante App, non essendo tale metodo di accesso intercambiabile con gli altri disponibili in ragione della sua particolare intuitività e praticità. È stato inoltre osservato il mancato rispetto dell’elevato standard di diligenza professionale richiesto agli operatori del settore finanziario, non avendo garantito agli utenti un’informativa sufficientemente dettagliata riguardo le modalità di utilizzo dei dati acquisiti.
Resta da vedere se tale impostazione, particolarmente restrittiva, sarà confermata a valle di una probabile impugnazione dinanzi al Giudice amministrativo.
Daria Vescovi
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Appalti, concessioni e regolazione / Appalti pubblici e procedure di gara – Il Consiglio di Stato chiarisce ammissibilità e limiti del soccorso istruttorio in caso di mancato versamento del contributo ANAC
Con la sentenza dello scorso 9 giugno, il Consiglio di Stato (CdS) ha respinto il ricorso presentato dall’Autorità Nazionale anticorruzione (ANAC) accogliendo le ragioni dell’operatore economico escluso dalla gara a causa del mancato pagamento del contributo ANAC.
La controversia sorge in relazione a una gara bandita da un’azienda ospedaliera nel cui disciplinare era fissato l’obbligo di effettuare, a pena di esclusione, il pagamento del contributo ANAC prima della scadenza del termine di presentazione della domanda.
AB Medica (AB) presentava un’offerta non corredata da ricevuta di pagamento per cui il responsabile unico del procedimento attivava il soccorso istruttorio chiedendo ad AB di integrare la domanda di partecipazione.
In seguito, l’azienda ospedaliera escludeva AB rilevando che dalle ricevute il pagamento risultava effettuato oltre il termine di presentazione della domanda. AB chiedeva l’annullamento in autotutela della determinazione rilevando la nullità della clausola del disciplinare per violazione del principio di tassatività delle cause di esclusione, fissato all’articolo 83 del Codice dei contratti pubblici. L’azienda ospedaliera respingeva l’istanza affermando come il pagamento fosse per legge una condizione di ammissibilità dell’offerta e che il soccorso istruttorio avrebbe consentito solo il deposito della ricevuta di un pagamento già avvenuto nel rispetto del termine. Il TAR Lazio accoglieva il ricorso di AB, affermando che il versamento potesse esser tardivo e sanabile attraverso il soccorso istruttorio in quanto elemento estraneo al contenuto dell’offerta.
La sentenza del TAR è stata impugnata e, nel giudizio d’appello, il Consiglio di Stato ha rimesso la questione all’Adunanza Plenaria.
Nel definire il giudizio, la sentenza dell’Adunanza Plenaria richiama i due contrastanti orientamenti in ordine all’obbligo di versamento del contributo ANAC e alla sua incidenza sulla procedura di gara: il primo qualifica il pagamento come condizione di ammissibilità essenziale, non sanabile e idonea a determinare, in caso di sua assenza, l’automatica esclusione dell’operatore. Il secondo orientamento ammette l’adempimento tardivo sul presupposto che l’obbligo di versamento non attiene al contenuto dell’offerta tecnica ed economica.
L’Adunanza Plenaria aderisce al secondo orientamento, affermando come i requisiti di partecipazione debbano esser distinti in requisiti “intrinseci”, funzionali alla tutela degli interessi pubblici propri della procedura di gara — ossia la tutela della concorrenza, del buon andamento dell’attività amministrativa e il perseguimento di politiche economiche e sociali — e requisiti “estrinseci”.
I requisiti “intrinseci” devono necessariamente esser posseduti alla scadenza della presentazione della domanda e solamente per questi vige il principio di tassatività, non potendo la stazione appaltante prevedere ulteriori prescrizioni a pena di esclusione. Al contrario, i requisiti “estrinseci” sono funzionali all’attuazione di interessi pubblici differenti (nel caso specifico garantire il finanziamento dell’ANAC). Conseguentemente non è necessario fissare una preclusione temporale tanto rigida alla sanabilità mediante soccorso istruttorio.
Richiamando i principi di ragionevolezza e proporzionalità, l’Adunanza Plenaria ha affermato che l’esclusione automatica dell’operatore a fronte del mancato adempimento entro il termine di presentazione della domanda risulta non adeguata, non necessaria e non tollerabile. Viene sancito il principio di diritto per cui, finché non vi è prova dell’avvenuto pagamento del contributo ANAC, vige il divieto di esaminare l’offerta e, se l’irregolarità permane a seguito di soccorso istruttorio, la stazione appaltante deve dichiararla inammissibile. Si ammette quindi che il pagamento avvenga anche dopo il termine di presentazione della domanda, purché prima del momento di valutazione dell’offerta.
In questo modo l’Adunanza Plenaria ha risolto un annoso contrasto giurisprudenziale in relazione alla qualificazione e alle implicazioni del mancato versamento del contributo ANAC, bilanciando la finalità di massimizzazione della partecipazione degli operatori economici, anche a fronte di irregolarità formali, con l’esigenza di garantire il finanziamento dell’ANAC.
Laura Pagliuso
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