Tutela del consumatore / Pratiche commerciali scorrette e comparatori online – Il TAR Lazio respinge il ricorso di Supermoney avverso una sanzione dell’AGCM per pratiche ingannevoli
Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio (TAR Lazio) ha respinto il ricorso proposto dalla società Supermoney S.p.A. (Supermoney) per annullare la sanzione di circa 1.5 milioni di euro irrogatale dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) per aver realizzato una pratica commerciale scorretta.
In particolare, Supermoney, attraverso la sua piattaforma web, offre un servizio di comparazione di offerte commerciali di fornitura di energia elettrica e gas. A seguito delle indagini dell’AGCM, è emerso come Supermoney operasse in favore dei suoi partner commerciali in qualità d’intermediario, pubblicizzando possibili risparmi senza però effettivamente spiegare i parametri di calcolo utilizzati e omettendo i criteri alla base del ranking delle offerte presentate.
Il ricorso presentato da Supermoney si era fondato su tre motivi principali: (i) un’errata valutazione, da parte dell’AGCM, della condotta, (ii) il mancato apprezzamento degli impegni proposti da Supermoney e delle condotte perseguite per eliminare o attenuare l’infrazione, nonché (iii) l’eccessivo ammontare della sanzione.
Innanzitutto, Supermoney ha evidenziato come sulla home page del sito web vi fosse un elenco completo dei suoi partner commerciali, e quindi il fatto che agisse come intermediario fosse palese. Oltretutto, qualora il consumatore avesse scelto una delle offerte presenti sul sito, avrebbe comunque ottenuto un risparmio economico, a prescindere dal fatto che conoscesse o meno i parametri per la determinazione del ranking.
Nel rigettare tali argomentazioni, il TAR Lazio ha innanzitutto evidenziato come la condotta in esame si collocasse in un “periodo temporale peculiarissimo, caratterizzato dall’aumento sensibile dei costi di approvvigionamento delle risorse energetiche”, da cui “l’esigenza di informare i consumatori in modo trasparente circa la convenienza delle varie offerte presente sul mercato”. Il TAR Lazio ha poi rilevato come Supermoney avesse “…mancato di informare il pubblico in ordine alla reale natura e finalità dell’attività svolta, atteso che essa agiva, senza che i consumatori ne fossero consapevoli, solo quale intermediario commerciale di alcuni fornitori di energia elettrica e gas”.
Il TAR Lazio ha altresì osservato come lo stesso conseguimento di un risparmio nella misura indicata nel messaggio pubblicitario fosse ambiguamente rappresentato, perché in effetti la comparazione veniva effettuata solo tra gli operatori con i quali la società ricorrente intratteneva rapporti di collaborazione (che rappresentavano solo circa il 50% del mercato). Si trattava, quindi, di risparmi non assoluti ma relativi, perché calcolati solo su una ben precisa e delimitata base di offerte.
In merito al mancato apprezzamento degli impegni presentati e alle condotte poste di essere da Supermoney, il TAR Lazio ricorda la discrezionalità sul punto di cui gode l’AGCM, la quale – sempre secondo il TAR Lazio – poteva legittimamente adottare una sanzione sia per fini di deterrenza, sia per l’inadeguatezza degli impegni proposti. Riguardo alle condotte “riparatorie”, il fatto che Supermoney le avesse realizzate a ridosso della potenziale sanzione non è stato riconosciuto dal TAR Lazio come sufficiente a giustificare una riduzione della sanzione in questione. Diversa sarebbe stata la valutazione qualora tali condotte fossero state poste in essere spontaneamente e prima che si fosse aperto il procedimento sanzionatorio.
Sull’ammontare della sanzione, invece, Supermoney ha evidenziato come la società fosse ancora poco conosciuta sul mercato e, in quanto tale, l’impatto della sua condotta era meno grave di quanto ritenuto dall’AGCM. Il TAR Lazio ha rigettato tale argomentazione ritenendo il calcolo svolto dall’AGCM in linea con la gravità, la diffusione e la durata della violazione. La condotta di Supermoney dev’essere infatti ricondotta, secondo il TAR Lazio, a un “illecito di pericolo” e, in quanto tale, ciò che conta è la sua potenzialità dannosa in un settore “nevralgico” come quello dell’energia.
Il TAR Lazio, nel rigettare il ricorso, ha altresì evidenziato che “l’ingannevolezza del messaggio non poteva essere neutralizzata dal fatto che in calce alla pagina web del professionista fosse presente una nota metodologica sulla modalità di calcolo delle ipotesi di risparmio”. La sentenza in commento, soggetta a impugnativa innanzi al Consiglio di Stato, si basa quindi sul principio giurisprudenziale consolidato secondo cui l’informativa dev’essere trasparente fin dal primo contatto con il consumatore. Interessante notare come tale parametro sia interpretato in maniera particolarmente rigorosa anche in considerazione della particolare centralità del settore interessato e della necessità di tutela dei consumatori in un contesto di generalizzato aumento dei prezzi. Sicuramente un punto molto utile da tenere presente in un’ottica di compliance.
Giacomo Perrotta
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Pratiche commerciali scorrette e telemarketing – Il CdS ha parzialmente ridotto la sanzione irrogata dall’AGCM ad alcune società per condotte poste in essere per conto di Enel
Con la sentenza del 29 aprile 2025, il Consiglio di Stato (CdS) ha parzialmente accolto l’appello proposto da due partner commerciali di Enel Energia S.p.A. (Enel Energia), attive nel settore del telemarketing (le Appellanti), contro una decisione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) che aveva irrogato loro una sanzione complessiva di un milione di euro per pratiche commerciali scorrette.
Il procedimento, avviato il 16 novembre 2021, si era concluso con l’accertamento da parte dell’AGCM di alcune pratiche commerciali scorrette poste in essere tra il 6 luglio 2021 e il 31 marzo 2022, in un contesto particolarmente sensibile, coincidente con la fase di progressiva ulteriore liberalizzazione del mercato dell’energia. Tale processo ha nel tempo dato il via a un’offerta crescente e spesso complessa di soluzioni contrattuali rivolte a consumatori già serviti nel regime c.d. tutelato (ossia, a prezzi amministrati), i quali si sono trovati pertanto ad agire in condizioni che il CdS qualifica di “…razionalità limitata […] in un contesto caratterizzato da un elevato livello di disinformazione e da una scarsa capacità di comprensione delle offerte…”.
Le Appellanti, una controllante e la sua controllata, operavano come intermediari per la promozione di contratti con Enel Energia. L’istruttoria ha evidenziato che le agenzie e sub-agenzie incaricate diffondevano messaggi ingannevoli ai consumatori, sostenendo inter alia la necessità di sottoscrivere un contratto nel mercato libero con Enel Energia. In caso di manifestazione d’interesse, il consumatore veniva ricontattato da Enel Energia, che formulava un’offerta. È inoltre emerso che le due società si avvalevano anche di sub-agenti non autorizzati, senza aver predisposto controlli efficaci sull’attività svolta.
Le Appellanti hanno impugnato la sanzione prima davanti al TAR Lazio, che ha respinto il ricorso, e successivamente al CdS, con appello depositato il 14 gennaio 2024. Con il primo motivo, le Appellanti hanno dedotto che l’AGCM non avrebbe adeguatamente provato le condotte configuranti la pratica commerciale scorretta addebitata, né avrebbe dimostrato il mancato rispetto degli standard di diligenza professionali richiesti nel controllo dell’operato dei propri subagenti. Il CdS ha respinto queste censure, ritenendo che l’AGCM avesse adeguatamente documentato i rapporti tra le Appellanti e i subagenti che avevano concretamente contattato i consumatori, confermando la responsabilità delle Appellanti per non aver adottato sistemi di vigilanza adeguati allo scopo di prevenire le condotte scorrette.
Il secondo motivo d’impugnazione ha riguardato la quantificazione della sanzione. Le Appellanti hanno contestato che l’AGCM, pur qualificandole come un unico soggetto ai fini della responsabilità, ne abbia considerato separatamente i fatturati, trattandole come entità autonome dal punto di vista economico e duplicando di fatto l’unico fatturato rilevante, considerato che una società controllava l’altra al 91%. Il CdS, accogliendo tale motivo, ha rilevato che nel periodo oggetto d’istruttoria l’attività era esercitata di fatto da un’unica società, e che la sanzione avrebbe dovuto essere parametrata unicamente a tale fatturato (relativo all’unica prestazione effettuata a favore di Enel Energia).
Il CdS ha inoltre accolto la censura contro la sanzione anche sotto un diverso profilo, riscontrando una disparità di trattamento non adeguatamente giustificata: a parità di condotte e periodo, altre società erano state sanzionate con una percentuale pari al 5% del fatturato, mentre nel caso di specie era stata applicata una percentuale superiore al 10%, senza che ciò fosse stato adeguatamente motivato. L’AGCM si era, infatti, limitata a richiamare la discrezionalità nella determinazione della sanzione, senza chiarire i motivi della differenza. Secondo il CdS, questa incoerenza ha evidenziato un vizio di motivazione da parte dell’AGCM, che comporta la necessità di riesaminare e rideterminare la sanzione. L’appello è stato quindi accolto parzialmente, limitatamente a questo punto.
Ancora una volta le decisioni dell’AGCM in relazione al settore energetico vengono nella sostanza confermate dalla giustizia amministrativa laddove incidano sulla comprensione ridotta, da parte dei consumatori a causa della c.d. “bounded rationality” degli stessi, al fine di valutare la convenienza di un input essenziale.
Matilde Giubilei
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Appalti, concessioni e regolazione / Affidamenti diretti e settore dei servizi informatici – Il CdS domanda alla CGUE se sia compatibile con il diritto UE l’affidamento diretto della gestione archivistica della tassa automobilistica regionale
Con l’ordinanza del 5 maggio 2025, il Consiglio di stato (CdS) ha rinviato alla Corte di Giustizia (CGUE) una questione interpretativa in merito alla riconduzione di un accordo di cooperazione tra amministrazioni, ai sensi del d.l. 124/2019, agli accordi paritetici di cui alla direttiva 2014/24/UE, che consentono di non applicare la disciplina sugli appalti pubblici.
La vicenda trae origine dall’affidamento diretto ad ACI – Automobile Club d’Italia (ACI) del servizio di gestione, controllo e aggiornamento dell’archivio delle tasse automobilistiche della Regione Umbria, nonché di un accordo di cooperazione tra la Regione Umbria e ACI. In particolare, Ge.Fi.L – Gestione Fiscalità Locale S.p.A. aveva impugnato l’affidamento diretto in quanto incompatibile con le norme sugli appalti pubblici.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Umbria aveva accolto il ricorso. La Regione Umbria ha dunque presentato appello al CdS.
Il tema principale trattato nel giudizio di appello concerne la natura dell’accordo di cooperazione tra la Regione Umbria e ACI per la gestione diretta del servizio. Tale accordo si fonderebbe sull’articolo 51, commi 2-bis e 2-ter, del decreto-legge n. 124/2019, che consente alle Regioni di operare la gestione dei propri archivi delle tasse automobilistiche “anche mediante la cooperazione, regolata da apposito disciplinare, del soggetto gestore del pubblico registro automobilistico” (nel caso di specie, ACI).
Il decreto in questione, in particolare, è stato emanato successivamente ad una pronuncia della CGUE relativa alla causa C-618/2019 che, in tema di gestione della tassa automobilistica, aveva affermato che la direttiva 2014/21/UE preclude l’affidamento diretto di appalti di servizi relativi alla gestione della tassa automobilistica all’ente pubblico non economico che ha il compito di gestire il pubblico registro automobilistico.
In tale contesto, il CdS ha riscontrato un dubbio interpretativo. Da un lato, infatti, il caso di specie e quello già esaminato dalla CGUE non coincidono pienamente. Infatti, mentre la pronuncia della CGUE si riferisce all’affidamento diretto della gestione della tassa automobilistica, l’accordo di cooperazione tra Regione Umbria e ACI, oggetto del giudizio di appello, riguarderebbe esclusivamente l’affidamento diretto del servizio di gestione dell’archivio informatico regionale.
Dall’altro lato, però, il CdS si chiede se tale accordo di cooperazione, legittimo in quanto conforme ai dettami del decreto-legge n. 124/2019, sia o meno compatibile con l’interpretazione della CGUE della direttiva 2014/24/UE, che regola l’esclusione degli accordi di cooperazione tra amministrazioni dall’ambito di applicabilità della normativa sugli appalti pubblici.
Infatti, il CdS ha analizzato la natura giuridica di tale accordo, evidenziando delle perplessità in merito alla sua classificazione quale “accordo paritetico tra amministrazioni”. Gli accordi paritetici, infatti, sono caratterizzati dalla cooperazione tra amministrazioni per il perseguimento di interessi reciproci. È quantomeno dubbio se un accordo che prevede, dietro pagamento di un corrispettivo, l’affidamento di un servizio nell’interesse esclusivo dell’ente affidante, possa qualificarsi come accordo di cooperazione tra amministrazioni.
La possibilità di concludere tali accordi soddisfacendo al tempo stesso le condizioni di esenzione dalla gara stabilite dalla direttiva 2014/24/UE viene dunque sottoposta al sindacato della CGUE, sospendendo conseguentemente il relativo giudizio di appello.
Maria Elena Ardita
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Legal News / Golden Power e telecomunicazioni – Il TAR Lazio respinge il ricorso di Tim, sanzionata per non aver notificato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri l’acquisizione del controllo da parte di Vivendi
Il 19 marzo 2025 il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (TAR Lazio) ha respinto il ricorso di Tim S.p.A. (Tim), con cui la società intendeva ottenere l’annullamento della sanzione irrogatale dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri (PdC), per non aver notificato a quest’ultima l’acquisizione della partecipazione dominante di Vivendi société anonyme (Vivendi) nel capitale di Tim.
La vicenda tra origine dalle deliberazioni dell’assemblea ordinaria di Tim, a seguito delle quali – secondo la PdC – Vivendi aveva ottenuto, il 4 maggio del 2017, il controllo su due terzi del consiglio d’amministrazione. Nel mese di luglio del medesimo anno, il Ministero dello Sviluppo Economico comunicava tale circostanza al gruppo di coordinamento interministeriale. Ciò determinava l’avvio del procedimento d’esercizio dei poteri speciali (c.d. golden power) da parte della PdC, volto a verificare se il descritto mutamento del controllo avesse avuto luogo in relazione ad attivi strategici nel settore delle telecomunicazioni.
All’esito del procedimento, a settembre del 2017, la PdC notificava a Tim l’accertamento della sussistenza dell’obbligo di notifica del mutamento di controllo alla PdC, in applicazione della normativa golden power. Successivamente, a maggio del 2018, la PdC irrogava a Tim una sanzione di 74 milioni di euro per non aver esperito tempestivamente tale notifica. La sentenza in commento, pronunciata all’esito del ricorso di Tim, è rilevante principalmente per quattro motivi.
Innanzitutto, il TAR Lazio ha confermato l’obbligo di notifica anche laddove il controllo sia acquisito da società aventi sede all’interno dell’Unione europea (UE).
In secondo luogo, i giudici amministrativi hanno confermato che, nel caso di specie, i dieci giorni entro cui effettuare la notifica hanno cominciato a decorrere dall’esito dell’assemblea ordinaria, durante la quale la lista di amministratori proposta da Vivendi è stata approvata a maggioranza. Ciò in quanto è questo l’evento che ha determinato il mutamento nel controllo degli asset e, pertanto, il sorgere dell’obbligo di notifica. In proposito, il TAR Lazio ha osservato come il 30 maggio 2017 la Commissione europea avesse considerato Vivendi controllante Tim e, di conseguenza, controllante anche i suoi attivi strategici: pertanto, anche a voler avallare un’interpretazione più favorevole per la parte sanzionata, è – secondo il TAR Lazio – evidente che almeno da tale data Tim fosse consapevole (o avrebbe dovuto essere consapevole) di dover procedere alla notifica.
In terzo luogo, il TAR Lazio – respingendo gli argomenti di Tim – ha considerato non problematica la scissione dell’azione amministrativa in due provvedimenti (l’accertamento a settembre del 2017 e l’irrogazione della sanzione a maggio del 2018), ancorché relativamente distanti tra loro. I giudici, infatti, hanno sottolineato che l’obbligo di contestazione tempestiva – da assolvere entro 90 giorni dall’“accertamento”, ex art. 14 della l. 689/2014 – è soddisfatto già nel momento in cui la PdC contesta a una società la notificabilità della modifica del controllo sugli asset strategici entro 90 giorni da quando l’amministrazione ha avuto notizia dei presupposti per l’applicazione dei propri poteri speciali (nel caso di specie, a luglio del 2017).
Infine, sono di particolare interesse le considerazioni svolte dal TAR Lazio in ordine alla quantificazione della sanzione. In particolare, il TAR Lazio osserva come “nel provvedimento vengano considerati solo i ricavi realizzati attraverso gli attivi strategici, escludendo quelli ottenuti per mezzo dell’ordinaria attività d’impresa: si tratta di un atteggiamento di self restraint dell’amministrazione che appare pienamente legittimo, attesa l’ispirazione a principi di proporzionalità e ragionevolezza della sanzione”, ricordando altresì come “perfettamente logico e coerente è l’impiego, per via analogica, alle linee guida che per quantificazione [sic] delle sanzioni da parte dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato per le ipotesi di illeciti antitrust”. Interessante è altresì l’attenzione a scongiurare comportamenti opportunistici considerando quindi anche le operazioni infragruppo, atteso che altrimenti si rischierebbe di favorire condotte che renderebbero inefficace la sanzione (e.g. facendo passare l’operazione per una società veicolo con fatturato nullo).
Nel complesso, la sentenza è certamente di notevole interesse, in quanto sono molto rare le circostanze in cui è possibile avere chiarezza su considerazioni di carattere procedurale di tale importanza, anche con riferimento alle modalità di calcolo delle sanzioni. Resta da vedere se la pronuncia sarà confermata dal Consiglio di Stato, all’esito di un possibile appello.
Riccardo Ciani
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