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  3. Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione - 12 maggio 2025
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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione - 12 maggio 2025
May 12 2025

Diritto della concorrenza – Europa  / Concentrazioni e linee guida della Commissione – Pubblicati sette approfondimenti nell’ambito della consultazione pubblica per la revisione degli Orientamenti sulle concentrazioni

Lo scorso 8 maggio 2025, nell'ambito del processo di revisione degli attuali Orientamenti sulle concentrazioni – rispettivamente, le Horizontal Merger Guidelines (HMG) e le Non-Horizontal Merger Guidelines (NHMG) (complessivamente, gli Orientamenti) – la Commissione europea ha dato avvio ad una consultazione pubblica divisa in due parti: una generale e una consultazione specialistica. Quest’ultima verte su 7 temi rilevanti ai fini delle valutazioni della Commissione in materia di controllo delle concentrazioni e per ciascuno di essi è stato elaborato un documento mirato, che espone l’ampia gamma di sfide che la Commissione si trova ad affrontare nell’ambito del controllo delle concentrazioni, nonché i parametri giuridici ed economici utilizzati nello stesso al fine della valutazione sostanziale delle operazioni. In sintesi i 7 temi sono:

  1. Competitività e resilienza: in questo primo tema viene evidenziata la priorità della Commissione di stimolare la produttività e la competitività nell’Unione, che può sicuramente essere incoraggiata da una concentrazione e dalle relative economie di scala, che potrebbero apportare dei benefici anche in termini di innovazione dei servizi. Un focus viene inoltre posto agli obiettivi di rafforzamento di investimenti e innovazioni, ricordando che nel Report Draghi 2024 si afferma che l’Unione europea dovrebbe realizzare investimenti nelle infrastrutture funzionali ai settori caratterizzati da un maggior grado di innovazione come i settori dell’energia, ad alto contenuto tecnologico e il settore farmaceutico. Infine, si osserva che mentre per alcuni mercati la concorrenza si articola a livello globale, per taluni settori – come nel caso di prodotti con elevati costi di trasporto o per la necessità di disporre di infrastrutture locali – la persistenza di barriere normative ostacola l’edificazione del mercato unico, il cui completamento agevolerebbe, secondo la Commissione, le economie di scala e la capacità degli operatori economici di crescere anche mediante operazioni di concentrazione.
  2. Valutazione del potere di mercato attraverso parametri strutturali e altri indicatori di mercato: in questo secondo approfondimento la Commissione si focalizza maggiormente sui possibili scenari di modifica dei vigenti Orientamenti. Si osserva, infatti, come nelle attuali linee guida non vi siano soglie quantitative chiare atte a stabilire quando una concentrazione possa considerarsi dannosa, ad eccezione del paragrafo 17 dell’HMG in cui si afferma che quote di mercato superiori al 50% possono rappresentare una prova di una posizione dominante. Pertanto, si evidenzia che un intervento di revisione potrebbe essere preordinato all’adozione di indicatori maggiormente precisi, anche facenti ricorso a meccanismi presuntivi. Con specifico riguardo alle concentrazioni non orizzontali, il recente dibattito accademico sul punto ha altresì condotto la Commissione ad interrogarsi in ordine all’idoneità dell’attuale framework “ability-incentive-effects” per la valutazione oggettiva degli effetti coordinati di una concentrazione non orizzontale. Negli Orientamenti revisionati, perciò, non si esclude l’introduzione di metodiche di valutazione differenti, specialmente considerando recenti casi di concentrazioni risultate produttive di effetti dannosi per il mercato nonostante la mancanza di un incremento significativo delle quote di mercato.
  3. Innovazione e altri elementi dinamici: già gli attuali Orientamenti valutano l’innovazione come uno dei parametri di concorrenza, non legati al prezzo, rilevanti per la verifica di impatto di una concentrazione. La Commissione osserva che operazioni di concentrazione possono incentivare il dinamismo e la crescita innovativa delle imprese; d’altro canto – specialmente avendo riguardo al fenomeno delle killer acquisitions – spesso tali operazioni possono, al contrario, emergere come preordinate al soffocamento di un potenziale innovativo o all’interruzione di una linea di ricerca che potrebbe apportare dei benefici in settori strategici. In tale contesto, il punto chiave è il corretto bilanciamento tra la competizione tra innovatori e lo standard di prova occorrente nel valutare l’incidenza dell’innovazione come fattore indicativo di una possibile restrizione della concorrenza successivamente all’operazione di concentrazione. Nei futuri Orientamenti verrà pertanto più nitidamente esposta la questione di determinare correttamente lo scenario controfattuale, ossia quale sarebbe lo stato del mercato/come si evolverebbe in assenza dell’operazione oggetto di valutazione. Un’altra questione aperta attiene alla rilevanza, nell’ambito dell’esame delle concentrazioni, della c.d. “concorrenza potenziale”; in particolare, secondo la Commissione, andrà definita la linea di demarcazione tra lo scenario del “concorrente potenziale effettivo” e quello del “concorrente potenziale percepito”. I nuovi Orientamenti dovranno altresì definire a quali condizioni una concentrazione può svolgersi eccependo l’argomento della ‘failing firm defence’, ossia il salvataggio dell’impresa in difficoltà economica, considerando che alla luce degli attuali Orientamenti tale concetto è stato utilizzato con successo per l’autorizzazione da parte della Commissione di un solo caso, ossia M. 6796 – Egeo/Olimpiadi II.
  4. Sostenibilità: la Commissione sottolinea che la crescente interazione tra concorrenza, innovazione e considerazioni sulla sostenibilità nei diversi settori industriali dovrebbero condurre, nel nuovo progetto, a più approfondite riflessioni sul contributo del controllo delle concentrazioni agli obiettivi europei di sostenibilità. Per questo motivo, ampio spazio verrà lasciato anche alla valutazione delle green efficiencies derivanti dalle singole concentrazioni, nonché alla loro effettiva applicazione, comprimendo casi di greenwashing. Non mancherà inoltre una migliore illustrazione della teoria del danno annessa al tema della sostenibilità per la verifica d’impatto delle diverse operazioni, ricordando alcuni recenti casi nella propria prassi decisionale, tra cui il caso M.9343 – Hyundai Heavy Industries / Daewoo Shipbuilding & Marine Engineering.
  5. Digitalizzazione: tra i ruoli del merger control è sicuramente ricompresa la tutela dell’accessibilità al mercato per le start-up e le medie imprese sfruttanti l’evoluzione e trasformazione digitale. Per questo, tra le sfide più promettenti emergerebbe la definizione di criteri di valutazione rispetto a tali profili, altresì alla luce di casi recenti in cui la Commissione ha, tra le varie circostanze, analizzato anche le potenziali ritorsioni e controstrategie dei concorrenti. Un focus viene inoltre posto sull’interazione con la tutela della privacy, considerando che in molti mercati le aziende competono nell’ottenimento di clienti in virtù delle preferenze di acquisto da questi manifestate e registrate secondo le impostazioni sulla privacy.
  6. I guadagni di efficienza: In punto di efficienze, gli attuali Orientamenti impongono la difficile dimostrazione di un vantaggio per i consumatori specifico e verificabile, e che tali benefici non possono essere ottenuti mediante alternative meno anticoncorrenziali, aventi natura concentrativa (ad esempio, mediante una concentrazione diversamente strutturata) o non concentrativa (ad esempio mediante la conclusione di un accordo di collaborazione tra imprese indipendenti). Nei nuovi Orientamenti si ribadirà che, in linea con la giurisprudenza relativa al caso Mastercard, quando gli incrementi di efficienza si verificano al di fuori del settore interessato questi rilevano solo ove apportati a vantaggio degli stessi clienti interessati dagli effetti, altrimenti restrittivi, dell’operazione.
  7. Considerazioni in merito a politiche pubbliche, sicurezza e mercato del lavoro: anche i settori della difesa e sicurezza rientrano tra gli obiettivi di primaria attenzione della Commissione, soprattutto nell’attuale periodo storico, in funzione dell’edificazione di un mercato unico della difesa, e al controllo del potere di mercato delle imprese operanti in tale settore strategico. La Commissione comunque rammenta che nel settore della difesa non è mai stata vietata una concentrazione, bensì, al massimo, sono stati imposti rimedi (e.g. caso GE/AVIO). Nell’ambito dell’iniziativa di revisione, si indaga anche sull’impatto delle AI in diversi campi, tra cui quello dei media, e della posizione che la Commissione possa assumere per fronteggiare un fenomeno così rilevante. Un altro aspetto su cui ci si interroga è se i nuovi Orientamenti debbano fornire una valutazione che riguardi l’impatto delle concentrazioni sul mercato del lavoro, e in particolare se il potere conseguito dagli acquirenti nei mercati a monte, incluso quello del lavoro, possa di per sé integrare una sufficiente teoria del danno, che potrebbe essere sviluppata nei nuovi Orientamenti. Al riguardo, sono sollevati dei dubbi sul fatto che fenomeni come quello della delocalizzazione e della ristrutturazione societaria, espressione di scelte dirigenziali, possano ritenersi giustificabili in ottica di efficienza.

Maria Elena Ardita

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Intese e settore alimentare – La CGUE chiarisce l’onere probatorio per l’applicazione dell’esenzione prevista dal VBER agli accordi di distribuzione esclusiva

Lo scorso 8 maggio, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) si è pronunciata con sentenza (la Sentenza) nella causa C-581/23, su un rinvio pregiudiziale della Corte d’appello di Anversa, in merito all’interpretazione dell’articolo 4, lettera b), i), del Regolamento (UE) n. 330/2010 relativo alle restrizioni verticali (VBER) che consente che un territorio o gruppo di clienti sia riservato da un fornitore a un distributore esclusivo, vietando le vendite attive da parte degli altri distributori facenti parte della medesima rete (c.d. criterio dell’imposizione parallela).

La Sentenza chiarisce, in particolare, i presupposti necessari affinché l’attribuzione ad un distributore di un territorio in esclusiva possa validamente beneficiare dell’esenzione per categoria prevista dal VBER.

Il giudizio civile principale da cui scaturisce il rinvio riguardava la società Beevers Kaas BV (Beevers Kaas), distributore esclusivo del formaggio Beemster in Belgio, contrapposta alle società Albert Heijn NV (Heijn) e al produttore del formaggio Beemster, la società olandese Cono (Cono), per presunte violazioni dell’accordo di distribuzione esclusiva. Secondo Beevers Kaas, Heijn avrebbe effettuato vendite attive nel territorio a essa riservato, in violazione dell’accordo in essere con Cono, che conferiva a Beevers Kaas l’esclusiva territoriale. Tuttavia, il giudice nazionale ha rilevato che tale accordo non imponeva esplicitamente agli altri distributori (tra cui Heijn) un divieto di vendite attive, e che la protezione del distributore esclusivo non risultava sufficientemente provata.

Giunta la questione sino alla Corte d’appello di Anversa, questa ha disposto il rinvio alla CGUE, con due domande principali: (i) se il semplice fatto che gli altri distributori non effettuino vendite attive nel territorio esclusivo sia sufficiente a dimostrare l’esistenza di un accordo che benefici dell’esenzione prevista dal VBER, e (ii) se tale esenzione valga per il periodo per il quale è dimostrato l’assenso degli altri distributori all’invito del fornitore a non effettuare vendite attive nel territorio esclusivo.

Coerentemente con quanto suggerito nelle sue conclusioni dall’Avvocato Generale Medina (per le quali si rimanda alla Newsletter dello scorso 20 gennaio), la CGUE ha risposto negativamente alla prima questione, affermando che la sola assenza di vendite attive da parte di altri acquirenti nel territorio esclusivo non è sufficiente a provare l’esistenza di un accordo che vieti tali vendite. Ai fini dell’applicazione dell’articolo 4, lettera b), i), del VBER, è necessario che vi sia la prova di una volontà comune tra fornitore e acquirenti di escludere attivamente tali pratiche, espressa mediante clausole contrattuali, comportamenti espliciti o almeno accettazione tacita comprovata da indizi oggettivi e concordanti (e.g., controlli ed eventuali sanzioni imposti da parte del produttore a distributori inottemperanti).

In particolare, secondo la CGUE, non basta che un territorio sia assegnato in esclusiva a un acquirente perché si possa presumere l’esistenza di un obbligo di non vendere attivamente in tale territorio da parte di altri acquirenti. È necessario che il fornitore abbia effettivamente comunicato un divieto di vendite attive agli altri acquirenti e che questi lo abbiano accettato, esplicitamente o per fatti concludenti.

Quanto alla seconda questione, la CGUE ha chiarito che il beneficio dell’esenzione può essere ritenuto applicabile solo per il periodo in cui risulti provato tale assenso. Pertanto, anche a tali fini il divieto di vendite attive nel territorio esclusivo deve essere operativo e condiviso da tutte le parti sin dall’inizio e non può essere ricostruito a posteriori sulla base del comportamento passivo degli altri acquirenti.

La Sentenza, pur fornendo chiarimenti importanti sulla prova dell’esistenza di accordi verticali di restrizione delle vendite attive e sull’applicabilità dell’esenzione per categoria, potrebbe, invero, prestarsi a critiche per il formalismo che la caratterizza, in contrasto con l’analisi sostanziale richiesta da valutazioni antitrust. Essa sottolinea la centralità della nozione di “accordo” e della volontà comune tra le parti, e fissa un livello di prova che va oltre la mera constatazione di assenza di concorrenza territoriale.

Dal punto di vista pratico, la decisione sembra imporre ai fornitori che intendano beneficiare dell’esenzione prevista dall’articolo 4, lettera b), i), di dotarsi di un sistema chiaro e documentabile di divieto di vendite attive, comunicato a tutti gli acquirenti e da questi accettato. In assenza di ciò, oltre alle ricadute sul piano civilistico (i.e., impossibilità di lamentare in thesi un inadempimento contrattuale da parte dei distributori diversi rispetto a quello cui sia assegnata un’area in esclusiva), dal punto di vista antitrust il rischio è che l’intero accordo non benefici dell’esenzione di blocco e debba quindi essere valutato individualmente ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, potendo essere considerato restrittivo della concorrenza. Come accennato, tale ricostruzione potrebbe apparire connotata di eccesivo formalismo, specie laddove, in assenza di un vincolo sulle vendite attive in relazione agli altri distributori, l’accordo di distribuzione appare in realtà non abbisognare di un’esenzione verticale. Ciò in quanto non ci sarebbe, in tale scenario, alcuna limitazione al comportamento commerciale di imprese. Risulta quantomeno peculiare che l’ordinamento eurounitario, di fatto, tratti in maniera peggiorativa un accordo meno restrittivo di quanto faccia con un accordo che invece limita le vendite attive dei distributori rispetto al territorio del distributore esclusivo.

Resta ora da vedere come il giudice del rinvio applicherà tali principi nel caso concreto, valutando se vi siano elementi sufficienti a dimostrare un accordo effettivo che consenta di impedire l’asserita violazione dell’esclusiva e che al contempo permetta l’applicazione dell’esenzione.

Fabio Bifarini

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Diritto della concorrenza – Italia  / Intese e settore degli imballaggi – Gli interessi sulle sanzioni antitrust, per quanto rideterminate giurisdizionalmente, maturano sin dall’adozione del provvedimento originario dell’AGCM 

Con una sentenza pubblicata il 4 aprile 2025, il Consiglio di Stato (CdS) riapre una questione che appariva chiusa, sulla decorrenza e quantificazione degli interessi che sono dovuti in aggiunta alla sanzione antitrust quando il giudice amministrativo ha annullato la quantificazione della sanzione.

La vicenda trae origine nel contesto della nota intesa nel mercato del cartone ondulato. Le società Innova Group S.p.A. e Innova Group – Stabilimento di Caino S.p.A. (Innova) avevano contestato il provvedimento sanzionatorio e, all’esito di una serie di giudizi, il giudice amministrativo ha confermato la sussistenza dell’illecito, ma ha annullato tale provvedimento in relazione alla quantificazione della sanzione. In sintesi, il giudice amministravo ha ridotto la sanzione a carico di Innova da quasi 12 milioni di euro iniziali a circa 6 milioni.

Tuttavia, all’esito di questa vicenda, è sorto un nuovo contrasto tra Innova e l’AGCM, relativamente alla decorrenza degli interessi sull’importo della sanzione rideterminata. Infatti, da una parte, l’AGCM pretendeva d’individuare il dies a quo della maturazione di tali interessi nella scadenza del termine di pagamento della sanzione comminata tramite l’originale provvedimento sanzionatorio. D’altro canto, l’impresa sosteneva, come d’uso, che essi maturassero solo a partire dalla rideterminazione della nuova sanzione. Ne è sorto quindi un contenzioso, definito dal CdS con la sentenza in commento, che esprime tre principi.

In primo luogo, il CdS sposa la tesi dell’AGCM e stabilisce che la decorrenza degli interessi delle sanzioni antitrust inizia al momento dell’adozione del provvedimento originario, anche quando il provvedimento sia annullato in relazione alla quantificazione della sanzione e l’importo della sanzione venga quindi successivamente rideterminato. Infatti, secondo il CdS, la mora dell’impresa permarrebbe comunque sin dal momento dell’accertamento dell’illecito. A supporto di questa posizione, il CdS cita una propria precedente sentenza del 2015. Inoltre, esso assume che tale conclusione sia in linea con una recente decisione della Corte di Giustizia dell’Unione europea (C-70/23 P Westälische c. Commissione), intervenuta a regolare fattispecie simili in ordine a sanzioni irrogate dalla Commissione europea.

In secondo luogo, riprendendo un proprio precedente del 2008, il CdS precisa pure che l’esigibilità degli interessi sulla sanzione viene meno ogniqualvolta la debenza della medesima è sospesa, in pendenza di giudizio. Pertanto, i provvedimenti giudiziali cautelari, adottati contro un atto dell’AGCM, sospendono temporaneamente anche la maturazione degli interessi.

In ultimo luogo, con una statuizione incidentale, il CdS rimarca la differenza fra gli interessi dovuti da un’impresa sanzionata dall’AGCM – maturati sulla somma capitale di tale sanzione – e quelli invece dovuti dall’AGCM all’impresa – sulle somme oggetto di restituzione – qualora la sanzione sia poi stata ridotta e l’impresa possa quindi vantare un credito nei confronti dell’amministrazione. In tale contesto, la sentenza precisa che la richiesta restitutoria si giustifica in quanto il pagamento della sanzione rappresenta il pagamento di un indebito, con la conseguenza che – ai sensi dell’art. 2033 c.c. – gli interessi sulla somma indebitamente corrisposta decorrono solamente dal momento in cui la domanda di restituzione è promossa dall’impresa (non piuttosto, com’era stato sinora prassi pacifica, dal momento dell’errato pagamento a favore dell’AGCM).

La sentenza in commento lascia perplessi rispetto a due temi. Da un lato, infatti, con riferimento all’individuazione del dies a quo degli interessi dovuti s’una sanzione rideterminata, il CdS ripropone una tesi che sembrava definitivamente abbandonata dalla giurisprudenza e ripropone una soluzione secondo cui un’impresa è considerata in mora rispetto al pagamento di una sanzione prim’ancora che sia completata la fattispecie sanzionatoria in relazione alla quantificazione della sanzione. In altre parole, la soluzione implica che l’impresa sia in ritardo rispetto al pagamento della sanzione rispetto a un importo che ancora non è definito e di cui ancora non si conosce la quantificazione Da un altro lato, con riferimento al dies a quo degli interessi vantati dall’impresa, la sentenza aggredisce una regola pacifica, consolidata e mai messa in discussione prima d’ora fra l’AGCM e gli operatori. Per questi motivi, si auspica che, presto o tardi, un rinvio all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato possa definitivamente risolvere l’annosa questione.

Riccardo Ciani

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Tutela del consumatore / Pratiche commerciali scorrette e settore delle pay TV – L’AGCM ha chiuso con impegni il procedimento avviato nei confronti di Sky Italia per le modalità di downgrade e disdetta dei servizi SKY e NOW

Con la decisione dello scorso 15 aprile, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’AGCM) ha concluso il procedimento avviato nei confronti di Sky Italia S.r.l. (Sky) per presunte pratiche commerciali scorrette relative alle modalità di disdetta o modifica degli abbonamenti ai servizi televisivi SKY e NOW. L’AGCM ha ritenuto idonei a rimuovere i profili di scorrettezza contestati gli impegni presentati dalla società, chiudendo quindi il procedimento con l’accettazione degli stessi.

L’istruttoria, avviata nel giugno del 2024, riguardava le modalità con cui i consumatori possono esercitare il proprio diritto di recesso dall’abbonamento TV o di rimozione di pacchetti dai servizi SKY e NOW (c.d. downgrade). Nel corso del procedimento, l’AGCM ha rilevato diverse presunte criticità, tra cui (i) l’assenza di sezioni dedicate, facilmente accessibili e chiare, nei siti e nelle app di SKY e NOW; (ii) l’impossibilità di procedere autonomamente tramite app alla disdetta e/o al downgrade; (iii) l’indicizzazione sui motori di ricerca che indirizzava esclusivamente alla disdetta tramite operatore telefonico, escludendo quella online; (iv) procedure online complesse e interrotte da pop-up promozionali; (v) difficoltà nel contattare l’assistenza telefonica e (vi) l’assenza d’informazioni operative chiare per la rimozione di più pacchetti, riportate solo nelle condizioni generali di contratto.

Dato che le pratiche commerciali oggetto d’indagine erano state diffuse tramite internet e riguardavano il settore televisivo a pagamento, l’AGCM ha richiesto il parere dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (l’AGCOM), che ha evidenziato come le condotte contestate potrebbero configurare violazioni anche del Codice delle comunicazioni elettroniche e delle relative delibere settoriali, ciò in quanto inerenti alle modalità utilizzabili dal soggetto contraente che intenda recedere da un contratto stipulato con operatori di telefonia e di reti televisive e di comunicazione elettronica. Tuttavia, l’AGCM ha ribadito la propria competenza esclusiva in materia di pratiche commerciali scorrette, sottolineando che l’ambito di applicazione del Codice del consumo, per il suo carattere orizzontale e l’ampia nozione di pratica commerciale, si estende a tutte le attività poste in essere dai professionisti nei confronti degli utenti di servizi di comunicazioni elettroniche. In particolare, l’AGCM ha ipotizzato che le condotte in esame potessero configurare una pratica commerciale aggressiva.

Sky, d’altro canto, ha giustificato la procedura di disdetta online sostenendo che i vari passaggi, inclusi i pop-up informativi, sarebbero necessari per garantire una gestione efficace delle richieste e offrire al cliente alternative al recesso. Ha inoltre giustificato l’impossibilità di rimuovere più pacchetti contemporaneamente con motivazioni di natura tecnica e amministrativa, legate alla gestione separata di servizi attivati in momenti diversi.

Sky ha dunque presentato una proposta di 36 misure correttive, dirette a una revisione complessiva della comunicazione e delle modalità operative relative a disdetta e downgrade, attraverso tutti i canali digitali (motori di ricerca, sito web, area riservata, app). Tra le modifiche più rilevanti, si segnalano (i) la ridenominazione delle pagine sponsorizzate sui motori di ricerca, collegate a parole chiave quali “disdetta Sky”, per chiarire che si riferiscono solo alla disdetta telefonica e l’aggiunta di link diretti alla disdetta online; (ii) una maggiore evidenza grafica dell’area “assistenza” sui siti web; (iii) la semplificazione dei passaggi procedurali per la disdetta e la riduzione dei pop-up. Ulteriori interventi riguardano (vi) l’inserimento d’istruzioni chiare anche nelle app; (v) l’indicazione esplicita della necessità di ripetere il processo per rimuovere più pacchetti, e (vi) l’introduzione di nuove linee guida per gli operatori del call center, con istruzioni precise su come gestire tali richieste. Infine, Sky dovrà informare l’AGCM dell’avvenuta attuazione degli impegni entro 60 giorni dalla notifica della delibera.

La decisione in oggetto appare interessante perché concerne una prassi commerciale diffusa e valorizza particolarmente il ruolo degli impegni come strumento efficace per rimuovere impedimenti che limitano la libertà di scelta dei consumatori, confermando l’importanza di un approccio pro-concorrenziale anche nell’ambito delle pratiche commerciali scorrette nei servizi digitali.

Numa Blondi

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