Diritto della concorrenza – Europa / Intese e settore automobilistico – La Commissione europea ha sanzionato 15 case automobilistiche e la loro associazione di categoria per 458 milioni di euro per aver partecipato ad una intesa sul riciclo dei veicoli fuori uso
Lo scorso primo aprile, la Commissione europea (la Commissione) ha comunicato di aver sanzionato con una multa di 458 milioni di euro quindici case automobilistiche e l’Associazione dei Costruttori Europei di Automobili (ACEA) per aver partecipato a una intesa restrittiva durata oltre quindici anni riguardante il riciclo dei veicoli fuori uso, ovvero quelle autovetture che, a causa di danni, età o usura, non sono più idonee all’uso e vengono quindi smontate per il riciclaggio, il recupero e lo smaltimento dei materiali.
L’indagine era stata avviata nel settembre 2019, dopo che Mercedes-Benz aveva rivelato la propria partecipazione alla condotta in questione, ai sensi della Comunicazione sull’immunità dalle sanzioni nei casi di cartelli. L’indagine ha portato alla luce un’infrazione unica e continuata, che si è protratta dal 29 maggio 2002 al 4 settembre 2017 e ha visto le parti coinvolte colludere su due aspetti relativi alla gestione dei veicoli fuori uso.
In primo luogo, la Commissione ha accertato che le parti si erano scambiate informazioni commercialmente sensibili sui rispettivi accordi individuali con gli autodemolitori concordando di non remunerarli per i loro servizi, considerando l’attività di riciclaggio di per sé sufficientemente redditizia. Questo coordinamento su una c.d. “strategia a costo zero” ha impedito agli autodemolitori di negoziare il prezzo per i loro servizi in un contesto di libera concorrenza.
In secondo luogo, la Commissione ha riscontrato che le parti si erano accordate per non promuovere pubblicamente la quantità di materiale riciclabile, recuperabile e riutilizzabile nei veicoli fuori uso, impendendo così ai consumatori di considerare tali fattori nella scelta di acquisto di un’autovettura. Ciò riduce la concorrenza su questi aspetti e la pressione sulle aziende affinché vadano oltre i requisiti minimi prescritti dalla legge.
Inoltre, secondo la Commissione, entrambe le pratiche risultano in contrasto con la Direttiva 2000/53/CE (la Direttiva) relativa ai veicoli fuori uso, la quale stabilisce che l’ultimo proprietario di un veicolo abbia il diritto di smaltirlo gratuitamente presso un autodemolitore, con i relativi costi a carico dei produttori automobilistici. La Direttiva prevede, inoltre, l’obbligo di informare i consumatori sulle performance di riciclaggio dei veicoli.
La Commissione ha anche accertato il ruolo chiave svolto da ACEA nel facilitare il coordinamento collusivo, organizzando numerose riunioni, favorendo i contatti tra i costruttori coinvolti e intervenendo quando questi agivano in contrasto con quanto concordato.
Nel determinare le ammende, la Commissione ha tenuto conto di diversi fattori, tra cui la natura dell’infrazione, la portata geografica, la durata e il numero di autovetture coinvolte. Mercedes-Benz, avendo rivelato le condotte collusive nell’ambito del programma di clemenza, ha ottenuto l’immunità, mentre Stellantis, Mitsubishi e Ford hanno beneficiato di uno sconto del 50% per la loro cooperazione. Inoltre, tutte le aziende hanno ammesso il proprio coinvolgimento e accettato di risolvere il caso tramite una procedura transattiva e che ha comportato una riduzione del 10% delle loro ammende.
Anche l’Autorità per la concorrenza e i mercati del Regno Unito (CMA), cooperando con la Commissione, ha condotto un’indagine parallela, giungendo a una simile decisione e imponendo un’ammenda di 77,7 milioni di sterline a dieci case automobilistiche e due associazioni di categoria.
La vicepresidente Ribera ha affermato che l’Unione Europea non tollera alcun tipo di intesa che “sopprima la consapevolezza dei clienti e la domanda di prodotti più rispettosi dell’ambiente”, specialmente in un settore chiave come quello automobilistico, dove è essenziale promuovere un modello industriale più sostenibile e competitivo. In linea con l’approccio già delineato nel 2021 con riferimento al cartello avente ad oggetto le emissioni, la Commissione ha confermato nel caso di specie che le prerogative di sostenibilità di un prodotto sono un parametro competitivo importante e l’attività di enforcement considera prioritario garantire ai clienti una libera concorrenza anche su tale parametro.
Federica Antoniani
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Intese e cooperazione giudiziaria civile – L’AG Kokott ha proposto un’interpretazione del Regolamento Bruxelles I-bis che rende più facile per il danneggiato l’azione follow-on nel foro di preferenza
Lo scorso 3 aprile, l’Avvocato Generale Kokott (AG) ha rassegnato le proprie conclusioni nel contesto di due rinvii pregiudiziali operati dalla Corte di Appello di Amsterdam (la Corte d’Appello) volti ad ottenere chiarimenti sull’interpretazione dell’articolo 8, paragrafo 1, del Regolamento Bruxelles I-bis (il Regolamento) in materia antitrust. In particolare, per quanto qui rileva, il Regolamento prevede che, in caso di pluralità di convenuti, si possa convenire tutti dinanzi all’autorità giurisdizionale del luogo in cui uno di essi è domiciliato, purché tra le domande esista un collegamento così stretto da rendere opportuna una trattazione ed una decisione unica.
La vicenda sottesa ai rinvii pregiudiziali in rilievo trae origine da due distinte azioni di risarcimento del danno c.d. di follow-on (ossia, a seguito di una decisione di una autorità di concorrenza), dove gli attori hanno convenuto dinanzi al Tribunale di Amsterdam (il Tribunale) tutte le imprese facenti parte di uno stesso gruppo societario, nonostante alcune di esse non fossero state destinatarie dei provvedimenti con cui era stata accertata l’intesa anticoncorrenziale e la quasi totalità delle convenute non fosse domiciliata nei Paesi Bassi. Il Tribunale in un caso si è dichiarato incompetente, mentre nell’altro ha accertato la propria competenza a decidere nel merito. Pertanto, le parti hanno fatto ricorso dinanzi alla Corte d’Appello, la quale ha deciso di rinviare la questione alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (la CGUE).
Nello specifico, le questioni sottoposte all’attenzione della CGUE riguardano: (i) l’esistenza o meno di una competenza internazionale del foro di Amsterdam ai sensi del Regolamento; (ii) se sia necessario, ai fini del radicamento della competenza internazionale, che le convenute potessero prevedere anticipatamente il foro competente, (iii) se sia necessaria la sussistenza di una certa probabilità di successo dell’azione intentata nei confronti del convenuto domiciliato in Amsterdam (il Convenuto di riferimento).
L’AG ha proposto alla CGUE di rispondere nel senso che è necessario innanzitutto verificare se sussiste uno stretto collegamento tra le domande e, in caso di risposta affermativa, se nel caso di specie sussistono le altre condizioni per radicare la competenza internazionale del foro di Amsterdam.
L’AG sostiene infatti che qualora, come nel caso di specie, diverse società abbiano partecipato ad un’infrazione congiunta, esiste uno stretto collegamento tra le società che hanno commesso l’infrazione e tutte le altre società con le quali esse formano un’unica entità economica. Ciò è dovuto al fatto che a ciascuna impresa viene imputata l’infrazione come se fosse stata essa stessa a commetterla e, pertanto, la responsabilità di tutti i convenuti deriva dagli stessi fatti e dalle medesime basi giuridiche. È solamente sufficiente, ai fini del radicamento della competenza giurisdizionale, che non si possa escludere a priori che le società facciano parte dello stesso gruppo societario.
Per quanto riguarda invece la prevedibilità dell’azione presso il foro competente, l’AG sostiene che non sia necessario che il convenuto preveda in concreto di poter essere citato presso il foro di uno Stato diverso da quello del proprio domicilio. Il principio di prevedibilità, che informa il Regolamento, va inteso nel senso che è sufficiente una prevedibilità in astratto, che sussiste quando un convenuto normalmente accorto può prevedere dinanzi a quale giudice potrà essere citato.
Infine, in merito alla questione se il probabile successo dell’azione contro il Convenuto di riferimento debba essere preso in considerazione al fine di stabilire la giurisdizione, l’AG ha risposto che non è necessario, ai fini del radicamento della competenza internazionale, che il giudice valuti la probabile fondatezza della domanda. Il giudice deve solamente valutare se al momento dell’introduzione della domanda questa non sia manifestamente priva di ogni fondamento, o artificiosa oppure sprovvista di ogni interesse reale per l’attore.
Nel caso di specie, per verificare se sussistesse o meno una manifesta infondatezza, l’AG ha valutato, tra le altre cose, la situazione del Convenuto di riferimento, fornendo chiarimenti sull’applicazione del controverso “criterio Sumal” – ossia il criterio che richiede, affinché sia possibile agire in giudizio nei confronti della società figlia non coinvolta nell’infrazione solo in virtù della partecipazione della sua madre-controllante alla stessa, lo svolgimento di un’attività economica, da parte della figlia-controllata citata in giudizio, che abbia un legame concreto con l’oggetto della violazione per cui la società madre-controllante è stata considerata responsabile.
Infatti, il Convenuto di riferimento è una società la cui responsabilità si configura unicamente in via indiretta per la violazione commessa dalla società madre. La peculiarità della sua situazione deriva dal fatto che il Convenuto di riferimento si limita a detenere e gestire azioni e pertanto ci si chiede se possa soddisfare il menzionato “criterio Sumal”. L’AG ha ritenuto che, considerata isolatamente, una società che si limiti a gestire azioni, non intervenendo sul mercato con modalità consistenti nell’offrire beni e servizi, non soddisfi il suddetto criterio. Tuttavia, in linea con i principi generali di imputazione della responsabilità all’interno di un’unica entità economica, dal momento che il Convenuto di riferimento detiene la totalità delle azioni di un’ulteriore società, che invece opera nel mercato scambiando beni e servizi, l’attività economica di quest’ultima va imputata al Convenuto di riferimento, creando così quel legame concreto necessario per soddisfare il “criterio Sumal”, in sostanziale analogia con quanto avviene ai sensi del diritto della concorrenza in termini di presunzione di imputazione alla madre della responsabilità della figlia.
Le conclusioni dell’AG sono particolarmente interessanti non solo in quanto forniscono un chiarimento sul radicamento della competenza internazionale nel caso di intese anticoncorrenziali, ma soprattutto perché propongono un’interpretazione estesa dei criteri di imputazione della responsabilità da illecito antitrust alla luce del citato “criterio Sumal”, il quale sta incontrando difficoltà di applicazione alle fattispecie concrete in diversi procedimenti nazionali.
Alessandro Schifone
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Intese e private enforcement – L’AG Medina ha proposto un’interpretazione del diritto europeo che consenta un termine nazionale di prescrizione che decorre solo dal momento in cui la decisione dell’autorità nazionale diventa definitiva
Il 3 aprile 2025, l’Avvocato Generale Medina (AG) ha presentato le proprie conclusioni nel rinvio pregiudiziale dinanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) relativo al caso C‑21/24, CP contro Nissan Iberia S.A. La questione oggetto di rinvio verte sulla decorrenza del termine di prescrizione di un’azione follow-on presentata da una persona fisica per il risarcimento del danno da violazione del diritto della concorrenza.
Nel 2015, la Commissione spagnola dei mercati e della concorrenza (CNMC) aveva sanzionato varie imprese del settore automobilistico, tra cui Nissan Iberia S.A. (Nissan), per uno scambio illecito di informazioni commercialmente sensibili. Nel 2021, tale decisione era stata confermata in via definitiva dalla Corte Suprema spagnola.
Nel 2023, una persona fisica ha presentato un’azione follow-on contro Nissan per ottenere il risarcimento del danno derivante dall’acquisto di un veicolo il cui prezzo sarebbe stato alterato dall’infrazione. Nissan ha eccepito la prescrizione dell’azione, invocando la normativa spagnola antecedente al recepimento della Direttiva 2014/104/UE (la Direttiva danni), secondo cui il termine di un anno decorreva dal momento in cui il danneggiato aveva avuto conoscenza del fatto illecito. Infatti, secondo la casa automobilistica, la parte ne aveva avuto conoscenza già nel 2015, con la pubblicazione integrale della decisione della CNMC sul proprio sito.
Il giudice spagnolo ha rimesso la questione alla CGUE, chiedendo se, ai fini dell’individuazione del dies a quo da cui decorre il termine di prescrizione, debba attendersi la definitività della decisione dell’autorità antitrust nazionale, oppure se basti la pubblicazione sul sito internet di quest’ultima. Il giudice del rinvio ha chiesto inoltre se tale pubblicazione possa essere equiparata alla pubblicazione della sintesi di una decisione della Commissione europea (la Commissione) nella Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea (la Gazzetta ufficiale).
In tale contesto, secondo l’AG, la Direttiva danni (e, in particolare, l’articolo 10, che disciplina i termini di prescrizione per le azioni risarcitorie nel contesto delle violazioni del diritto della concorrenza) e la normativa spagnola di recepimento non possono trovare applicazione nel caso di specie. Infatti, la violazione accertata è anteriore alla loro entrata in vigore, e la normativa non ha effetto retroattivo. Di conseguenza, l’interpretazione deve avvenire alla luce del diritto primario dell’Unione, in particolare dell’articolo 101 del TFUE e del principio di effettività.
L’AG ha dunque richiamato la sentenza Heureka, in cui la CGUE ha affermato che la pubblicazione della sintesi di una decisione della Commissione nella Gazzetta ufficiale può far presumere che il danneggiato abbia tutte le informazioni necessarie per agire in giudizio, indipendentemente dalla definitività della decisione. Tuttavia, tale principio si basa su elementi specifici delle decisioni della Commissione, ossia: (i) il loro valore vincolante per i giudici nazionali, (ii) la loro presunzione di legittimità, e (iii) la loro pubblicazione nella Gazzetta ufficiale.
Nel caso delle autorità nazionali della concorrenza, invece, la situazione è diversa. Nel caso di specie, l’AG rileva che, sebbene un giudice nazionale potrebbe ritenere che la pubblicazione della decisione sul sito della CNMC fornisca informazioni sufficienti alle parti lese per agire in giudizio, occorre distinguere tra pubblicazioni aventi effetti giuridici (come nella Gazzetta ufficiale) e quelle meramente informative (come sui siti delle autorità). Pertanto, il dies a quo dovrebbe decorrere solo dal momento in cui la decisione acquisisce valore probatorio analogo a quello riconosciuto alle decisioni della Commissione, cioè quando essa diventa definitiva.
Alla luce di queste considerazioni, l’AG ha proposto alla CGUE di rispondere nel senso che l’articolo 101 TFUE e il principio di effettività non ostano a una normativa nazionale che faccia decorrere il termine di prescrizione solo dal momento in cui la decisione dell’autorità nazionale diventa definitiva – ad esempio, a seguito di conferma da parte dell’autorità giurisdizionale competente. Tale impostazione, secondo l’AG, è coerente con le esigenze di certezza del diritto e tutela effettiva dei diritti dei danneggiati, che devono poter agire sulla base di un provvedimento giuridicamente stabile e solido dal punto di vista probatorio.
Le conclusioni in oggetto, pur essendo relegate a vicende anteriori al recepimento della Direttiva danni (che, come è noto, detta una disciplina ad hoc in materia di prescrizione per questa tipologia di azioni) risultano di interesse in quanto forniscono alcuni spunti sui requisiti minimi di certezza giuridica e tutela effettiva per l’esercizio delle azioni follow-on nel contesto del diritto antitrust. Non resta adesso che attendere la sentenza della CGUE.
Numa Blondi
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Tutela del consumatore / Pratiche commerciali scorrette e impianti elevatori – L’AGCM ha chiuso con impegni l’istruttoria nei confronti di Otis Servizi, per un costo complessivo di circa 1,45 milioni di euro
Il 25 marzo scorso, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha reso obbligatori gli impegni presentati dalla società Otis Servizi S.r.l. (Otis), a seguito di un’istruttoria riguardante possibili pratiche commerciali scorrette.
Otis è una società attiva nella produzione, nell’installazione e nella manutenzione di ascensori, scale e tappeti mobili. Le condotte di Otis in relazione alle quali l’AGCM aveva ipotizzato la commissione di pratiche commerciali scorrette di natura aggressiva riguardavano:
- l’installazione a pagamento sui propri ascensori di un dispositivo che inviava automaticamente ad Otis i dati relativi all’attività dell’impianto consentendone il monitoraggio (Otis One), senza tuttavia richiedere preventivamente il consenso ai consumatori, condomini e microimprese (i Clienti);
- un costante ritardo nell’installazione degli ascensori;
- una gestione superficiale e rallentata delle richieste di intervento rispetto a guasti e alle richieste di ammodernamento degli impianti, aggravata dalla difficoltà di mettersi in contatto con il servizio di assistenza.
In primo luogo, per sanare i possibili profili di illegittimità, Otis ha rassicurato l’AGCM sul fatto che la società chiederà, sempre e senza limitazioni temporali, il consenso per eventuali servizi ulteriori a pagamento connessi a dei nuovi prodotti (nella misura in cui non siano nativi dell’ascensore e non oggetto di accordi contrattuali in essere).
Gli ulteriori impegni proposti da Otis si articolano essenzialmente in tre tipologie: misure di ristoro, maggiori tutele e informazioni ai Clienti e attività di formazione del personale (Training).
Rispetto al primo gruppo di misure, Otis ha previsto un rimborso integrale nei confronti dei Clienti che avessero già pagato Otis One, corrispondendo ad essi anche una somma ulteriore, pari al 20% del prezzo di Otis One, nonché lasciando il prodotto installato sugli ascensori e consentendo così una fruizione gratuita del servizio. Per quanto riguarda i Clienti che avessero inviato un reclamo relativo al ritardo sulle tempistiche di installazione dell’impianto, è stata garantita una compensazione pari a 1.500 euro, mentre, per i Clienti che hanno con reclamo lamentato l’inefficienza o il ritardo dei servizi di assistenza, il corrispettivo che Otis si impegna a versare ammonta all’equivalente di tre mensilità del canone di manutenzione, a prescindere dal fatto che sia ancora in vigore un contratto di manutenzione con Otis.
L’unica condotta richiesta ai Clienti per poter ottenere queste somme di denaro è quella di inviare il proprio IBAN, a seguito della comunicazione da parte di Otis, entro dodici mesi. Otis ha garantito un ulteriore reminder ai Clienti, solamente per il rimborso relativo al pagamento di Otis One, qualora non rispondano entro tre mesi dalla prima comunicazione inviata.
Per quanto riguarda il secondo gruppo di misure, Otis ha previsto la modifica della procedura sui futuri contratti per garantire un maggior numero di informazioni ai Clienti, un’integrazione del modulo di conferma dell’ordine, che preciserà meglio le tempistiche di consegna, e ha inserito sul proprio sito internet un modulo tramite cui poter inviare direttamente online eventuali reclami. Inoltre, Otis ha assicurato una modifica dei processi di gestione reclami che – accompagnati da una comunicazione ai call center ed ai tecnici che intervengono in caso di riparazioni, per sollecitarli rispettivamente alla verifica dello stato delle chiamate e all’efficienza nella risposta – garantiranno la tutela dei Clienti in caso di imprevisti.
Infine, sono stati previsti vari Training riguardanti le pratiche commerciali scorrette, le nuove procedure contrattuali ed il nuovo sistema di gestione reclami, i quali formeranno i dipendenti di Otis per poter affrontare al meglio queste situazioni.
L’AGCM ha ritenuto valide queste proposte, sottolineando, tra le altre cose, come solamente per i rimborsi predisposti per Otis One ci sia necessità di un reminder, in quanto si presuppone che i clienti che hanno presentato un reclamo abbiano già “contatti con Otis”. Si stima che i clienti che otterranno i rimborsi ed i ristori saranno all’incirca 7.700, con un costo indicativo per Otis di circa 1,45 milioni di euro. Il caso in commento è di particolare interesse perché evidenzia come, nell’ambito delle pratiche commerciali scorrette, l’AGCM pretenda di regola la valorizzazione dell’elemento riparativo/risarcitorio per evitare l’imposizione di una sanzione.
Giacomo Perrotta
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Appalti, concessioni e regolazione / Concessioni e settore del gioco d’azzardo – Il regime di “proroga tecnica” previsto in Italia per le concessioni di gestione del gioco del Bingo è incompatibile con il diritto europeo
Con la sentenza del 20 marzo 2025, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) si è pronunciata sulla compatibilità con il diritto UE del regime di “proroga tecnica” disposto dal legislatore italiano per le concessioni aventi ad oggetto la gestione del gioco del Bingo (le Concessioni Bingo).
Nel contesto di un mercato fortemente regolamentato e controllato dallo Stato come quello dei giochi e delle scommesse, le prime Concessioni Bingo furono assegnate all’inizio degli anni 2000.
Poi, con una serie di interventi legislativi tra il 2013 e il 2022, la validità delle Concessioni Bingo prossime a scadere è stata provvisoriamente prorogata, in cambio dell’obbligo per i concessionari interessati di pagare un canone mensile fisso, indipendente dal fatturato (in origine veniva applicato loro solo un prelievo fiscale sulle cartelle di gioco vendute). Inoltre, il regime di proroga tecnica prevedeva il divieto per i concessionari di trasferire i locali in cui esercitavano la propria attività. Se i concessionari non avessero aderito a tale regime, non avrebbero potuto partecipare alle future gare per l’aggiudicazione delle concessioni.
Il legislatore intendeva così, almeno in origine, allineare temporalmente la scadenza di tutte le Concessioni Bingo e l’avvio di nuove gare per la loro assegnazione. Tuttavia, nel tempo, il legislatore ha stabilizzato questo meccanismo provvisorio, rimandando continuamente la data per l’avvio delle nuove gare. Anzi, via via che disponeva nuove proroghe tecniche ha anche progressivamente incrementato l’importo del canone mensile.
In tale contesto, nasce la vicenda contenziosa che ha dato origine al il rinvio pregiudiziale alla CGUE. I concessionari hanno chiesto all’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli (l’Agenzia) di sospendere il pagamento del canone mensile perché, nel corso della pandemia per il Covid-19, avevano avuto perdite che avevano alterato l’equilibrio economico-finanziario delle concessioni. L’Agenzia ha respinto la richiesta e i concessionari hanno impugnato il provvedimento di fronte al giudice amministrativo. È in questa cornice che il Consiglio di Stato ha dubitato della compatibilità del regime di proroga tecnica con il diritto UE e, in particolare, con la Direttiva 2014/23/UE in materia di concessioni (la Direttiva).
In sede pregiudiziale, la CGUE ha innanzitutto chiarito che la Direttiva deve essere applicata anche alle concessioni che, pur già in corso al momento della sua entrata in vigore, sono state modificate successivamente al 18 aprile 2016 (cioè, al termine ultimo previsto dalla Direttiva per il suo recepimento). Dunque, le proroghe tecniche intervenute dopo il 18 aprile 2016 soggiacciono alla disciplina europea in materia di modifiche delle concessioni, indipendentemente dal fatto che si tratti di modifiche negoziate consensualmente tra le parti, oppure di modifiche disposte unilateralmente dal legislatore, come quelle che hanno riguardato le Concessioni Bingo.
Ciò premesso, la Direttiva stabilisce, tra l’altro, che non è ammissibile una modifica delle concessioni in assenza di una nuova gara, quando siano apportate delle modifiche sostanziali relative alla portata e al contenuto dei diritti e degli obblighi delle parti, oppure quando si tratta di condizioni che, se fossero state incluse nella procedura iniziale, avrebbero influito sul suo esito.
Ebbene, la CGUE ritiene che la proroga tecnica delle Concessioni Bingo abbia carattere sostanziale, incidendo su elementi essenziali della concessione, e avrebbe anche avuto il potenziale di attrarre ulteriori partecipanti, ove fosse stata inclusa sin da principio nella procedura iniziale. Pertanto, la proroga tecnica ha modificato la concessione senza una procedura di gara, al di fuori dei casi in cui la Direttiva lo ammette.
La CGUE ha chiarito infine che la disapplicazione delle leggi che hanno disposto la proroga tecnica non potrà essere parziale ed investire solo l’obbligo del concessionario di pagare il canone mensile, ma la proroga tecnica nel suo complesso, poiché i suoi effetti devono essere considerati congiuntamente tra di loro e non possono essere scissi l’uno dall’altro.
La decisione della CGUE avrà un impatto significativo sulla gestione delle Concessioni Bingo, che dovranno ora essere riattribuite mediante l’indizione di nuove gare, in ossequio alla normativa europea e ai principi di accesso al mercato, concorrenza e non discriminazione.
Niccolò Ferracuti