Diritto della concorrenza – Europa / Concentrazioni e settore dell’aerospazio – La Commissione europea ha approvato con condizioni l’acquisizione da parte di Safran U.S.A. Inc. di un ramo d’azienda di Collins Aerospace
Lo scorso 4 aprile, la Commissione UE (la Commissione) ha comunicato con un press release di aver approvato la proposta di acquisizione (l’Operazione) avanzata da Safran U.S.A. Inc. nei confronti di una parte dell’attività aerospaziale di Collins Aerospace (Target).
La società acquirente è parte dell’omonimo gruppo francese (Safran) attivo principalmente nei settori di propulsione aerospaziale e di equipaggiamento aeronautico, fornendo sistemi e attrezzature per velivoli civili e militari. La Target, con sede negli Stati Uniti, fornisce prodotti avanzati per il settore aerospaziale e della difesa.
L’Operazione si inserisce in una vicenda che ha visto per altro verso coinvolta anche l’Italia, la quale aveva inizialmente adottato un provvedimento di divieto esercitando i cd. Golden Powers e successivamente autorizzando l’acquisto da parte della stessa Safran di Microtecnica, società appunto controllata dalla Target, che deteneva le attività di attuazione e controllo di volo in Italia.
Proseguendo il processo di acquisizione della Target, le parti hanno notificato l’Operazione alla Commissione lo scorso 14 febbraio. A seguito di una preliminare valutazione, la Commissione ha ritenuto che l’Operazione avrebbe potuto dare luogo ad un rischio concorrenziale nel mercato mondiale della fornitura dei sistemi connessi agli attuatori dello stabilizzatore orizzontale degli aerei (i THSA), riunendo due dei principali fornitori presenti nel mercato. I THSA sono componenti essenziali nella progettazione di aerei civili ed hanno la funzione di consentire il movimento della coda orizzontale di un aereo, garantendo manovre stabili e a basso consumo di carburante.
La Commissione ha rilevato che, a seguito dell’Operazione, non sarebbero rimasto un numero sufficiente di qualificati concorrenti alternativi per esercitare una pressione concorrenziale effettiva, anche tenendo conto delle notevoli barriere all’ingresso e dei lunghi cicli di sviluppo necessari a garantire una fornitura di sistemi THSA su larga scala. L’impatto dell’Operazione è stato inoltre valutato anche su altri mercati in cui operano le parti, dove tuttavia non è stato ritenuto sussistere un rischio concorrenziale in virtù della presenza di un numero adeguato di concorrenti.
Per rispondere alle preoccupazioni della Commissione, Safran ha offerto di cedere la sua attività relativa ai sistemi THSA nei territori del Nord America, con la conseguenza di eliminare completamente l’overlap tra le attività THSA delle parti nei suddetti territori. La Commissione ha ritenuto, anche a seguito di un riscontro considerato positivo nel market test, che l’impegno proposto dalle parti fosse idoneo a rimuovere le preoccupazioni concorrenziali connesse all’Operazione.
Inoltre, la Commissione da atto che Safran ha già raggiunto un accordo con la società statunitense Woodward Inc., per la cessione delle sue attività connesse al mercato THSA al fine di dare seguito all’impegno. Tuttavia, la presente decisione non include una valutazione sull’idoneità di Woodward come acquirente, la quale avverrà nell’ambito di un processo separato di approvazione.
La Commissione ha pertanto deciso di approvare l’operazione in Fase I, senza la necessità di un’indagine più approfondita sull’impatto dell’Operazione sui mercati concorrenziali interessati.
L’Operazione è inoltre oggetto di scrutinio da parte del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti (il Dipartimento) e dall’autorità antitrust inglese (la CMA), le quali hanno cooperato con la Commissione durante l’indagine. La CMA ha al riguardo dichiarato che l’operazione “potrebbe essere accettata” e ha avviato un periodo di consultazione che si concluderà a fine aprile, mentre il Dipartimento non ha ancora commentato l’operazione.
La decisione, per quanto si possa comprendere da un breve comunicato stampa, è interessante in quanto offre un ulteriore esempio in cui la Commissione ha ritenuto di approvare una concentrazione in Fase I, a seguito dell’impegno dell’acquirente di eliminare completamente l’overlap nel mercato dove l’operazione avrebbe potuto determinare un rischio concorrenziale.
Alessandro Schifone
--------------------------------
Aiuti di Stato e settore delle energie rinnovabili – La Commissione ha stabilito che il lodo Spagna-Antin costituisce un aiuto di Stato illegale
Con una decisione adottata il 24 marzo 2025, la Commissione europea (Commissione) ha stabilito che il lodo arbitrale reso nell’ambito della controversia tra la Spagna, la società lussemburghese Antin Infrastructure Services Luxembourg S.à.r.l. e la società olandese Antin Energia Termosolar B.V. (queste ultime, collettivamente, Antin) ha costituito un aiuto di Stato incompatibile con il mercato interno.
La vicenda aveva avuto origine nel 2007, quando la Spagna istituiva uno schema pubblico di supporto agli investimenti nelle energie rinnovabili (poi notificato come aiuto di Stato e approvato dalla Commissione). Desiderosa di sfruttare tale opportunità, nel 2011, Antin investiva € 140 milioni in due impianti generativi di energia elettrica, a Granada. Nel 2013, però, la Spagna modificava il regime di tali sussidi pubblici; dall’emendamento scaturiva quindi la controversia fra Antin, che sosteneva d’aver subito un pregiudizio inaspettato in ragione delle novità normative, e la Spagna, che sosteneva che Antin ne avesse tratto, invece, un beneficio.
La questione raggiungeva la Corte arbitrale del Centro internazionale per il regolamento delle controversie relative agli investimenti. Essa, nel 2018, riteneva applicabile il Trattato sulla Carta dell’Energia, trattato bilaterale per gli investimenti all’epoca vigente in tutta l’Unione europea, inclusi Lussemburgo, Olanda e Spagna. Il tribunale arbitrale ordinava quindi alla Spagna di risarcire le due imprese con € 101 milioni, in ragione dei minori profitti da esse conseguiti (il Lodo). In risposta, la Spagna notificava il Lodo alla Commissione europea, argomentando che esso equivalesse a un nuovo aiuto di Stato, ulteriore rispetto allo schema di finanziamento ideato nel 2007, e che quindi necessitasse della sua previa autorizzazione.
Nel frattempo, l’intera vicenda s’inseriva in un più ampio contesto, in cui – in altre controversie – la Corte di giustizia (CGUE) dell’Unione europea (UE) confermava più volte l’incompatibilità delle clausole arbitrali dei trattati bilaterali per gli investimenti con i trattati dell’UE. Recentemente, forte di tali sviluppi, la Commissione, dopo aver ricondotto il Lodo a un nuovo aiuto di Stato, lo ha quindi dichiarato incompatibile con il mercato interno.
In particolare, la Commissione ha escluso che le pretese di Antin, promananti dal Lodo, fossero riconducibili al regime di aiuti di Stato spagnolo già approvato all’epoca. Secondo la Commissione, infatti, il Lodo non sarebbe il frutto diretto dello schema di finanziamento del 2007, ma il risultato autonomo di una decisione di una corte arbitrale estranea al circuito dei poterei giurisdizionali degli Stati membri e dell’UE, come già stabilito in un caso analogo in passato dalla CGUE, in Micula (C-638/19 P).
(Anche) per questo motivo, il Lodo sarebbe incompatibile con il mercato interno. In aggiunta, tale incompatibilità deriverebbe dal fatto che esso è stato adottato in applicazione della clausola arbitrale del Trattato sulla Carta dell’Energia; senza che però quest’ultima sia applicabile agli investimenti intra-UE, come già stabilito in passato dalla CGUE in Komstroy (C-741/19).
Nel complesso, la decisione suscita interesse, soprattutto in virtù dell’apparente dietrofront della Commissione rispetto alla compatibilità (o meno) con il mercato interno dello schema di sussidi spagnoli del 2007, precedentemente approvati all’epoca. Non resta che attendere un eventuale ricorso.
Riccardo Ciani
--------------------------------
Sovvenzioni estere e settore delle telecomunicazioni – La Commissione europea ha pubblicato la prima decisione in applicazione della FSR, approvando con condizioni l’acquisizione di PPF Telecom da parte di Emirates Telecommunications Group
Il 4 aprile 2025, la Commissione Europea (la Commissione) ha pubblicato la versione pubblica della sua decisione di approvare, con impegni, l’acquisizione da parte di Emirates Telecommunication Group Company PJSC (nota come e&) di PPF Telecom Group B.V. (PPF Telecom) ai sensi del Regolamento sulle Sovvenzioni Estere dell’UE (FSR). La decisione, adottata nel settembre 2024, è una delle più significative nell’applicazione del FSR, trattandosi dell’unico caso in cui, ad oggi, la Commissione ha avviato un’indagine approfondita (Fase 2).
L’operazione notificata, del valore di 2,15 miliardi di euro, riguarda le attività di telecomunicazione in Ungheria, Bulgaria, Serbia e Slovacchia. A seguito di un’indagine approfondita, la Commissione ha ritenuto problematici (o potenzialmente tali) una serie di contributi finanziari esteri ricevuti da e&, tra cui prestiti garantiti dallo Stato, sovvenzioni finanziarie dirette e un regime di insolvenza privilegiato, subordinando così l’approvazione dell’operazione all’assunzione di impegni.
Particolare attenzione è stata rivolta ad un prestito utilizzato per finanziare l’operazione, concesso da istituti bancari in parte controllati dallo Stato degli Emirati Arabi Uniti. Tuttavia, sulla base di un’analisi economica approfondita, la Commissione ha ritenuto che non sussistessero elementi sufficienti per concludere che tale finanziamento comportasse un vantaggio distorsivo a vantaggio di e&.
Un ulteriore motivo di preoccupazione per la Commissione era la legge fallimentare degli Emirati Arabi Uniti, che, fino a maggio 2024, escludeva e& dalla normativa in materia di insolvenza, alimentando l’aspettativa che, in caso di fallimento, il Governo degli Emirati Arabi Uniti potesse intervenire per coprire i debiti di e&. La Commissione ha interpretato tale situazione come una “garanzia statale implicita e illimitata” a favore di e&, con un potenziale impatto distorsivo sulla concorrenza nell’UE.
Inoltre, la Commissione ha esaminato altri finanziamenti provenienti dal fondo sovrano degli Emirati Arabi Uniti, essendo l’azionista di controllo di e&. Sebbene non si sia concentrata su una valutazione dettagliata di questi contributi, la Commissione ha applicato la presunzione secondo cui, in assenza di informazioni, tali finanziamenti potrebbero configurarsi come sovvenzioni estere.
Per risolvere queste preoccupazioni, e& ha proposto degli impegni, tra cui la modifica del proprio statuto per sottoporsi applicazione della nuova legge fallimentare degli Emirati Arabi Uniti, che eliminerebbe il rischio di una “garanzia statale implicita e illimitata”. Inoltre, e& ha accettato di limitare la propria capacità di fornire finanziamenti a PPF Telecom e alle sue filiali nell’UE, garantendo che tutte le relazioni commerciali tra le due entità siano a condizioni di mercato. La Commissione ha altresì richiesto a e& di informare costantemente la Commissione riguardo a futuri investimenti in imprese nell’UE, anche qualora non superino le soglie di notifica ai sensi della FSR. Infine, è stato previsto un monitoraggio continuo del rispetto di tali impegni da parte di un fiduciario incaricato.
La decisione assunta dalla Commissione nel caso in esame segna un passaggio fondamentale nella definizione dei criteri con cui verranno valutate, nel merito, le implicazioni concorrenziali dei finanziamenti esteri, e altre sovvenzioni estere, nelle operazioni di M&A. Resta da vedere come si svilupperà la prassi della Commissione nell’applicazione concreta del Regolamento sulle sovvenzioni estere.
Oriella Trad
--------------------------------
Diritto della concorrenza – Italia / Concentrazioni e settore energetico – L’AGCM ha deliberato l’avvio di una fase II riguardo l’operazione che conferirebbe ad Hera il controllo esclusivo di AIMAG
L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha avviato un’istruttoria lo scorso 31 marzo nei confronti delle società Hera S.p.A. (Hera) e AIMAG S.p.A. (AIMAG) (le Parti) per valutare, ai sensi della normativa italiana sul controllo delle concentrazioni, l’operazione che permetterebbe ad Hera di acquisire il controllo esclusivo di AIMAG. Le Parti sono le società holding dei rispettivi gruppi societari multiutility, attivi in diversi settori: energetico, della gestione integrata delle risorse idriche, ambientale e della pubblica illuminazione. L’operazione sarebbe basata essenzialmente:
- su un aumento del capitale di AIMAG riservato al conferimento da parte di Hera di una partecipazione pari al 45% del capitale sociale di una sua società controllata;
- il corrispondente aumento della partecipazione di Hera in AIMAG che passerebbe dal 25% al 41%, lasciando invariata la quota del 51% in mano a soci pubblici (nello specifico, 21 comuni situati nelle province di Modena e Mantova);
- l’adozione di un nuovo modello di governance per AIMAG, , conferendole il controllo esclusivo dalla società acquisita.
I diversi settori economici interessati dall’Operazione, con i rispettivi mercati rilevanti annessi, sono molteplici: quello dell’energia elettrica, del gas naturale, del teleriscaldamento, della gestione del calore, dell’efficientamento energetico, della gestione dei servizi di illuminazione pubblica, della gestione delle risorse idriche e della gestione dei rifiuti. L’AGCM ha ritenuto che in quasi nessuno dei mercati in rilievo, tranne uno, ci fossero dei potenziali rischi concorrenziali, in particolare, in quanto le quote di mercato che le Parti andrebbero ad ottenere cumulativamente sarebbero comunque “marginali”. Riferendosi ad alcuni mercati, l’AGCM ha poi sollevato il dubbio circa la dimensione geografica di alcuni di essi, ritenendo tuttavia di lasciare aperte tali questioni, in quanto la somma delle quote delle Parti negli stessi sarebbe comunque inidonea a generare effetti distorsivi quale che sia l’area territoriale considerata.
Dunque, l’unico settore che ha generato dei dubbi è anche in questo caso, come in alcuni precedenti recenti dell’AGCM, il settore delle gare d’ambito per l’affidamento delle concessioni di distribuzione di gas naturale. Esso è definito territorialmente in base ai singoli ambiti territoriali minimi (ATEM). Le Parti, post operazione, gestirebbero cumulativamente il 100% di due ATEM calcolati in base ai PDR (punti di riconsegna, ossia gli allacci ai clienti) dalle stesse gestiti: Bologna 1-2 e Modena 1. In quello di Bologna, Hera, attualmente, si occupa del 95% della sua gestione; perciò – ritiene l’AGCM – un incremento residuale del 5% non determinerebbe un effetto rilevante, riconoscendo nella sostanza che ci si trova già in una situazione di monopolio di fatto già pre-operazione. Diversa invece sarebbe la situazione dell’ATEM Modena 1. In questo caso, le due società detengono rispettivamente il 55% e il 45% della gestione, e per questo motivo è presumibile – ad avviso dell’AGCM – ritenerle i due principali concorrenti per la futura gara. Le Parti hanno tentato di difendersi affermando che AIMAG non avrebbe partecipato alla futura gara a causa della sua impossibilità di garantire un necessario livello minimo di investimenti. Per l’AGCM, però, questa argomentazione è allo stato insufficiente a dimostrare l’assenza di rischi concorrenziali, ritenendo necessari ulteriori approfondimenti.
Con riguardo ai profili verticali dell’operazione, l’AGCM ha invece escluso, in generale, rischi di effetti preclusivi sulla clientela e sui fattori di produzione; l’unico settore che ha meritato un’analisi più approfondita in quest’ottica è stato quello dei rifiuti, specialmente in riferimento all’area geografica della regione Emilia Romagna. In questa regione sono infatti attive sia AIMAG, sia Hera: entrambe nel mercato downstream della raccolta, spazzamento e trasporto dei rifiuti, e solamente AIMAG in quello downstream di smaltimento; ciononostante, le Parti non hanno mai avuto relazioni commerciali verticali in questo ambito, tranne che nel 2023 per una situazione emergenziale; dunque – secondo l’AGCM – i possibili effetti preclusivi dovrebbero essere esclusi anche in tale ambito.
In definitiva, l’AGCM ha ritenuto non necessario investigare nel dettaglio il tema della rilevanza territoriale dei vari mercati, ritendo di contro necessarie ulteriori approfondimenti su un tema che nella prassi dell’Autorità degli ultimi tempi ha creato non pochi problemi e controversie, ossia “il grado di contendibilità” delle gare sulla concessione del servizio di distribuzione del gas naturale, possibilmente alterato all’esito dell’operazione.
Giacomo Perrotta
--------------------------------
Abusi e settore ferroviario – Il CdS ha accolto l’appello dell’AGCM e, in riforma della sentenza del TAR Lazio, conferma la sanzione nei confronti del gruppo per abuso di posizione dominante
Con la sentenza dello scorso 9 aprile, il Consiglio di Stato (il CdS) ha annullato la sentenza adottata dal Tar Lazio (il TAR Lazio), che dichiarava l’illegittimità del provvedimento del 2019 (il provvedimento) con il quale l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’AGCM) aveva sanzionato per abuso di posizione dominante, in violazione dell’articolo 102 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea (il TFUE), Trenitalia S.p.A. (Trenitalia), Ferrovie dello Stato Italiane S.p.A. (FSI) e Rete Ferroviaria Italiana S.p.A. (RFI) (congiuntamente, il Gruppo).
Tale abuso si sarebbe realizzato, secondo la ricostruzione operata dall’AGCM, mediante lo sfruttamento della posizione di monopolio legale rivestita dal Gruppo nel mercato a monte della gestione dell’infrastruttura ferroviaria tramite RFI, in funzione del rafforzamento della propria posizione nel mercato a valle del trasporto ferroviario. Ciò, grazie all’ottenimento dell’affidamento diretto della fornitura di servizi di trasporto ferroviario da parte della Regione Veneto, di cui Trenitalia era già concessionaria sino alla comunicazione di disdetta contrattuale da parte della Regione stessa alla fine del 2014. In particolare, l’AGCM aveva ipotizzato che vi fosse un rapporto di condizionalità tra la proposta da parte di RFI di elettrificazione dell’anello basso bellunese, un tratto ferroviario accusante dei malfunzionamenti per mancanza di rete elettrica, e il conseguimento a favore di Trenitalia sino al 2032 della concessione di gestione del trasporto ferroviario veneto senza transitare per la procedura di gara. Al riguardo, era stato richiamato un comunicato stampa dell’assessore ai trasporti della Regione Veneto, nel quale si era fatto riferimento ad una riunione tenutasi il 9 marzo 2016, partecipata tanto da esponenti politici regionali quanto da personalità dirigenziali di tutte e tre le società del Gruppo Ferrovie dello Stato, nella quale si sarebbe giustificato l’investimento occorrente per l’elettrificazione del tratto interessato a fronte del mantenimento del rapporto contrattuale di servizio con Trenitalia.
Tale ricostruzione, non avallata in primo grado dal TAR, è stata invece confermata dalla sentenza demolitoria del CdS. Mentre il TAR aveva infatti sostenuto che gli elementi probatori raccolti non dimostrassero la correlazione tra l’impegno all’elettrificazione della rete e la scelta di affidamento diretto del servizio, anche a fronte di divergenze temporali dei momenti di scambio delle relative informazioni, e che dovesse comunque escludersi che ogni comunicazione interna tra le società del Gruppo riflettesse un intento abusivo, il CdS ha ribaltato tali valutazioni riconoscendo l’effetto di foreclosure.
Nella Sentenza in esame viene anzitutto ricostruito il quadro normativo di riferimento. Nel trasporto ferroviario, la disciplina antitrust nazionale ed europea si affianca alle previsioni contenute all’articolo 5 del Regolamento (CE) 1370/2007, che attribuisce piena facoltà alle autorità nazionali dei singoli stati membri di operare l’affidamento diretto del servizio di trasporto ferroviario, purché: (i) la durata del relativo contratto di affidamento non superi i dieci anni, prorogabili di altri cinque solo in circostanze particolari; (ii) vengano osservati degli obblighi di pubblicazione preventiva; (iii) nel caso di impresa verticalmente integrata, si aggiungono le previsioni stabilite dalla Direttiva 2012/34/UE, emendata dalla Direttiva (UE) 2016/2370 che ha rafforzato il principio di indipendenza gestionale, amministrativa e contabile del gestore dell’infrastruttura stabilendo che debba trattarsi di un soggetto giuridico autonomo rispetto all’impresa preposta all’erogazione del trasporto.
A fronte di tale quadro, il CdS riconosce la piena liceità dell’affidamento senza procedura di gara, e lungi dall’interpretare (come le difese avevano proposto) il provvedimento dell’AGCM come teso a sindacare nel merito le scelte dell’amministrazione, ha tuttavia rilevato come su tale scelta della Regione Veneto abbia chiaramente inciso la strategia promotrice dell’investimento infrastrutturale operata dal Gruppo, indipendentemente dalla contestualità o meno dei due frangenti comunicativi. Pertanto, considerando la posizione privilegiata del Gruppo Ferrovie dello Stato, derivante dalla possibilità di sfruttamento della propria integrazione verticale, gli estremi dell’abuso e gli effetti restrittivi della concorrenza sono stati valutati come soddisfatti.
È infine interessante analizzare come nella propria disamina il CdS abbia ripreso l’obiezione, mossa dalle difese delle parti, secondo cui dall’ammontare della sanzione inflitta (di importo simbolico di mille Euro) non si potesse dedurre la gravità dell’infrazione contestata. Ebbene, in tale contesto il CdS evidenzia la correttezza della scelta dell’AGCM, connessa al convincimento che gli interventi infrastrutturali operati, prescindendo da ogni intento restrittivo, abbiano comunque prodotto un beneficio per i consumatori, in termini di investimenti tecnologici e dunque incremento qualitativo del servizio offerto all’utenza.
Maria Elena Ardita
--------------------------------
Appalti, concessioni e regolazione / Diritti d’uso sulle frequenze e settore delle telecomunicazioni – La tutela dei diritti preesistenti dei piccoli operatori non impedisce al legislatore di aprire il mercato a nuovi concorrenti
L’Avvocato Generale Rantos (l’AG) ha depositato le proprie conclusioni nell’ambito di un rinvio pregiudiziale che vede contrapposti i diritti d’uso di alcuni operatori televisivi sulle frequenze radio e la discrezionalità politica del legislatore italiano nell’aprire parte di tali frequenze ad una maggiore concorrenza tramite gara pubblica.
Nel 2017, l’Unione europea ha imposto agli Stati membri l’obbligo di utilizzare la banda di frequenza dei 700 MHz (la Frequenza 700 MHz) per lo sviluppo dei servizi di comunicazione elettronica a banda larga senza fili (il 5G).
In Italia, la Frequenza 700 MHz era al tempo occupata dagli operatori televisivi. Pertanto, si è reso necessario il trasferimento di tali operatori a diversa frequenza (la Frequenza di destinazione), al fine di liberare la Frequenza 700 MHz. In tale contesto, il legislatore italiano è intervenuto con la Legge di bilancio per il 2018, prevedendo un meccanismo in due fasi.
La prima fase prevedeva la conversione dei diritti d’uso esistenti sulla Frequenza 700MHz in diritti d’uso sulla Frequenza di destinazione (la Conversione). Grazie all’utilizzo di tecnologie di trasmissione più avanzate di quelle utilizzate fino al 2017, la Conversione avrebbe anche consentito di “occupare meno spazio” sulla Frequenza di destinazione, trasmettendo la stessa quantità di programmi televisivi con un numero di segnali (i Multiplex) inferiore rispetto a quelli precedentemente necessari sulla Frequenza 700MHz.
La seconda fase prevedeva, proprio in virtù dello spazio liberatosi, l’assegnazione dei Multiplex in eccedenza tramite procedura di gara onerosa (l’Assegnazione).
Infine, il legislatore ha limitato i rimedi giurisdizionali esercitabili avverso Conversione ed Assegnazione illegittime al solo risarcimento del danno, senza possibilità di richiedere il ripristino dello status quo ante.
In concreto, l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM) ha determinato i criteri tecnici di Conversione (i Criteri di conversione), stabilendo che, per ogni Multiplex detenuto nella Frequenza 700 MHz, il titolare dei diritti d’uso avrebbe avuto diritto a mezzo Multiplex nella frequenza di destinazione. In tal modo, da 20 Multiplex nella Frequenza 700 MHz, si è passati a 10 Multiplex nella Frequenza di destinazione, con l’avanzo di 2 ulteriori Multiplex, che sono stati messi a gara.
Alcuni operatori televisivi hanno impugnato sia la Conversione che l’Assegnazione, contestando, fra le altre cose, i Criteri di conversione e la limitazione della tutela giurisdizionale. Il contenzioso che ne è scaturito ha raggiunto la Corte di Giustizia dell’Unione europea.
In primo luogo, sulla legittimità dei Criteri di conversione scelti dall’AGCOM, i ricorrenti contestavano che il non aver adottato una conversione per equivalente (1 Multiplex nella Frequenza 700MHz = 1 Multiplex nella Frequenza di destinazione) ledesse i diritti acquisiti in passato dagli operatori, ed in particolare da quelli più piccoli.
Sul punto, l’AG ha considerato che, da un lato, è probabilmente vero che, per gli operatori piccoli, il passaggio da un Multiplex a mezzo Multiplex, nonostante la capacità di trasmissione equivalente, potesse costituire una degradazione della loro posizione giuridica. Infatti, la suddivisione di un Multiplex in porzioni del tutto autonome non è tecnicamente possibile, e questo avrebbe obbligato i piccoli operatori a perdere la propria indipendenza, entrando in rapporti contrattuali con i rivali più grandi, per gestire la “coabitazione” sul Multiplex condiviso.
Dall’altro lato, l’AG ha notato che una conversione per equivalente fosse probabilmente impraticabile, dato che i Multiplex disponibili sulla Frequenza di destinazione erano solo 12, a fronte dei 20 sulla Frequenza 700 MHz. Il legislatore avrebbe certamente potuto prevedere dei Criteri di conversione che distribuissero tutti e 12 i Multiplex fra i titolari dei diritti d’uso preesistenti. Tuttavia, nell’ambito della sua ampia discrezionalità politica, il legislatore non lo ha fatto, privilegiando l’apertura alla concorrenza, tramite gara, di tutta la capacità di trasmissione in eccedenza.
In secondo luogo, sulla limitazione della tutela giurisdizionale effettiva, l’AG ha ritenuto che, se è vero che la limitazione dei rimedi al solo risarcimento del danno non è di regola in linea con i principi dell’Unione, nel caso di specie, la possibilità di richiedere il ripristino dello status quo ante avrebbe prodotto delle conseguenze inaccettabili. Infatti, reimmettere le ricorrenti nella Frequenza 700 MHz avrebbe rallentato lo sviluppo del 5G, esponendo l’Italia alla violazione del diritto europeo, nonché creando disagi anche in altre reti dell’Unione.
Le conclusioni dell’AG sono interessanti perché mettono in evidenza una difficoltà nel tutelare la concorrenza sia dal lato dei piccoli operatori già attivi sul mercato, sia dal lato di potenziali soggetti interessati ad entrare nel mercato. Per quanto il bilanciamento concreto sia rimesso in ultima analisi al giudice del rinvio, l’AG sembra suggerire che il legislatore nazionale abbia una certa discrezionalità sul punto.
Massimiliano Gelmi
--------------------------------