Diritto della concorrenza – Europa / Intese e settore dei titoli di Stato europei – Il Tribunale dell’UE conferma le sanzioni alle banche, riducendo leggermente quelle inflitte a UniCredit e Nomura
Con la sentenza del 26 marzo 2025, il Tribunale dell’Unione Europea (il Tribunale) ha sostanzialmente confermato la decisione della Commissione europea (la Commissione) del 20 maggio 2021, con cui quest’ultima aveva constatato che sette banche di investimento – UBS, Natixis, UniCredit, Nomura, Bank of America, Portigon (già WestLB) e NatWest (già Royal Bank of Scotland) (congiuntamente, le Ricorrenti) – avevano partecipato, nel periodo compreso tra gennaio 2007 e novembre 2011, a un’intesa nel settore dell’emissione, collocamento e negoziazione dei titoli di Stato europei (i TSE). Il Tribunale, rilevando alcuni errori commessi dalla Commissione nella determinazione della durata della partecipazione di UniCredit all’intesa e nel calcolo della sanzione inflitta a Nomura, ha ridotto l’importo delle sanzioni a carico di tali banche.
Ripercorrendo brevemente i fatti, nel 2015 la Commissione, a seguito di una richiesta di immunità dalla sanzione presentata da NatWest, ha rilevato che i dipartimenti responsabili per il trading delle Ricorrenti avevano collaborato e scambiato informazioni commercialmente sensibili al fine di ottenere vantaggi competitivi nell’ambito dell’emissione, collocamento e negoziazione di TSE. Ritenendo che l’insieme di tali condotte facesse parte di un piano complessivo volto a perseguire un unico obiettivo anticoncorrenziale, la Commissione ha accertato che le banche coinvolte avevano posto in essere una violazione unica e continuata dell’articolo 101, paragrafo 1, del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (il TFUE). Tale violazione si è concretizzata in pratiche di fissazione dei prezzi e di ripartizione della clientela sia sul mercato primario, sia su quello secondario dei TSE, configurandosi come una restrizione della concorrenza per oggetto.
Il Tribunale ha respinto i ricorsi presentati dalle Ricorrenti per l’annullamento della decisione della Commissione, accogliendo solo parzialmente le richieste di UniCredit e Nomura relative alla riduzione dell’importo delle sanzioni loro inflitte. Per quanto riguarda Nomura, il Tribunale ha rilevato che la Commissione era incorsa in un errore nella determinazione di uno degli elementi della sanzione, avendo rifiutato di utilizzare i dati esatti relativi alla distribuzione della sua attività di negoziazione tra le 32 categorie rappresentative dei TSE che tale banca le aveva fornito al fine di individuare il corretto fattore di adeguamento degli importi nozionali annualizzati. Nel caso di UniCredit, il Tribunale ha accertato che la condotta anticoncorrenziale era iniziata 17 giorni più tardi rispetto alla data indicata dalla Commissione. Di conseguenza, ha ridotto l’importo delle sanzioni inflitte a entrambe le banche, portandole rispettivamente a circa 126 milioni di Euro per Nomura e a 65 milioni di Euro per UniCredit.
D’interesse è il metodo adottato dalla Commissione per la determinazione dell’importo delle sanzioni inflitte alle Ricorrenti. Nello specifico, la Commissione ha applicato il metodo previsto nelle Linee Guida per il calcolo delle sanzioni del 2006 (le Linee Guida). Tuttavia, nel determinare gli importi base, ha scelto di utilizzare un valore sostitutivo (proxy value) anziché il valore delle vendite previsto al paragrafo 13 delle suddette Linee Guida. A tal fine, la Commissione ha preso in considerazione i volumi e i valori nozionali annualizzati dei TSE scambiati sul mercato secondario da ciascuna banca durante il periodo di partecipazione all’infrazione contestata. Questi valori sono stati successivamente moltiplicati per un coefficiente di adeguamento elaborato dalla Commissione sulla base di 32 categorie rappresentative di strumenti finanziari.
Il Tribunale ha riconosciuto che, sebbene la Commissione possa discostarsi dalle Linee Guida nei limiti consentiti dal paragrafo 37, essa deve comunque rispettarne i principi generali e la logica sottostante. A tal proposito, ha in primo luogo ritenuto che la Commissione avesse adeguatamente motivato la scelta di utilizzare un valore sostitutivo e che tale metodo fosse coerente con gli obiettivi delle Linee Guida. Ha quindi respinto le contestazioni delle banche, le quali sostenevano che le sanzioni avrebbero dovuto essere calcolate sulla base del valore netto delle loro transazioni, ossia senza tenere conto del valore sottostante dei TSE, ma esclusivamente dei ricavi connessi a tali transazioni, ritenendo che tale criterio non fosse rappresentativo della loro effettiva attività economica in relazione all’infrazione contestata, con ciò confermando la validità del metodo adottato dalla Commissione.
Questa sentenza offre dunque un chiarimento sulle modalità di calcolo delle sanzioni nel settore dei TSE, confermando l’ampio margine di discrezionalità della Commissione nel determinarne l’importo, tuttavia sempre nel rispetto dei principi generali delle Linee Guida.
Numa Blondi
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Intese e settore farmaceutico – Le conclusioni dell'Avvocato Generale Rantos nel caso Teva e Cephalon
Lo scorso 27 marzo 2025, l’Avvocato Generale Athanasios Rantos ha presentato le sue conclusioni nell'ambito dell'impugnazione dinanzi alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea (CGUE) da parte delle società Teva Pharmaceutical Industries Ltd (Teva) e Cephalon Inc. (Cephalon) (congiuntamente, le Società), volta all’annullamento della decisione della Commissione europea (la Commissione) del novembre 2020 con cui le Società erano state sanzionate per aver posto in essere un accordo di c.d. pay to delay (l’Accordo), nel mercato del farmaco Modafinil.
La vicenda trae origine nel 2005 da una controversia brevettuale tra Cephalon, titolare dei diritti sul modafinil, principio attivo del farmaco Provigil, e Teva, società farmaceutica che aveva sviluppato una versione generica dello stesso principio attivo e ne aveva avviato la commercializzazione nel Regno Unito ritenendo che i brevetti di Cephalon sul modafinil fossero effettivamente scaduti. Ciò aveva provocato un contenzioso tra le Società.
In tale contesto, le Società raggiungevano un accordo transattivo in base al quale Teva si impegnava a non commercializzare prodotti contenenti modafinil fino al 2012, mentre Cephalon concedeva a Teva le licenze su alcuni brevetti e dati clinici, oltre a effettuare sostanziosi pagamenti per compensare quest’ultima del differimento dell’ingresso nel mercato dei medicinali equivalenti.
La Commissione aveva quindi avviato un’istruttoria che si era conclusa con l’accertamento di una intesa restrittiva tra le Società. Secondo la Commissione, l’accordo tra Teva e Cephalon era infatti stato finalizzato a ritardare l'ingresso di Teva nella produzione e vendita dei farmaci generici del principio attivo modafinil, prorogando così il monopolio di Cephalon. Pertanto, la Commissione ha qualificato l’accordo come una restrizione della concorrenza per oggetto, infliggendo una multa di 30 milioni di Euro a ciascuna delle società coinvolte. Il Tribunale, nel confermare la decisione della Commissione in una sentenza del 18 ottobre 2023 (già commentata in questa Newsletter), aveva ribadito la legittimità di tale accertamento.
L’Avvocato Generale Rantos ha ripercorso le conclusioni del Tribunale, approfondendo la valutazione della Commissione sul caso, confermando che, in linea di principio, un accordo di "pay to delay" costituisce una restrizione per oggetto, in quanto finalizzato a ritardare l’ingresso dei generici nel mercato.
Richiamando la giurisprudenza consolidata della CGUE in materia di accordi di transazione nel settore farmaceutico, in particolare la sentenza Generics (UK), l’Avvocato Generale ha evidenziato l’importanza di valutare in concreto se tali accordi abbiano effettivamente come scopo principale quello di ritardare l’ingresso sul mercato di versioni generiche di un farmaco. Secondo Rantos, il semplice fatto che un produttore di farmaci generici riceva un incentivo economico per posticipare il proprio ingresso sul mercato è sufficiente a ritenere che vi sia un’infrazione dell’articolo 101 TFUE, senza la necessità di dimostrare gli effetti anticoncorrenziali di tale accordo.
Rantos ha inoltre respinto l’argomento di Teva e Cephalon secondo cui l’accordo avrebbe avuto effetti pro-competitivi, evidenziando che l’ingresso di Teva nel mercato è stato ritardato e ciò a seguito dell’interazione collusiva con Cephalon.
Le conclusioni dell’Avvocato Generale confermano inoltre la decisione del Tribunale sotto il profilo della non genuinità della transazione, laddove afferma che l’accordo di “pay to delay” tra Teva e Cephalon era volto a ritardare l’ingresso di farmaci generici più economici e non a tutelare interessi legittimi di proprietà intellettuale. In particolare, l’impegno di non concorrenza previsto dall’accordo eccedeva l’ambito di applicazione dei brevetti detenuti da Cephalon, determinando di fatto l’esclusione di Teva dal mercato del modafinil attraverso trasferimenti economici di entità tale da indurla a posticipare la commercializzazione di farmaci generici equivalenti, con un conseguente pregiudizio per i pazienti e per i sistemi sanitari nazionali. Resta ora da attendere la sentenza della CGUE, che potrebbe avere rilevanti implicazioni per le pratiche commerciali nel settore e per la regolamentazione degli accordi tra le aziende farmaceutiche.
Oriella Trad
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Diritto della concorrenza – Italia / Flash – Concentrazioni e obblighi di notifica – L’AGCM aggiorna le soglie di fatturato che fanno scattare l’obbligo di notifica delle operazioni di concentrazione
Con il provvedimento n. 31495 pubblicato il 24 marzo 2025, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha aggiornato le soglie di fatturato cumulative che fanno scattare l’obbligo di notifica delle operazioni di concentrazione (le Soglie Rilevanti).
In particolare, per le operazioni la cui documentazione contrattuale è stata sottoscritta dopo il 24 marzo 2025, le Soglie Rilevanti cumulative applicabili sono pari a (i) Euro 582 milioni, per quanto riguarda il fatturato totale realizzato in Italia dall’insieme delle imprese interessate dall’operazione, e (ii) Euro 35 milioni, per quanto riguarda il fatturato totale realizzato individualmente in Italia da almeno due delle imprese interessate.
Questa modifica è la conseguenza della verifica annuale che l’AGCM è tenuta ad effettuare, ai sensi dell’art. 16, comma 1, della legge n. 287/1990, dell’andamento dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo al fine di verificare la necessità o meno dell’aggiornamento delle Soglie Rilevanti.
Mila Filomena Crispino
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Intese e settore della gioielleria – L’AGCM avvia un’istruttoria nei confronti di Morellato per una presunta intesa restrittiva della concorrenza
Con la decisione del 18 marzo scorso, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’AGCM) ha avviato il procedimento istruttorio n. I876 nei confronti di Morellato S.p.A., capogruppo dell’omonimo gruppo (il Gruppo Morellato) attivo nel settore della produzione e vendita di gioielli e orologi. Il procedimento è volto all’accertamento di un’eventuale intesa restrittiva della concorrenza nel contesto delle attività di vendita dei prodotti del Gruppo Morellato online, su piattaforme marketplace e piattaforme terze, in possibile violazione dell’art. 101 TFUE.
In Italia, il Gruppo Morellato gestisce un sistema di distribuzione selettivo di tipo qualitativo, nel contesto del quale i distributori autorizzati dei prodotti del Gruppo Morellato (i Prodotti) possono procedere alla vendita di questi ai consumatori ultimi sia tramite canali fisici, sia tramite canali online proprietari. La natura di “distribuzione selettiva” è invece data dal fatto che tali distributori autorizzati non possono rivendere i prodotti contrattuali a rivenditori non autorizzati.
Il contratto di distribuzione sottoscritto dal Gruppo Morellato e dai distributori autorizzati prevede altresì il divieto totale per questi ultimi di vendere i Prodotti tramite piattaforme di terzi, quali ad esempio Amazon ed eBay, motivato, come la stessa scelta di avere un sistema di distribuzione selettiva, sia da ragioni di protezione dell’immagine dei Prodotti, sia in particolare per contrastare fenomeni di contraffazione. Tale facoltà, invece, è riservata alla sola Morellato S.p.A., che ne fa attivamente uso.
Secondo l’ipotesi istruttoria dell’AGCM, tali condotte potrebbero configurare una restrizione verticale della concorrenza pattuita tra il Gruppo Morellato e i distributori autorizzati.
Ad avviso dell’AGCM, infatti, da un lato è vero che il Regolamento (UE) n. 720/2022 di esenzione di determinate categorie di accordi verticali (il VBER) – così come interpretato dai relativi Orientamenti sulle restrizioni verticali, adottati dalla Commissione europea con la Comunicazione 2022/C 248/01 (gli Orientamenti) – riconosce che nell’ambito di un sistema di distribuzione selettivo eventuali restrizioni relative all’utilizzo dei marketplace sono coperti dall’esenzione per categoria qualora limitino soltanto una delle modalità di vendita online utilizzabili dai distributori.
Tali restrizioni, tuttavia, devono essere proporzionate e non discriminatorie. Il provvedimento di avvio evidenzia che gli Orientamenti, nei casi dove un fornitore limiti l’uso di mercati online da parte dei distributori autorizzati, facendovi però poi ricorso direttamente per vendere gli stessi beni o servizi oggetto del contratto di distribuzione indicano che è “… improbabile che le restrizioni relative all’uso di tali mercati online soddisfino i requisiti di adeguatezza e proporzionalità”. In tal senso, secondo l’AGCM, la conformazione del contratto tra il Gruppo Morellato e i distributori autorizzati potrebbe qualificarsi come una restrizione idonea a limitare lo sviluppo concorrenziale intra-brand (ossia, all’interno del marchio Morellato) di un importante canale distributivo, determinando un ostacolo discriminatorio all’uso efficace di internet per la vendita dei Prodotti: donde la potenziale violazione dell’art. 101 TFUE.
Appare quantomeno curioso che nel provvedimento di avvio – al netto di qualche generico riferimento in nota – non via sia un’analisi più articolata del leading case eurounitario in materia di convivenza tra distribuzione selettiva e marketplace ban (Coty, Corte di giustizia dell’Unione europea, sentenza del 6 dicembre 2017, causa C-230/16), sul quale è probabile che verrà costruita la difesa del Gruppo Morellato.
Il caso risulta di particolare interesse, poiché getta luce su importanti aspetti ricollegati ad eventuali limitazioni delle vendite online e alla loro liceità ai sensi del diritto antitrust. Non resta che attendere lo sviluppo del procedimento.
Ignazio Pinzuti Ansolini
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Concentrazioni e settore dell’editoria – Il TAR Lazio respinge il ricorso di alcuni editori avverso l’autorizzazione condizionata dell’AGCM della cessione di Press-Di ad Artoni
Con la sentenza n. 06187 pubblicata lo scorso 27 marzo, il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (TAR Lazio) ha respinto il ricorso proposto dalle società S/D Siena Distribuzione S.r.l., Zamparelli Leopoldo S.r.l. e Zeta S.r.l. (congiuntamente, le Ricorrenti) avverso il provvedimento dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) del giugno 2022, con il quale si autorizzava condizionatamente l’operazione di acquisizione del 51% del capitale sociale del distributore nazionale Press-Di Distribuzione Stampa e Multimedia S.r.l. (Press-Di) da parte dei distributori locali Artoni Group S.p.A. e SHR S.r.l. (congiuntamente, le Parti Acquirenti) che aveva determinato il passaggio a una situazione di controllo congiunto delle stesse con la società venditrice Mondadori S.p.A. (Mondadori).
L’operazione in esame veniva autorizzata a valle di un’istruttoria approfondita (c.d. fase II) per meglio analizzarne i possibili effetti anticoncorrenziali (come già commentato in questa Newsletter), condizionatamente all’attuazione dei rimedi di natura comportamentale proposti dalle parti.
L’operazione in rilievo coinvolgeva alcuni tra i più importanti operatori del mercato della distribuzione nazionale di quotidiani e periodici, laddove Press-Di rappresenta il secondo operatore per dimensione con quote pari a 20-25% (dopo M-Dis Distribuzione Media S.p.a. leader del settore, con quote pari al 35-40%), e di quello della distribuzione locale dei medesimi prodotti, dove i distributori delle Parti Acquirenti sono l’unico operatore presente in svariate aree geografiche del Centro-Nord Italia. L’AGCM aveva espresso le proprie preoccupazioni in merito alla possibilità sia di effetti escludenti in relazione alle forniture di pubblicazioni nazionali, sia di preclusioni agli sbocchi nei mercati rilevanti (come già commentato in questa Newsletter). Tali preoccupazioni erano state superate grazie agli impegni comportamentali proposti dalle Parti Acquirenti e Mondadori, con una durata di cinque anni. Era infatti stato previsto che l’autorizzazione fosse condizionata all’adozione delle seguenti misure: il divieto di revoche (anche parziali) da parte di Press-Di degli accordi commerciali con gli altri distributori locali (per evitare di favorire l’espansione delle Parti Acquirenti), salvo che nei casi di revoche legittime (ovvero quelle esclusivamente motivate da ragioni puramente commerciali, come, ad esempio, il ritardo nei pagamenti e nelle consegne), ove le misure prevedevano solo l’inclusione di un preavviso di sei mesi. Inoltre, l’operatività delle clausole risolutive espresse nei contratti già in essere veniva vincolata solo al mancato soddisfacimento di alcuni Key Performance Indicators ivi indicati, riducendone la portata ampia che avrebbe permesso comportamenti opportunistici da parte di Press-Di. Ulteriori impegni che erano risultati determinanti erano stati il blocco del flusso informativo tra Press-Di e le Parti Acquirenti sui rapporti intrattenuti con i reciproci concorrenti, il rispetto del principio di non discriminazione in tali rapporti e l’estensione delle misure appena illustrate a tutti i mandati futuri.
Le Ricorrenti proponevano ricorso avverso il provvedimento di approvazione dell’AGCM, deducendo come motivo, tra gli altri, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 6, commi 1 e 2, della legge n. 287/1990 – articolo che vieta le operazioni di concentrazione restrittive della libertà di concorrenza – l’eccesso di potere per travisamento ed erronea valutazione dei fatti nonché per illogicità manifesta. Secondo le Ricorrenti, infatti, l’autorizzazione di tale concentrazione con rimedi considerati non adeguati avrebbe l’inevitabile rischio, evidenziato dalla stessa AGCM, di una disparità concorrenziale a favore delle Parti Acquirenti, in quanto queste ultime potrebbero liberamente dirigere gli andamenti del mercato a proprio favore, attraverso la revoca di mandati e attraverso l’ottenimento di informazioni rilevanti circa gli accordi commerciali in essere tra i vari distributori nazionali e i distributori locali, nonché informazioni sullo stato economico e finanziario degli altri competitor. Sempre secondo le Ricorrenti sarebbe impossibile individuare quali delle condotte poste in essere dalla società Press-Di rientrino tra quelle coperte dalle misure, mancando un parametro su cui fondare tale valutazione. Le Ricorrenti deducono poi che, per il modo in cui sono stati congegnati i rimedi riguardanti le condizioni di recesso, queste ultime o sono nella realtà dei fatti non applicate dai distributori nazionali, oppure non assicurano nessun contraddittorio in caso di disputa. Un’ulteriore censura riguarda la segregazione delle informazioni: questa risulterebbe insufficiente a tutelare i distributori locali che operano nei medesimi territori coperti dalle Parti Acquirenti, poiché il formale impegno a non richiedere e a divulgare informazioni relative ad accordi commerciali vigenti con i distributori locali o nazionali, non risulta sufficiente e praticabile per le Ricorrenti.
Il TAR Lazio, ritenuti tutti i motivi dedotti infondati e respingendo il ricorso, poiché le Ricorrenti non erano state in grado di dimostrare l’inidoneità dei rimedi imposti dall’AGCM, al contrario ritiene questi ultimi, valutati nel loro complesso, adeguati a mitigare le criticità evidenziate dalle parti e, precedentemente, dall’AGCM. Nello specifico, per il TAR Lazio, tali misure intese in senso coordinato concorrono a realizzare un temperamento adeguato ad evitare il verificarsi dei rischi paventati, dato che i rimedi sono idonei a sottrarre dalla mera volontà del distributore nazionale Press-Di la riorganizzazione della rete distributiva locale in favore delle società acquirenti. Inoltre le censure delle Ricorrenti non hanno trovato avallo nei punti di vista degli altri distributori nazionali interpellati dall’Autorità. Non risulta condivisibile neppure la censura proposta dalle Ricorrenti in merito al rimedio della segregazione delle informazioni, in quanto il TAR riconosce che l’assolutezza del rimedio proposto dall’AGCM sia volto ad escludere in assoluto uno scambio di informazioni, per il fine di prevenire qualsiasi forma di illecito correlato a questo.
Alberto Messeri
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Tutela del consumatore / Clausole vessatorie e settore dell’autonoleggio – Il TAR Lazio respinge il ricorso di Green Motion in merito alla vessatorietà delle commissioni dovute dal cliente in caso d’infrazioni stradali
Il 27 marzo 2025, il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (TAR Lazio) ha rigettato il ricorso di Green Motion Italia S.r.l. (Green Motion), volto a ottenere l’annullamento di un provvedimento dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM). A maggio del 2024, infatti, in una decisione già commentata in questa Newsletter, l’AGCM aveva comminato sanzioni pecuniarie a diverse imprese di noleggio di veicoli – inclusa Green Motion – altresì vietando loro di riproporre ai consumatori alcune clausole ritenute vessatorie.
Nel caso di Green Motion, tali clausole prevedevano che al consumatore-noleggiatore fosse addebitata una commissione – tra i 30 e 61 Euro – in ragione di ciascuna violazione del Codice della strada da egli commessa, ulteriore rispetto all’addebito della sanzione amministrativa vera e propria.
Il TAR Lazio ha sottolineato che l’art. 196 del Codice della strada dispone che un’impresa noleggiante – destinataria d’un verbale d’accertamento di un’infrazione commessa da un consumatore-noleggiatore – debba comunicare i dati del conducente all’ente accertatore; mentre, al contempo, l’impresa non è solidamente responsabile con il noleggiatore per l’ammontare della sanzione.
Innanzi all’AGCM, Green Motion aveva tentato di giustificare la legittimità delle commissioni addizionali riscosse dai propri clienti, intese come contropartita di alcuni servizi offerti loro, aggiuntivi rispetto a quanto impostole dalla legge. Green Motion, infatti, notificava il conducente d’aver ricevuto un verbale d’accertamento a carico di quest’ultimo, gli trasmetteva i riferimenti del medesimo e gestiva eventuali sue richieste informative. Di avviso esattamente opposto, l’AGCM aveva invece sanzionato Green Motion proprio per aver subordinato la valida conclusione dei noleggi all’accettazione di tali servizi – ultronei rispetto a quanto già imposto dalla legge ai noleggianti – determinando così uno squilibrio contrattuale a carico del consumatore.
Ricorsa al TAR Lazio, Green Motion ha tentato di far valere la libertà che è propria di ogni impresa nella conduzione di qualsiasi attività economica, considerato che è perfettamente lecito offrire servizi ulteriori rispetto a quelli necessari per legge. Ciononostante, il TAR Lazio si è rifiutato – per ciò solo – di escludere le pattuizioni frutto di tale libertà al sindacato sulla loro eventuale vessatorietà. Nel merito, il TAR Lazio ha quindi confermato la vessatorietà delle clausole che prevedevano tali commissioni aggiuntive. Esso, in parte è giunto a tale conclusione a causa dell’entità delle commissioni richieste per la gestione di ciascuna “pratica” aperta in caso d’infrazione, ritenute sproporzionate rispetto ai minori costi effettivamente sopportati da Green Motion. In secondo luogo, ha pesato il fatto che tali clausole non erano state subordinate a “un’esplicita richiesta o adesione” del consumatore, ai sensi dell’art. 34 del Codice del consumo.
La sentenza, per certi versi, appare in controtendenza rispetto ad alcune recenti pronunce del Consiglio di Stato (CdS). Quest’ultimo, infatti, a dicembre del 2024 (sentenze n. 9659/2024, 9660/2024, 10001/2024, 10039/2024 e 10162/2024), aveva riformato alcune decisioni del TAR Lazio in materia di clausole penali eccessive, limitandone la vessatorietà a quelle che erano “manifestamente eccessive”, non bastando che esse fossero semplicemente sproporzionate. Di contro, nella vicenda qui in commento, il TAR Lazio – confermando la precedente analisi dell’AGCM – non ha ricondotto le pattuizioni controverse a tali clausole di natura penale, il cui metro di vessatorietà è contenuto nell’art. 33, comma 2, lett. f, del Codice del consumo. Bensì, esso ha fatto rientrare le medesime entro quegli accordi determinanti uno squilibrio sinallagmatico ai danni del consumatore, di cui al comma 1 del medesimo articolo, conseguendo nel merito i risultati già esposti. Non resta che attendere un eventuale appello presso il CdS, per verificare se il filo logico seguito dal TAR Lazio nella vicenda sarà confermato.
Riccardo Ciani