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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione - 10 marzo 2025
Diritto della concorrenza – Italia / Concentrazioni e settore del gas naturale – L’AGCM autorizza con condizioni l’acquisizione da parte di Snam di Edison Stoccaggio
L’11 febbraio scorso l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha autorizzato l’operazione di concentrazione tra Snam. S.p.A. (tramite la sua controllata Stogit S.p.A. - Snam) e Edison Stoccaggio S.p.A. (Edison), entrambe attive nello stoccaggio del gas naturale, un settore fortemente regolato in Italia. Dall’attività istruttoria (già oggetto di commento nella nostra Newsletter lo scorso 13 gennaio) erano emerse alcune questioni in merito alla definizione di mercato e sui potenziali effetti dell’operazione, che avrebbe, nella sostanza, reso Snam monopolista del settore.
I servizi di stoccaggio permettono di conservare il gas naturale in alcuni siti (solitamente in precedenza utilizzati per l’estrazione di idrocarburi), in modo da poter utilizzare quei volumi anche nei momenti dell’anno in cui vi è una contrazione dei flussi di gas in entrata in Italia. Nello specifico, sia Stogit sia Edison si occupano dei servizi del c.d. stoccaggio di modulazione, ossia l’unica tipologia di stoccaggio conferito mediante procedure competitive, caratterizzato da prestazioni combinate di deposito, iniezione del gas e di erogazione nei confronti delle imprese di vendita (Shippers).
L’AGCM aveva inizialmente individuato il servizio di stoccaggio come un mercato a sé stante, seguendo lo stesso indirizzo condiviso dalla Commissione Europea nel 2022 in un caso in cui era coinvolta la stessa Snam. In seguito a un’indagine di mercato condotta su 123 società che hanno acquistato capacità di stoccaggio negli ultimi cinque anni, è emersa invece la sostituibilità del servizio di stoccaggio con altri servizi che hanno il medesimo scopo di assicurare l’approvvigionamento flessibile di gas (Servizi di Flessibilità). Secondo quanto accertato dall’AGCM, nel momento in cui i prezzi dello stoccaggio salissero ovvero la qualità del servizio reso da Stogit oppure Edison peggiorasse, gran parte degli Shippers non esiterebbe ad adottare canali differenti per approvvigionarsi del gas necessario per garantire la loro domanda di flessibilità di iniezione di gas naturale nel sistema di trasporto. Pur lasciando aperta la questione sull’esatto perimetro del mercato, l’AGCM ha ritenuto che gli elementi acquisiti durante la sua attività istruttoria suggeriscano di ricomprendere i servizi di stoccaggio nel più ampio mercato dei Servizi di Flessibilità.
Per quanto riguarda i potenziali effetti dell’operazione, all’avvio della c.d. Fase II le principali preoccupazioni dell’Autorità spaziavano dall’incremento dei prezzi del servizio, alla diminuzione degli investimenti di Snam per soddisfare il fabbisogno su tutto il territorio nazionale, alla riduzione del livello qualitativo. Oltre ad aver sentito in audizione vari Shippers di Snam e Edison, sono stati coinvolti l’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente (ARERA), il Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE), nonché la società Ascopiave S.p.A. (Ascopiave), la quale nel 2024 aveva presentato un’offerta per acquisire Edison. L’ARERA da un lato, mediante delibere sulla regolazione delle tariffe e sui livelli qualitativi da rispettare nel servizio di stoccaggio, e il MASE dall’altro, con decreti ministeriali sul volume di stoccaggio annuale concesso agli operatori di trasporto e la gestione sul rilascio delle concessioni alle società richiedenti, regolamentano nel dettaglio l’intero settore. Per quanto riguarda le preoccupazioni sul prezzo del servizio, l’ARERA ha evidenziato come le modalità di erogazione siano interamente regolate da quest’ultima, sottraendo autonomia decisionale alle società nella loro determinazione; oltretutto, viene ricordata l’attività compensativa svolta dalla Cassa per i Servizi Energetici e Ambientali, la quale bilancia eventuali incrementi o riduzioni dei prezzi in base ai criteri fissati dall’ARERA. In tema di politiche d’investimento, l’ARERA ha predisposto dei meccanismi di monitoraggio sulla loro validità, ma ha anche imposto degli obblighi informativi nei confronti delle società di stoccaggio. Meccanismi di questo tipo, come nel caso della regolazione sui prezzi, appaiono idonei secondo l’AGCM a impedire che l’efficacia e l’efficienza del sistema di erogazione dello stoccaggio venga compromesso.
Sul tema della qualità del servizio, l’indagine di mercato e l’intervento di Ascopiave hanno sottolineato che Edison garantiva una flessibilità di servizio maggiore rispetto a quella di Snam; l’AGCM ha quindi evidenziato la preoccupazione che, a seguito dell’operazione, il livello qualitativo dei servizi possa ridursi. Snam ha quindi proposto due misure per ridurre il rischio che tale eventualità si verifichi: con la prima assicura che il servizio di erogazione sarà garantito a pari condizioni rispetto a quelle precedentemente fissate da Edison, nella seconda invece SNAM si è obbligata a comunicare all’AGCM eventuali modifiche regolamentari e le comunicazioni tra Snam e le autorità/amministrazioni competenti che possano avere un effetto sul livello del servizio reso.
L’AGCM ha ritenuto idonee tali misure e, su tali basi, ha autorizzato l’operazione.
Alla luce delle preoccupazioni che l’AGCM aveva manifestato all’avvio della Fase II e della prospettazione dell’operazione come, nella sostanza, una c.d. “merger to monopoly”, l’autorizzazione dell’operazione con dei rimedi comportamentali sembra aprire la strada a un diverso approccio dell’AGCM alla valutazione delle operazioni di concentrazione. L’AGCM sembra pronta ad affrontare definizioni di mercato più aderenti alla realtà e di tenere così conto delle esigenze sottese al Report Draghi circa la necessità della presenza di operatori di dimensioni europee, soprattutto in relazione ad attività strategiche come lo stoccaggio di gas.
Giacomo Perrotta
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Aiuti di Stato e settore energetico – Il CdS respinge la tesi della necessaria comunicazione alla Commissione prima di revocare un aiuto
Con la sentenza pubblicata il 4 marzo scorso, il Consiglio di Stato (CdS) ha respinto il ricorso proposto da un cittadino (il Ricorrente) avverso la sentenza resa dal Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Bolzano (TRGA), con la quale era stata accertata la legittimità di un provvedimento di riduzione di una preesistente misura di sostegno da parte della Provincia Autonoma di Bolzano (la Provincia). Con tale provvedimento la Provincia aveva ritenuto che continuare a concedere un precedente contributo economico fosse divenuto in contrasto con la normativa sugli aiuti di Stato, e ne aveva pertanto ridotto l’ammontare.
La vicenda trae origine dalla concessione al Ricorrente di un contributo economico da parte della Provincia per la costruzione di un impianto idroelettrico per la fornitura di energia elettrica in autoconsumo per una malga, in misura pari all’80% della somma ammessa. L’aiuto si inseriva nell’ambito di un regime di aiuti autorizzati dalla Commissione europea (la Commissione) per il periodo 2011-2016. Successivamente, la Provincia comunicava al Ricorrente l’avvio del procedimento per la revoca parziale del contributo (con una rideterminazione dall’80% al 65%). La Provincia si era infatti accorta che il già menzionato regime di aiuti era stato autorizzato fino al 2016 e che, quindi, da tale data l’amministrazione avrebbe dovuto applicare il Regolamento (UE) N. 651/2014 che permetteva – nel caso di specie – un aiuto fino al 65% della somma complessiva.
Il Ricorrente ha impugnato il provvedimento chiedendo al TRGA di annullarlo, ritenendo che il contributo, nella somma inizialmente prevista, non potesse costituire un aiuto incompatibile con il mercato interno perché la Commissione non si era espressa sulla sua compatibilità per il periodo successivo al 2016; il TRGA ha ritenuto che il provvedimento della Provincia fosse esente da censure, anche a seguito di un rinvio pregiudiziale alla CGUE che riteneva confermata la possibilità di uno Stato membro di recuperare aiuti di Stato illegali senza il previo intervento della Commissione; per tale motivo, il TRGA rigettava integralmente il ricorso di primo grado.
Dinanzi al CdS il Ricorrente lamentava che la Provincia avrebbe dovuto sospendere provvisoriamente l’erogazione del contributo, e notificare alla Commissione una richiesta di compatibilità dello stesso con il mercato interno; il CdS rigetta tale interpretazione della normativa rilevante, perché fondata su un’interpretazione analogica di una diversa procedura in ambito di aiuti di Stato, che nulla condivide con il caso di specie. Inoltre, il CdS ritiene che, la notifica alla Commissione in ambito di nuovi aiuti di Stato sia un atto inerente al processo legislativo e non un atto amministrativo, infatti, dopo la scadenza dell’autorizzazione all’aiuto, la scelta della Provincia di sospendere temporaneamente il contributo e notificare l’aiuto alla Commissione ovvero ridurlo autonomamente “appare una decisione di carattere politico […] e non amministrativo essendo relativa alla notifica in sede unionale di una misura di carattere legislativo relativa ad un nuovo aiuto”, pertanto la questione sul c.d. obbligo di notifica sarebbe in ogni caso non sindacabile dal giudice amministrativo. Il CdS specifica che la rideterminazione del contributo economico era un comportamento legittimo, anche alla luce della giurisprudenza della CGUE secondo la quale vi è un obbligo per le autorità amministrative di adottare le misure idonee per eliminare gli effetti derivanti dall’erogazione di aiuti illegali.
Con un secondo motivo, il Ricorrente lamenta la violazione delle norme nazionali sul procedimento amministrativo, dal momento che la Provincia avrebbe adottato un provvedimento di revoca in autotutela senza motivare con riguardo all’interesse pubblico al provvedimento, nonché tardivamente rispetto ai termini previsti dalla legge per agire in autotutela. Il CdS ritiene invece che l’interesse pubblico su cui si fonda il provvedimento della Provincia consiste proprio nella volontà della Provincia di riportare l’azione amministrativa all’interno di un quadro di legittimità unionale; con riferimento alle tempistiche per l’annullamento, il CdS stabilisce che il termine da prendere a riferimento non è quello previsto dalla legge 241/1990 sul procedimento amministrativo, quanto invece quello di durata decennale previsto per il recupero di aiuti di Stato illegali.
In conclusione, il CdS ritiene infondati i motivi del Ricorrente e rigetta integralmente l’appello; la vicenda offre importanti chiarimenti sulla legittimità dell’operato della pubblica amministrazione e sull’ampiezza delle facoltà ad essa concesse in tema di aiuti di Stato.
Alessandro Schifone
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Appalti, concessioni e regolazione / Regolazione e settore delle telecomunicazioni – Il CdS riconosce la legittimità del “Regolamento Scavi” di Roma Capitale
Con le tre sentenze n. 1816/2025, n. 1921/2025 e 1922/2025, il Consiglio di Stato (CdS) ha confermato la legittimità di alcune previsioni del Regolamento Scavi di Roma Capitale che incidono sui titoli per la realizzazione di nuove reti di comunicazione elettronica e sulla modalità per la loro realizzazione. La controversia vedeva opposti, da una parte, Roma Capitale e, dall’altro, Telecom Italia e altri operatori del settore che richiedevano l’applicazione della disciplina speciale e derogatoria del Codice delle comunicazioni elettroniche anche al Regolamento Scavi.
Se la sentenza di primo grado aveva accolto i ricorsi degli operatori, il CdS ha accolto tre punti essenziali dell’appello proposto da Roma Capitale.
In primo luogo, secondo il CdS, Roma Capitale ha il potere di subordinare il rilascio dell’autorizzazione in favore dell’operatore TLC alla sottoscrizione, da parte di quest’ultimo, di una convenzione accessoria predisposta unilateralmente dall’Amministrazione, che detti prescrizioni relative alle modalità di esecuzione dei lavori, nonostante il Codice delle comunicazioni elettroniche (CEE) non faccia espressa menzione di tale facoltà.
Infatti, la realizzazione di impianti TLC che richiedono l’effettuazione di scavi e l’occupazione di suolo pubblico implicherebbe sia un’autorizzazione amministrativa sia il rilascio di una concessione, che recherebbe con sé il potere dell’Amministrazione di imporre unilateralmente delle prescrizioni circa l’uso del bene pubblico.
Secondo il CdS, ciò non violerebbe né il principio di accesso al mercato, poiché tutti gli operatori economici che operano sul territorio capitolino sono soggetti al medesimo trattamento in condizioni di trasparenza e non discriminazione, né il principio di libera concorrenza, non determinando oneri significativi in aggiunta a quelli già previsti dal CEE.
In secondo luogo, il CdS ha ritenuto legittimo il Regolamento Scavi anche laddove subordina il rilascio dell’autorizzazione alla previa inclusione dell’intervento nella programmazione triennale dell’Amministrazione, con l’eccezione degli interventi urgenti o non programmabili. Tale previsione, infatti, sarebbe funzionale a garantire la tutela dell’interesse pubblico all’efficienza e alla sicurezza stradale, nonché a minimizzare i disagi per i cittadini e a evitare sprechi di risorse pubbliche.
In terzo luogo, il CdS ha anche smentito il TAR Lazio rispetto alla presunta incompatibilità con il Decreto Scavi (DM 1° ottobre 2013) di un regolamento comunale che detti le specifiche tecniche dello scavo e del ripristino del manto stradale, con particolare riguardo alle cosiddette “mini” e “micro” trincee.
Infatti, l’eventuale incompatibilità delle previsioni comunali con il Decreto Scavi, che come noto ha stabilito delle direttive tecniche inerenti alla posa di infrastrutture digitali, non può essere dichiarata a priori e in astratto, ma va valutata dal giudice caso per caso e in concreto, in relazione alla singola specifica tecnica. In altre parole, il Comune può dettare delle norme destinate ad integrare la disciplina nazionale, che non ha quindi carattere esaustivo.
La sentenza sembra assegnare un punto a favore delle amministrazioni locali nel costante contrasto tra queste che cercano sistematicamente di opporsi all’applicazione della disciplina speciale e derogatoria del Codice delle Comunicazioni elettroniche e gli operatori del settore che invece si appoggiano a tale disciplina per promuovere la realizzazione di nuove infrastrutture di rete. L’effetto pratico della sentenza – come riconosce lo stesso CdS – è certamente che viene complicato anziché semplificato il rilascio dei titoli necessari alla realizzazione di nuovi tratti di rete. Visto l’impatto della sentenza sul processo di cablatura nel territorio della capitale, si attende di vedere quale sarà la prossima mossa degli operatori.
Niccolò Ferracuti
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Legal News / Concentrazioni e settore dell’intelligenza artificiale – La CMA decide di non avviare un’indagine antitrust sulla partnership tra Microsoft e OpenAI
Con la decisione dello scorso 5 marzo, la Competition and Markets Authority (la CMA) ha stabilito che la partnership tra Microsoft Corporation (Microsoft), OpenAI, Inc. e OpenAI OpCo LLC (OpenAI) non costituisce, al momento, una concentrazione ai sensi della Sezione 22 dell’Enterprise Act 2002 e, di conseguenza, non è soggetta ai relativi poteri di revisione della CMA.
La collaborazione tra Microsoft e OpenAI era iniziata nel 2019 e si è evoluta nel tempo con il progressivo aumento degli investimenti di Microsoft, che a oggi ammontano a circa 14 miliardi di dollari. Nel corso degli anni, le due società hanno ampliato le loro collaborazioni, con Microsoft che ha ottenuto un accordo di esclusiva per la fornitura di infrastrutture cloud. Inoltre, Microsoft detiene un’esclusiva sulla licenza della proprietà intellettuale di OpenAI, con alcune eccezioni, tra cui l’intelligenza artificiale generale.
A seguito del ruolo svolto da Microsoft nella rielezione del CEO di OpenAI nel novembre 2023, la CMA aveva avviato un’indagine preliminare poiché riteneva che fosse ragionevolmente possibile che Microsoft detenesse un controllo effettivo, e non solo un’influenza materiale, sulla politica commerciale di OpenAI. Secondo la CMA, un cambiamento di controllo avrebbe richiesto un’attenta analisi al fine di verificare se l’operazione avrebbe potuto determinare una “diminuzione sostanziale della concorrenza” nel Regno Unito, in particolare nei mercati dei foundation models e del calcolo accelerato. Nell’indagine preliminare, al fine di stabilire se si fosse in presenza di una concentrazione, la CMA ha tenuto conto anche dei principi delineati nel suo recente Report sugli AI Foundation Models, volti a garantire la tutela dei consumatori e una concorrenza equa nello sviluppo e nell’utilizzo dei foundation models.
Dopo quindici mesi in cui sono state compiutamente svolte alcune valutazioni sul caso, la CMA ha stabilito che non vi è stato l’acquisto del controllo da parte di Microsoft. Al contrario, alcuni recenti sviluppi nella collaborazione tra le società hanno portato la CMA a ritenere che la dipendenza di OpenAI da Microsoft si sia nel tempo ridotta. Ad esempio, Microsoft ha di recente rinunciato a ottenere un posto nel consiglio di amministrazione. Inoltre, Microsoft non detiene più un’esclusiva sulla fornitura di infrastrutture cloud ma un diritto di prelazione.
In ultimo, la CMA ha concluso che sebbene Microsoft eserciti, comunque, un’influenza materiale sulla politica commerciale di OpenAI, la stessa non detiene un controllo di fatto. Nella sua forma attuale, la partnership non rappresenta pertanto una concentrazione, e di conseguenza la CMA ha ritenuto di non avviare un’indagine antitrust più approfondita. Tuttavia, ciò non esclude la possibilità che la collaborazione tra le due società possa in futuro sollevare preoccupazioni di carattere concorrenziale; per tale motivo, la CMA ha dichiarato che continuerà a monitorare l’evoluzione della partnership, in modo analogo a quanto già concluso dalla Commissione europea, che lo scorso luglio aveva adottato una decisione simile.
Federica Antoniani
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