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Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione - 29 gennaio 2024

Diritto della concorrenza – Europa / Intese e tariffe professionali – La CGUE ha stabilito che le norme previste dal diritto bulgaro che fissano un importo minimo per gli onorari degli avvocati costituiscono una restrizione della concorrenza “per oggetto”

Con la sentenza del 25 gennaio scorso (la Sentenza), la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) si è pronunciata sul rinvio pregiudiziale proposto dal Tribunale distrettuale di Sofia (Tribunale del rinvio) in merito alla compatibilità della normativa predisposta da un’associazione professionale (il Consiglio Supremo dell’Ordine degli Avvocati) validata da una legge dello Stato della Bulgaria – che fissa un importo minimo per gli onorari degli avvocati (e che vietano al giudice nazionale di rifondere alla parte soccombente costi inferiori) con il diritto dell’Unione europea e, nello specifico, con l’Articolo 101(1) del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE).

Il rinvio era stato effettuato nell’ambito di una controversia sorta tra la Em akaunt BG EOOD, una società di accounting, e la Zastrahovatelno aktsionerno druzhestvo Armeets AD, il suo assicuratore, relativa a una domanda di risarcimento in cui erano inclusi gli onorari dell’avvocato della ricorrente nel procedimento principale, calcolati conformemente ad un accordo previamente concluso tra la ricorrente e il suo avvocato. Mediante dieci quesiti pregiudiziali diversamente articolati, il Tribunale del Rinvio chiedeva se i giudici nazionali, quando sono chiamati a determinare l’importo delle spese ripetibili a titolo di onorari d’avvocato, siano vincolati da una tariffa che fissa importi minimi di onorari, adottata da un’organizzazione professionale di avvocati di cui questi ultimi sono obbligatoriamente membri per legge.

Con la prima domanda, il Tribunale del Rinvio in particolare chiedeva se di fronte ad un regolamento che fissa gli importi minimi degli onorari degli avvocati, reso obbligatorio da una normativa nazionale, un giudice nazionale possa rifiutare di applicare detta normativa nazionale nei confronti della parte condannata a pagare le spese corrispondenti agli onorari d’avvocato. In forza del principio del primato del diritto dell’Unione Europea, la CGUE ha sul punto ribadito che nei limiti in cui un giudice nazionale dovesse constatare che le restrizioni della concorrenza risultanti dal regolamento relativo agli importi minimi degli onorari degli avvocati non possono essere considerate inerenti al perseguimento di obiettivi legittimi, la normativa nazionale che lo rende obbligatorio sarebbe incompatibile con l’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, in combinato disposto con l’articolo 4, paragrafo 3, TUE.

Con le successive sette domande pregiudiziali, il Tribunale del Rinvio chiedeva se, una normativa nazionale come quella oggetto di discussione, per il fatto di essere volta a garantire la qualità dei servizi forniti dagli avvocati, sia conforme all’articolo 101 TFUE. La CGUE, prima di valutare l’applicazione della giurisprudenza Wouters (causa C-309/99) - ai sensi della quale taluni comportamenti, i cui effetti restrittivi della concorrenza sono tuttavia necessari per il perseguimento di obiettivi legittimi, non rientrino nell’ambito di applicazione dell’articolo 101(1) TFUE - ha ritenuto necessario ricordare i principi giurisprudenziali in merito alla (a dire il vero, non sempre chiara) distinzione tra intese per oggetto e per effetto. Con riferimento alla fissazione orizzontale dei prezzi, la CGUE afferma che sia notorio che questa abbia effetti negativi, in particolare, sul prezzo, sulla quantità o sulla qualità dei prodotti e dei servizi tale da rendere inutile, ai fini dell’applicazione dell’articolo 101(1) TFUE, dimostrare che tali comportamenti abbiano effetti concreti sul mercato. Alla luce di ciò, la CGUE ha concluso che le restrizioni “per oggetto” non possono in nessun caso essere giustificate dal perseguimento di “obiettivi legittimi”, come quelli asseritamente perseguiti dalla normativa relativa agli importi minimi degli onorari d’avvocato.

Il Tribunale del Rinvio si è quindi interrogato se, anche a fronte di un regolamento adottato da un’associazione di imprese, quale può essere considerato il Consiglio Supremo dell’Ordine degli Avvocati, in violazione dell’Articolo 101(1) TFUE e quindi nullo di pieno diritto in conformità all’Articolo 101(2) TFUE, un giudice nazionale fosse comunque tenuto ad utilizzare gli importi minimi fissati da detta normativa laddove questi riflettano i prezzi reali del mercato dei servizi legali. Al riguardo, la CGUE ha ricordato che gli accordi vietati ai sensi dell’Articolo 101(1) TFUE sono nulli di pieno diritto, non rilevando la circostanza che gli importi previsti da detto regolamento riflettono i prezzi di mercato reali delle prestazioni legali. In ogni caso la CGUE evidenzia che il prezzo di un servizio fissato in un accordo tra tutti gli operatori concorrenti non può essere considerato un prezzo reale di mercato.

Mediante la Sentenza in commento, la CGUE ha colto l’occasione per ridefinire i contorni della sua precedente giurisprudenza in materia e, più in generale, per chiarire ulteriormente il labile confine tra intesa per oggetto e per effetto, ribadendo che la cosiddetta eccezione “Wouters”, legata al contestuale perseguimento di obiettivi legittimi, non è applicabile alle restrizioni per oggetto. Sarà interessante vedere come tale ultimo principio venga in concreto declinato nell’attuale dibattito in relazione alla valutazione ai sensi del diritto della concorrenza degli accordi tra imprese concorrenti che sono tuttavia finalizzati al perseguimento di obiettivi ESG.

Sabina Pacifico

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Concentrazioni e settore del trasporto aereo – La Commissione avvia la c.d. fase II sulla proposta di acquisizione di Air Europa da parte di IAG

Con il comunicato stampa dello scorso 24 gennaio, la Commissione europea (la Commissione) ha annunciato di aver avviato un’indagine approfondita – c.d. “fase II” – relativamente all’acquisizione da parte di International Consolidated Airlines Group S.A. (IAG) del controllo esclusivo di Air Europa Holding, S.L. (Air Europa) (l’Operazione). La Commissione, infatti, teme che l’Operazione possa produrre effetti restrittivi della concorrenza nel mercato dei servizi di trasporto aereo passeggeri su diverse rotte nazionali, a breve e lungo raggio, da e per la Spagna. Dall’avvio della fase II, la Commissione avrà 90 giorni lavorativi di tempo per giungere ad una decisione sulle sorti dell’Operazione.

Air Europa costituisce la “divisione” aerea di Globalia, un gruppo spagnolo attivo nel settore del turismo, mentre IAG è una nota multinazionale nel settore del trasporto aereo al vertice di un gruppo di cui fanno parte Iberia, Vueling, British Airways e AER Lingus. Peraltro, IAG detiene già circa il 20% del capitale di Air Europa ed aveva annunciato da tempo, in una fase pre-pandemica, l’intenzione di acquisirne anche il restante 80%; tuttavia, l’avvento del Covid-19 ed altri fattori esterni hanno allungato i tempi di conclusione dell’accordo, fino a giungere ad una notifica formale alla Commissione solo l’11 dicembre 2023.

Le principali problematiche collegate all’Operazione riguardano possibili preoccupazioni concorrenziali nel mercato del trasporto aereo di passeggeri nel quale le due compagnie sono concorrenti su numerose rotte, incluse: (i) rotte nazionali, per cui i treni non costituiscono una valida alternativa (si pensi, ad esempio, alle rotte nazionali per le isole Baleari o per le Canarie); (ii) rotte internazionali a corto raggio, che collegano Madrid alle principali città dello Spazio Economico Europeo, nonché al Regno Unito, Svizzera, Israele e Marocco; (iii) rotte internazionali a lungo raggio, che collegano principalmente Madrid con Nord e Sud America. In sintesi, le preoccupazioni della Commissione sembrano soprattutto concentrarsi nell’aeroporto di Madrid-Barajas, dal quale partono la maggior parte dei collegamenti, sia a corto, sia a lungo raggio, di entrambe le parti. Ulteriori preoccupazioni concorrenziali sono state espresse anche con riferimento alle rotte a lungo raggio per le quali le compagnie non effettuano un servizio di collegamento diretto, ma forniscono un collegamento con i principali scali per le rotte transatlantiche (soprattutto con riferimento ai voli per il Sud America). Analogamente, sono stati sollevati problemi inerenti all’accesso da parte dei concorrenti alla rete delle rotte nazionali e a corto raggio servite dalle parti, laddove tale accesso sia indispensabile per effettuare il proprio servizio – e quindi esercitare un’effettiva pressione concorrenziale – sulle rotte internazionali (a lungo raggio) servite anche da IAG.

Resta da vedere se questi dubbi si risolveranno o meno nel corso dell’istruttoria approfondita della Commissione.

Con l’Operazione in questione, ammonta a tre il numero di concentrazioni nel settore del trasporto aereo che sono al momento al vaglio della Commissione in fase II. Oltre a Lufthansa/ITA Airways, appena annunciata dalla Commissione europea, anche l’acquisizione di Asiana Airlines da parte di Korean Air, da tempo pendente, per la quale si attende una decisione da parte della Commissione nella prima metà di febbraio.

Irene Indino

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Aiuti di Stato e settore dell’energia – Il Tribunale dell’Unione Europea ha annullato la decisione della Commissione che qualificava come aiuto di Stato il sostegno della Germania alla produzione di energia da impianti di cogenerazione nuovi, modernizzati e riadattati ad alta efficienza

Con la sentenza pubblicata lo scorso 24 gennaio, il Tribunale dell’Unione Europea (il Tribunale) ha dichiarato che, diversamente da quanto sostenuto dalla Commissione europea (la Commissione), il sostegno alle centrali di cogenerazione di calore ed elettricità (Centrali CHP) stabilito dalla Repubblica federale di Germania (la Germania) non costituisce un aiuto di Stato.

La vicenda trae origine dalla decisione della Commissione che nel 3 giugno del 2021 aveva ritenuto che le misure adottate dalla Germania – ossia il sostegno alla produzione di elettricità da parte di Centrali CHP, agli impianti di stoccaggio di calore e freddo, e alle reti urbane per il riscaldamento e raffreddamento – costituissero aiuti di Stato ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1 TFUE, in quanto finanziate mediante risorse statali (la Decisione). In particolare, la Commissione sosteneva che gli aiuti concessi dalla Germania fossero finanziati tramite entrate riconducibili a un contributo obbligatorio de jure imposto dallo Stato.

In particolare, la misura consisteva principalmente in un sostegno nelle vesti di un premio – più un eventuale bonus – che si aggiungeva ai ricavi ottenuti dalla vendita a prezzo di mercato dell’elettricità prodotta dalle centrali CHP. I gestori delle centrali CHP avevano diritto a ricevere il rispettivo premio – eventualmente accompagnato dal menzionato bonus – da parte del gestore della rete di trasporto alla quale tali centrali erano direttamente o indirettamente collegate.

Il Tribunale ricorda in primis le quattro condizioni necessarie per la qualifica di “aiuto di Stato”, ossia l’esistenza di un intervento dello Stato mediante risorse statali; l’idoneità di quest’ultimo ad incidere sugli scambi tra Stati membri; il fatto che conceda un vantaggio selettivo al beneficiario e che falsi o minacci di falsare la concorrenza.

Il Tribunale, focalizzandosi sul primo di questi requisiti, ribadisce, tramite esplicito riferimento alla recente giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (cfr. Casi riuniti C-702/20 e C-17/21, DOBLES HES) che possono essere qualificate come “risorse statali”: (i) i fondi alimentati da un’imposta in virtù di normativa nazionale e gestititi e ripartiti secondo la stessa; ovvero (ii) le somme che restano costantemente sotto la disposizione e controllo “pubblico”.

Con la sentenza in commento, il Tribunale valuta il caso di specie alla luce dei due criteri appena menzionati e, con riferimento al primo statuisce che “… il fatto che l’onere finanziario del prelievo sia in concreto sopportato da una determinata categoria di persone non è sufficiente per dimostrare che i fondi risultanti da tale prelievo abbiano il carattere di «risorse statali» […] È necessario altresì che il suddetto prelievo sia obbligatorio in virtù del diritto nazionale …”. Nel caso di specie, prosegue il Tribunale, “… non era sufficiente che i gestori di rete ripercuotessero sul prezzo di vendita dell’elettricità ai loro clienti finali i costi supplementari […] dato che questa compensazione derivava unicamente da una prassi e non da un obbligo legale”. In altre parole, non era giuridicamente necessario che l’onere relativo per i maggiori costi fosse trasferito al consumatore. Oltretutto, secondo il Tribunale la Commissione non può sostenere che lo Stato si appropria delle risorse dei gestori di rete, in quanto questi non sono necessariamente i soggetti che alla fine sono chiamati a sopportare tale onere. Pertanto, la valutazione dell’esistenza di un obbligo di legge solamente sul primo livello della catena del valore nel settore di specie (ai sensi del quale i gestori delle centrali CHP dovevano esser compensati dai c.d. gestori di rete) e non anche sul secondo livello (ossia nella relazione tra i gestori di rete e i propri clienti) non può per il Tribunale essere sufficiente a configurare il requisito necessario per la valutazione coerente con la giurisprudenza della CGUE.

Inoltre, in relazione al secondo criterio per la qualificazione di “risorse statali” – ossia il controllo pubblico costante sulle risorse – il Tribunale afferma che il fatto che i fondi utilizzati siano destinati esclusivamente all’esecuzione dell’obbligo legale dimostra che lo Stato non sarebbe in grado di disporre di tali fondi, e dunque non potrebbe decidere una destinazione diversa da quella stabilita per legge. Il Tribunale statuisce dunque che “… il fatto che la legge preveda in maniera dettagliata le modalità di assegnazione del sostegno finanziario non è idoneo a configurare un trasferimento di risorse statali …” bensì unicamente “…l’imputabilità allo Stato delle misure di sostegno alla CHP”.

Il Tribunale, sulla base di ciò, ha pertanto annullato la Decisione della Commissione. La sentenza in commento risulta interessante in quanto fornisce alcuni elementi utili alla valutazione dei criteri per la definizione di una misura come “aiuto di Stato”. Non resta ora che attendere l’eventuale sentenza della CGUE per osservare se questa deciderà di confermare le argomentazioni del Tribunale e l’interpretazione di quest’ultimo della propria recente giurisprudenza sul tema.

Fabio Bifarini

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Concorrenza e settore farmaceutico – La Commissione pubblica un report sull’attività di enforcement nel settore farmaceutico nel periodo 2018-2022

Lo scorso 26 gennaio, la Commissione europea (Commissione) ha pubblicato un report sulle attività di enforcement nel periodo 2018-2022, fornendo una panoramica di come sia la Commissione, sia le autorità nazionali garanti della concorrenza negli Stati membri hanno applicato le norme in materia antitrust e di controllo sulle concentrazioni nel settore in rilievo.

Nel periodo in analisi, sono state adottate nel complesso 26 decisioni antitrust (metà delle quali relative a indagini avviate ex officio), dando luogo a sanzioni nella maggior parte dei casi (con multe per quasi 780 milioni di euro complessivi), mentre in altri le istruttorie sono state concluse con l’accettazione di impegni, senza accertamento di infrazione. Il 50% delle indagini ha riguardato condotte unilaterali, tra cui particolare attenzione hanno avuto le condotte abusive escludenti connesse a coperture brevettuali o contenziosi brevettuali (tra queste si ricorda il caso Teva della Commissione, relativo all’abuso di procedure brevettuali e alla presentazione scaglionata di brevetti divisionali volto a ritardare ovvero impedire l’ingresso sul mercato di farmaci concorrenti) e l’imposizione di prezzi eccessivi (tra cui sono ricordati il caso Aspen comunitario e la precedente indagine Aspen dell’autorità italiana, oltre al più recente caso Leadiant, confermando quindi la fervente attività dell’autorità garante della concorrenza italiana in questo settore). Esse sono state seguite, a livello statistico, da accordi orizzontali quali i c.d. “pay for delay” (8%), cartelli e manipolazione di gare d’appalto (31%) ed accordi verticali (ove è richiamato ancora una volta il caso italiano Sofar, relativo all’asserita imposizione di prezzi di rivendita ai dettaglianti online, chiuso con impegni - 11%). Interessante notare che, negli ultimi anni, si è assistito ad un trend crescente in relazione a condotte abusive consistenti in denigrazione dei prodotti degli operatori concorrenti. Rispetto al periodo 2009-2017 esaminato nella relazione precedente, il numero medio di decisioni adottate ogni anno nel periodo 2018-2022 (cinque anni) è aumentato da circa tre a cinque. Infine, si indica che circa 30 casi sono attualmente ancora in corso di esame, sottolineando quindi il perdurante interesse delle autorità all’intero settore, che resta tra le priorità di enforcement.

Sul fronte del controllo delle concentrazioni, la Commissione ha esaminato più di 30 operazioni in questo settore, rilevando criticità concorrenziali in 5 casi, tra cui è stata chiesta l’assunzione di impegni in 4 circostanze, mentre un’operazione è stata del tutto abbandonata dalle parti. In particolare, sembra emergere una particolare attenzione non solo all’impatto che l’operazione potrebbe avere sul livello dei prezzi e di scelta a beneficio ultimo dei pazienti e dei sistemi sanitari nazionali, ma anche su possibili operazioni che potrebbero essere suscettibili di ridurre o rallentare l’innovazione. In alcuni casi, la Commissione ha imposto misure correttive volte ad assicurare che progetti di concentrazione non bloccassero ovvero ostacolassero lo sviluppo di un nuovo farmaco. Inoltre, si è ricordato che la Commissione ha avviato uno studio sul fenomeno delle c.d. “killer acquisitions” nel settore farmaceutico (ossia operazioni in cui le imprese acquisiscono concorrenti nascenti in thesi per interrompere i loro progetti di innovazione, anticipando così l’emergere di un potenziale nuovo concorrente). Lo studio intende valutare le operazioni intervenute nel periodo 2014-2018 ed elaborare una metodologia, per la Commissione, per individuare tali operazioni in futuro in maniera più efficace.

La panoramica e gli esempi specifici illustrati nella relazione della Commissione mostrano una significativa attenzione posta a questo settore negli ultimi anni, e casi decisi possono costituire un valido punto di riferimento per le imprese nelle proprie attività di compliance. L’applicazione efficace delle regole sulla concorrenza nel settore farmaceutico sembra pertanto rimanere un’alta priorità per le autorità di concorrenza in tutta Europa, che verosimilmente continueranno ad esercitare un controllo proattivo su situazioni potenzialmente anticoncorrenziali.

Cecilia Carli

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Appalti, concessioni e regolazione / Appalti, cause di esclusione – Il Consiglio di Stato si è espresso sulla questione relativa al limite temporale di rilevanza dei gravi illeciti professionali come cause di esclusione in materia di appalti

Con sentenza 10 gennaio 2024, n. 350, il Consiglio di Stato (CdS) interviene in tema di requisiti di partecipazione che interessano il c.d. illecito professionale. La sentenza statuisce la necessità che la stazione appaltante motivi espressamente sull’ammissibilità del concorrente in presenza di situazioni che potenzialmente possono configurare una situazione di illecito professionale. Essa inoltra precisa la rilevanza temporale di queste situazioni anche alla luce dell’art. 96, comma 10, sub c) del nuovo Codice, seppur in via ermeneutica.

La vicenda trae origine nel 2021 da una procedura di gara per l’affidamento del servizio di trasporto scolastico nel Comune di Castellammare di Stabia, all’esito della quale è giunta seconda la società che gestiva il servizio in precedenza.

La società impugnava di fronte al TAR Campania (il TAR) l’aggiudicazione. Essa prospettava che l’operatore aggiudicatario fosse privo dei requisiti di partecipazione ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. c) del ‘vecchio’ Codice Appalti perché aveva commesso illeciti professionali che ne mettevano in dubbio l’affidabilità (nella specie, aveva subito una risoluzione per inadempimento di un precedente contratto pubblico e il suo legale rappresentante era stato rinviato a giudizio per il reato di turbata libertà degli incanti ex art. 353 c.p.).

Il TAR respingeva il ricorso non ritenendo sussistente la natura escludente delle vicende contrattuali. Inoltre, per ciò che concerne il rinvio a giudizio del legale rappresentante, il TAR escludeva la rilevanza dell’azione penale perché relativa ad indagini risalenti al 2016 e pertanto antecedenti al triennio di rilevanza temporale degli illeciti in materia di appalti.

Il CdS riforma la sentenza di primo grado. La decisione tocca due temi.

In primo luogo, il CdS affronta la questione della motivazione dei provvedimenti di ammissione alla gara che. Se la regola generale è che questi provvedimenti non devono essere specificamente motivati, il CdS ritiene che, nel caso di specie, fosse invece necessaria una motivazione specifica che l’amministrazione aveva omesso. Infatti, secondo la sentenza in esame, l’amministrazione deve dare espressamente conto del perché un concorrente viene ammesso tutte le volte che, come nel caso di specie, sussistano situazioni potenzialmente idonee a configurare la sussistenza di un illecito professionale ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. c) del ‘vecchio’ Codice Appalti.

In secondo luogo, la sentenza del Consiglio di Stato esamina il tema relativo alla rilevanza temporale degli illeciti. In assenza di specifica disciplina del vecchio Codice Appalti, applicabile al caso ratione temporis, il Collegio applica l’art. 57, par. 7, della direttiva 2014/24/UE e l’elaborazione giurisprudenziale. Nella decisione in esame, il CdS stabilisce come il termine di decorrenza triennale ai fini della rilevanza dei gravi illeciti professionali deve essere calcolato a partire dalla data di esercizio dell’azione penale, ossia la richiesta di rinvio a giudizio, e non già dalla data di commissione del fatto come sostenuto dal giudice di primo grado. Tale soluzione, ad avviso del Collegio, trova ulteriore conferma in via ermeneutica dalla nuova disciplina del Codice di Appalti d.lgs. n. 36/2023 che, all’art. 96, comma 10, sub c), positivizza questa soluzione giurisprudenziale.

La sentenza appare meritevole di attenzione per la puntale trattazione del tema dei gravi illeciti professionali come cause di esclusione dalle procedure di gara, e, in particolare, per il richiamo che il Consiglio di Stato compie verso la nuova normativa in materia di appalti al fine di avvalorare ulteriormente il consolidato orientamento giurisprudenziale circa il problema del limite temporale di rilevanza degli illeciti professionali.

Giulia Taglioni

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Legal News / Diritto d’autore e poteri dell’AGCom – Il TAR Lazio, respingendo un ricorso presentato da Assoprovider, ha riconosciuto la legittimità dei nuovi poteri dell’AGCom per il contrasto ai fenomeni di pirateria online

Con la sentenza pubblicata il 22 gennaio 2024, il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (TAR) ha rigettato il ricorso presentato da Assoprovider – Associazione Provider Indipendente (Assoprovider) per l’annullamento di una serie di delibere dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCom) (le Delibere), che davano attuazione alle norme sul contrasto alla pirateria online introdotte con la l.n. 93/2023.

Le Delibere prevedono, tra le altre cose, l’utilizzo da parte dell’AGCom della piattaforma Piracy Shield, messa a disposizione dalla Lega Calcio Serie A, e volta a permettere l’intervento cautelare dell’AGCom in tempi ridotti per l’oscuramento di contenuti online in violazione del diritto d’autore.

In risposta ai motivi di ricorso proposti da Assoprovider, il TAR ha parallelamente riconosciuto il potere regolamentare dell’AGCom in materia di diritto d’autore, e la legittimità dei suoi poteri di intervento cautelare in tale ambito, sulla base dell’espressa previsione di legge contenuta, tra l’altro, nel Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici (d.lgs. 177/2005), nonché alla luce della giurisprudenza del Consiglio di Stato (ex multis, sentenza n. 4993 del 15 luglio 2019) e della stessa Corte Costituzionale (sentenza n. 247 del 3 dicembre 2015) in materia di poteri impliciti.

Il TAR si è, inoltre, pronunciato sulla proporzionalità dei nuovi poteri riservati all’AGCom in tale contesto e disciplinati nelle Delibere. Tale proporzionalità è stata riconosciuta tanto rispetto all’incisività del potere di ordinare al provider la rimozione immediata dei contenuti in violazione del diritto d’autore, quanto rispetto alla possibilità di imporre un termine estremamente ridotto per tale attività (entro trenta minuti dalla segnalazione).

Il TAR ha riconosciuto nel potere di oscuramento dei domini online il necessario precipitato nell’ambito digitale dell’obbligo di cessazione della violazione previsto dalle norme sul diritto d’autore. Rispetto alla previsione di un termine massimo di trenta minuti, il TAR ha analogamente sostenuto la necessità di valutarne la proporzionalità in rapporto all’esiguità alla durata degli eventi sportivi che possono costituire occasione di condotte illecite, riconoscendolo adeguato. Alla luce di tali considerazioni, ha perciò escluso che l’introduzione dei suddetti nuovi poteri dell’AGCom possano considerarsi una misura estemporanea e sproporzionata, come, al contrario, prospettato da Assoprovider.

La sentenza in commento rappresenta un importante punto di svolta nel panorama del contrasto alla violazione del diritto d’autore online permettendo l’adozione, da parte delle autorità pubbliche, di strumenti innovativi in grado di rispondere efficacemente alle dinamiche del mondo digitale. Rimane a questo punto da attendere se la legittimità di tali poteri sarà contestata anche di fronte al Consiglio di Stato in un eventuale nuovo ricorso.

Alberto Galasso

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La Commissione europea ha presentato una proposta per un nuovo regolamento sullo screening degli investimenti diretti esteri

In data 24 gennaio 2024, la Commissione europea (la Commissione) ha presentato una proposta (la Proposta) per un nuovo regolamento sullo screening degli investimenti diretti esteri (IDE).

L’attuale regolamento dell’Unione europea (UE) sullo screening degli IDE, i.e. il Regolamento UE 2019/452 (il Regolamento), è entrato in vigore nel 2019 e ha come obiettivo principale la cooperazione tra gli Stati membri che esaminano un investimento. Pur senza arrivare ad una vera e propria armonizzazione tra gli Stati membri dell'UE, la Proposta mira a porre rimedio a molte di quelle che sono state considerate carenze (soprattutto procedurali) del Regolamento, divenute sempre più accentuate dopo che la pandemia e il conflitto in Ucraina hanno aumentato la rilevanza dello screening degli IDE. Si riportano di seguito le maggiori novità della Proposta.

In primo luogo, secondo la Proposta, le acquisizioni da parte di entità dell’UE saranno soggette al meccanismo di cooperazione se l’acquirente dell’UE è controllato da un investitore straniero. Si tratta di un netto cambiamento rispetto all’attuale Regolamento, che si applica solo agli investimenti diretti da parte di investitori stranieri e non agli investimenti indiretti da parte di filiali di investitori stranieri con sede nell’UE. A tal proposito, in aggiunta a quanto sopra, la Proposta stabilisce regole chiare su quali casi devono essere sottoposti al meccanismo di cooperazione - in particolare gli investimenti di investitori controllati dal governo o sottoposti a sanzioni in settori sensibili, nonché tutti i casi in cui uno Stato membro ha avviato un’indagine approfondita (la cosiddetta “fase II”). Si tratta di un sistema molto più mirato e chiaro rispetto alle norme precedenti, che richiedevano agli Stati membri di notificare tutti i casi sottoposti a “screening formale”, termine che gli Stati membri interpretavano in modo molto diverso.

Un altro aspetto rilevante è l’introduzione nella Proposta di un elenco di settori sensibili (modificabile anche in seguito dalla Commissione) che devono essere sottoposti a un regime di screening obbligatorio e sospensivo in tutti gli Stati membri. L’elenco è ampio e comprende inter alia prodotti militari e a dupliche uso, entità critiche nel settore finanziario.

Un altro cambiamento molto importante, poi, riguarda le transazioni transfrontaliere. Mentre attualmente gli Stati membri devono sforzarsi di coordinare la procedura e il processo decisionale nei casi notificati a più Stati membri, per facilitare ciò, la Proposta prevede che gli investitori notificanti debbano presentare tutti le notifiche riguardanti una stessa operazione nello stesso giorno (e fare riferimento a ciascuno di essi); questo porterebbe solo a un’armonizzazione parziale, dato che i tempi di revisione variano notevolmente tra gli Stati membri.

Infine, è bene sottolineare che la Proposta non presenta previsioni relative allo standard di revisione dal punto di vista sostanziale, che resterà di esclusiva competenza degli Stati membri.

La Proposta è soggetta all’approvazione da parte del Parlamento europeo e del Consiglio. Una volta promulgato, il nuovo regolamento inizierà ad essere applicato solo 15 mesi dopo la sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea, per dare agli Stati membri il tempo sufficiente per adattare i loro meccanismi di screening nazionali. Di conseguenza, è improbabile che il nuovo regolamento si applichi prima del 2026 (anche se non è da escludere che molti Stati membri potrebbero implementare le modifiche proposte prima della scadenza del termine di attuazione).

Mila Filomena Crispino

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