Skip to main content

Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione - 30 ottobre 2023

Diritto della concorrenza – Europa / Abusi e settore dell’energia – Il Tribunale dell’Unione Europea ha annullato la sanzione della Commissione europea per abuso di posizione dominante nei confronti di Bulgarian Energy Holding

Con la sentenza del 25 ottobre 2023 (la Sentenza), il Tribunale dell’Unione Europea (il Tribunale) ha annullato la sanzione imposta al gruppo Bulgarian Energy Holding (BEH) dalla Commissione Europea (la Commissione) per abuso di posizione dominante nel settore della vendita e distribuzione del gas in Bulgaria.

La vicenda trae origine da un’indagine avviata nel 2011, avente ad oggetto la condotta posta in essere da parte del gruppo BEH, che - secondo la ricostruzione della Commissione - sarebbe stata connotata da effetti escludenti nei confronti degli altri operatori economici nel mercato dell’energia bulgaro e finalizzata a garantire il mantenimento dello status di monopolista del gruppo BEH.

Il mercato della distribuzione e vendita del gas in Bulgaria è stato caratterizzato – secondo la ricostruzione operata dalla Commissione – da una presenza fondamentalmente monopolistica della Bulgarian Energy Holding in forza dei diritti esclusivi attribuitigli dal Governo bulgaro (il quale ne detiene la totalità del capitale sociale) per l’importazione del gas nel Paese. Più nello specifico, fino al 2016, il fabbisogno energetico della Bulgaria era totalmente dipendente dal gas russo, che transitava dalla Romania attraverso il gasdotto rumeno 1 (unica via d’accesso per l’importazione del gas nel paese) gestito dalla società romena Transgas. Quest’ultima, in forza di un accordo intergovernativo siglato nel 2005 con il gruppo BEH (l’Accordo) – da qui, l’attribuzione dei diritti esclusivi –, garantiva la fornitura di gas in Bulgaria attraverso i rapporti commerciali con Bulgartransgaz, controllata di BEH, e deputata a gestire sia il sistema di trasmissione del gas in Bulgaria, sia l’unico impianto di stoccaggio di gas nel paese presente a Chiren. Un’ulteriore controllata del gruppo BEH, Bulgargaz (congiuntamente con BEH e Bulgartransgaz, le Ricorrenti), si occupava invece della rivendita del gas all’interno del paese.

Il mercato primario del gas vedeva pertanto Bulgartransgaz operare come trasmission system operator e dunque allocare la propria capacity alle società operanti nel mercato secondario – per lungo tempo, alla sola Bulargaz (parte dello stesso gruppo, BEH).

Secondo quanto accertato della Commissione nel suo provvedimento sanzionatorio del 2018, il gruppo BEH avrebbe adottato, tra il 2010 ed il 2015, una condotta escludente nel mercato della fornitura del gas, attraverso una strategia basata su tre direttrici principali, ovvero (i) il rifiuto – o, in alcuni casi, l’irragionevole ritardo – di dare accesso a soggetti terzi al gasdotto romeno 1; (ii) il rifiuto – o, in alcuni casi, l’irragionevole ritardo – di dare accesso a soggetti terzi al trasmission system bulgaro ed al sistema di stoccaggio di Chiren; e (iii), l’accumulo di capacity verso il gasdotto romeno 1.

Le ricorrenti hanno impugnato la decisione della Commissione, riuscendo a dimostrare la non abusività della condotta a loro contestata. Il Tribunale ha infatti accolto la tesi difensiva del gruppo BEH, secondo cui il fatto che Bulgargaz abbia riservato il 100% della capacity di Bulgartransgaz – ma usatane solo una parte – non costituisca un elemento probatorio idoneo di per sé a dimostrare l’abusività della condotta. Difatti, seppur Bulgargaz godesse di una posizione super dominante, il Tribunale ha ritenuto infondate o incoerenti sia le prove addotte dalla Commissione nel ritenere che l’accesso di Overgas (concorrente di Bulgargaz) alla rete di trasmissione del gas sia stato ritardato o insoddisfacente, sia le evidenze per cui ulteriori operatori economici avrebbero domandato, in maniera sufficientemente seria e precisa tale da costituire una richiesta formale, di poter accedere al gasdotto romeno.

Il Tribunale ha inoltre accolto un ulteriore motivo di ricorso delle Ricorrenti relativo alla violazione dei loro diritti di difesa durante la fase procedimentale. Più nello specifico, la Commissione, durante l’audizione di Overgas, non avrebbe redatto e catalogato correttamente i verbali, con conseguente lesione del diritto di accesso agli stessi da parte delle Ricorrenti. Ulteriore violazione della Commissione sarebbe ravvisabile nel diniego di fornire accesso alle versioni meno “redacted” delle osservazioni seguenti alle interrogazioni avvenute tra il 2010 ed il 2011.

La pronuncia del Tribunale risulta di particolare interesse, trattandosi di un raro esempio di annullamento completo di una decisione per abuso non relativo a condotte di prezzo e basato (anche, o prevalentemente) su motivi di impugnazione sostanziali (e non solo procedurali). Ovviamente, sarà interessante osservare altresì l’esito di un eventuale appello della Commissione dinanzi alla Corte di Giustizia.

Giuseppe Schinella

--------------------------------------

Intese e settore dell’energia – La Corte di Giustizia dell’Unione Europea torna ad approfondire il concetto di concorrenza potenziale e di restrizione della concorrenza per oggetto

Con la sentenza resa nella causa C-331/21, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE o la Corte) si è pronunciata sulla domanda di rinvio pregiudiziale formulata dal Tribunal da Relação de Lisboa (Corte d’appello di Lisbona) nell’ambito della controversia relativa all’intesa restrittiva accertata dall’autorità della concorrenza portoghese (l’Autorità) tra un’impresa attiva nella grande distribuzione – Modelo Continente, appartenente al gruppo Sonae (MC) – e un’impresa fornitrice di gas naturale ed energia elettrica – Energias de Portugal (EDP). 

Secondo l’Autorità, l’intesa, attuata tramite una clausola di non concorrenza inserita in un accordo di partenariato tra EDP e MC, era volta a ritardare l’ingresso di quest’ultima nei mercati della fornitura al dettaglio di energia elettrica e gas naturale in Portogallo i quali, negli anni dell’intesa, stavano completando il processo di liberalizzazione.

Le ben 11 questioni pregiudiziali sollevate sono state raggruppate dalla Corte in 4 macro-questioni, concernenti rispettivamente: (i) la possibilità e le condizioni per cui imprese presenti su mercati del prodotto distinti possano essere considerate come concorrenti potenziali; (ii) alcuni chiarimenti sulla natura degli accordi verticali; (iii) la necessarietà di una clausola restrittiva della concorrenza; e (iv) la configurabilità di un accordo di partenariato (come quello del caso a quo) come restrizione della concorrenza per oggetto.

La sentenza viene resa a seguito delle conclusioni dell’Avvocato Generale Rantos (l’AG) dello scorso 2 marzo (già oggetto di commento nella presente Newsletter).

In merito al primo gruppo di questioni, la CGUE segue l’indirizzo fornito dall’AG e ripercorre i criteri per determinare quando due imprese attive su mercati distinti possono essere configurate come concorrenti potenziali. In particolare, la Corte individua come presupposto necessario la sussistenza di “possibilità reali e concrete di accesso al mercato”, anche considerato il relativo contesto economico e giuridico. A supporto di una dimostrazione di sussistenza di tali possibilità, possono essere valutate (i) l’intenzione dell’impresa di accedere al mercato, (ii) precedenti attività dell’impresa o di entità del gruppo a cui fa riferimento in tale mercato o mercati ad esso connessi, (iii) l’esistenza di misure preparatorie, e (iv) la prova della percezione che una parte ha dell’altra come concorrente.

Sulla natura dell’accordo in questione come rientrante nel novero degli accordi verticali (come noto, soggetti ad un trattamento meno severo rispetto a quelli orizzontali nell’ambito dell’art. 101 TFUE), la Corte conferma quanto affermato dall’AG e ricorda che spetterà al giudice nazionale operare una qualificazione al riguardo per l’accordo di partenariato e la clausola di non concorrenza. Ad ogni modo, la Corte chiarisce che non può rientrare nella categoria di contratti di agenzia (tendenzialmente esclusi dall’ambito del divieto ex art. 101 TFUE) un accordo – come nel caso di specie – ai sensi del quale ognuna delle imprese sostiene una parte dei costi connessi all’attuazione del partenariato.

La CGUE, inoltre, afferma che una clausola di non concorrenza può essere considerata “accessoria”, e quindi compatibile con l’art. 101, par. 1), nei soli casi in cui ne sia provata la necessità ai fini dell’attuazione dell’accordo complessivo, e sia proporzionata agli obiettivi da esso perseguiti. Sarà necessario dunque verificare, in particolare, se non esisteva una soluzione meno restrittiva, alla quale le parti avrebbero potuto ragionevolmente ricorrere, per raggiungere gli obiettivi in discussione. Peraltro, sul punto la CGUE non ha ritenuto di dover chiarire circa i rapporti e le differenze tra questa analisi e quella di “indispensabilità” ai sensi invece del terzo paragrafo dello stesso art. 101 TFUE.

Infine, la Corte si pronuncia in merito alle restrizioni della concorrenza per oggetto, ricordando che in tale categoria rientrano le fattispecie più gravi nel diritto antitrust (ivi inclusi – per quanto più rilevano nel contesto in esame – gli accordi di ripartizione dei mercati e gli accordi di esclusione dai mercati) e che l’oggetto anticoncorrenziale di un accordo può essere confermato dal contesto giuridico ed economico, i.e. come nel caso di specie – aver avuto luogo in una fase particolare di liberalizzazione del mercato che corrisponde allo scioglimento di importanti barriere all’ingresso. La mera esistenza di effetti favorevoli alla concorrenza non può essere sufficiente ad escludere una siffatta qualificazione. È soltanto qualora detti effetti siano dimostrati, pertinenti, e specifici all’accordo di cui trattasi (e in particolare della clausola in oggetto), sufficientemente importanti e tali da consentire di dubitare del grado di dannosità dell’accordo in parola che la qualificazione di restrizione per oggetto si deve escludere.

La pronuncia della Corte risulta di particolare interesse in quanto, oltre a confermare quanto indicato in precedenza dall’AG, fornisce ulteriori indicazioni sulla definizione del concetto di concorrenza potenziale, chiarendo la natura decisiva e/o indiziaria dei criteri utilizzati dalla precedente giurisprudenza, nonché alcune indicazioni in merito alla qualificazione di un accordo di partenariato tra soggetti operanti su mercati distinti – ed in particolare di una clausola di non concorrenza tra gli stessi – come restrizione della concorrenza per oggetto.

Fabio Bifarini

--------------------------------------

Tutela del consumatore / Pratiche commerciali scorrette e settore assicurativo – Il TAR Lazio ha accolto il ricorso promosso da UnipolSai contro un provvedimento sanzionatorio dell’IVASS

Con la sentenza del 20 ottobre 2023, il Tribunale Amministrativo del Lazio (il TAR) ha accolto il ricorso presentato da Unipolsai Assicurazioni S.p.A. (UnipolSai) per l’annullamento di un provvedimento sanzionatorio del 13 maggio 2022 (il Provvedimento) adottato dall’Istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni (l’IVASS).

Nel caso di specie, l’IVASS aveva irrogato a UnipolSai una sanzione di 300.000 Euro per la violazione degli articoli 141, 148, 149 e 150 del Codice delle Assicurazioni Private (CAP), non avendo la compagnia assicurativa formulato ai clienti danneggiati in sinistri stradali offerta di risarcimento (o comunicazione motivata del diniego) entro i termini di legge di 60 giorni.

Contro tale provvedimento proponeva ricorso UnipolSai, lamentando la violazione del principio di ne bis in idem e l’incompetenza di IVASS all’irrogazione della suddetta sanzione.

Con il primo motivo, UnipolSai sosteneva che il provvedimento impugnato costituisse una duplicazione di una sanzione già irrogata, con riferimento agli stessi fatti, dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’AGCM). La condotta di UnipolSai infatti era stata sanzionata dall’AGCM, in un separato procedimento (già oggetto di commento in questa Newsletter), quale pratica commerciale scorretta ai sensi del D.Lgs. 206/2005 (il Codice del Consumo), in quanto dilatoria dell'esercizio dei diritti del consumatore.

In virtù di ciò, UnipolSai sosteneva l’identità dei due provvedimenti sia sotto il profilo del fatto materiale (essendo le condotte oggetto del provvedimento IVASS interamente comprese nell’arco temporale oggetto della sanzione dell’AGCM) che sotto il profilo della valutazione del fatto (i procedimenti infatti erano stati avviati e condotti in parallelo, senza coordinamento tra le autorità, e miravano a garantire la protezione del medesimo interesse, ossia la tutela dei consumatori e, per suo tramite, il corretto funzionamento del mercato). UnipolSai osservava poi come non sussistessero neppure le circostanze ritenute idonee – in base alla giurisprudenza prevalente in materia – a determinare un’eventuale limitazione del principio di ne bis in idem, difettando nel caso de quo la prevedibilità per UnipolSai della duplicazione dei procedimenti, nonché l’esistenza di un coordinamento tra gli stessi.

Sotto un ultimo e diverso profilo, UnipolSai sosteneva poi, più radicalmente, l’incompetenza dell’IVASS all’adozione del provvedimento, concludendo che la competenza in materia spettasse in via esclusiva all’AGCM.

Il TAR ha accolto il ricorso con riferimento a quest’ultimo motivo, dichiarando quindi assorbita la doglianza sulla violazione del principio di ne bis in idem. Secondo il TAR, infatti, la condotta contestata rientra nell’ambito di applicazione della disciplina delle pratiche commerciali scorrette di cui al Codice del Consumo, con la conseguenza che la competenza dell’IVASS, di tipo residuale rispetto a quella dell’AGCM, sarebbe stata limitata alle ipotesi in cui la disciplina di settore fosse incompatibile con quella consumeristica.

Nel caso di specie, l'art. 148 CAP, che imponeva termini specifici per la formulazione dell'offerta o la comunicazione del diniego, non presentava profili di incompatibilità con la disciplina delle pratiche commerciali scorrette. Entrambe le disposizioni miravano infatti a sanzionare condotte dilatorie nell'adempimento degli obblighi contrattuali, e i diversi interessi sottesi ai due procedimenti (rispettivamente, effettività della tutela dei consumatori e corretto funzionamento del mercato assicurativo) operavano su un piano di complementarità e non di contrapposizione.

Pertanto, il TAR ha dichiarato la sussistenza della competenza esclusiva dell’AGCM, annullando il provvedimento dell’IVASS e dichiarando assorbito il motivo di ricorso sulla violazione del principio di ne bis in idem.

Ancora una volta, quindi, il giudice amministrativo è intervenuto sull’annosa questione dei rapporti tra disciplina sulle pratiche commerciali scorrette, il cui public enforcement è riservato all’AGCM, e norme di settore (energia, telecomunicazioni, servizi bancari o – come in questo caso – assicurativi) la cui applicazione è affidata alle rispettive autorità di regolazione. E ciò con una sentenza piuttosto netta che appare destinata non a chiudere la questione, bensì se possibile ad “ispirare” ulteriore contenzioso in materia.

Sindri Federico Garces Lambert

--------------------------------------

Appalti, concessioni e regolazione / Giurisdizione amministrativa e settore dell’energia – Le Sezioni Unite sanciscono la giurisdizione amministrativa sugli atti dell’Agenzia delle Entrate che attuato il contributo straordinario sugli extra profitti introdotto nel Decreto Ucraina

Con sentenza del 19 ottobre, la Cassazione ha confermato la giurisdizione amministrativa sugli atti dell’Agenzia delle Entrate che davano attuazione al contributo straordinario sugli extra profitti delle società del settore petrolifero ed energetico introdotto ai sensi dell’articolo 37, comma 5, del D.L 21 del 2022 (Decreto Ucraina).

Gli operatori soggetti al pagamento del contributo avevano impugnato di fronte al giudice amministrativo gli atti attuativi emessi dall’Agenzia delle Entrate e, nell’ambito dei loro ricorsi, avevano prospettato l’illegittimità costituzionale delle norme del Decreto Ucraina che imponevano il contributo.

La natura meramente attuativa degli atti impugnati ha sollevato un duplice tema processuale. In primo luogo, si è posto il problema se questi atti fossero impugnabili oppure se vi fosse un difetto assoluto di giurisdizione. In secondo luogo, anche volendo ammettere la loro impugnabilità, si è posto il tema se vi fosse la giurisdizione del giudice amministrativo oppure del giudice tributario.

Il TAR aveva dichiarato che, trattandosi di atti meramente attuativi, non poteva configurarsi l’esercizio di un potere e per l’effetto la domanda era inammissibile per difetto assoluto di giurisdizione. Il Consiglio di Stato ha ribaltato la sentenza di primo grado e ha riconosciuto l’impugnabilità di questi atti e la giurisdizione del giudice amministrativo. L’Agenzia delle Entrate ha contestato la sentenza del Consiglio di Stato con un ricorso per motivi di giurisdizione di fronte alla Corte di cassazione.

In tale contesto, la Corte ha confermato la sentenza del Consiglio di Stato ed ha affermato anch’essa la giurisdizione del giudice amministrativo. La sentenza della Corte di Cassazione evidenzia tre profili argomentativi.

In primo luogo, non ha rilievo la natura discrezionale o vincolata degli atti dell’Agenzia delle Entrate, essendo sufficiente ai fini dell’impugnabilità innanzi al giudice amministrativo che si tratti di un atto autoritativo proveniente da una pubblica amministrazione.

In secondo luogo, la Corte ha ribadito che, nell’ambito del giudizio amministravo, è possibile prospettare anche vizi di illegittimità costituzionale nei confronti delle norme legislative di cui gli atti impugnati sono attuazione. Infatti, “il vizio di legittimità costituzionale è pur sempre un vizio di legittimità dell’atto amministrativo impugnato”.

In terzo luogo, Corte di Cassazione ha escluso che, nel caso di specie, vi possa essere la giurisdizione del giudice tributario ai sensi del D.Lgs. 546/1992. Infatti, la Corte ha chiarito che la giurisdizione tributaria sussiste solamente quando si debba contestare un atto impositivo individuale (ad esempio, un atto di accertamento). Nel caso di specie, invece, i provvedimenti impugnati sono atti amministrativi generali che non contengono una pretesa tributaria sostanziale. Essi, pertanto sono soggetti alla “giurisdizione di legittimità costituzionalmente riservata agli organi della giustizia amministrativa”.

Con questa sentenza, la Corte di cassazione apre la strada alla possibilità di contestare, attraverso l’impugnazione di provvedimenti attuativi di una pretesa tributaria, anche l’introduzione in sé di tale pretesa. Infatti, nell’ambito del giudizio amministrativo è ammesso prospettare in via derivata l’illegittimità costituzionale della norma legislativa che ha imposto la pretesa tributaria.

Francesco Castracane degli Antelminelli

--------------------------------------