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Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione - 23 ottobre 2023

Diritto della concorrenza – Europa / Intese e settore farmaceutico – Respinto il ricorso di Teva e Cephalon contro le sanzioni irrogate dalla Commissione Europea per un accordo di c.d. "pay to delay"

Con la sentenza del 18 ottobre 2023 (la Sentenza) il Tribunale dell’Unione europea (il Tribunale) ha respinto il ricorso presentato dalle società Teva Pharmaceutical Industries Ltd (Teva) e Cephalon Inc. (Cephalon) (congiuntamente, le Società) volto all’annullamento della decisione della Commissione Europea (la Commissione) del novembre 2020 con cui le Società erano state sanzionate per avere posto in essere un accordo di c.d. pay to delay (l’Accordo) nel mercato dei farmaci per il trattamento dei disturbi del sonno.

La vicenda trae origine da una controversia in materia di brevetti sorta nel 2005 tra Cephalon, titolare di brevetti sul modafinil (principio attivo alla base del farmaco Provigil), e Teva, produttrice di farmaci che aveva sviluppato una versione generica dello stesso principio attivo e aveva iniziato a commercializzarla nel Regno Unito.

In tale contesto, le Società raggiungevano un accordo transattivo in base al quale Teva si impegnava a non commercializzare prodotti contenenti modafinil fino al 2012, mentre Cephalon concedeva a Teva le licenze su alcuni brevetti e dati clinici, oltre ad effettuare sostanziosi pagamenti per compensare quest’ultima del differimento dell’ingresso nel mercato dei medicinali equivalenti.

Ad avviso della Commissione, l’Accordo era stato concepito con l’intento principale di escludere o ritardare l’ingresso nel mercato in rilievo di Teva, perpetuando il monopolio di Cephalon. Di conseguenza, la Commissione qualificava l’accordo come una restrizione della concorrenza per oggetto, comminando ammende alle Società per 30 milioni di euro ciascuna.

Avverso tale provvedimento, Teva e Cephalon presentavano ricorso presso il Tribunale lamentando, in primis, un erroneo accertamento della natura anticoncorrenziale dell’Accordo. Ad avviso delle ricorrenti, la Commissione avrebbe applicato un test legale difforme da quello indicato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea (CGUE), non riuscendo a provare che i trasferimenti di valore previsti tra le parti non avessero altra logica spiegazione se non quella di spartirsi il mercato, né l’assenza di effetti favorevoli per la concorrenza.

Teva e Cephalon evidenziavano infatti come le transazioni contestate trovassero giustificazione in logiche commerciali, oltre al fatto che l’accordo includesse elementi pro-competitivi dal momento che lo stesso avrebbe accelerato, e non ritardato, l’ingresso di Teva nel mercato dei farmaci equivalenti.

Il Tribunale ha tuttavia rigettato tutte le censure delle ricorrenti. Innanzitutto, ha confermato che la Commissione ha correttamente qualificato l’intesa alla stregua di un accordo di ripartizione dei mercati idoneo a produrre effetti restrittivi della concorrenza. In particolare, i pagamenti previsti non avevano altra spiegazione plausibile se non quella di remunerare il differimento dell’ingresso di Teva nel mercato dei generici, come dimostrato dall’eccessività del corrispettivo pattuito da Cephalon per l'acquisizione dei diritti di proprietà intellettuale di Teva, a fronte della dimostrazione di un interesse specifico che potesse giustificare tale ammontare.

In secondo luogo, il Tribunale ha confermato la valutazione della Commissione circa la sussistenza di effetti restrittivi, dal momento che l’accordo aveva impedito a Teva, quale concorrente potenziale di Cephalon, di entrare tempestivamente nel mercato del modafinil con un medicinale equivalente generico, contribuendo così a mantenere elevati i prezzi del Provigil.

Infine, contrariamente a quanto eccepito, il Tribunale ha escluso che l’intesa potesse produrre apprezzabili effetti pro-competitivi, poiché l’ingresso di Teva previsto solo dal 2012 era da considerarsi soltanto ritardato e controllato da Cephalon, non certo anticipato come sostenuto dalle Società.

Il Tribunale ha pertanto confermato la legittimità della decisione della Commissione e delle sanzioni irrogate, ribadendo la contrarietà al diritto della concorrenza UE degli accordi c.d. pay to delay nel settore farmaceutico, laddove non miranti a tutelare genuini interessi delle parti in relazione ai rispettivi diritti di proprietà intellettuale bensì unicamente funzionali a ritardare l’accesso a farmaci equivalenti generici meno costosi, a danno dei pazienti e dei sistemi sanitari nazionali.

Sindri Federico Garces Lambert

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Intese e settore chimico – Il Tribunale dell’Unione Europea conferma la sanzione a Clariant per un’intesa restrittiva della concorrenza nel settore chimico

Con la sentenza resa nella causa T-590/20, il Tribunale dell’Unione europea (il Tribunale) ha respinto l’appello proposto da Clariant AG e Clariant International AG (Clariant) nei confronti della decisione della Commissione europea (la Commissione) che l’aveva sanzionata, insieme ad altre 2 società (collettivamente, le Società), per una violazione dell’art. 101 TFUE, volta alla fissazione del prezzo di acquisto della componente chimica dell’etilene (la Decisione).

In particolare, gli acquirenti di etilene avevano ideato una strategia per ridurre la volatilità del prezzo della componente acquisita tramite accordi di fornitura. Tali accordi, facevano riferimento a un c.d. “Montly Contract Price” (MCP), ossia un indice risultante dalle precedenti negoziazioni individuali tra acquirenti e fornitori di etilene. Le Società responsabili del cartello avevano colluso al fine di influenzare a loro vantaggio l’MCP, coordinando le proprie strategie commerciali.

A seguito della confessione, nell’ambito della partecipazione ad un programma di clemenza, circa l’esistenza dell’intesa da parte di una delle Società, le restanti avevano a loro volta tutte presentato domanda di riduzione della sanzione ammettendo la loro partecipazione. Inoltre, si erano anche avvalse della procedura di transazione, ricevendo una sanzione complessiva di 260 milioni di euro.

Nel calcolare la sanzione da imporre a Clariant la Commissione ai sensi degli Orientamenti per il calcolo delle ammende (Orientamenti), aveva dapprima aumentato l’importo di base del 50% per la circostanza aggravante della recidiva, nonché del 10% per tenere conto delle circostanze del caso garantendo che l’ammenda fosse sufficientemente dissuasiva. La Commissione aveva quindi ridotto l’ammenda, rispettivamente del 30% per la partecipazione dell’azienda al programma di leniency, nonché di un ulteriore 10% in relazione alla procedura di transazione con cui era stato chiuso il caso nei suoi confronti. Nonostante ciò, Clariant aveva comunque proposto impugnazione nei confronti della Decisione, lamentando in particolare un errore nelle modalità di calcolo.

Con un primo motivo, Clariant aveva contestato l’aumento dell’importo a seguito dell’applicazione della aggravante per la recidiva. A sua detta, non sussistevano i presupposti per la sua applicazione poiché la precedente intesa nel mercato degli acidi, accertata dalla Commissione nel 2005, (i) riguardava un accordo sulle vendite (e non sull’acquisto come nel caso di specie), (ii) era sufficientemente distante nel tempo e (iii) Clariant non era in ogni caso stata soggetta ad alcuna sanzione per tale intesa. Il Tribunale ha tuttavia rigettato il primo motivo, affermando che la Commissione aveva correttamente valutato il carattere di recidiva, in quanto gli accordi anticoncorrenziali – sugli acquisti o sulle vendite che siano – sono violazioni simili dell’art. 101 TFUE ed il periodo di tempo trascorso tra le due infrazioni nel caso di specie era limitato. Il Tribunale chiarisce inoltre che il concetto di recidiva non implica necessariamente una precedente sanzione pecuniaria, ma solo una precedente violazione del diritto della concorrenza UE.

Anche il secondo motivo proposto da Clariant – avverso l’aumento dell’importo per garantire la sufficiente deterrenza – è stato respinto dal Tribunale. Tra i diversi argomenti addotti a sostegno di tale motivo, Clariant aveva sostenuto in particolare che la Commissione non aveva esercitato il proprio potere discrezionale, ma aveva applicato quanto disposto negli Orientamenti in maniera meccanica e senza valutare gli effetti dell’intesa sul mercato.

Il Tribunale, invero, ha stabilito che la Commissione ha correttamente tenuto conto della particolarità del caso e, poiché si trattava di un’intesa sugli acquisti volta a ridurre il prezzo, il valore dei ricavi dalle vendite non poteva essere un’indicazione adeguata dell’importanza economica dell’intesa, in quanto più l’intesa era efficacie, più il valore delle vendite sarebbe risultato inferiore. Qualora il metodo generale stabilito negli Orientamenti fosse stato applicato senza il minimo adeguamento, l’effetto dissuasivo della sanzione non sarebbe stato garantito. La Commissione ha quindi compiutamente esposto le ragioni che l’hanno indotta a ritenere necessaria la maggiorazione.

Infine, il Tribunale ha respinto la domanda riconvenzionale della Commissione avente ad oggetto un possibile aumento della sanzione inizialmente imposta (valutando la riduzione ricevuta da Clariant per aver partecipato alla procedura di transazione) in quanto la Commissione non ha dimostrato che sarebbe giustificata la revoca di tale vantaggio concesso. Il Tribunale ha affermato che le Società, nell’ambito di una transazione, sono tenute a riconoscere la loro responsabilità nell’infrazione ed indicare l’importo massimo dell’ammenda che si aspettano di ricevere, ma non possono essere obbligate ad accettare le modalità attraverso cui l’ammenda effettiva viene computata per poter transigere.

La pronuncia del Tribunale risulta di particolare interesse in quanto, da un lato, conferma la proponibilità della domanda riconvenzionale della Commissione di aumentare la sanzione dalla stessa irrogata (come già affermato nel caso T‑69/04, ai sensi della comunicazione sulla cooperazione che stabilisce che se “un’impresa che abbia beneficiato di una riduzione dell’ammontare dell’ammenda, per non aver contestato i fatti materiali li contesta per la prima volta in un ricorso di annullamento dinanzi al Tribunale (...), in linea di massima la Commissione chiederà al Tribunale di aumentare l’ammontare dell’ammenda inflitta a detta impresa”) e dall’altro chiarisce che la Commissione non può partire dalla premessa che a seguito di partecipazione di una società alla procedura di transazione, questa non metta più in discussione le maggiorazioni all’ammenda non specificamente accettate durante il procedimento amministrativo. Sarà interessante osservare se questo precedente porterà ad un aumento dei casi di impugnazioni delle sanzioni anche a seguito di procedura di transazione.

Fabio Bifarini

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Diritto della concorrenza – Italia / Abusi e settore delle manifestazioni automobilistiche – L’AGCM ha avviato un’istruttoria per un potenziale abuso di posizione dominante da parte dell’Automobile Club d’Italia - ACI

Con il provvedimento dello scorso 2 ottobre 2023 (il Provvedimento) l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’AGCM) ha avviato un procedimento nei confronti di Automobile Club d’Italia-ACI, ACI Sport S.p.A. e Club ACI Storico (congiuntamente, l’ACI) per accertare un presunto abuso di posizione dominante nel mercato dell’organizzazione di manifestazioni automobilistiche di natura non agonistica (il Procedimento).

Il Procedimento è stato avviato in seguito alla segnalazione dell’Autoclub Storico Italiano (l’ASI) insieme ad altre associazioni a questa affiliate attive nell’ambito delle manifestazioni con auto d’epoca o in generale, nella promozione ed organizzazione di manifestazioni automobilistiche ludico-amatoriali (con ASI, le Segnalanti).

Secondo le Segnalanti l’ACI, in virtù dei poteri speciali ed esclusivi di regolamentazione e coordinamento nell’attività automobilistica agonistica conferiti dal CONI, avrebbe posto in essere una strategia tesa ad ostacolare gli eventi organizzati dalle stesse nel settore automobilistico ludico-amatoriale. Più nello specifico, l’ACI avrebbe segnalato, tramite lettere-diffide indirizzate alle autorità di pubblica sicurezza dei territori interessati dalle singole manifestazioni, la mancata acquisizione del parere obbligatorio della stessa ACI. Parere che, secondo quanto indicato nel provvedimento di avvio, in realtà non sarebbe necessario per le competizioni amatoriali, così come previsto all’art. 9 del Codice della Strada (CDS) che, con espressa deroga al comma 3, ne circoscriverebbe l’obbligatorietà alle sole competizioni agonistiche. Secondo l’AGCM tale ricostruzione sembrerebbe avallata inoltre da due circolari ministeriali – rispettivamente del Ministero dell’Interno e dal MIT.

Più nello specifico, ed in base a quanto riferito dalle Segnalanti, la asserita pretestuosità della condotta dell’ACI si evincerebbe sia dalla vaghezza delle segnalazioni inoltrate alle autorità di pubblica sicurezza sui caratteri dell’agonismo della manifestazione, nonché dalla particolare tempistica di tali comunicazioni, avvenute quasi sempre a ridosso delle competizioni. Secondo la tesi accusatoria dell’AGCM, ciò condurrebbe le autorità ad avallare il contenuto delle diffide per timore di incorrere in errori di giudizio, specie alla luce del ristretto tempo decisionale a disposizione. Inoltre, ad ingenerare tale timore nelle autorità contribuirebbe anche il lessico impropriamente utilizzato da ACI nella redazione delle lettere, le quali fanno spesso riferimento a un fittizio potere autorizzatorio della stessa unitamente a quello consultivo attribuito dal CDS.

Secondo l’AGCM così facendo, l’ACI estenderebbe la propria posizione dominante all’organizzazione di manifestazioni ludico-amatoriali tramite la pressione esercitata sui concorrenti inducendoli a collaborare con l’ACI. Questo condurrebbe a maggiori costi qualora gli stessi eventi fossero co-organizzati con l’ACI (tra cui il versamento di una somma per l’iscrizione e la stipula di una polizza assicurativa più onerosa con la società S.A.R.A., peraltro controllata all’80% da ACI), la quale vedrebbe aumentare direttamente il proprio indotto.

Alla luce di quanto riportato sinora, l’AGCM ha ritenuto che tale condotta possa integrare un violazione dell’art. 102 TFUE; sarà dunque interessante osservare l’esito di tale processo istruttorio – il cui termine è attualmente fissato al 31 dicembre 2024 – per comprendere quale impostazione sarà adottata dall’AGCM nel valutare il nesso causale intercorrente tra la condotta dell’ACI e i presunti effetti distorsivi della concorrenza nel mercato contiguo a quello in cui è dominante.

Giuseppe Schinella

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Appalti, concessioni e regolazione / Appalti di lavori - partecipazione dei consorzi stabili e possibilità di indicare come impresa esecutrice una società consorziata che non possiede integralmente i requisiti richiesti nella procedura pubblica

Il Consiglio di Stato (CdS) è intervenuto nella definizione di un contrasto giurisprudenziale che riguardava la partecipazione dei consorzi stabili alle gare di appalto. Assunto che i consorzi stabili possono dimostrare il possesso dei requisiti tecnici attraverso la somma dei requisiti propri della società consorziate (il c.d. istituto del cumulo alla rinfusa), era incerto se il consorzio stabile così qualificato dovesse eseguire in proprio le prestazioni contrattuali oppure se potesse indicare come impresa esecutrice una consorziata che in sé non aveva tutti i requisiti per partecipare da sola alla gara. Con una decisione pro-concorrenziale che favorisce l’accesso al mercato delle imprese consorziate, il CdS segue il secondo orientamento. La sentenza in esame sottolinea anche che il nuovo Codice dei contratti pubblici del 2023 non solo ha optato per la stessa soluzione, ma ha pure specificato espressamente - in via d’interpretazione autentica - che questa si applica pure nelle procedure di appalto che, come nel caso di specie, erano state indette in applicazione del vecchio Codice del 2016.

Nella fattispecie in esame, l’Azienda Sanitaria del Rhodanense aveva indetto una procedura negoziata per l’affidamento dei lavori per l’adeguamento alla normativa di prevenzione antincendio. Il disciplinare di gara richiedeva determinati requisiti di qualificazione tecnica. Il consorzio aggiudicatario aveva indicato come impresa esecutrice una consorziata che, in sé, non aveva tutti i requisiti richiesti dal bando di gara. Su istanza della seconda classificata, la stazione appaltante aveva quindi escluso il consorzio, difettando “in capo all’esecutrice i requisiti di qualificazione specifici”. Il TAR Lombardia aveva confermato tale esclusione, con la decisione che poi la sentenza in esame del CdS ha riformato.

Francesco Castracane degli Antelminelli

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Legal News / Concentrazioni e settore del gaming – La CMA ha autorizzato l’acquisizione di Activision Blizzard da parte di Microsoft, in precedenza vietata

Con decisione dello scorso 13 ottobre 2023 (la Decisione), adottata a seguito di un tortuoso iter autorizzatorio, la Competition and Markets Authority del Regno Unito (la CMA) ha dato il via libera all’acquisizione di Activision-Blizzard Inc. (Activision) da parte di Microsoft Corporation (Microsoft). La CMA si unisce così al nutrito gruppo di autorità antitrust che avevano già autorizzato l’operazione, tra le quali la Commissione europea, la cui decisione era stata oggetto di commento nella presente Newsletter.

La Decisione assume particolare rilievo, specialmente se si considera che nell’aprile scorso la medesima CMA aveva, invece, bloccato l’operazione. Rinviando per maggiori dettagli al commento offerto nella presente Newsletter, in questa sede appare utile ricordare come la CMA avesse ritenuto insufficienti i numerosi impegni presentati da Microsoft al fine di dissipare i rischi concorrenziali evidenziati dalla CMA specialmente con riguardo ai servizi di cloud gaming. Un mercato, questo, ritenuto ancora in fase embrionale ma dalle significative capacità potenziali, e che ad avviso della CMA sarebbe stato sostanzialmente “cannibalizzato” da Microsoft per effetto dell’accentramento in capo a quest’ultima del catalogo degli importanti titoli videoludici di Activision (alcuni dei quali di grande rilievo, come Call of Duty e World of Warcraft).

Nonostante lo stop così intervenuto, le interlocuzioni tra le parti sono proseguite, fino alla notifica alla CMA di una versione “aggiornata” dell’operazione, nella quale è stato incluso l’impegno da parte di Microsoft di procedere alla vendita in blocco a Ubisoft Entertainment SA (Ubisoft) – uno dei maggiori distributori indipendenti di videogiochi a livello mondiale – dell’intero catalogo di licenze per i servizi di cloud gaming (nei paesi esterni allo Spazio Economico Europeo) relative ai titoli Activision (i) attualmente in commercio, e (ii) a quelli che verranno pubblicati nel corso dei prossimi quindici anni.

In questo modo, ad avviso della CMA, tale vendita – che dovrà avvenire anteriormente al completamento dell’acquisizione di Activision da parte di Microsoft, e che è assistita da penetranti poteri di intervento in capo alla CMA – porrà i titoli di Activision nelle mani di un distributore indipendente e particolarmente solido, replicando nella sostanza il ruolo che Activision avrebbe avuto nel mercato del cloud gaming in assenza dell’acquisizione, e preservando così lo status quo ante con le migliori condizioni al fine di permettere la crescita e lo sviluppo di tale mercato.

La Decisione risulta di estremo interesse, non soltanto perché rimuove uno degli ultimi ostacoli – e, forse, a questo punto il principale – al completamento di una delle maggiori operazioni di acquisizione nel settore tech degli ultimi anni, ma altresì perché rappresenta un valido esempio di come, attraverso la persistenza delle parti intenzionate a porre in essere l’operazione (anche in una situazione dove nella maggior parte dei casi le stesse rinunciano ad andare avanti), ed allo stesso tempo, un atteggiamo pragmatico dell’autorità di concorrenza in rilievo, si riesce a trovare una soluzione. Non resta ora che vedere se gli operatori che avevano convinto la CMA a bloccare la prima operazione rinunceranno a far valere le proprie pretese dinanzi ai giudici britannici, impugnando la Decisione.

Ignazio Pinzuti Ansolini

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