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Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione - 18 settembre 2023

Diritto della concorrenza - Tutela del consumatore – Europa / Tutela del consumatore e ne bis in idem - La Corte di Giustizia specifica in quali casi si può limitare la portata del principio

Con la sentenza del 14 settembre 2023 (la Sentenza), in esito ad un rinvio pregiudiziale operato dal Consiglio di Stato (CdS), la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (la CGUE) è ritornata sul principio del ne bis in idem, specificando le condizioni per le quali è possibile limitarne l’applicazione, e ha avuto modo di fornire chiarimenti sulla qualificazione della natura delle sanzioni in materia di tutela del consumatore irrogate dall’Autorità Garante della Concorrenza (AGCM).

La vicenda trae origine dalla decisione del 4 agosto 2016 (la Decisione), mediante la quale l’AGCM ha sanzionato in solido Volkswagen Group Italia S.p.A. (VWGI) e Volkswagen Aktiengesellschaft (VWAG, con VWIG le Ricorrenti) per un importo pari a 5 milioni di euro per aver posto in essere pratiche commerciali scorrette. Tali pratiche avevano ad oggetto la commercializzazione in Italia, a partire dal 2009, di veicoli diesel nei quali era stato installato un software che consentiva di alterare la misurazione dei livelli di emissione di ossidi di azoto (NOx) durante i test per il controllo delle emissioni inquinanti nell’ambito del procedimento detto di «omologazione» rispetto alle disposizioni amministrative e alle prescrizioni tecniche in materia.

Mentre il ricorso contro l’AGCM era pendente dinanzi al giudice amministrativo, la Procura di Braunschweig (Germania) aveva comminato alla VWAG una sanzione di un miliardo di euro (intervenuta successivamente a quella irrogata dall’AGCM, ma divenuta definitiva prima di quella italiana), all’esito di un procedimento penale relativo alla manipolazione dei gas di scarico di taluni motori diesel del gruppo Volkswagen, ove era emerso che le norme in materia di emissioni erano state aggirate.

Pertanto, alla luce della sanzione già passata in giudicato nei propri confronti, le Ricorrenti lamentavano avanti al CdS una doppia incriminazione per i medesimi fatti chiedendo, sulla scorta del principio del ne bis in idem, di annullare la sanzione dell’AGCM.

I giudici di Palazzo Spada hanno quindi interrogato la CGUE su un primo quesito, ovvero se ad una sanzione in materia di pratiche commerciali scorrette potesse applicarsi il principio ne bis in idem, pur non trattandosi in senso stretto di normativa penale. Tale interrogativo è stato risolto positivamente, in ragione della sua assimilabilità ad una sanzione penale e della sua severità.

In secondo luogo, il CdS ha sollevato la questione, in costanza di sanzione amministrativa di natura penale, circa quali fossero le condizioni per l’applicazione del ne bis in idem nel caso concreto e se fossero soddisfatte. Se da un lato era pacifico affermare l’esistenza di un provvedimento passato in giudicato che avrebbe duplicato la sanzione irrogata dall’AGCM (bis), la determinazione dell’identicità dei fatti sottesi (idem) era a sua volta implicita sulla base della valutazione espressa dal giudice di rinvio.

Tuttavia la CGUE non ha potuto fare a meno di considerare le condizioni per cui, una volta ritenuto applicabile il principio del ne bis in idem, vi possa essere una limitazione del principio in esame, laddove: (i) il cumulo delle due sanzioni non deve risultare eccessivamente oneroso per la parte interessata; (ii) le norme applicate devono essere chiare e precise in maniera tale da far prevedere in anticipo quali atti/omissioni possano dar luogo al cumulo; e (iii) i procedimenti sanzionatori per il medesimo fatto devono essere condotti in maniera sufficientemente coordinata tra le autorità competenti ed in un lasso di tempo ravvicinato.

È stato proprio quest’ultimo elemento a destare particolare attenzione. Seppur riconosciuto dalla stessa CGUE come requisito di difficile soddisfacimento (specie data la transnazionalità delle entità inquirenti), secondo la CGUE esso deve sempre essere presente per giustificare l’eccezione al principio generale del ne bis in idem.

Si evince dunque la rilevanza del giudizio in questione che, in maniera netta, sancisce l’impossibilità, in assenza dei requisiti per l’operatività del cumulo delle sanzioni di natura penale, di condannare ovvero di procedere con qualsiasi processo/istruttoria avente ad oggetto fatti identici ad altre vicende già passate in giudicato; nel caso di specie, quindi, sembra decretata l’impossibilità di procedere – in tutta Europa – contro il gruppo Volkswagen per le conseguenze della vicenda c.d. Dieselgate, essendo già stata irrogata e passata in giudicato la condanna emessa dalla Procura tedesca.

Giuseppe Schinella

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Diritto della concorrenza – Italia / Abuso di posizione dominante nel settore ferroviario – Il TAR annulla la sanzione dell’AGCM nei confronti di Trenitalia S.p.A., Ferrovie dello Stato Italiane S.p.A. e Rete Ferroviaria Italiana S.p.A.

Con la sentenza del 6 settembre 2023, il TAR Lazio (TAR) ha annullato il provvedimento dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) (già oggetto della Newsletter del 2 settembre 2019) che condannava Ferrovie dello Stato S.p.A. (FS), Rete Ferroviaria Italiana S.p.A. (RFI) e Trenitalia S.p.A. (Trenitalia) al pagamento di una sanzione del valore simbolico di 1.000 Euro per abuso di posizione dominante sul mercato ferroviario ai sensi dell’articolo 102 TFUE.

Nel caso in esame l’AGCM aveva ritenuto che vi fosse stata una connessione impropria tra l’affidamento diretto da parte della Regione Veneto del nuovo contratto di servizio di trasporto ferroviario regionale a Trenitalia e l’impegno di RFI ad attuare interventi infrastrutturali di elettrificazione nella stessa area. Si contestava pertanto al gruppo Ferrovie dello Stato, tramite RFI, di aver sfruttato la propria posizione di monopolista legale come operatore integrato nello sviluppo della rete per ottenere l’affidamento diretto a Trenitalia del servizio di trasporto ferroviario nella Regione Veneto.

Il TAR ha ritenuto tuttavia che l’AGCM non avesse provato la condotta abusiva sotto diversi profili. In primo luogo, è stato ravvisato che non vi fossero elementi univoci tali da prospettare uno scambio tra l’intervento infrastrutturale di RFI e l’affidamento del servizio di trasporto ferroviario a Trenitalia. Ad esempio, veniva considerata provata la condotta dalla simultanea presenza ad una riunione tra parti istituzionali della Regione Veneto e i vertici delle società in questione, nonché i relativi comunicati stampa della medesima Regione che, sul punto, dichiaravano che l’obiettivo dell’incontro era quello di porre le basi per il nuovo piano regionale dei trasporti con lo scopo di migliorare il servizio di trasporto pubblico. Più specificamente, nel secondo comunicato, veniva riferito che già nell’aprile del 2016 era stato effettuato un incontro nel quale l’amministratore delegato di FS si impegnava all’elettrificazione della linea “a fronte di un miglioramento del contratto di servizio con Trenitalia”.

L’AGCM aveva inoltre dedotto l’integrazione della condotta anticoncorrenziale sulla base delle interlocuzioni intercorse tra RFI e Trenitalia in merito alle condizioni del servizio. Sul punto il TAR ha affermato che tale comportamento non è di per sé sintomatico di una condotta abusiva perché non è contrastante con l’obbligo di riservatezza previsto dall’articolo 11 del D.lgs. n.112/2015. In particolare, al fine di garantire l’indipendenza del gestore della rete ferroviaria, quest’ultimo era assoggettato ad un obbligo di riservatezza circa le “informazioni commerciali in suo possesso” e alle informazioni sensibili relative alle funzioni essenziali, non vietava però la comunicazione di informazioni di altro genere. Nel caso di specie, tribunale amministrativo ha ritenuto non essenziali le informazioni relative allo sviluppo dell’infrastruttura.

Il giudice amministrativo – ripercorrendo la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea (CGUE) e del Consiglio di Stato secondo cui sussiste un abuso di posizione dominante quando, sulla base di un criterio finalistico, la condotta è astrattamente idonea a falsare il gioco della concorrenza – ha accolto le censure relative all’insussistenza della condotta escludente avuto riguardo all’omessa valutazione del mercato da parte dell’AGCM. Nella fattispecie in esame, l’AGCM aveva accertato l’effetto escludente riferendosi esclusivamente alle manifestazioni di interesse della società Arriva Italia Rail (Arriva), senza tuttavia accertare “…l’effettiva realizzabilità delle stesse nell’ambito dell’assetto concorrenziale del settore e le circostanze rappresentate dalle ricorrenti con riferimento alla genericità di tali manifestazioni di interesse non supportate dalla sussistenza di elementi concreti in ordine al possesso dei necessari requisiti aziendali…”. Il TAR così ha preso in considerazione quanto posto in evidenza dalle ricorrenti, ossia che alle manifestazioni di interesse del concorrente potenziale non aveva fatto seguito alcuna azione concreta sia in termini di proposte commerciali, sia in termini di impugnativa dell’avviso di pre-informazione dell’affidamento diretto.

Il TAR ha infine affermato la contraddittorietà del provvedimento impugnato con riguardo all’irrogazione della sanzione. La qualificazione della condotta, invero, in termini di gravità è contraddittoria rispetto al “…riconoscimento, da parte dell’AGCM, dell’assenza di condotte volte a condizionare la volontà della Regione in ordine alla scelta se procedere all’affidamento del servizio tramite gara, piuttosto che per via diretta, e dei benefici per gli utenti e per la Regione…”. In altre parole, la qualificazione della condotta come grave contrasta con l’apprezzamento dei benefici delle condotte “ai fini della quantificazione in misura meramente simbolica della sanzione”.

Francesco Castracane degli Antelminelli

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Intese e settore militare – L’AGCM ha sanzionato 14 società attive nel settore della navalmeccanica per un’intesa nell’ambito delle gare d’appalto bandite dall’Arsenale della Marina Militare di Taranto

Con il provvedimento del 18 luglio 2023 l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha sanzionato, per un importo complessivo di circa 480 mila euro, 14 società (le Società) attive nel settore della navalmeccanica per violazione dell’art. 101 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE). In proposito, l’AGCM ha accertato “…un’intesa segreta avente a oggetto il coordinamento delle strategie di partecipazione a gare pubbliche finalizzato alla spartizione degli affidamenti pubblici attraverso la manipolazione degli esiti di gara…” relativamente ad alcune procedure di gara bandite dall’Arsenale della Marina Militare di Taranto.

L’intesa orizzontale segreta accertata ha riguardato 4 procedure di gara ristrette ed 11 affidamenti in economia, derivanti dal frazionamento di una di tali procedure. Difatti, le Società, ritenendo le procedure poco remunerative, si sarebbero accordate per non partecipare ad una delle procedure di gara iniziali che, successivamente, è stata frazionata nei suddetti affidamenti in economia.

In particolare, come comprovato dalle numerose intercettazioni telefoniche (disponibili nel fascicolo del procedimento a seguito di informativa raccolta da parte della Guardia di Finanza in un parallelo procedimento penale), le Società (legate tra loro da intrecci di natura consortile, societaria e familiare) avrebbero posto in essere delle condotte commissive ed omissive volte ad “un’equa ripartizione” dei servizi.

Le Società si sarebbero, quindi, accordate per effettuare offerte incrociate, con lo scopo di soddisfare il requisito minimo delle tre offerte valide richieste dal bando per l’affidamento dei servizi in economia. Come si evince dal corredo probatorio, confermato dagli esiti delle gare, le parti avrebbero concordato la suddivisione dei lavori, talvolta tramite la proposizione di offerte, altre volte mediante l’astensione da una determinata procedura.

Rilevante è stato, altresì, l’intervento dell’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) volto a censurare l’operato della stazione appaltante in relazione a diversi punti, quali il frazionamento artificioso della procedura e la commistione tra i requisiti di partecipazione e di valutazione. In particolar modo, il requisito delle pregresse esperienze su navi militari italiane, non considerando la possibile equipollenza in relazione ad analoghe esperienze su navi di altri Stati Membri, ha realizzato una significativa compromissione della concorrenza, riducendo il numero dei partecipanti.

L’AGCM ha evidenziato una serie di profili che, nel caso di specie, hanno accentuato la gravità della condotta accertata, ossia: i) la dimensione comunitaria delle gare; ii) la consapevolezza dell’illiceità della condotta, così come traspare dalle intercettazioni; iii) la reiterazione della condotta per alcune delle società già sanzionate in passato (provvedimento AGCM n. 25739/2015, commentato in questa Newsletter). Inoltre, in antitesi rispetto alle posizioni difensive assunte dalle parti, l’AGCM ha ribadito sia il principio della reciproca autonomia tra procedimento penale e antitrust, sia che “…la partecipazione con diversi gradi di intensità delle imprese ad un cartello non fa venire meno né l’unicità della condotta né la singola responsabilità individuale dell’impresa…”.

L’AGCM, avendo accertato l’intesa, tenuto conto della gravità e della durata dell’illecito, ha ritenuto di irrogare una sanzione pari al 15% del valore delle vendite. In aggiunta, poiché 5 di queste società erano già state sanzionate per la partecipazione a una precedente intesa, per le stesse l’importo base della sanzione è stato aumentato del 20%.

Un “classico” caso di c.d. bid rigging, che rivela ancora una volta la particolare attenzione che l’AGCM rivolge al mantenimento del pieno confronto concorrenziale nelle gare pubbliche, anche laddove le dimensioni ridotte delle imprese comportano l’irrogazione di sanzioni limitate nei loro valori assoluti.

Giuseppe Russo

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Intese e batterie al piombo esauste – L’AGCM accoglie l’istanza presentata da COBAT per la revoca parziale degli impegni resi obbligatori all’esito di una precedente istruttoria

Con il provvedimento pubblicato lo scorso 7 agosto, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha revocato parzialmente gli impegni di COBAT S.p.A. e COBAT RIPA (congiuntamente, il Consorzio), resi obbligatori all’esito di un precedente procedimento volto ad accertare una potenziale intesa avente ad oggetto la definizione delle condizioni economiche di acquisto delle batterie esauste raccolte dal Consorzio. L’AGCM ha ora ritenuto parte degli impegni non più necessari, anche alla luce delle attuali condizioni del mercato.

Il precedente procedimento (n. I838, già oggetto di commento nella presente Newsletter) interessava il settore della filiera del recupero delle batterie al piombo per veicoli e industriali esausti. Secondo un modello di economia circolare, le batterie esauste vengono acquistate dai c.d. raccoglitori (principalmente officine meccaniche e autoricambi), trasformate dai riciclatori (cd. smelter), e riutilizzate nel processo di produzione di batterie nuove (svolto da produttori). In tale contesto, il consorzio COBAT gestisce, in concorrenza con altri sistemi, l’attività di intermediazione nella gestione dei rifiuti nella fase che si colloca tra la raccolta e il riciclo.

L’AGCM aveva ipotizzato l’esistenza di un’intesa, in violazione dell’art. 101 TFUE, volta ad assicurare ai soci storici di COBAT (alcuni produttori e smelter) un flusso continuo di rifiuti a prezzi controllati e ad escludere dal mercato i sistemi di raccolta concorrenti. COBAT avrebbe: (i) acquisito informazioni riservate sui punti di approvvigionamento dei raccoglitori, (ii) falsato, mediante spartizione dei lotti, il processo di definizione del prezzo di acquisto del rifiuto nelle gare indette per gli smelter (a cui erano ammessi solamente operatori parte del Consorzio) e (iii) condiviso informazioni commercialmente sensibili tra i propri soci, i quali si sarebbero accordati per non acquistare prodotti da sistemi di raccolta concorrenti.

All’esito del procedimento l’AGCM aveva ritenuto sufficienti gli impegni presentati dalle parti al fine di risolvere le criticità evidenziate. Inter alia, le parti si erano impegnate a dismettere, a seguito della trasformazione in società per azioni, le quote detenute dagli smelter in COBAT (ora a tutti gli effetti un sistema di soli produttori); mentre COBAT si era impegnata a svolgere le gare attraverso aste telematiche periodiche aperte a tutti gli operatori autorizzati, italiani o esteri.

Il 20 ottobre 2022 il Consorzio ha presentato istanza di revisione degli impegni in merito all’impegno di effettuare l’allocazione delle batterie esauste tramite aste telematiche, per le quali la base d’asta doveva essere determinata tramite criteri specifici e ben delineati. Il Consorzio lamentava che l’attuale contesto di mercato avesse reso impraticabile l’impegno in questione, a tal punto che le ultime aste bandite non avevano riscontrato alcuna partecipazione e che la sola modifica strutturale, già avvenuta, di fuoriuscita dalla propria compagine azionaria dei riciclatori fosse sufficiente ad eliminare ogni possibile distorsione concorrenziale.

L’AGCM ha, dunque, avviato un procedimento (I838C) nell’ambito del quale ha accertato che la mancata partecipazione dei principali smelter nazionali alle gare indette dal Consorzio fosse dipesa dal prezzo base d’asta, eccessivamente troppo elevato rispetto a quello ottenibile dagli stessi tramite negoziazioni private (anche con COBAT stessa a seguito delle aste disertate). Ciò in virtù anche del generale abbassamento dei prezzi delle batterie usate che ha seguito l’interruzione delle attività del primo trasformatore a livello nazionale. Il prezzo base delle aste, inoltre, data la sua natura pubblica, rappresentava un benchmark che attribuiva, in qualche misura, un vantaggio competitivo nelle negoziazioni private per eventuali ribassi. A ciò, si aggiungeva anche il fatto che spesso gli smelter avviano negoziazioni direttamente con i raccoglitori senza avversi dell’intermediazione del Consorzio.

Alla luce dell’istruttoria condotta e delle evidenze acquisite l’AGCM ha ritenuto l’istanza di revisione presentata da COBAT meritevole di accoglimento e revocato parzialmente gli impegni assunti dal Consorzio relativamente all’allocazione delle batterie esauste tramite asta e al meccanismo e ai criteri di determinazione della base d’asta, ritenendo che l’allocazione tramite trattativa privata fosse in grado di garantire un congruo livello di competitività nel mercato, nonché maggiore flessibilità organizzativa.

Il provvedimento in esame risulta di interesse in relazione alla flessibilità dello strumento degli impegni, laddove conferma che l’AGCM, a seguito di apposita valutazione, riconosce la rilevanza delle mutate condizioni di mercato al fine di modificare e/o revocare una decisione con impegni adottati in precedenza.

Fabio Bifarini

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Intese e accesso agli atti – Il TAR ha accolto il ricorso di Bancomat S.p.A. per l’annullamento del provvedimento dell’AGCM che le negava l’accesso agli atti del fascicolo istruttorio

In data 5 agosto 2023 il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (TAR Lazio) ha accolto il ricorso di Bancomat S.p.A. (Bancomat) contro l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) per l’annullamento del provvedimento (il Diniego) con cui quest’ultima aveva negato a Bancomat l’accesso ad alcuni atti del fascicolo istruttorio I849 – Bancomat – Prelievi contanti (il Procedimento I849). In particolare, oggetto del contendere era la versione integrale dell’appendice economica al provvedimento di chiusura dell’istruttoria (l’Appendice) e le risposte delle banche alle richieste di informazioni trasmesse dall’AGCM, tra cui quelle riguardanti le commissioni sui prelievi in circolarità applicate ai correntisti (le Risposte).

La vicenda trae origine dal Procedimento I849 avente ad oggetto il progetto di modifica del meccanismo di remunerazione dei prelievi in circolarità da ATM (meglio conosciuti come “sportelli bancomat”) con carte del circuito Bancomat. Secondo il regime di remunerazione che si intendeva modificare, la banca che ha emesso la carta utilizzata per il prelievo versa una commissione interbancaria (c.d. Multilateral Interchange Fee) all’istituto che è titolare dello sportello presso cui il prelievo avviene e può chiedere al proprio cliente una commissione. Il progetto presentato da Bancomat prevedeva, invece, un nuovo modello per il quale la banca presso cui si fa il prelievo richiede direttamente al titolare della carta una commissione (c.d. Direct Access Fee).

Al termine dell’istruttoria, l’AGCM aveva concluso il Procedimento I849 rilevando che il progetto di cui sopra configurava una restrizione della concorrenza in quanto stabiliva una serie di regole comuni idonee a determinare effetti di natura anticoncorrenziale consistenti, inter alia, nell’aumento significativo delle commissioni medie di prelievo in circolarità per gli utenti da parte delle banche aderenti, nonché nell’aumento degli incentivi a colludere per le banche aderenti.

Bancomat ha, dunque, impugnato il provvedimento di chiusura dell’istruttoria (il Provvedimento) e, al fine di predisporre le proprie difese rispetto ai profili di restrittività del progetto contestati dall’AGCM, ha chiesto all’AGCM l’accesso alla versione integrale dell’Appendice e alle Risposte (l’Istanza), a cui i consulenti economici di Bancomat avevano potuto accedere nel corso del Procedimento unicamente mediante la c.d. procedura di data room (che permette la visione presso i locali dell’AGCM, ma non la estrazione di una copia, potendo le parti solo “portare fuori” dalla data room una sintesi delle risultanze delle analisi ivi effettuate), al diverso fine di replicare agli addebiti contenuti nella comunicazione delle risultanze istruttorie e nella relativa Appendice. A sostegno dell’Istanza, Bancomat aveva dedotto che la visione della documentazione richiesta risultava necessaria ai fini difensivi, essendo stata espressamente richiamata dall’AGCM a fondamento del Provvedimento, e che non erano state addotte ragioni di riservatezza idonee a giustificare il diniego.
Con il Diniego l’AGCM aveva rigettato l’Istanza, ritenendo che Bancomat aveva già avuto accesso alla versione integrale dei documenti richiesti attraverso la procedura di data room di cui sopra.

Il ricorso di Bancomat avverso il Diniego è stato accolto dal TAR Lazio, che ha ordinato all’AGCM l’ostensione dell’Appendice e delle Risposte (previo oscuramento del nome delle banche). Nella sentenza, il TAR Lazio ha richiamato la disciplina specifica dei provvedimenti dinanzi all’AGCM e ha ribadito che l’accesso deve essere consentito ai documenti che forniscano “…elementi essenziali per la difesa di un’impresa…”, nonché i principi generali per cui, anche in sede giurisdizionale, l’accesso agli atti amministrativi “…la cui conoscenza sia necessaria per curare o difendere i propri interessi giuridici deve essere comunque garantito…”. E questo nonostante la parte richiedente aveva avuto accesso ai medesimi documenti mediante la procedura di data room.

Resta da vedere come a tale secondo accesso verrà dato seguito: invero, se si procedesse in maniera difforma dalla procedura di data room (disposta proprio per contemperare le esigenze di difesa con la riservatezza commerciale di informazioni caratterizzate dalla particolare confidenzialità), quest’ultima ne risulterà inevitabilmente compromessa, con quanto ne consegue in termini di sua futura esperibilità nell’ambito dei procedimenti antitrust. Bisognerà vedere se l’AGCM impugnerà la sentenza e, in caso, quale sarà la pronuncia finale del Consiglio di Stato su questa peculiare vicenda.

Mila Filomena Crispino

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