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Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione - 11 settembre 2023

Diritto della concorrenza – Europa / Regolazione e settore digitale – La Commissione europea ha designato i primi 6 gatekeeper e relativi 22 core platform services ai sensi del Digital Markets Act

Con il comunicato stampa del 6 settembre 2023 (non accompagnato – come invece atteso – da una conferenza stampa), la Commissione europea (Commissione) ha designato per la prima volta 6 gatekeeper ai sensi del Digital Markets Act (DMA) ossia: Alphabet, Amazon, Apple, ByteDance Meta e Microsoft. Inoltre, 22 servizi forniti da detti gatekeeper sono stati individuati dalla Commissione e designati come “servizi di piattaforma di base” (c.d. core platform services). La decisione della Commissione giunge al termine del periodo di 45 giorni in cui, a seguito delle notifiche pervenute oltre che da Alphabet, Amazon, Apple, ByteDance, Meta, Microsoft, anche da Samsung, la Commissione avrebbe dovuto procedere alla designazione.

Il DMA, in vigore dal 1° novembre 2022, ha lo scopo di disciplinare ex ante il comportamento sui mercati digitali dei cc.dd gatekeeper, ossia le grandi piattaforme che forniscono core platform services. Ciò in quanto si ritiene che queste piattaforme, in relazione a tali servizi di base, abbiano la capacità di operare come “cancelli di ingresso”, ossia regolatori dell’accesso a certi mercati digitali per soggetti aziendali e consumatori. I gatekeeper sono definiti all’articolo 3 del DMA, il quale stabilisce, inter alia, tre principali criteri quantitativi che determinano la presunzione che un’impresa rappresenti un gatekeeper. Tali criteri sono: (i) una dimensione in grado di avere un impatto rilevante sul mercato interno; tale dimensione è presunta se l'impresa ha un fatturato nello Spazio Economico Europeo (SEE) pari ad almeno 7,5 miliardi di euro (o un valore di mercato pari ad almeno 75 miliardi di euro) e fornisce un core platform service in almeno tre Stati membri dell’Unione; (ii) fornire il proprio servizio a più di 45 milioni di utenti finali attivi mensilmente che siano stabiliti o situati nell'Unione europea e a più di 10.000 utenti commerciali attivi annualmente stabiliti nell'Unione europea; (iii) aver soddisfatto il criterio sub (ii) in ciascuno degli ultimi tre esercizi finanziari.

Dal momento della designazione i gatekeeper avranno a disposizione un termine di sei mesi per assicurare la conformità del proprio comportamento con gli obblighi previsti nel DMA, i.e., marzo 2024. Tuttavia, alcuni obblighi inizieranno ad applicarsi fin dal momento della designazione, come ad esempio l’obbligo per i gatekeeper di informare la Commissione di qualsiasi concentrazione da essi posta in essere (a prescindere dal superamento o meno delle soglie rilevanti ai sensi della disciplina sul merger control). Questa informativa, che la Commissione farà circolare tra gli Stati Membri, è funzionale a permettere a quest’ultimi di valutare se attivare ex art. 22 del Regolamento concentrazioni (Regolamento UE n. 139/2004) il rinvio alla stessa Commissione anche per operazioni di concentrazione sottosoglia anche a livello nazionale. Fra gli obblighi previsti per i gatekeeper all’interno del DMA rientrano, ad esempio: (i) rendere i propri servizi interoperabili per i terzi in situazioni specifiche; (ii) consentire agli utenti commerciali di promuovere la loro offerta e concludere contratti con clienti al di fuori della piattaforma; (iii) fornire alle imprese che fanno pubblicità sulla piattaforma gli strumenti e le informazioni necessarie per consentire di effettuare verifiche circa i messaggi pubblicitari ospitati nella piattaforma stessa. Sempre a titolo esemplificativo, ai gatekeeper è vietato: (i) riservare ai propri servizi e prodotti un trattamento favorevole in termini di classificazione rispetto a servizi o prodotti analoghi offerti da terzi sulla stessa piattaforma; ovvero (ii) impedire ai consumatori di mettersi in contatto con le imprese al di fuori della piattaforma.

In caso di infrazione, la Commissione può irrogare sanzioni fino al 10% del fatturato globale dell'impresa (o fino al 20% nel caso in cui si tratti di infrazioni ripetute). In caso di infrazioni sistematiche, sono previsti rimedi ulteriori che possono consistere in obblighi positivi anche di natura strutturale (es. obbligo di cedere un ramo d’azienda), ovvero divieti (es. divieto di acquisire ulteriori servizi collegati ai propri core platform services).

Da ultimo, contestualmente alla designazione dei gatekeeper, la Commissione ha anche avviato alcune indagini di mercato, riferite ad una serie di servizi offerti da Microsoft (i.e. Bing; Edge e Microsoft Advertising) e da Apple (i.e. iMessage), che dovranno concludersi entro un massimo di cinque mesi. Un'ulteriore indagine di mercato è stata aperta con riferimento al servizio iPadOS, fornito da Apple, nonostante risulti al di sotto delle soglie previste dal DMA. Viceversa, taluni servizi (i.e. Gmail, Outlook.com e Samsung Internet Browser) sono stati esclusi dalla designazione, nonostante fossero al di sopra di tali soglie e fossero stati quindi notificati alla Commissione.

La Commissione ha segnalato che nuove potenziali designazioni dovrebbero aver luogo a febbraio 2024, con conseguente obbligo per tali imprese designate di adeguarsi alle disposizioni del DMA entro agosto 2024. Peraltro, ulteriori cambiamenti potrebbero intervenire anche in virtù dell’articolo 4 del DMA, che prevede, da un lato, una verifica triennale della permanenza dei requisiti che hanno determinato la designazione come gatekeeper; dall’altro, il potere della Commissione di riconsiderare, in qualsiasi momento, una designazione precedentemente effettuata nel caso di modifiche sostanziali dei presupposti su cui la decisione era basata.

Irene Indino

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Diritto della concorrenza – Italia / Abuso di posizione dominante e settore digitale – l’AGCM accoglie gli impegni presentati da Google relativi alle proprie soluzioni di portabilità dei dati

Con il provvedimento n. 30736 pubblicato il 31 luglio scorso (la Decisione), l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’AGCM) ha chiuso con impegni il procedimento avviato nei confronti di Alphabet Inc., Google LLC, Google Ireland Limited e Google Italy S.r.l. (congiuntamente, Google), volto ad accertare un possibile abuso di posizione dominante da parte di Google consistente nella frapposizione di ostacoli all’esercizio, da parte dei propri utenti, del diritto alla portabilità dei dati stabilito dall’articolo 20 del GDPR (il DPD).

Il Procedimento – già oggetto di commento nella presente Newsletter – traeva origine da una segnalazione giunta all’AGCM da parte di Hoda S.r.l. (Hoda), società italiana sviluppatrice dell’app “Weople”, il cui business consiste nel permettere ai propri utenti di inserire in un’apposita “cassetta di sicurezza” i propri dati personali conferiti ad altre applicazioni e siti internet, e di monetizzarli ogni volta che altre imprese li richiedano per lo svolgimento delle proprie attività di targhettizzazione della clientela o per altri fini.

Ai fini dell’ottimale funzionamento di tale modello di business è imprescindibile la predisposizione di meccanismi di interlocuzione tra, da una parte, Weople e, dall’altra, i siti e le applicazioni dove i dati degli utenti sono originariamente immagazzinati. Ed è proprio questo aspetto ad essere finito sotto la lente di ingrandimento dell’AGCM: secondo l’ipotesi istruttoria, infatti, lo strumento predisposto da Google per garantire l’esercizio da parte dei propri utenti del DPD – Google Takeout – risultava eccessivamente e ingiustificatamente macchinoso, risolvendosi, da un lato, in un indebito sfruttamento degli utenti (nella misura in cui avrebbe determinato una “[l]imitazione dei benefici che i consumatori potrebbero trarre dalla valorizzazione dei loro dati personali”), e, dall’altro, nella frapposizione di ingiustificati ostacoli per eventuali operatori alternativi a Google, interessati allo sviluppo di forme innovative di utilizzo dei dati personali degli internauti.

Al fine di dissipare le preoccupazioni concorrenziali sollevate dall’AGCM, Google ha presentato tre impegni, sottoposti alla vigilanza di un Monitoring Trustee, incaricato inter alia di trasmettere relazioni mensili all’AGCM in merito all’andamento della loro attuazione.

Con il primo impegno, Google metterà a disposizione di operatori terzi interessati (OTI) un link che questi ultimi potranno integrare nei propri siti internet e applicazioni, e che faciliterà la selezione e l’esportazione dei dati da parte degli utenti. Il collegamento, infatti, condurrà gli utenti interessati direttamente al loro profilo di Google Takeout, dove una o più categorie di dati personali relativi ad una vastissima gamma di servizi di Google in cui sono stati generati – in linea con le preferenze degli OTI – saranno preselezionate e disponibili per il download e l’esportazione in uno dei servizi di archiviazione cloud abilitati. Agli OTI, peraltro, verrà garantita la possibilità di preselezionare anche la frequenza di esportazione dei dati (potendo richiedere che avvenga ogni due mesi), nonché il servizio di archiviazione cloud da utilizzare.

Con il secondo impegno, Google metterà a disposizione degli OTI una serie di informazioni dettagliate, di tenore prettamente tecnico, in merito ai “campi” dei servizi di Google dove tali dati sono stati raccolti, la cui finalità sarà facilitare le attività di estrazione e importazione delle informazioni ottenute a valle della procedura prima richiamata.

Infine, con il terzo impegno – il quale risente chiaramente degli obblighi previsti dal Regolamento (UE) 1925/2023 (il DMA), cui Google sarà presto in ogni caso assoggettata (vedi articolo precedente) – quest’ultima (i) porrà a disposizione degli OTI un programma beta che permetterà loro di testare, prima del rilascio ufficiale, una nuova soluzione di portabilità diretta service-to-service dei dati forniti dagli utenti finali o generati mediante il loro utilizzo del motore di ricerca online di Google, attualmente in via di sviluppo, nonché (ii) la relativa application programming interface (API); infine, (iii) Google garantirà agli OTI il pieno supporto tecnico nello sviluppo delle soluzioni tecniche che questi adotteranno al fine di interfacciare i propri servizi con tale API, una volta che tale soluzione di portabilità diretta sarà resa pienamente disponibile.

Il provvedimento in esame risulta di particolare interesse in quanto non soltanto attiene ad un settore chiave dell’economia digitale – quello dei big data – oggetto di ripetute attenzioni da parte dell’AGCM, ma altresì rappresenta un primo esempio, almeno in Italia, di cooperazione tra le imprese e l’AGCM negli sforzi di compliance in territori di chiara interferenza fra la disciplina generale antitrust ex art. 102 TFUE, la normativa sulla privacy ed i penetranti obblighi predisposti dal DMA.

Ignazio Pinzuti Ansolini

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Abusi di posizione dominante e settore postale – Il TAR Lazio ha respinto il ricorso di Poste Italiane avverso il provvedimento dell’AGCM che aveva accertato un abuso escludente nel mercato del recapito della corrispondenza c.d. business

Con la sentenza del 30 agosto 2023, il TAR Lazio (TAR) ha respinto il ricorso proposto da Poste Italiane S.p.A. (PI) per l’annullamento del provvedimento dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) (il Provvedimento) con cui era stato accertato in capo a PI un abuso di posizione dominante di tipo escludente. Con il Provvedimento, l’AGCM aveva imposto a PI il pagamento di una sanzione pecuniaria di 23 milioni di euro.

Il Provvedimento aveva ad oggetto le condotte poste in essere nel mercato del recapito della corrispondenza inviata dalla c.d. clientela business. In particolare, nelle aree non coperte dalle (limitate) reti di distribuzione delle imprese concorrenti, PI – unica impresa dotata di una rete articolata e diffusa su tutto il territorio nazionale, per ragioni storiche di incumbent monopolista in relazione a tutti i servizi di recapito di poste in Italia, aveva offerto all’ingrosso a queste, per il recapito della corrispondenza, unicamente il servizio c.d. posta massiva – più oneroso e rientrante nell’ambito del servizio universale – invece del servizio c.d. posta time – più economico e tracciato. Allo stesso tempo, PI aveva offerto ai propri clienti finali il servizio posta time a prezzi (al dettaglio) inferiori a quelli (all’ingrosso) praticati dalla stessa PI alle imprese concorrenti per il solo servizio di spedizione al di fuori delle aree coperte dalle rispettive reti di distribuzione con il servizio di posta massiva (l’unico offerto a questi). In questo modo, avrebbe costretto le concorrenti a operare con costi superiori a quelli praticati ai propri clienti finali, con evidente impatto sulla competitività di tali concorrenti e/o compressione dei margini di guadagno.

PI ricorrendo di fronte al TAR per l’annullamento del Provvedimento, aveva contestato le conclusioni dell’AGCM, inter alia, rispetto (i) alla sostituibilità dei servizi di posta massiva e di posta time; (ii) all’esistenza di un obbligo di fornire ai concorrenti il servizio posta time (collocato al di fuori dell’ambito del servizio universale); e (iii) alla mancata qualificazione delle politiche di fidelizzazione e di sconto per i clienti finali come lecita iniziativa commerciale.

Il TAR, rigettando tutti i motivi proposti, ha in particolare riconosciuto, rispetto alla prima questione, la correttezza della valutazione dell’AGCM che aveva confermato la riferibilità dei due servizi in parola al medesimo mercato rilevante. Il giudice amministrativo ha riconosciuto, infatti, come la sostituibilità tra questi emergesse da una serie di circostanze: dall’indagine condotta in fase istruttoria tra gli operatori economici; dal fatto che fosse la stessa PI a considerarli congiuntamente nel medesimo segmento commerciale; così come da una serie di email interne di PI raccolte dall’AGCM in fase istruttoria in cui PI indicava l’opportunità di creare un’artificiosa distinzione tra i due servizi.

Rispetto alla seconda contestazione, il TAR ha confermato l’illegittimità del rifiuto di fornire il servizio di posta time alle imprese concorrenti a valle. A tal proposito, ha ricordato come i piani della regolazione di settore e della disciplina della concorrenza non siano sovrapponibili. La conformità con i limiti – anche tariffari – imposti al servizio postale non sono di per sé sufficienti ad escludere eventuali illeciti concorrenziali, come invece aveva sostenuto PI. Consentire l’accesso a condizioni economicamente svantaggiose come quelle praticate da PI – ha osservato il TAR – se da un lato è conforme alla disciplina settoriale, dall’altro risulta in contrasto con le norme a tutela della concorrenza.

Il TAR ha inoltre rigettato la ricostruzione di PI nella parte in cui qualificava le proprie politiche di scontistica e fidelizzazione come lecite iniziative commerciali. Infatti, pur riconoscendo, in astratto, la legittimità di iniziative basate sui volumi di vendita, il TAR ha ricordato come queste debbano considerarsi restrittive della concorrenza laddove praticate facendo leva sulla propria posizione dominante e tali da rendere più difficile o impossibile ai concorrenti dell’impresa dominante l’accesso al mercato. Ha perciò verificato come, in concreto, la condotta della Ricorrente fosse idonea a determinare tale restrizione, mediante l’imposizione al cliente finale di un corrispettivo al dettaglio inferiore al prezzo all’ingrosso praticato ai concorrenti per un input necessario a offrire lo stesso servizio.

Confermando il principio di “indifferenza” della disciplina antitrust rispetto alla regolazione di settore, la sentenza si pone, tra le altre cose, come un nuovo importante riferimento rispetto al tema “classico” della definizione dei rapporti tra queste due categorie di norme. Rimane da valutare se il Consiglio di Stato – ove chiamato, come pare probabile, a pronunciarsi sulla questione – confermerà tali conclusioni.

Alberto Galasso

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Appalti, concessioni e regolazione / Settore TLC e scavi nel Comune di Roma – Il TAR Lazio ha accolto i ricorsi di Open Fiber, Telecom Italia e Wind, dichiarando illegittime le norme del Regolamento scavi che imponevano oneri ulteriori alle società del settore delle telecomunicazioni

Con le sentenze 13578, 13579 e 13580 del 2023, la Sezione II del Tribunale Amministrativo per il Lazio (TAR) ha ritenuto illegittime le norme del Regolamento Scavi del Comune di Roma (il Regolamento), nonché la delibera attuativa che regola lo schema di convenzione, in quanto ritenute in contrasto con il regime di favor previsto nel Codice delle comunicazioni elettroniche, di cui al D.Lgs. n. 259/2003 (CCE). La decisione è stata presa sulla base dei ricorsi presentati dalle società Open Fiber S.p.A. (Open Fiber), Telecom Italia S.p.A. (Telecom) e Wind Telecomunicazioni S.p.A. (Wind).

Il CCE prevede una disciplina che favorisce lo sviluppo delle reti secondo due direttrici: la prima prevede l’esenzione da oneri economici diversi dal canone unico patrimoniale per l’occupazione di suolo pubblico; la seconda introduce una semplificazione procedimentale, in base alla quale l’unico titolo autorizzatorio necessario è la segnalazione certificata di inizio attività (SCIA).

Le tre sentenze in esame – esaminate unitariamente in quanto accolgono censure avverso lo stesso Regolamento – per un verso, ribadiscono concetti già conosciuti in giurisprudenza. Già nota era, infatti, l’illegittimità della pretesa di un deposito cauzionale da parte delle Pubbliche Amministrazioni nei confronti degli operatori nel settore delle telecomunicazioni (cfr. sentenza). Altresì era nota l’illegittimità della pretesa di oneri economici ulteriori rispetto al Canone unico patrimoniale per l’occupazione di suolo pubblico quali ad esempio gli oneri di istruttoria e sopralluogo: l’Amministrazione non può chiedere il pagamento di somme aggiuntive neanche a titolo di rimborso di spese per istruttoria o ad altro titolo.

Per altro verso, il TAR ha espresso concetti nuovi mediante le sentenze in esame. In particolare, sono state dichiarate illegittime le norme che contrastano con il CCE prevedendo oneri procedimentali ulteriori quali ad esempio quelle che introducono l’obbligo di aderire in via preventiva ad una convenzione che impedisce l’immediato ottenimento del titolo. Vengono censurate inoltre le disposizioni che subordinano il rilascio delle autorizzazioni nel settore delle telecomunicazioni al preventivo inserimento nella programmazione triennale. Per il TAR sono altresì in contrasto con il CCE le prescrizioni che consentono la realizzazione di cavidotti ‘vuoti’, necessari per il passaggio di cavi in fibra ottica, solo in caso di motivato interesse pubblico. Viene inoltre annullata la previsione del Regolamento che impediva l’effettuazione di scavi in strade prima di un anno dal completamento di manutenzioni ordinarie ovvero di tre anni dal completamento di manutenzioni straordinarie. Infine, il TAR ritiene che contrastino con il regime speciale previsto in materia di telecomunicazioni le previsioni incompatibili con la tecnica della micro-trincea, metodo attraverso il quale si compiono scavi di larghezza e profondità minima e di conseguenza saranno ridotti anche gli oneri di ripristino.

Complessivamente, queste pronunce sono particolarmente rilevanti in quanto, da un lato, riguardano l’applicazione del CCE rispetto ad un tema di notevole rilevanza pratica per le imprese del settore e, dall’altro, riguardano la città di Roma, una delle principali città per gli interventi di cablatura dei cavi in fibra ottica.

Francesco Castracane degli Antelminelli

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