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Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione - 26 giugno 2023

Diritto della concorrenza – Europa / Abusi e concentrazioni sotto-soglia – L’autorità della concorrenza belga ha sospeso l’acquisizione sotto-soglia di Edpnet da parte di Proximus

Con la decisione resa nota lo scorso 23 giugno, l’Autorità per la concorrenza belga (l’Autorità) ha reso noto di aver adottato una serie di misure cautelari nel procedimento per c.d. abuso da consolidamento relativo alla tentata acquisizione di EDPnet da parte di Proximus, imponendo in via interinale un obbligo sostanziale di standstill all’impresa acquirente.

Al fine di comprendere la vicenda, risulta opportuno ripercorrere brevemente i principali elementi fattuali da cui origina la vicenda. Come già evidenziato in questa sede in occasione del commento all’apertura dell’istruttoria da parte dell’Autorità, EDPnet era cresciuto negli anni come uno dei maggiori operatori alternativi per la fornitura di servizi broadband nel mercato belga, con particolare attenzione al segmento dei servizi ad alta velocità. Nel 2022 – date le fragili condizioni finanziarie in cui versava – EDPnet aveva presentato istanza di tutela dai propri creditori ed il tribunale belga competente, nel gennaio 2023, aveva avviato un processo di riorganizzazione societaria monitorata dall’autorità giudiziaria. In questo contesto, diverse società avevano presentato un’offerta di acquisizione per evitare la bancarotta dell’azienda, tra cui Proximus, che aveva in ultimo presentato l’offerta migliore. Con la sentenza del 21 marzo 2023, il Tribunale delle imprese di Gand aveva quindi ordinato il trasferimento di Edpnet a Proximus.

L’operazione – non raggiungendo le soglie di fatturato per determinare un obbligo di notifica all’Autorità o alla Commissione europea – non era stata soggetta ad alcuna notifica preventiva. Tuttavia, l’Autorità – considerandola sotto la lente delle disposizioni nazionali antitrust sull’abuso di posizione dominante – ha deciso di aprire un’indagine per verificare la possibile esistenza di una condotta abusiva. Ritenendo soddisfatti i requisiti del fumus e del periculum, l’Autorità ha dunque imposto a Proximus tre obblighi, della durata di 15 mesi, ossia: (i) mantenere la redditività e la competitività di EDPnet; (ii) separare le attività e la gestione di Proximus e EDPnet; e (iii) garantire che Proximus non ottenga informazioni riservate relative a EDPnet.

La vicenda, di cui in questa sede sono stati ripercorsi i principali elementi fattuali, costituisce il primo banco di prova della sentenza Towercast della Corte di Giustizia UE in materia di applicabilità dell’art. 102 TFUE alle concentrazioni sotto-soglia - per una cui analisi si rinvia a una precedente edizione di questa Newsletter. Sarà dunque interessante seguire gli ulteriori sviluppi della vicenda.

Alessandro Canosa

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Concentrazioni e settore delle cere di paraffina – Il Tribunale dell’UE ha confermato la decisione della Commissione di autorizzazione con condizioni della concentrazione tra le società petrolchimiche polacche Lotos e PKN Orlen.

Il Tribunale dell’Unione europea (il Tribunale), con la sentenza del 14 giugno 2023, ha rigettato il ricorso presentato dalla società polacca Polwax S.A. (Polwax), attiva nella produzione di cere di paraffina, contro la decisione della Commissione europea (la Commissione) del 14 luglio 2020 (la Decisione) con cui era stata autorizzata con condizioni la concentrazione tra le società petrolchimiche polacche Polski Koncern Naftowy Orlen S.A. (Orlen) e Grupa Lotos S.A. (Lotos).

Nella Decisione, la Commissione aveva individuato come mercati rilevanti interessanti nell’operazione quelli della paraffina molle e delle cere di paraffina. Il primo è relativo ad un sottoprodotto degli olii di petrolio principalmente utilizzato come materia prima delle cere di paraffina completamente raffinate. Queste, a loro volta, costituiscono il materiale grezzo per la fabbricazione delle candele. La Commissione aveva rilevato come, pur essendo Lotos e Orlen entrambe attive nel mercato della produzione di paraffina molle, solo la prima la distribuisse sul mercato, limitandosi Orlen ad utilizzarla per la propria produzione interna di cere di paraffina.

La ricorrente – attiva anch’essa nei mercati rilevanti individuati – aveva proposto ricorso contro la Decisione contestandone le valutazioni relative (i) alla definizione dei mercati rilevanti, e (ii) alla valutazione degli effetti della concentrazione su tali mercati.

Rispetto al primo profilo, la ricorrente aveva lamentato come la Commissione, da un lato, avesse limitato la sua analisi al solo mercato a valle della cera di paraffina completamente raffinata, invece di considerare quello più ampio delle cere di paraffina, e, dall’altro, avesse considerato unitariamente un mercato, quale quello della paraffina molle, che si sarebbe dovuto invece considerare articolato nei tre distinti mercati della paraffina molle leggera, media e pesante.

Il Tribunale ha rigettato entrambe le contestazioni, evidenziando, in primo luogo, che la Commissione, nella Decisone, avesse sempre fatto riferimento al mercato delle cere di paraffina generalmente inteso. Essa aveva inoltre indicato usi delle cere di paraffina ulteriori rispetto alla produzione di candele, evocando pertanto un mercato più ampio di quello della sola cera di paraffina completamente raffinata, nonché citato precedenti in cui tale mercato era stato considerato complessivamente. Riguardo alla mancata considerazione dei più ristretti mercati della paraffina molle leggera, media e pesante come mercati rilevanti a sé stanti, il Tribunale, sulla base della Comunicazione della Commissione sulla definizione del mercato rilevante del 1997, ha sostenuto come spettasse alla ricorrente fornire “…seri indizi atti a dimostrare che non esisteva un grado sufficiente di intercambiabilità…” tra tali prodotti. Ha poi riconosciuto come, nel caso specifico, i meri riferimenti operati da Polwax ai diversi usi industriali dei tre semilavorati non fossero sufficienti ad integrare tale requisito.

Rispetto alla valutazione degli effetti della concentrazione, la ricorrente aveva, invece, contestato la mancata valutazione (a) dei potenziali effetti orizzontali sul mercato della paraffina molle, e (b) degli effetti verticali sul mercato delle cere di paraffina.

Riguardo alla censura di cui al punto (a), il Tribunale ha affermato come la concentrazione non ponesse rischi concorrenziali in quanto solo una delle società parti dell’operazione, Lotos, risultava attiva sul mercato della paraffina molle. Ha altresì ritenuta infondata la censura di cui al punto (b), evidenziando come la limitata quota di mercato che la società risultante dalla concentrazione avrebbe avuto sul mercato delle cere di paraffina escludesse per se la possibilità di restringere alle concorrenti l’accesso ai relativi fattori di produzione.

In conclusione, la sentenza in commento sembra porsi in linea con i principi individuati dalla giurisprudenza euro-unitaria in materia di definizione dei mercati rilevanti e valutazione degli effetti su di essi nell’ambito del controllo delle concentrazioni. Resta da capire se la ricorrente vorrà appellare la pronuncia, permettendo anche alla Corte di Giustizia di esprimersi su tali temi.

Alberto Galasso

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Tutela del consumatore / Pratiche commerciali scorrette e settore tech – Il Consiglio di Stato ha accolto l’appello di Samsung Electronics annullando la decisione dell’AGCM in materia di c.d. obsolescenza programmata

Con la sentenza n. 6006 del 19 giugno 2023, il Consiglio di Stato (CdS) ha accolto gli appelli di Samsung Electronics Italia S.p.A. e Samsung Electronics Co. Ltd. (le Appellanti), annullando la decisione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) che, nel 2018, aveva sanzionato le Appellanti in solido per 5 milioni di euro per aver posto in essere una pratica commerciale scorretta, consistente nell’aver insistentemente proposto ai consumatori che avevano acquistato, a partire dal 2014, uno smartphone “Note 4” di installare il nuovo firmware di Android “Marshmallow” (il Provvedimento) Tale aggiornamento avrebbe prodotto – secondo l’AGCM – dei malfunzionamenti e un generale peggioramento delle prestazioni dei dispositivi “Note 4”. La condotta avrebbe quindi costituito una pratica commerciale scorretta di c.d. obsolescenza programmata: infatti, i malfunzionamenti e gli elevati costi di riparazione fuori garanzia avrebbero accelerato il processo di sostituzione con nuovi modelli di smartphone.

Le Appellanti avevano impugnato la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (TAR), che nel 2021 aveva respinto il ricorso per l’annullamento del Provvedimento. Dinanzi al CdS le Appellanti hanno proposto come motivi di appello, inter alia: (i) la manifesta carenza istruttoria derivante dal mancato coinvolgimento di Google in qualità di terzo sviluppatore dell’aggiornamento; e (ii) l’inidoneità delle evidenze usate nella Decisione per sostenere che l’aggiornamento “Marshmallow” avesse causato guasti alla maggior parte dei “Note 4” (dato che il loro hardware non sarebbe stato in grado di supportarlo).

Con riguardo all’attività istruttoria svolta dall’AGCM, il CdS ha rilevato che, sebbene il Provvedimento si fondi sull’allegata incidenza negativa del “Marshmallow” su un numero rilevante di “Note 4”, l’attività istruttoria non abbia provato l’insostenibilità dell’aggiornamento in parola per l’hardware, ossia l’elemento cardine che sarebbe stato necessario per accertare un piano di obsolescenza programmata. Il Provvedimento si fonda su elementi quali: le segnalazioni dei consumatori; il periodo in cui si sono verificate le richieste di assistenza e il numero elevato di richieste pervenute ai centri assistenza. Secondo il CdS, nessuna di tali circostanze è in grado di provare una connessione causale fra il malfunzionamento dei “Note 4” e il download dell’aggiornamento “Marshmallow”. In altre parole, l’AGCM avrebbe operato “…un giudizio inferenziale incentrato su mere circostanze fattuali che, invero, da sole non possono risultare sufficienti a fornire una spiegazione del fenomeno…”. Sul punto il CdS evidenzia anche come il mancato coinvolgimento del terzo sviluppatore dell’aggiornamento (i.e., Google) sia la riprova della carenza istruttoria e afferma che “…appare, certamente deficitaria un’istruttoria che non si snodi attraverso una disamina tecnica di tale aggiornamento e delle sue ripercussioni, effettuata mediante il soggetto responsabile, come spiegato, dell’ideazione e dello sviluppo dello stesso”. In tal modo, la sentenza ha smentito quanto precedentemente sostenuto dal TAR, ossia che il coinvolgimento di Google sarebbe stato rilevante solo al fine di determinare un eventuale contributo di quest’ultimo nella causazione dei danni, senza comportare l’illegittimità del Provvedimento.

In secondo luogo, con riguardo alla prova del nesso di causalità, il CdS ha rilevato come il nesso causale fra il malfunzionamento dei “Note 4” e il download dell’aggiornamento “Marshmallow” non può affermarsi “…per il solo fatto che l’uno è posteriore all’altro…”. Il CdS aggiunge che “…gli elementi indicati dall’Autorità risultano […] non idonei a fornire una spiegazione idonea del fenomeno in assenza della dimostrazione tecnica in ordine al nesso tra l’aggiornamento e i malfunzionamenti” e ciò in riferimento sia alle segnalazioni di malfunzionamenti, sia ai dati relativi alla gestione delle riparazioni, i quali testimoniano la sola esistenza dei malfunzionamenti senza tuttavia identificare le ragioni degli stessi. In aggiunta, il CdS evidenzia come gli elementi in questione costituiscano un campione territorialmente limitato, se si considera la presenza globale delle Appellanti e l’ampiezza della distribuzione del prodotto “Note 4”, rispetto ai quali le segnalazioni di malfunzionamenti costituiscono una porzione estremamente limitata.

Pertanto, il CdS ha annullato il Provvedimento, rilevando la carenza di un’adeguata istruttoria sul dato tecnico centrale per l’adozione dello stesso. Inoltre, il CdS ha escluso la possibilità di disporre una verificazione o una consulenza tecnica sull’aspetto tecnico in questione, ritenendo che tali mezzi istruttori non fossero comunque idonei a colmare il grave deficit istruttorio che si è prodotto nel procedimento svolto dall’AGCM.

La sentenza del CdS appare significativa nel chiarire lo standard istruttorio necessario su un tema importante come quello dell’obsolescenza programmata, fornendo altresì indicazioni di ordine generale in materia di rilevanza quantitativa della prova e sulla disponibilità di strumenti tecnici-probatori in giudizio.

Irene Indino

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Appalti, concessioni e regolazione / Deliberazioni del Consiglio dei Ministri e giustizia amministrativa – Il Consiglio di Stato si è pronunciato sulla sindacabilità di deliberazioni del Consiglio dei Ministri adottate in caso di valutazioni contrastanti tra amministrazioni

Con sentenza pubblicata il 19 maggio 2023, il Consiglio di Stato (il CdS) ha rigettato il ricorso proposto da Ministero della transizione ecologica (il MiTE), Ministero della cultura (il MiC) e la Presidenza del Consiglio dei Ministri (la PCM) per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (il TAR), sede di Lecce, sezione prima, n. 1014 del 21 giugno 2022, con cui si annullavano le deliberazioni assunte dagli organi appellanti nell’ambito di una conferenza di servizi avente ad oggetto la Valutazione d’Impatto Ambientale (la VIA) del progetto di costruzione di un parco eolico presentato dalla società Tozzi Green S.p.A. (la Tozzi Green).

È utile ripercorrere le vicende che hanno preceduto la controversia. Nel settembre 2017, veniva avviato dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare (il MATTM) il procedimento di VIA, nel corso del quale emergeva un dissenso tra lo stesso MATTM, favorevole al progetto, ed altri due soggetti: (i) la Giunta regionale Puglia, che con deliberazione del maggio 2018 esprimeva “giudizio negativo di compatibilità ambientale”; e (ii) il Ministero per i beni e le attività culturali e del turismo (il MiBACT, poi MiC), che esprimeva “parere tecnico istruttorio negativo” a seguito di formulazione di parere endoprocedimentale sfavorevole della Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Brindisi, Lecce e Taranto. Stante il conflitto venutosi a determinare tra MiBACT e MATTM, quest’ultimo avviava la procedura prevista dall’art. 5, comma 2, lett. c-bis, della L. 23.8.1988, n. 400, che permette di deferire alla PCM “…ai fini di una complessiva valutazione ed armonizzazione degli interessi pubblici coinvolti, la decisione di questioni sulle quali siano emerse valutazioni contrastanti tra amministrazioni a diverso titolo competenti in ordine alla definizione di atti e provvedimenti…”; la PCM, a sua volta, rilevava che “…il progetto […] non rispetta gli obiettivi e le direttive del Piano Paesaggistico Territoriale Regionale (il PPTR)…” e, pertanto, deliberava “…di fare propria la posizione del MiBACT e di non consentire il proseguimento del procedimento di V.I.A. del progetto…”.

La Tozzi Green impugnava tutti gli atti citati, denunciando in sintesi la carenza d’istruttoria e la illogicità ed irragionevolezza delle deliberazioni; con motivi aggiunti veniva inoltre rilevato che le amministrazioni avevano adottato canoni d’analisi differenti rispetto ai progetti, di carattere analogo, di altri operatori, non rilevando in quei casi criticità o limitandosi al più a prescrivere l’adozione di accorgimenti per evitare il danneggiamento del patrimonio ambientale, artistico e paesaggistico. Il TAR accoglieva il ricorso, dichiarando l’illegittimità per disparità di trattamento degli atti impugnati e disponendo il riavvio del procedimento innanzi al Consiglio dei Ministri.

Veniva a questo punto proposto appello censurando la sentenza, per quanto qui rileva, per: “...erroneità, laddove ha ritenuto configurabile il vizio di eccesso di potere da disparità di trattamento, stante: i) la “amplissima discrezionalità” riconosciuta al Consiglio dei Ministri in sede di composizione in concreto degli interessi contrapposti riconducibili alle amministrazioni di volta in volta intervenute nei diversi procedimenti”.

Il CdS, nella sua pronuncia, afferma innanzitutto un principio di carattere generale con riguardo ai provvedimenti di c.d. alta amministrazione: “[l]a decisione assunta dal Consiglio dei ministri nell’ambito della suindicata procedura è frutto di un giudizio valutativo reso sulla base di oggettivi criteri di ponderazione pienamente esposti al sindacato del giudice, caratterizzato tuttavia da profili particolarmente intensi di discrezionalità amministrativa sul piano dell'apprezzamento degli interessi pubblici in rilievo e del loro apprezzamento rispetto all'interesse dell'esecuzione dell'opera... […] In altri termini, la complessiva valutazione effettuata dal Consiglio dei ministri è censurabile per vizi di irrazionalità in considerazione del fatto che le scelte dell'amministrazione, che devono essere fondate su criteri di misurazione oggettivi e su argomentazioni logiche, non possono tradursi in un mero, apodittico e tautologico giudizio; la composizione dei contrastanti interessi pubblici, pur palesando infatti profili particolarmente elevati di discrezionalità amministrativa, non si sottrae al sindacato giurisdizionale quanto alla congruenza e logicità delle scelte effettuate dall'amministrazione".

Il CdS procede quindi all’applicazione del principio nel caso di specie, affermando che“…l’amministrazione […] non abbia fatto buon governo dei propri poteri in tema di valutazione e ponderazione dei contrapposti interessi, esponendo il proprio giudizio a un irragionevole esito del bilanciamento in tal modo effettuato. […] [Il] collegio osserva che la diversità di trattamento fondante il vizio accolto dal TAR si basa […] sulla diversità di criteri di valutazione in situazioni che, pur diverse, necessitano, tuttavia, di analogo trattamento quanto ai criteri di misurazione e argomentazioni logiche, che devono essere caratterizzati da profili di oggettività istruttoria e motivazionale in quanto finalizzati al perseguimento dell’unico, avvolgente interesse pubblico …”.

In tale contesto la sentenza sottolinea, in particolare, che “[i]l profilo viziante che colpisce la delibera impugnata riposa […] sulla diversità (quindi, non certezza e obiettività) dei criteri di valutazione utilizzati dall’amministrazione a fronte di fattispecie ontologicamente assimilabili (id est: impianti eolici, utilizzo di territorio agricolo non vincolato, regime normativo di protezione del PPTR)”.

La pronuncia definisce in maniera piuttosto elaborata ed innovativa la sindacabilità degli atti di alta amministrazione, andando quindi a costituire un importante punto di riferimento sul tema, di grande rilevanza in molti campi (quali ad es. quello dei Golden Power). Resta da verificare, nel prossimo futuro, se questa linea ermeneutica verrà conservata o si assisterà a più marcate oscillazioni.

Guglielmo Puglisi - Alibrandi

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Energy / Energie rinnovabili – La Commissione europea adotta due regolamenti delegati in attuazione della Direttiva sulle energie rinnovabili

Lo scorso 20 giugno 2023 la Commissione europea (la Commissione) ha annunciato l’adozione di due regolamenti delegati – il n. 2023/1184 (il Regolamento 1184) e il n. 2023/1185 (il Regolamento 1185) – in attuazione della Direttiva (UE) 2018/2001 (la Direttiva sulle Energie Rinnovabili).

In particolare, il Regolamento n. 1184 definisce i criteri per poter considerare “pienamente rinnovabile” l’energia elettrica utilizzata per produrre carburanti rinnovabili liquidi e gassosi di origine non biologica per il trasporto (i Carburanti Rinnovabili Non-Bio) – tra i quali spicca sicuramente per importanza l’idrogeno; lo scopo dichiarato è quello di aumentare la produzione di Carburanti Rinnovabili Non-Bio (e, più in generale, la quota di energia elettrica derivante da fonti lato sensu rinnovabili), permettendo contestualmente agli Stati membri dell’Unione europea di affrancarsi dai principali fornitori di combustibili fossili (in primis, la Russia).

A tal fine, il Regolamento n. 1184 – che trova applicazione a prescindere dal fatto che i Carburanti Rinnovabili Non-Bio siano prodotti all’interno dell’Unione europea o al di fuori di essa – distingue tra (i) l’energia elettrica ottenuta da un impianto di generazione di energia da fonti rinnovabili collegato direttamente all’impianto di produzione di Carburanti Rinnovabili Non-Bio e (ii) le ipotesi in cui tale collegamento sia indiretto (i.e., il produttore di Carburanti Rinnovabili Non-Bio attinga alla rete di distribuzione di elettricità per far fronte al proprio fabbisogno energetico), disponendo, nel secondo caso, regole molto più stringenti.

Nel caso di collegamento indiretto tra la fonte di energia rinnovabile e il produttore di Carburanti Rinnovabili Non-Bio, infatti, il Regolamento 1184 predispone che, laddove l’impianto di produzione di Carburanti Rinnovabili Non-Bio non sia situato in aree geografiche che soddisfino determinate soglie medie di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili o di intensità di emissioni di energia elettrica, l’energia prelevata dalla rete sia considerabile come pienamente rinnovabile solo se siano soddisfatte le condizioni di (i) correlazione temporale, (ii) correlazione geografica e (iii) addizionalità; criteri, questi, fissati al fine di assicurare l’effettiva riconducibilità dell’energia elettrica consumata a impianti di produzione di energia rinnovabile di nuova creazione.

Dal canto suo, il Regolamento 1185 – dal contenuto squisitamente tecnico – fissa al 70% la soglia minima di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra dei carburanti derivanti da carbonio riciclato, e precisa la metodologia di valutazione delle riduzioni di emissioni di gas a effetto serra da carburanti derivanti da carbonio riciclato e da Carburanti Rinnovabili Non-Bio.

I due regolamenti in commento rappresentano un ulteriore passo in avanti nell’articolato programma avviato dalla Commissione al fine raggiungere gli ambiziosi obiettivi di riduzione dei consumi energetici e di sviluppo delle fonti di energia elettrica rinnovabili fissati nella Direttiva sulle Energie Rinnovabili e nel piano REPowerEU. Non resta che vedere quale sarà l’evoluzione del mercato, e se gli stringenti paletti fissati dai due regolamenti permetteranno lo sviluppo delle tecnologie rinnovabili, così come auspicato dalla Commissione.

Ignazio Pinzuti Ansolini