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Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione - 20 febbraio 2023

Diritto della concorrenza - Europa / Concentrazioni e settore pubblicitario – La Commissione europea ha autorizzato incondizionatamente la creazione di una joint venture tra quattro operatori del settore delle telecomunicazioni

Con un breve comunicato stampa, la Commissione europea (la Commissione) ha reso noto di aver autorizzato incondizionatamente la creazione di una joint venture (la JV) tra quattro operatori europei delle telecomunicazioni – Deutsche Telekom AG, Orange SA, Telefónica S.A. e Vodafone Group plc (gli Operatori) – che offrirà una piattaforma di supporto alle attività digitali di pubblicità e marketing per le imprese (la Piattaforma) in Italia, Francia, Germania, Spagna e Regno Unito (l’Operazione).

Il cuore dell’offerta della Piattaforma consisterà nella fornitura di servizi di identificazione digitale (SID), ossia i servizi che prevedono, dietro espresso consenso dell’utente, di associare un codice identificativo unico (il/i CIU) a ciascuna offerta fissa o mobile sottoscritta; tale CIU verrà così fornito ad imprese ed editori aderenti alla Piattaforma e permetterà loro di “riconoscere” e profilare la base d’utenza su base anonima durante la navigazione sui propri siti e sulle proprie applicazioni.

Il comunicato chiarisce che la Commissione ha esplorato i possibili rischi concorrenziali derivanti dalla creazione della JV e dall’interazione di essa con le attività degli Operatori e dei concorrenti di questi ultimi, nei mercati – tutti di dimensione nazionale – relativi alla fornitura (i) di SID per esigenze di profilazione ai fini pubblicitari e/o di ottimizzazione dei siti web, (ii) di servizi di telecomunicazioni mobili a livello retail, (iii) di servizi di accesso retail a internet su linea fissa, (iv) di servizi audiovisivi, e, infine, (v) della commercializzazione di spazi pubblicitari online.

In primo luogo, dal momento che gli Operatori forniranno alla Piattaforma il CIU sulla base del quale essa fornirà i SID, la Commissione ha analizzato il collegamento di tipo verticale tra le attività degli Operatori nella fornitura di servizi retail di accesso a internet su rete fissa e mobile e le attività della Piattaforma in ambito pubblicitario, affermando che a seguito dell’Operazione residueranno sul mercato alternative sufficienti per la fornitura di CIU, che rappresentano gli input necessari alla fornitura dei SID, e che i concorrenti degli Operatori avranno la possibilità di fornire i CIU sia alla JV, sia ad altri fornitori alternativi di SID.

In secondo luogo, la Commissione ha analizzato il collegamento verticale tra gli Operatori nella loro veste di clienti dei servizi di pubblicità online di tipo display e le attività della JV nella fornitura di SID a fini pubblicitari e/o di ottimizzazione dei siti, raggiungendo anche qui la conclusione che, a seguito dell’Operazione, la JV (i) non avrà né la possibilità né l’incentivo a escludere dall’accesso ai SID altri inserzionisti e altri fornitori di servizi di telecomunicazioni, e (ii) non avrebbe la possibilità di adottare strategie escludenti nei confronti di fornitori rivali di SID.

Infine, la Commissione ha anche escluso rischi di coordinamento post-Operazione e rischi di tipo conglomerale. In merito a questi ultimi, in particolare, presi in considerazione in quanto alcuni Operatori sono anche attivi nella distribuzione di canali televisivi, la Commissione ha avuto modo di sottolineare che, in considerazione della “limitata sovrapposizione tra le rispettive basi d’utenza”, a seguito dell’Operazione gli Operatori non avrebbero né la possibilità né l’incentivo a obbligare altre emittenti TV a sottoscrivere i servizi offerti dalla Piattaforma.

L’Operazione risulta di particolare interesse in quanto mira alla creazione di un avversario credibile per i servizi di supporto alle attività pubblicitarie online prestate da operatori digitali affermati a livello globale: non resta, dunque, che vedere quale sarà l’evoluzione del mercato pubblicitario online.

Ignazio Pinzuti Ansolini

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Diritto della concorrenza – Italia / Intese e servizi di pagamento - Il Consiglio di Stato ha confermato l’annullamento del provvedimento dell’AGCM relativo a una presunta intesa tra le principali banche italiane sul sistema di remunerazione del servizio SEDA

Con una serie di recenti sentenze nei confronti di Iccrea Banca S.p.A., Banca Nazionale del Lavoro S.p.A., Intesa Sanpaolo S.p.A., Unicredit S.p.A., Ubi Banca S.p.A. e Banca Monte dei Paschi S.p.A., il Consiglio di Stato (il CdS) ha rigettato i ricorsi presentati dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’AGCM) contro l’annullamento del provvedimento relativo ad una presunta intesa tra le principali banche italiane relativa al sistema di remunerazione del servizio SEDA.

SEDA è un servizio opzionale e aggiuntivo di pagamento adottato dalle principali banche italiane che, insieme al servizio SEPA Direct Debit, permette di gestire i mandati e le autorizzazioni di pagamento dei clienti. Le modalità di remunerazione del servizio sono state definite dalle principali banche italiane nell’ambito dell’Associazione Bancaria Italiana (ABI).

L’AGCM aveva considerato che tale definizione, coordinata in seno all’ABI, di un sistema che imponeva al beneficiario del pagamento di corrispondere una commissione direttamente alla banca del cliente/soggetto pagatore integrava un accordo restrittivo della concorrenza. Nella ricostruzione dell’AGCM, un simile meccanismo, data l’assenza di un rapporto contrattuale tra le parti, era in grado di escludere qualsiasi confronto concorrenziale tra le banche sul prezzo di tale servizio, sostanzialmente attribuendo potere di mercato a ciascuna banca.

L’AGCM non aveva, tuttavia, imposto sanzioni in ragione della complessità del quadro normativo di settore (allora appena riformato) e della circostanza per cui il sistema era stato emendato dalle imprese coinvolte già nel corso dell’istruttoria.

Il CdS, confermando la decisione del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio sul caso, ha rigettato l’impostazione dell’AGCM. Il CdS ha ritenuto che i contatti intercorsi tra i soggetti ammontassero una normale attività di interlocuzione finalizzata alla definizione di un sistema di gestione comune dei servizi di pagamento, evidenziando il carattere meramente opzionale e aggiuntivo del servizio SEDA nonché l’esistenza di una possibilità di regolazione contrattuale diretta delle commissioni tra il beneficiario del pagamento e la banca del pagatore. Il CdS ha quindi constatato la variabilità delle commissioni SEDA imposte dalle diverse banche nel periodo considerato, sostenendo che ciò ulteriormente confermava l’assenza di condotte che possano ricollegarsi ad una concertazione sul prezzo.

Il CdS coglie l’occasione della decisione per riaffermare il principio per cui possono considerarsi intese illecite ai sensi dell’art. 101 TFUE non solo le concertazioni riguardanti la fissazione dei prezzi a livelli determinati ma tutti quegli accordi che abbiano per oggetto o effetto quello di impedire la libera determinazione individuale del prezzo.

Riguardo all’onere della prova, è confermato l’orientamento per cui, in assenza di significativi elementi probatori esogeni, spetta all’AGCM l'onere di provare che eventuali comportamenti paralleli siano il frutto di un cartello e non possano, invece, essere razionalmente giustificati in maniera alternativa facendo, ad esempio, riferimento alle caratteristiche del mercato di riferimento, prova quest’ultima che rimane a carico delle parti investigate. Si evidenzia, inoltre, che l'affiliazione di un'impresa ad un'associazione di categoria non implica automaticamente che i possibili comportamenti illeciti di quest'ultima debbano esserle imputati, se manca la prova di una qualche forma di partecipazione personale dell'impresa alla concertazione di cui si tratta. Si richiede quindi all’AGCM di provare l’esistenza di un quid partecipativo che non può essere identificato nella semplice qualità di membro di una certa associazione.

Alberto Galasso

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Intese e settore del facility management – l’AGCM ridetermina la sanzione imposta a C.N.S. per bid-rigging

L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’AGCM) ha rideterminato la sanzione irrogata a Consorzio Nazionale Servizi Società Cooperativa (C.N.S.) nel procedimento I808B - GARA CONSIP FM4, operando una riduzione in misura pari al 99% sulla sanzione inizialmente comminata. L’AGCM, seguendo le direttive del supremo organo di giustizia amministrativa, ha ri-valutato il comportamento di C.N.S. che aveva richiesto di accedere al programma di clemenza a seguito dell’apertura di un procedimento istruttorio finalizzato a verificare l’esistenza di una intesa orizzontatale segreta per la manipolazione delle offerte in relazione alla procedura di gara organizzata da CONSIP per la fornitura dei servizi di facility management.

Nonostante la partecipazione al programma di clemenza, l’AGCM a valle di tale istruttoria aveva comminato a C.N.S. una sanzione pecuniaria pari a quasi 40 milioni di euro, la quale era stata determinata sulla base dei criteri contenuti nelle Linee Guida. In particolare, l’AGCM aveva in primo luogo applicato un coefficiente di gravità pari al 22,5% del valore a base d’asta dei lotti interessati dalle offerte presentate da C.N.S., applicando un’entry fee del 15% – tale da tenere conto della particolare gravità della restrizione della concorrenza posta in essere. L’AGCM aveva quindi riconosciuto una attenuante del 15% in ragione del self cleaning programme avviato da C.N.S. prima dell’apertura del procedimento sanzionatorio. Tuttavia, poiché l’importo della sanzione così determinato era comunque superiore al limite massimo di cui alla legge n. 287/90, lo stesso era stato ricondotto al limite edittale del 10% del fatturato totale realizzato dall’impresa a livello mondiale nell’esercizio chiuso anteriormente alla notificazione della diffida; sull’importo così determinato (pari a circa 80 milioni di euro) l’AGCM aveva da ultimo riconosciuto una riduzione del 50% in ragione della richiesta di clemenza presentata da C.N.S., unico leniency applicant tra le imprese partecipanti all’intesa.

La sanzione applicata a C.N.S era stata in un primo momento rideterminata dall’AGCM in esecuzione della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (il TAR Lazio) n. 8762/2020, che aveva imposto un adeguamento dell’importo base tramite la riduzione dal 22,5 al 15% del coefficiente di gravità, l’esclusione dal computo dell’entry fee, nonché l’applicazione di una ulteriore circostanza attenuante del 15%, consistente nel recesso attivo posto in essere da C.N.S., riducendo così la sanzione imposta a C.N.S. a circa 26 milioni di euro.

Con la sentenza n. 3571/2022 qui in commento, il Consiglio di Stato (il CdS) ha tuttavia demandato all’AGCM di procedere ad una nuova determinazione della sanzione per C.N.S., censurando il difetto di motivazione del provvedimento e ritenendo non adeguato – perché sproporzionato e irragionevole – detto trattamento sanzionatorio. Quanto al profilo relativo al difetto di motivazione, il CdS ha ritenuto che non trovasse riscontro negli atti del procedimento l’affermazione dell’AGCM secondo la quale quest’ultima – al momento della domanda di clemenza di C.N.S. – già disponeva di informazioni o elementi sufficienti a dimostrare l’esistenza dell’infrazione.

Secondo il CdS sarebbe inoltre stata in ogni caso necessaria una valutazione complessiva dell’adeguatezza della sanzione irrogata, in ossequio ai princìpi di ragionevolezza e proporzionalità, valutando un’ulteriore riduzione della sanzione o – addirittura – un trattamento meramente simbolico. Il CdS ha in particolare confermato l’importanza di mantenere elevati gli incentivi previsti dall’accesso al programma di clemenza, garantendo maggiore certezza al riconoscimento del trattamento premiale previsto dalla legge per le imprese che si determinino a prestare la propria collaborazione.

In ottemperanza della sentenza del CdS e tenuto conto delle osservazioni e delle richieste di C.N.S., l’AGCM ha ritenuto di potere determinare la sanzione in misura pari a circa 500.000 euro, così operando una riduzione del 99% sulla sanzione originaria. In particolare, AGCM ha valorizzato le seguenti circostanze eccezionali: a) il fatto che C.N.S avesse avviato un’operazione di self cleaning prima dell’avvio del procedimento, rinnovando integralmente il management del Consorzio e procedendo alla nomina di un nuovo responsabile Compliance; b) il fatto che il nuovo management si sia insediato solo durante il periodo di svolgimento della procedura di gara oggetto di contestazione ed abbia immediatamente assunto iniziative in discontinuità totale dai responsabili precedentemente in carica, “…indicative di una chiara presa di distanza dalle condotte adottate dalla passata gestione, anche con riferimento alla gara…”; c) il fatto che il nuovo management non abbia proceduto alla conferma delle offerte presentate dal vecchio management a fronte di sospetti sul regolare svolgimento della gara e sulla liceità della condotta di quest’ultimo; d) la tempestiva attivazione del nuovo management, a seguito dell’avvio del procedimento al fine di comprendere i comportamenti assunti dalla precedente gestione e la ricerca di elementi probatori sulle vicende spartitorie oggetto di istruttoria, fino a quel momento ignote alla nuova gestione; nonché, infine, e) l’immediato deposito della domanda di clemenza non appena avuta certezza dell’esistenza del cartello.

La decisione dell’AGCM di rideterminare la sanzione inizialmente prevista ha così potuto preservare l’equilibrio complessivo del sistema sotteso all’istituto della clemenza, pur senza prestarsi a favorire comportamenti opportunistici di altre imprese, e preservando l’incentivo delle imprese a collaborare con l’AGCM nell’identificazione di condotte restrittive della concorrenza.

Antonino Iago Gentile

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Concentrazioni e richieste di informazioni – L’AGCM fa uso dei nuovi poteri istruttori e sanziona due società per omessa risposta ad una richiesta di informazioni

Con due distinti provvedimenti adottati lo scorso 24 gennaio, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’AGCM) ha sanzionato le società AGSM AIM S.p.A. (AA) e Stack Emea Italy S.r.l. (Stack) per non aver risposto alle richieste di informazioni loro trasmesse dall’AGCM nel contesto della revisione di un’operazione di concentrazione. I provvedimenti rilevano non tanto per l’importo (relativamente modesto) delle sanzioni irrogate, quanto per il fatto che l’AGCM – per la prima volta – ha irrogato una sanzione per omessa risposta a due richieste di informazioni formulate ai sensi dell’art. 16-bis della legge n. 287/90 (nuovi poteri istruttori introdotti dalla legge annuale per la concorrenza ed il mercato 2021 – LCM) secondo cui l’AGCM può chiedere informazioni “in qualunque momento” ai soggetti che ne siano in possesso (anche fuori dal perimetro di un’istruttoria).

I provvedimenti in commento si collocano nel contesto della revisione da parte dell’AGCM della proposta acquisizione da parte di Marbles S.p.A. (Marbles) di Irideos S.p.A., società che opera nel settore ICT, inclusi servizi di data center e cloud, all’epoca controllata da F2i. L’operazione era stata notificata da Marbles il 5 agosto 2022, a seguito della quale l’AGCM aveva inviato una richiesta di informazioni il 2 settembre 2022, con relativa interruzione dei termini per l’esame della notifica in parola.

In tale contesto, in data 20 settembre 2022, l’AGCM inviava due richieste di informazioni ad AA (verosimilmente in quanto società che opera, tra gli altri, nel settore delle telecomunicazioni e che controlla società che offrono servizi ad alto contenuto tecnologico anche a favore delle pubbliche amministrazioni) e a Stack (attiva nel mercato dei data center e soluzioni di connettività) ai sensi dell’art. 16-bis della legge 287/90. Tale norma, di recente introduzione, ha introdotto la possibilità per l’AGCM di inviare in qualunque momento richieste di informazioni a imprese ed enti che ne siano in possesso, assistite da sanzione in caso di mancata risposta (o risposta non veritiera), anche prima dell’avvio dell’eventuale istruttoria formale (c.d. Fase II).

Entrambe le richieste indicavano un termine per la risposta al 3 ottobre 2022. Tuttavia, entrambe rimanevano inevase e l’AGCM inviava un sollecito, posticipando il termine all’8 ottobre. Neanche in tale data veniva fornito riscontro. L’AGCM ha dunque aperto due distinti procedimenti (in data 2 novembre) in cui si contestava la violazione dell’art. 16-bis. legge 287/90, per non aver fornito le informazioni richieste. Entrambe le società presentavano una memoria e rispondevano alla richiesta di informazioni originariamente formulata. AA motivava il proprio ritardo in ragione della necessità di istruire la risposta presso le competenti direzioni aziendali e per la concomitanza di attività urgenti, mentre Spark indicava problematiche relative al presidio della casella di posta elettronica certificata corrispondente al domicilio digitale.

L’AGCM non ha accolto alcuna delle giustificazioni. Per l’effetto, sono state irrogate due sanzioni ad AA e Stark, rispettivamente di 30.000 e 3.000 euro, corrispondenti allo 0,01% del loro fatturato (rispetto al massimo edittale previsto dell’1% del fatturato realizzato a livello globale nel precedente esercizio). E ciò anche in ragione del fatto che entrambe le società avevano – in ultimo – trasmesso le necessarie informazioni, pur riconoscendo che la trasmissione delle risposte non aveva determinato alcuna eliminazione o attenuazione delle conseguenze della violazione sanzionabile, in quanto le risposte erano pervenute in una fase successiva a quella di raccolta e valutazione degli elementi utili alla valutazione dell’operazione da parte dell’AGCM.

I provvedimenti in commento sono un chiaro monito alle imprese rispetto al fatto che l’AGCM non esita a fare uso dei nuovi poteri istruttori introdotti dalla LCM. Anche se la disposizione in parola prevede la possibilità di un “giustificato motivo” sulla base del quale il destinatario della richiesta sarà legittimato a non fornire quanto richiesto, i casi in commento dimostrano che deve trattarsi di argomentazioni solide e potrebbero non esser sufficienti ragioni collegate a disfunzioni nell’organizzazione interna della società ovvero concomitanti scadenze aziendali. I poteri qui in commenti assumeranno verosimilmente rilievo anche per verificare il ricorrere delle condizioni che legittimano la richiesta di notifica da parte dell’AGCM delle operazioni c.d. “sotto-soglia”, altra novità di particolare rilievo introdotta dalla LCM.

Cecilia Carli

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Energy / Distribuzione del gas e regolazione tariffaria – Il TAR Lombardia ha parzialmente accolto il ricorso presentato da Italgas avverso la delibera ARERA contenente la regolazione tariffaria per i servizi di distribuzione e misura gas per il 2020/2025

Con la sentenza n. 407/2023 pubblicata lo scorso 15 febbraio, il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (il TAR) ha accolto parzialmente il ricorso proposto da Italgas Reti S.p.A. (Italgas), principale operatore attivo nel mercato della distribuzione del gas naturale, avverso la regolazione tariffaria dei servizi di distribuzione e misura del gas (RTDG) stabilita dall’Autorità di Regolazione per Energia, Reti e Ambiente (ARERA) per il quinto periodo regolatorio (2020-2025).

Tra le censure accolte dal TAR, si segnala in prima battuta il rilievo sollevato da Italgas circa il riconoscimento del livello iniziale 2020 dei costi operativi per le attività di distribuzione e misura per le imprese di grandi dimensioni con densità media di utenti. L’ARERA aveva infatti fissato tale voce remunerativa nella misura di € 38,52/pdr (una significativa riduzione rispetto al costo riconosciuto nel 2019, pari a € 44,06/pdr). A tale proposito, la ricorrente ha contestato la mancata indicazione dei criteri e delle modalità utilizzati per elaborare i dati forniti dagli operatori con i rendiconti separati e per determinare il costo effettivo per il 2018, assunto a parametro per definire il costo riconosciuto per il 2020. Il TAR ha accolto tale motivo di ricorso, osservando non solo che “…dalla lettura degli atti impugnati non risultano comprensibili i criteri utilizzati per determinare il costo effettivo (COE) 2018 assunto a parametro per la definizione del costo riconosciuto (COR) 2020, né le modalità di elaborazione dei dati forniti dagli operatori…”, constatando altresì che il calcolo svolto da ARERA risulta fattualmente errato. Come emerso ad esito della verifica tecnica disposta dal giudice amministrativo, infatti, il valore della media dei costi operativi sopportati dagli operatori nel 2018 è viziato da un errore di calcolo, che ha determinato una sottostima dei costi effettivi pari a circa € 0,5/pdr. Accogliendo il motivo, il TAR impone dunque ad ARERA di rideterminare le tariffe per il periodo regolatorio interessato informandole al corretto valore iniziale.

Con un diverso motivo, Italgas ha altresì censurato l’allineamento del c.d. coefficiente beta (ossia un parametro utilizzato nel calcolo delle tariffe al fine di remunerare il rischio sistemico connesso a ciascun servizio regolato) fra i servizi di misura e i servizi di distribuzione. Nella prospettazione di Italgas, la scelta regolatoria di equiparare il rischio connesso alle attività di distribuzione e di misura sarebbe erronea, in quanto quest’ultima presenta ancora significativi profili di incertezza legati inter alia ai (i) tassi fisiologici di guasti dei misuratori, nonché al (ii) fortissimo rischio di obsolescenza tecnologica degli smart meter rispetto alle attuali vite utili regolatorie. Rileva la ricorrente che alle stesse conclusioni giungono anche gli studi commissionati sul punto da ARERA, i quali hanno esplicitamente escluso la sussistenza dei presupposti per allineare i coefficienti beta relativi ai due servizi. Diversa invece la valutazione dei verificatori, che hanno ritenuto ragionevole l’equiparazione dei livelli di rischio dei servizi di distribuzione e misura del gas.

Sulla base di tali premesse, il giudice amministrativo ha riscontrato un difetto di motivazione nella delibera ARERA impugnata, nella misura in cui le circostanze fattuali sollevati da Italgas già in sede di consultazione non hanno formato oggetto di analisi e approfondimento istruttorio, né è stata prodotta argomentazione da parte di ARERA per giustificare il cambiamento di approccio rispetto alla prassi adottata nei precedenti periodi regolatori e rispetto agli stessi studi commissionati dall’Autorità. Posizione che, in qualche misura, sembra riecheggiare, quantomeno nelle sue linee essenziali, argomenti analoghi a quelli recentemente utilizzati dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea nella sentenza Intel per censurare le lacune motivazionali nello svolgimento da parte della Commissione europea del cd. AEC test.

Alessandro Canosa

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