Skip to main content

Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza – Europa / Diritto della concorrenza e sistemi sportivi - Per l’AG Rantos gli statuti FIFA e UEFA non sono contrari al diritto della concorrenza dell’UE

L’Avvocato Generale Rantos (AG) ha reso le proprie conclusioni nella causa C-333/21 relativa al rinvio pregiudiziale operato dal Tribunale di commercio di Madrid nel giudizio riguardante l’azione proposta dalla European Super League Company (ESLC) contro la FIFA e UEFA per violazione degli articoli 101 e 102 TFUE.

La vicenda giurisdizionale trae origine dalla dichiarazione dell’aprile 2021 di FIFA e UEFA con la quale queste esprimevano il proprio dissenso rispetto all’iniziativa promossa dalla ESLC in relazione ad una nuova lega calcistica, la European Super League (ESL), prospettando di sanzionare i club e i giocatori che avessero partecipato ad essa, con l’espulsione dalle competizioni organizzate dalla FIFA e dalle sue confederazioni. Tale annuncio – si osservi – riflette il contenuto delle norme statutarie che conferiscono ai due enti il potere di autorizzazione preventiva per la creazione di qualsiasi nuova competizione internazionale calcistica non organizzata dagli stessi, cui si aggiungono disposizioni sanzionatorie di espulsione. Nell’ambito del procedimento a quo, il Tribunale di Madrid ha sollevato dei dubbi circa la conformità di tali norme statutarie agli articoli 101 e 102 TFUE, nonché alle disposizioni regolanti le quattro libertà fondamentali dell’UE; oggetto del rinvio sono, inoltre, le norme che conferiscono alla FIFA e alle confederazioni regionali (tra cui la UEFA) la commercializzazione esclusiva di tutti i diritti sportivi relativi alle competizioni sotto la loro giurisdizione.

Le argomentazioni dell’AG Rantos hanno quale punto di partenza la valorizzazione del “modello sportivo europeo” delineato dall’art. 165 TFUE, caratterizzato da una struttura piramidale alla cui base viene posto lo sport dilettantistico e, al vertice, quello professionale. A tale struttura, secondo l’AG, è legato il regime di solidarietà finanziaria e di pari opportunità che consente di ridistribuire e reinvestire i ricavi provenienti dal vertice della piramide, con l’obiettivo di promuovere competizioni aperte, accessibili a tutti.

A tale disegno si contrapporrebbe la ESL, a cui parteciperebbero, da un lato, membri permanenti e, dall’altro lato, club di calcio che si siano qualificati a partecipare alla competizione annuale parallela a quelle organizzate da FIFA e UEFA. Pur ammettendo la possibile esistenza di un (in realtà, evidente) conflitto di interessi in capo a FIFA e UEFA, svolgenti un ruolo normativo e, al tempo stesso, di organizzatore delle competizioni che risulterebbero concorrenti con la ESL (con conseguenti interessi economici), l’AG ritiene che tale circostanza non sia di per sé sufficiente a integrare una violazione del diritto della concorrenza. Ulteriore elemento da tenere in considerazione è – secondo le argomentazioni dell’AG Rantos – l’elevato grado di interdipendenza fra i vari club di calcio, nella misura in cui l’attività sportiva può essere svolta proprio in virtù della partecipazione alle competizioni da parte di più squadre in condizioni di una certa parità tra le stesse. Tale interdipendenza richiede, quindi, un certo grado di equilibrio fra i club di calcio che può essere raggiunto mediante la redistribuzione dei proventi dello sfruttamento commerciale dei diritti derivati dalle competizioni sportive.

Alla luce di queste osservazioni, l’AG Rantos afferma che l’art. 165 TFUE costituisce una norma speciale la quale, pur non escludendo l’applicazione degli articoli 101 e 102 TFUE, ne dovrebbe informare l’interpretazione e applicazione, così permettendo delle restrizioni alla concorrenza o alle libertà fondamentali, a patto che tali limitazioni – quali le norme statutarie di FIFA e UEFA – siano proporzionate e inerenti a obiettivi legittimi connessi alla specificità dello sport. Alla luce di ciò, l’AG Rantos ritiene che i tre gruppi di norme statutarie in questione, relative al regime autorizzatorio, sanzionatorio e di commercializzazione dei diritti relativi alle competizioni sportive, non siano in contrasto con il diritto della concorrenza dell’UE, fatta eccezione per le sanzioni minacciate ai singoli calciatori che avessero partecipato alla ESL (in quanto esse sarebbero invece contrarie al principio di proporzionalità, ma solo nella misura in cui non permettano agli stessi di giocare nelle squadre nazionali di calcio).

Per concludere, secondo l’AG Rantos “l’ecosistema” della FIFA e UEFA non costituisce un’”infrastruttura essenziale” (secondo la teoria cristallizzata nella celebre sentenza Bronner, C 7/97) che determinerebbe, invece, il sorgere di un obbligo di cooperazione in capo all’operatore in posizione dominante consistente nel dare accesso ai concorrenti alla stessa senza alcuna discriminazione.

Tenuto conto di ciò, e della prospettata mancanza di una violazione del diritto della concorrenza e delle libertà fondamentali dell’UE, l’AG Rantos, mantenendo fermo il potere della FIFA e della UEFA di non autorizzare la ESL e, conseguentemente, sanzionare i club di calcio con l’espulsione dal proprio ecosistema, ritiene, con una analisi piuttosto formalista, che gli stessi club di calcio potrebbero, comunque, sempre portare a termine il proprio progetto accettando l’espulsione dalle competizioni tradizionali.

Non resta ora che vedere l’esito del giudizio sia a Lussemburgo, sia poi a Madrid, e se e come proseguiranno gli sforzi volti alla creazione della ESL.

Francesca Incaprera Huerta

------------------------------

Intese e pattinaggio sul ghiaccio – L’AG Rantos propone alla Corte di Giustizia di annullare la sentenza del Tribunale dell’UE sul caso International Skating Union

Con le sue conclusioni pubblicate lo scorso 15 dicembre, l’Avvocato Generale Rantos (AG) ha formulato le proprie argomentazioni in merito al ricorso principale presentato dalla International Skating Union (ISU), la federazione sportiva internazionale riconosciuta dal Comitato Olimpico Internazionale per il pattinaggio di figura e di velocità sul ghiaccio, nonché all’impugnazione incidentale presentata dai due atleti olandesi e dall’associazione European Elite Athletes Association (congiuntamente, i ricorrenti in via incidentale), per l’annullamento parziale della sentenza del Tribunale dell’UE (il Tribunale).

La sentenza, relativa ad una precedente decisione della Commissione europea (Commissione), aveva confermato l’asserita natura di restrizione per oggetto di quelle norme regolamentari dell’ISU che stabiliscono le condizioni a cui gli atleti posso partecipare alle competizioni di tale sport. Il Tribunale aveva solamente riformato la parte della decisione in cui la Commissione aveva ritenuto che la previsione di un meccanismo di arbitrato esclusivo e obbligatorio dinanzi al Tribunale Arbitrale dello Sport di Losanna (TAS) in caso di relative controversie costituisse un “elemento di rafforzamento” della restrizione.

Con tali conclusioni, al pari di quelle presentate in merito al progetto calcistico della European Super League (si veda il precedente commento in questa Newsletter), l’AG ha innanzitutto avuto modo di fare chiarezza sul delicato rapporto tra diritto della concorrenza e la peculiare combinazione di funzioni sia regolamentari che economiche in capo alle federazioni sportive. Premessa la possibilità che le norme statutarie e regolamentari di dette federazioni possano ricadere nell’ambito di applicazione dell’articolo 101 TFUE in virtù della configurabilità dell’attività sportiva come attività economica, tale valutazione va nondimeno operata alla luce delle possibili giustificazioni desumibili dal contesto globale in cui tali misure vengono adottate, ovvero tenendo in debita considerazione le caratteristiche peculiari dello sport così come evidenziate dall’articolo 165 TFUE. Da ciò consegue che, qualora una norma di una federazione sportiva abbia un oggetto o effetti restrittivi, essa possa a certe condizioni essere ragionevolmente considerata come necessaria ad un “obiettivo legittimo sportivo” e gli effetti possano risultare proporzionati a tale obiettivo, in tal modo evitando l’applicazione del divieto di intese anticompetitive. Inoltre, l’AG sottolinea che la mera circostanza per cui una stessa entità esercita al contempo le funzioni di organismo di regolamentazione e di organizzatore di competizioni sportive non implica, di per sé, una violazione del diritto della concorrenza, essendo tuttavia necessario che il potenziale conflitto di interessi sia contenuto dalla previsione di limitazioni ai suoi poteri tramite criteri trasparenti, oggettivi, non discriminatori e proporzionati. Ne consegue che, se tali condizioni sono rispettate, una federazione sportiva può legittimamente negare l’accesso al mercato a terzi.

Con riferimento al motivo principale di impugnazione, l’AG non condivide la ricostruzione della fattispecie come restrizione per oggetto. Nel valutare se sia stato correttamente ritenuto che le norme presentassero un grado di dannosità tale da poterne presumere gli effetti negativi, l’AG ne analizza innanzitutto il contenuto. Sul punto, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, l’AG ritiene che, per riconoscere tale dannosità, non sia di per sé sufficiente né evidenziare l’idoneità astratta ad arrecare un pregiudizio derivante dall’ampio potere discrezionale di cui può godere una federazione sportiva, né la possibilità che questa adotti norme con formulazioni vaghe, ovvero che non elenchino esaustivamente i requisiti di ammissibilità, e nemmeno che a tali norme sia connesso un regime sanzionatorio. Per di più, non sarebbe possibile individuare automaticamente una restrizione per oggetto neanche sulla base della valutazione degli obiettivi delle norme in questione. L’AG, infatti, oltre a ritenere confusionario l’iter argomentativo del Tribunale per non aver mantenuto distinte le due fasi dell’accertamento di una restrizione per oggetto e quello dell’assenza del carattere oggettivamente giustificato delle norme ai fini delle restrizioni accessorie, ritiene errato affermare che l’eventuale carattere sproporzionato di una misura rispetto ad un obiettivo legittimo (come quello di garantire che le competizioni rispondano a standard comuni) comporti l’automatica qualificazione della fattispecie come restrizione per oggetto. L’approccio del Tribunale condurrebbe quindi ad un’illegittima estensione del concetto stesso di restrizione per oggetto, portando l’AG a suggerire alla Corte di Giustizia dell’UE (CGUE) di pronunciarsi annullando la sentenza oggetto di impugnazione. Tuttavia, resta aperta la questione circa la valutazione se le stesse norme costituiscano una restrizione per effetto. Non essendo sul punto la causa matura per decidere stante il mancato esame degli opportuni elementi fattuali (come con riguardo alla prassi decisionale della federazione), l’AG ne propone di conseguenza il contestuale rinvio al Tribunale.

Infine, in merito alla questione presentata in via incidentale, l’AG conferma l’erronea qualificazione del meccanismo arbitrale obbligatorio dinanzi al TAS come “elemento di rafforzamento della restrizione” operata dalla Commissione. Non solo, infatti, un siffatto meccanismo risulterebbe generalmente accettato, così come il fatto di stipulare una clausola compromissoria non restringerebbe di per sé la concorrenza, ma una simile disposizione potrebbe essere giustificata nel caso di specie da interessi legittimi connessi alla necessità che le controversie sportive siano assoggettate ad un organo giurisdizionale specializzato (come già stabilito anche dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo).

Ricordando che, come è noto, tali conclusioni non sono in alcun modo vincolanti per la CGUE, resta ora da vedere quale sarà il tenore della pronuncia di tale corte in quello che rappresenterà probabilmente – come quello parallelo sulla European Super League – uno dei leading cases in tema di relazione tra concorrenza e sport.

Niccolò Antoniazzi

--------------------

Diritto della concorrenza - Italia / Abuso di posizione dominante e imballaggi in plastica – Il Consiglio di Stato ha parzialmente accolto il ricorso di COREPLA avverso la sentenza del TAR Lazio che aveva confermato il provvedimento sanzionatorio dell’AGCM

Con la sentenza pubblicata lo scorso 15 dicembre, il Consiglio di Stato (CdS) ha parzialmente accolto il ricorso proposto dal Consorzio Nazionale per la Raccolta, il Riciclaggio e il Recupero degli Imballaggi in Plastica (COREPLA) avverso la sentenza del TAR Lazio che aveva confermato la legittimità del provvedimento (il Provvedimento) adottato dall’ Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM o Autorità), riducendo la sanzione.

Con il Provvedimento, commentato in precedenza su questa Newsletter, l’AGCM aveva contestato a COREPLA, monopolista de facto nel mercato della gestione e dell’avvio al riciclo degli imballaggi in plastica PET, talune condotte in violazione dell’articolo 102 TFUE volte ad escludere CORIPET, consorzio di diritto privato costituito da alcuni produttori di imballaggi in PET, nuovo entrante nel mercato a seguito della necessaria autorizzazione ministeriale per un periodo inizialmente limitato di due anni. Tale autorizzazione sarebbe diventata permanente ove CORIPET fosse riuscita a raggiungere una serie di obblighi di risultato; tale obiettivo, tuttavia, sarebbe stato ostacolato dalla complessa strategia escludente attuata da COREPLA mediante lo sfruttamento di clausole di esclusività incluse nei rapporti contrattuali esistenti con i Comuni e con i centri di selezione e facendosi carico della gestione non remunerata dei rifiuti di pertinenza del concorrente.

Con la pronuncia in esame, il CdS ha confermato la legittimità del Provvedimento, pur ritenendo sussistenti gli estremi per ridurre sensibilmente l’ammenda irrogata.

Sul piano della ammissibilità della domanda, il CdS ha respinto la doglianza di CORIPET secondo cui il ricorso proposto da COREPLA violerebbe il principio del ne bis in idem in quanto le condotte abusive ascritte a quest’ultima sarebbero state già scrutinate dal CdS nell’ambito del giudizio di merito avente ad oggetto il provvedimento cautelare assunto dall’AGCM, in quanto la suddetta pronuncia del CdS aveva accertato l’esistenza dei presupposti delle misure cautelari senza tuttavia influire sull’accertamento pieno dell’effettiva esistenza dell’infrazione.

Nel merito, COREPLA ha fondato il suo appello su due ordini di censure: l’asserita scusabilità della condotta da essa tenuta; e l’assenza di un “coefficiente di colpevolezza” sufficiente per assoggettare l’operatore alla sanzione amministrativa.

Il CdS ha dapprima richiamato i principi esposti dalla recente sentenza della Corte di Giustizia nel caso C-377/20 e secondo cui gli elementi costituitivi per l’applicazione dell’art. 102 TFUE sono rappresentati, da un lato, dalla capacità della condotta di produrre un effetto escludente e, dall’altro, dallo sfruttamento di mezzi diversi da quelli propri di una concorrenza basata sui meriti, indipendentemente dall’esito fruttuoso dello sfruttamento di tali mezzi; successivamente, ha ribadito quale fosse l’onere e il contenuto della prova gravante, da un lato, sull’AGCM e, dall’altro, su COREPLA. Tanto premesso, il giudice amministrativo ha concluso che COREPLA ha posto in essere una complessiva pratica concretamente idonea a produrre un effetto escludente, avendo reso più difficile la penetrazione del nuovo concorrente nel mercato mediante lo sfruttamento di mezzi diversi da quelli propri di una concorrenza basata sui meriti, avendo impedito (anche attraverso la valorizzazione di clausole di esclusiva) di accedere alla rete negoziale necessaria a CORIPET per poter concretamente operare.

Il CdS ha ulteriormente chiarito che per l’integrazione di una condotta in violazione dell’art. 102 TFUE non è rilevante il “coefficiente” di colpevolezza o comunque di scusabilità anche a fronte di un quadro normativo applicabile all’attività rilevante complesso e soggetto a potenziali diverse interpretazioni. Il CdS, nello specifico, ha ritenuto priva di pregio l’argomentazione di COREPLA secondo cui la condotta di un privato che sia fondata su un’interpretazione della legge non manifestamente illogica a posteriori rivelatasi diversa da quella adottata dall’autorità giudiziaria o amministrativa, non potrebbe essere considerata automaticamente colpevole.

In particolare, il CdS, ricordando che la colpevolezza è un requisito per l’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie, ha concluso che l’errore interpretativo sulla portata applicativa dei precetti riferibili all’attività economica dell’operatore in questione non è sufficiente ad escludere il presupposto soggettivo per l’irrogazione di una sanzione pecuniaria, soprattutto se tale operatore è tenuto alla particolare responsabilità di non pregiudicare con il proprio comportamento la concorrenza effettiva sul mercato. In ogni caso, il CdS ha rimarcato che l’AGCM non solo si è limitata a richiamare, oggettivamente, le condotte rilevanti per l’integrazione dell’infrazione, ma ha allegato e documentato puntualmente le circostanze fattuale da cui potere desumere “la finalità consapevolmente escludente delle condotte del consorzio di filiera”.

Infine, solo sulla definizione dell’ammontare della sanzione, il CdS ha accolto, benché parzialmente, i motivi di ricorso di COREPLA: da un lato, ha ritenuto che l’AGCM ha errato per non aver ritenuto la condotta cessata il giorno in cui COREPLA ha dato concreta attuazione alle misure cautelari imposte dall’Autorità; dall’altro, ha affermato che la presenza di talune lacune nel tessuto normativo governante la materia potesse essere valorizzata per attenuare la gravità di una violazione che non è stata commessa per motivi di lucro, essendo COREPLA un ente non a fine di lucro, ma anche per la difesa del consorzio di filiera da un suo possibile e progressivo svuotamento a seguito della costituzione di altri consorzi di diritto privato foriero di rilevanti problemi di sostenibilità sul piano economico e finanziario del relativo sistema di gestione. Per effetto, la sanzione è stata ridotta da circa Euro 27 milioni a 10 milioni.

Con la sentenza in commento, il CdS non solo ha recepito la recente giurisprudenza sui presupposti applicativi dell’articolo 102 TFUE, chiarendo i ruoli e gli oneri probatori dell’AGCM e delle imprese, ma ha anche indicato che la complessità di una data normativa e l’assenza di precedenti decisioni delle autorità giudiziarie e/o amministrative, se può incidere sul livello di responsabilità, non può integrare una causa di giustificazione per una condotta abusiva.

Sabina Pacifico

-----------------

Tutela del consumatore / Pratiche commerciali scorrette e settore energetico – L’AGCM ha adottato sette provvedimenti cautelari per sospendere condotte legate ad aggiornamenti delle tariffe per la fornitura di energia elettrica e gas per l’eccezionale contesto di crisi energetica

Lo scorso 12 dicembre 2022 l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’AGCM) ha adottato sette provvedimenti cautelari nei confronti di altrettante società attive nel mercato della fornitura di energia elettrica e gas – Edison Energia S.p.A. (Edison), Hera Comm S.p.A. (Hera), Enel Energia S.p.A. (Enel), Eni Plenitude S.p.A. (Eni), Acea Energia S.p.A. (Acea), A2A Energia S.p.A. (A2A) ed Engie Italia S.p.A. (Engie) (congiuntamente, le Imprese) – le quali non avrebbero asseritamente rispettato il dettato dell’art. 3 del Decreto Legge n. 115 del 9 agosto 2022 (il D.L. Aiuti-bis), convertito con la l. 142/2022, violando contestualmente altresì la disciplina sulle pratiche commerciali scorrette (PCS).

Giova ricordare che l’applicazione del D.L. Aiuti-bis era già stata oggetto di commento in questa Newsletter, quando lo scorso novembre l’AGCM ha adottato quattro provvedimenti cautelari nei confronti di altrettante società attive nel mercato della fornitura di energia elettrica e gas, di tenore in parte analogo a quelli imposti alle Imprese, fondati su un’interpretazione estensiva del D.L. Aiuti-bis confermata anche in questa sede: secondo l’AGCM, dal momento che tale intervento normativo persegue l’obiettivo di limitare, seppur temporaneamente, la libertà contrattuale delle imprese al fine di “[t]utelare i consumatori dal rischio di considerevoli esborsi economici a seguito del verificarsi di circostanze eccezionali” (la Ratio del D.L. Aiuti-bis), esso dev’essere interpretato nel senso di sospendere – fino al 30 aprile 2023 – l’efficacia di ogni clausola contrattuale, in qualsiasi modo essa venga denominata o presentata nelle condizioni generali del contratto di fornitura, che consenta ad un’impresa fornitrice di energia elettrica e/o gas di modificare unilateralmente le condizioni economiche di fornitura (CEF) “per tutti i contratti per i quali non [sia] ancora trascorso il periodo di validità e che non preved[a]no un regime di automatica evoluzione delle condizioni economiche di fornitura”.

Secondo quanto riportato dalle decisioni in commento, fin da maggio 2022 – dunque, anche prima dell’entrata in vigore del D.L. Aiuti-bis – tutte le Imprese avevano proceduto all’invio alla propria clientela di comunicazioni contenenti proposte di modifica ovvero di aggiornamento delle condizioni economiche dei contratti di fornitura di energia elettrica e/o gas. Tali comunicazioni – che solo nel caso di Acea venivano espressamente giustificate alla luce del peggioramento delle condizioni di approvvigionamento di energia elettrica e gas – venivano tipicamente rubricate “proposta di modifica unilaterale del contratto” o con formule analoghe, e contenevano l’indicazione della futura applicazione di nuove – e più onerose – CEF, fatto salvo il sempre garantito diritto di recesso senza oneri per i consumatori.

A seguito dell’entrata in vigore del D.L. Aiuti-bis, le Imprese avevano ricevuto numerosi reclami dai propri consumatori, volti ad ottenere la sospensione dell’applicazione di tali modifiche e/o aggiornamenti contrattuali; tuttavia, nella quasi totalità dei casi, le istanze dei consumatori erano state rigettate: secondo le Imprese, infatti, dette variazioni delle CEF non dovevano ritenersi ricomprese nell’area del divieto fissato dal D.L. Aiuti-bis, in quanto riferite a contratti le cui condizioni economiche erano comunque in scadenza e non legate ad una modifica unilaterale decisa da parte del fornitore alla luce dello ius variandi contrattualmente previsto: esse, dunque, dovevano considerarsi come veri e propri rinnovi contrattuali secondo quanto già previsto, e non come mere modifiche unilaterali di contratti nel pieno della loro vigenza. Nel caso di Acea, poi, tale società aveva sostenuto che la modifica delle CEF contenuta nelle proprie comunicazioni, in quanto “dichiarazione unilaterale recettizia”, dovesse ritenersi già perfezionata alla data della notifica della medesima comunicazione al consumatore (dunque, prima dell’entrata in vigore del D.L. Aiuti-bis, avvenuta il 10 agosto 2022). Pertanto, e sempre a seguito dell’entrata in vigore del Decreto Aiuti-bis, le Imprese avevano proseguito ad inviare altre comunicazioni ad utenti le cui offerte erano prossime alla scadenza, modificandone oggetto e/o titolo (per es., nel caso di Acea ed Hera, passando da “Proposta di modifica unilaterale” a “Proposta di rinnovo delle condizioni economiche del contratto”), e anche qui ribadendo – a fronte di ulteriori reclami – la non applicabilità del D.L. Aiuti-bis alle predette comunicazioni.

Anche in questo caso, però, così come avvenuto lo scorso novembre, l’AGCM ritiene che le condotte poste in essere dalle Imprese debbano considerarsi non diligenti, omissive, ingannevoli e aggressive, in violazione degli articoli 20, 21, 22, 24, e 25 del Codice del Consumo.

In particolare, dopo aver evidenziato che (i) nei casi in cui i consumatori avevano ricevuto comunicazioni rubricate quali “proposta di modifica unilaterale”, tale qualifica aveva ingenerato nei primi una sorta di affidamento nella riconducibilità degli aumenti contenuti in tali modifiche all’area di operatività del D.L. Aiuti-bis; che (ii) tali modifiche configurano “indiscutibilmente l’esercizio dello ius variandi idoneo ad incidere sul prezzo del rapporto di fornitura e, in quanto tali, rientranti nell’ambito di applicazione della normativa emergenziale”; nonché, infine, che (iii) la natura pattizia e non unilaterale del contratto di fornitura di energia elettrica e gas – e di ogni clausola che lo compone – fa sì che il “perfezionamento” delle modifiche unilaterali delle CEF non avvenga a seguito del mero invio della proposta di modifica, bensì a seguito dell’espressa o tacita accettazione da parte del consumatore della modifica (a seguito dello scadere del termine previsto dalla normativa di settore – in questo caso, 3 mesi), l’AGCM ha ritenuto sussistenti diversi elementi di criticità nelle comunicazioni delle Imprese.

Con riguardo, ad esempio, alle comunicazioni di Enel, Acea, A2A, Engie ed Edison, l’AGCM ha evidenziato come sovente in esse non fosse esplicitamente indicata la data di scadenza dell’offerta che avrebbe giustificato l’invio della comunicazione con le nuove CEF, ma che tale indicazione venisse indicata al consumatore unicamente in sede di risposta al reclamo effettuato da quest’ultimo. In secondo luogo, per esempio, con riguardo ad alcune comunicazioni di Eni e di Engie, l’AGCM ha sottolineato come alcune modifiche alle CEF avrebbero trovato applicazione prima della naturale scadenza del contratto. In terzo luogo, per esempio con riguardo ad Hera ed Edison, l’AGCM ha accertato il mancato invio da parte di tali imprese di un preavviso in merito alle modifiche delle CEF. In quarto luogo, ad esempio con riguardo a Edison ed Acea, nonostante a seguito di alcuni reclami dei consumatori tali imprese si fossero esplicitamente impegnate a non dare luogo agli aumenti delle CEF previste nelle prime comunicazioni, l’AGCM ha rilevato come esse siano state, al contrario, pienamente applicate.

Pertanto, così come avvenuto a novembre, anche in questa sede l’AGCM ha ritenuto che le condotte delle Imprese siano idonee a ledere significativamente i consumatori, in quanto costringerebbero questi ultimi ad accettare delle CEF peggiorative, in thesi eludendo la Ratio del D.L. Aiuti-bis e privando i consumatori dei diritti loro asseritamente riconosciuti dalla normativa di rango primario a non subire un incremento nel prezzo delle forniture. Con riguardo alle comunicazioni di Enel e Acea, l’AGCM ha altresì stigmatizzato la prospettata applicazione dei rincari delle CEF per futuri contratti di durata pari a 24 o 36 mesi, il che condurrebbe all’applicazione di prezzi elevanti – e dovuti ad un eccezionale contesto economico – “per un periodo significativamente e spropositatamente lungo”.

Alla luce di quanto precede, l’AGCM ha adottato nei confronti di tutte le Imprese i medesimi provvedimenti cautelari, ordinando: (i) la sospensione provvisoria dell’applicazione delle nuove CEF già applicate o anche solo annunciate, confermando fino al 30 aprile 2023 le CEF precedentemente applicate, e la comunicazione di ciò a consumatori e microimprese interessati dagli aumenti; (ii) la comunicazione – in forma individuale – a tutti i consumatori e alle microimprese che avessero esercitato il diritto di recesso della possibilità di ritornare in fornitura alle precedenti condizioni economiche.

Come già osservato a novembre, i provvedimenti in parola appaiono intervenire in maniera decisa sulla libertà contrattuale delle imprese, aderendo ad un’ampia interpretazione del D.L. Aiuti-bis, il quale, rappresentando un’eccezione alla regola della libertà contrattuale, dovrebbe essere interpretato restrittivamente. Non resta che attendere l’esito degli eventuali giudizi di impugnazioni avverso tali provvedimenti cautelari, nonché il prosieguo delle indagini dell’AGCM.

Ignazio Pinzuti Ansolini