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Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza – Europa / Mercati digitali e nuova regolazione – La Commissione europea si prepara all’applicazione del Digital Markets Act

Dopo circa due anni dalla proposta, il 1° novembre scorso è ufficialmente entrato in vigore il regolamento noto come Digital Markets Act (Regolamento UE 2022/1925) (il DMA), che introduce nuove regole per le imprese che offrono quella che viene definita come una piattaforma di servizi di base (c.d. “core platform services”) e che rappresentano un punto di accesso fondamentale per gli utenti commerciali e i consumatori finali nel mercato digitale (i gatekeepers). In vista della sua applicazione, la Commissione europea (la Commissione) ha pubblicato una serie di Questions&Answers (Q&A) sul DMA, volte a cercare di chiarificarne l’ambito applicativo.

L’applicazione effettiva del DMA inizierà tra sei mesi, a partire dal maggio 2 maggio 2022, e nei successivi due mesi (e non oltre il 3 luglio 2022) avrà inizio il procedimento di notifica a carico dei potenziali gatekeepers i quali dovranno indicare alla Commissione quale dei dieci servizi di piattaforma base elencati nell’art. 2 del DMA (i.e., servizi di intermediazione online, servizi di social network online, sistemi operativi, browser web, assistenti virtuali, servizi di cloud computing etc.) offrono e se raggiungono le soglie individuate per considerare una società come rientrante nel campo di applicazione della legge. Sono tre i criteri oggettivi previsti al riguardo:

  1. se l’impresa realizza un fatturato annuo nell’UE pari o superiore a 7,5 miliardi di euro in ciascuno degli ultimi tre esercizi finanziari ovvero il suo valore di mercato (fair market value) raggiunge almeno 75 miliardi di euro nell’ultimo esercizio finanziario e fornisce un servizio di piattaforma di base in almeno tre Stati membri;
  2. se l’impresa ha il controllo di un importante “gateway” per gli utenti commerciali verso i consumatori finali: ciò si presume se l’impresa gestisce un servizio di piattaforma di base con oltre 45 milioni di utenti finali attivi mensilmente stabiliti o situati nell’UE e più di 10.000 utenti commerciali attivi all’anno stabiliti nell’UE nell’ultimo esercizio finanziario (a tal proposito il DMA ha previsto definizioni specifiche di “utenti finali attivi” e “utenti commerciali attivi” per ciascun servizio di piattaforma di base);
  3. l’impresa ha una posizione consolidata e duratura: si presume che ciò avvenga se l’impresa ha soddisfatto il secondo criterio in ciascuno degli ultimi tre esercizi.

Peraltro, le imprese che soddisfano i criteri di cui sopra sono presunte gatekeepers e, pertanto, hanno la possibilità di dimostrare al momento della notifica che, “a causa di circostanze eccezionali”, nonostante il raggiungimento dei criteri quantitativi, non costituiscono un gateway per il mercato digitale e non detengono una posizione consolidata.

La Commissione europea avrà 45 giorni di tempo lavorativi per valutare l’eventuale designazione come gatekeeper e, inoltre, può (ai sensi dell’art. 17 del DMA) avviare un’indagine di mercato, che dovrà concludersi entro i successivi 12 mesi, per valutare in modo più dettagliato la situazione specifica. A tal proposito, il DMA suggerisce una serie di criteri di cui tener conto nel corso di un’indagine quali, ad esempio, una struttura societaria conglomerata o un’integrazione verticale di tale impresa, gli effetti di rete, i vantaggi basati sui dati etc.

Successivamente, entro sei mesi dall’identificazione di una società come gatekeeper, questa dovrà conformarsi ad una serie di obblighi (come, ad esempio, consentire agli utenti finali di disinstallare facilmente le app preinstallate o modificare le impostazioni predefinite su sistemi operativi, o consentire agli utenti finali di annullare l’iscrizione ai servizi della piattaforma principale del gatekeeper con la stessa facilità con cui si abbonano ovvero consentire a terzi di interagire con i servizi della piattaforma) e divieti (come ad esempio il divieto di utilizzare i dati degli utenti commerciali quando forniscono anch’essi i propri prodotti sulla stessa piattaforma, o ancora il divieto di classificare i propri prodotti o servizi offerti in modo più favorevole rispetto a quelli di terzi, etc). Si rileva inoltre che questi obblighi si estendano anche ai gatekeepers “emergenti” ossia quelle imprese che non godono ancora di una posizione radicata e duratura nel mercato ma che potrebbero raggiungerla nel prossimo futuro.

Il Q&A chiarisce inoltre che la Commissione sarà l’unica ad applicare le norme del DMA, e coopererà e si coordinerà strettamente con le autorità garanti della concorrenza e le giurisdizioni degli altri Stati membri dell’UE. In particolare, sarà solo la Commissione ad irrogare ammende fino al 10% del fatturato annuo mondiale totale dell’impresa o al 20% in caso di infrazioni ripetute e, infine, penalità di mora fino al 5% del fatturato giornaliero mondiale della società. Inoltre, il Q&A sottolinea anche come in caso di infrazioni sistematiche la Commissione potrà imporre ulteriori misure correttive o rimedi strutturali come obbligare un gatekeeper a vendere un’impresa o parti di essa (ad esempio, vendere un ramo d’azienda, diritti di proprietà intellettuale, marchi) o vietare, ad esempio, che un gatekeeper possa acquisire qualsiasi società che fornisca servizi nel settore digitale o servizi che consentano la raccolta di dati.

Le Q&A rappresentano solo un primo passo nell’attuazione del DMA e, a tal proposito, la Commissione sta già proattivamente impegnando in discussioni le parti interessate del settore digitale e sta organizzando una serie di seminari tecnici anche per raccogliere opinioni sugli obblighi previsti e fino ad ora elencati (per completezza, si segnala che uno di questi seminari si terrà il 5 dicembre 2022 e si concentrerà proprio sul tema del divieto per un gatekeeper di self-preferencing sulla propria piattaforma). Infatti, è stato già messo in conto un possibile aggiornamento ed integrazione del DMA, anche alla luce delle indagini di mercato che possono ampliare l’elenco di servizi definiti come “core platform services” e possono portare ad identificare nuovi obblighi e divieti.

Sarà interessante notare come la Commissione andrà a definire la portata degli obblighi e dei divieti e l’impatto concreto di questi nell’enforcement antitrust.

Maria Spanò

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Diritto della concorrenza – Italia / Abuso di posizione dominante e settore dei pagamenti elettronici – L’AGCM chiude con impegni il procedimento per abuso aperto nei confronti di Mastercard

Con la decisione dello scorso 11 ottobre, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha chiuso con impegni l’istruttoria avviata nei confronti di Mastercard Europe SA (Mastercard) lo scorso 11 dicembre 2021 per accertare l’esistenza di una potenziale condotta abusiva nel mercato italiano dei circuiti di carte di debito finalizzata a “minare, nel lungo periodo, la presenza di Bancomat nel mercato” (la Decisione).

Con il provvedimento di avvio dell’istruttoria – già oggetto di commento su questa Newsletter – l’AGCM contestava a Mastercard di aver imposto nuove regole vincolanti agli aderenti al proprio circuito (il Mandato), volte a modificare il funzionamento dei terminali POS in modo che, nel caso di pagamenti contactless con le carte di debito con due marchi di rispettivi circuiti (tipicamente, Bancomat, abbinato ad un circuito internazionale, e ad esempio Mastercard – c.d. carte co-badged) al pagatore fosse sempre richiesto di avvicinare due volte la carta al POS (c.d. double-tap) e non fosse più possibile invece pagare avvicinando solo una volta la carta (c.d. single-tap). Modifica che avrebbero determinato un forte svantaggio per questa tipologia di carte, introducendo una discriminazione intenzionale tra l’esperienza d’uso delle prime (che avrebbe registrato un netto peggioramento) e l’immediatezza di utilizzo delle carte mono-brand (che sarebbe invece rimasta invariata).

Più nel dettaglio, in base a quanto indicato nella Decisione, facendo leva (i) sul significativo potere di mercato detenuto da Mastercard nel segmento delle carte di debito mono-brand in Italia (circa l’85-90% di tali carte) nonché (ii) sulla presenza di Bancomat quasi solo all’interno di carte co-badged (il 99% di tutte le carte che contengono Bancomat tra i circuiti di pagamento sono co-badged), la strategia di Mastercard avrebbe puntato artificialmente a “degrad[are] la posizione di tali carte rispetto e quelle mono-brand, portando il mercato a sportarsi su queste ultime”. Così facendo, sarebbe stata “pregiudicata la sola posizione di Bancomat le cui carte […] sono di fatto sempre emesse come co-badged”.

Tale impatto negativo sull’uso delle carte co-badged – secondo la Decisione – non solo avrebbe diminuito l’attrattività di Bancomat nei confronti dei clienti in relazione ai pagamenti con carte “in plastica”, ma avrebbe altresì ostacolato anche l’accesso e l’operatività di Bancomat rispetto ai sistemi di pagamento via smartphone, dove la modalità single-tap è considerata una caratteristica fondamentale per garantire una esperienza di pagamento immediata e uniforme.

Al fine di risolvere le criticità concorrenziali evidenziati nell’avvio di istruttoria, Mastercard ha proposto una prima serie di impegni, successivamente integrati ad esito dei rilievi critici emersi nel corso del market test. In sintesi, Mastercard si è impegnata, in primo luogo, a derubricare il proprio Mandato a orientamenti non vincolanti, espressamente privi di portata precettiva o effetto conformativo sulle scelte commerciali e tecniche operate dagli acquirer e dagli esercenti. In secondo luogo, Mastercard si è impegnata a rimuovere dal pacchetto degli impegni inizialmente prospettato la clausola di revisione inizialmente prevista, in virtù della quale l’efficacia vincolante degli impegni sarebbe stata condizionata a un insieme di fattori di mercato e di quote, il cui calcolo sarebbe stato determinato automaticamente in base ai dati forniti da un osservatorio esterno. Infine, al fine “di ripristinare lo status quo ante del mercato” Mastercard si impegna a ridurre l’importo di “un’importante commissione relativa ai terminali POS non ancora abilitati alla funzionalità EMV e contactless” che il circuito escute dagli acquirer, con lo scopo di generare “effetti positivi immediati, nello specifico in termini di maggiori risorse a disposizione degli acquirer per modernizzare l’infrastruttura dei pagamenti, inclusa un’eventuale riconfigurazione dei POS che gli acquirer possano, in base alle proprie scelte commerciali, ritenere opportuna”.

La decisione in commento si innesta in un segmento di mercato – quale quello della virtualizzazione dei sistemi di pagamento – in rapida evoluzione sia sul piano economico che sul piano regolatorio. Per quanto concerne nello specifico la disciplina antitrust, si menziona a questo proposito, ad esempio, la notizia dell’apertura di una recente istruttoria da parte dell’FTC contro Visa e Mastercard, accusate di aver artatamente indirizzato le transazioni effettuate tramite Apple Pay verso i propri circuiti anche a fronte di una scelta diversa operata dall’utente finale. Sarà dunque interessante vedere se seguiranno nuovi interventi in materia, ed altresì se la stessa Decisione sarà oggetto di contenzioso.

Alessandro Canosa

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Tutela del consumatore / Pratiche commerciali scorrette e settore assicurativo – Il TAR Lazio annulla un provvedimento sanzionatorio per un eccessivo ritardo nell’avvio del procedimento

Alla saga recentemente sviluppata dalla giustizia amministrativa riguardante il tema del tempo a disposizione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) per l’avvio della istruttoria nella materia antitrust si aggiunge, per il settore delle pratiche commerciali scorrette, la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (TAR Lazio) che ha accolto il ricorso proposto da Intesa Sanpaolo Rbm Salute Spa (Intesa) avverso il provvedimento sanzionatorio precedentemente adottato nei suoi confronti.

La pronuncia in analisi non si occupa delle condotte accertate nei confronti di Intesa e Previmedical – quest’ultima, la società provider, servizi di gestione dei sinistri e dei rapporti con gli assicurati in favore di Intesa – consistenti nella mancata vigilanza di Intesa su Previmedical e negli ostacoli frapposti all’esercizio dei diritti derivanti dal rapporto contrattuale. Invece, preso atto dell’avvenuta piena conoscenza da parte dell’AGCM degli illeciti contestati già con la richiesta di intervento a essa inoltrata dalla associazione Altroconsumo nel mese di luglio 2019, la sentenza si concentra sull’accertamento del mancato rispetto del principio di tempestività dell’amministrazione, essendo stato il procedimento avviato solo nel novembre 2020.

Viene valorizzato, dal TAR Lazio, il principio di tempestività della contestazione, in principio posto a tutela del diritto di difesa. Ciò, peraltro, senza chiarire fino in fondo quale dei due orientamenti giurisprudenziali emersi (ed in precedenza analizzati in questa Newsletter) sia stato concretamente abbracciato, ovvero tra quello che supporta l’applicabilità ai procedimenti dell’AGCM del termine di 90 giorni previsto dall’art. 14 della l. 689/1981 e quell’orientamento che invece che valorizza il rilievo dei principi cristallizzati nella l. 241/1990 determinanti l’incompatibilità al dettato normativo di un lasso di tempo irragionevole per l’avvio dell’istruttoria.

Degno di nota è poi il mancato accoglimento della prima linea difensiva della AGCM secondo cui, in virtù dell’attività istruttoria in essere per mano dell’Istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni (IVASS), l’AGCM aveva dovuto attendere il termine di tale attività, anche alla luce del protocollo di intesa fra due autorità del 7 ottobre 2014. Sul punto, il TAR Lazio ha ritenuto che la disciplina ivi dettata sancisca una mera opportunità di coordinamento, permanendo in capo all’AGCM l’obbligo di avviare tempestivamente il procedimento, a prescindere dall’interesse pubblico a evitare sovrapposizioni inefficienti tra le attività di due istituzioni.

La decisione in esame è significativa per estendere alle pratiche commerciali scorrette il principio della decadenza dei poteri dell’AGCM in caso di tardivo avvio dell’indagine, in precedenza affermato solo in ambito antitrust. La sentenza – come anticipato – non chiarisce l’orientamento giurisprudenziale in concreto adottato anche se, ad una sua più piena lettura, si ritiene che il TAR sia più propenso a basarsi sui principi generali piuttosto che sulla diretta applicazione dell’art. 14 della l. 689/81.

Si rimane in attesa di come l’AGCM adatterà la sua azioni, ed eventualmente le sue procedure interne, per fare fronte a questo filone giurisprudenziale.

Francesca Incaprera Huerta

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Pratiche commerciali scorrette e settore energetico – L’AGCM ha adottato quattro provvedimenti cautelari per sospendere condotte che avrebbero potuto portare a possibili rincari nelle bollette luce e gas dovuti all’eccezionale contesto di crisi energetica

Lo scorso 27 ottobre 2022 l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha adottato quattro provvedimenti cautelari nei confronti di altrettante società attive nel mercato della fornitura di energia elettrica e gas – IREN Mercato S.p.A. (IREN), Iberdrola Clienti Italia S.r.l. (Iberdrola), E.ON Energia S.p.A. (E.ON) e Dolomiti Energia S.p.A. (Dolomiti) – le quali non avrebbero asseritamente rispettato il dettato dell’art. 3 del Decreto Legge n. 115 del 9 agosto 2022 (il D.L. Aiuti-bis), convertito con la l. 142/2022.

L’articolo da ultimo citato dispone che “…[f]ino al 30 aprile 2023 è sospesa l’efficacia di ogni eventuale clausola contrattuale che consente all’impresa fornitrice di energia elettrica e gas naturale di modificare unilateralmente le condizioni generali di contratto relative alla definizione del prezzo ancorché sia contrattualmente riconosciuto il diritto di recesso alla controparte” [comma 1]; “[f]ino alla medesima data di cui al comma 1 sono inefficaci i preavvisi comunicati per le suddette finalità prima della data di entrata in vigore del presente decreto [10 agosto 2022, ndr], salvo che le modifiche contrattuali si siano già perfezionate” [comma 2]. Ad avviso dell’AGCM, la ratio della previsione consiste nella limitazione temporanea della libertà contrattuale di imprese attive nella fornitura di energia elettrica e gas, al fine di “…evitare l’esposizione [dei] consumatori alle fluttuazioni dei mercati dei prodotti energetici…” (la Ratio del D.L.), acuite dal conflitto russo-ucraino.

In particolare, secondo quanto riportato dalle decisioni in commento, IREN aveva dapprima inviato alla propria clientela le comunicazioni – almeno a partire da maggio 2022 – contenenti una proposta di modifica unilaterale dei contratti di fornitura di energia elettrica e/o gas con decorrenza dal terzo mese dalla data di invio delle medesime. Successivamente all’entrata in vigore del D.L. Aiuti-bis, IREN aveva quindi inviato alla medesima clientela una comunicazione espressamente sostitutiva delle prime, dove indicava che le condizioni contrattuali vigenti in virtù dei contratti originari sarebbero rimaste valide fino al 30/11/2022, applicandosi, invece, a decorrere dal giorno successivo un altro (maggiorato) prezzo fisso. Secondo IREN, tali variazioni non rientrerebbero nel divieto contenuto nell’art. 3 del D.L: Aiuti-bis, dal momento che esse rappresenterebbero un “semplice aggiornamento di condizioni economiche di cui era prossima la scadenza contrattuale”. Di diverso avviso si è mostrata l’AGCM, la quale ha sottolineato come si debbano escludere dall’area del divieto contenuto nell’articolo 3 del D.L. Aiuti-bis solo quelle situazioni dove “…la scadenza [e] le nuove condizioni di offerta siano specificamente e puntualmente individuate nei contratti…”, risultando quindi espressamente già conosciute e accettate dai consumatori e, conseguentemente, “risolvendosi in evoluzioni automatiche” dei contratti in essere.

Alla luce di ciò, l’AGCM ha ritenuto che le condotte di IREN siano caratterizzate da possibili profili di aggressività, nella misura in cui IREN introduce e comunica ai consumatori variazioni vietate dal D.L. Aiuti-bis e, inoltre, appare esercitare un indebito condizionamento dei consumatori, dal momento che è considerata ridotta la possibilità di optare per offerte più vantaggiose anche esercitando il diritto di recesso contrattuale in virtù del contesto di mercato eccezionale. Di conseguenza, l’AGCM ha provvisoriamente ordinato alla società sia di (i) sospendere l’applicazione di “ogni variazione delle condizioni economiche dei contratti di fornitura comunicate dal 10 agosto 2022”, confermando le condizioni economiche di fornitura fino al 30 aprile 2023, sia di (ii) darne comunicazione ai consumatori individualmente e con la medesima forma precedentemente utilizzata.

Quanto a Iberdrola, essa aveva inviato a giugno 2022 alla propria clientela alcune comunicazioni che, senza preavviso, annunciavano l’avvenuta risoluzione dei contratti di fornitura in essere per eccessiva onerosità sopravvenuta ex art. 1467 c.c., in alcuni casi offrendo ai clienti l’alternativa di sottoscrivere nuove condizioni contrattuali sostitutive di quelle originali. La società, nonostante i reclami di alcuni consumatori, aveva così proceduto ad applicare le nuove condizioni contrattuali – per quei clienti che avessero sottoscritto la nuove offerta proposta – ovvero a risolvere gli altri contratti per eccessiva onerosità sopravvenuta, procedendo alla comunicazione dei nominativi dei clienti con i quali il rapporto di fornitura veniva interrotto al Sistema Informativo Integrato (SII), una sorta di “banca dati” che raccoglie tutte le utenze che devono essere servite dagli operatori del servizio di c.d. ultima istanza (il Servizio di Ultima Istanza).

Dal canto suo E.ON, aveva dapprima inviato alla propria clientela una comunicazione ad agosto con la quale preannunciava una modifica delle condizioni di fornitura di energia elettrica, seguita, dopo l’entrata in vigore del D.L. Aiuti-bis, da un’ulteriore comunicazione a metà settembre che, dando atto dell’entrata in vigore di quest’ultimo e della conseguente impossibilità di procedere alla modifica unilaterale preannunciata, rendeva edotta la clientela che la drammatica situazione legata al conflitto in essere aveva obbligato E.ON a procedere (i) alla risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta a partire dal 1° ottobre, comunicando (ii) il subentro del Servizio di Ultima Istanza al fine di garantire l’approvvigionamento di energia elettrica.

L’AGCM ha ritenuto che sia le condotte di Iberdrola, sia quelle di E.ON costituiscono una pratica commerciale aggressiva sotto tre diversi profili: (i) innanzitutto, l’invio delle comunicazioni alla clientela da parte delle società sarebbe avvenuto in violazione dei termini fissati dalla normativa di settore, secondo cui le proposte di modifica unilaterale del contratto e le proposte di recesso devono essere comunicate alla controparte con un anticipo di, rispettivamente, tre e sei mesi; (ii) in secondo luogo, le condotte indurrebbero indebitamente il consumatore ad accettare condizioni economiche di fornitura deteriori rispetto a quelle precedentemente vigenti, in contrasto con la Ratio del D.L., in quanto i consumatori medi sarebbero portati a credere che, in assenza di accettazione delle nuove condizioni contrattuali, potrebbero rimanere senza alcuna fornitura di energia elettrica o gas; (iii) infine, non sarebbe possibile invocare la risoluzione di un contratto, come quello di fornitura, per eccessiva onerosità sopravvenuta ex art. 1467 c.c., in assenza di una pronuncia giudiziale.

Conseguentemente, l’AGCM ha ordinato a Iberdrola ed E.ON di: (a) sospendere provvisoriamente ogni attività di risoluzione dei contratti di fornitura in essere rivolta a consumatori e microimprese (nel caso di Iberdrola procedendo, altresì, alla revoca o alla sospensione delle comunicazioni al SII); (b) sospendere provvisoriamente l’attuazione, fino al 30 aprile 2023, delle nuove condizioni economiche di offerta di energia elettrica e gas a cui hanno in thesi aderito i consumatori, a fronte della prospettata risoluzione del contratto, ripristinando le precedenti condizioni economiche di fornitura, e comunicando ciò individualmente a consumatori e microimprese; nonché (c) comunicare individualmente e con la medesima forma a consumatori e microimprese che a fronte della risoluzione per eccessiva onerosità del contratto sono passati al servizio di tutela o hanno scelto un nuovo operatore sul mercato libero la possibilità di ritornare in fornitura con Iberdrola o E.ON alle precedenti condizioni economiche.

Infine, anche con riguardo a Dolomiti, la condotta posta in essere dalla società e ritenuta dall’AGCM potenzialmente aggressiva consisteva nell’invio alla propria clientela di comunicazioni di proposta di modifica unilaterale delle condizioni economiche di fornitura di energia elettrica e gas a decorrere da date posteriori all’entrata in vigore del D.L. Aiuti-bis. In questo caso, a fronte di diffide inviate dai destinatari delle comunicazioni, Dolomiti non aveva proceduto alla revoca delle stesse, procedendo anzi all’attuazione delle prospettate modifiche contrattuali: ciò, sulla base dell’assunto per cui l’aggiornamento contrattuale, secondo Dolomiti, si sarebbe perfezionato con l’invio e la ricezione delle comunicazioni da parte della clientela, avvenuti in data anteriore all’entrata in vigore del D.L. Aiuti-bis. L’AGCM ha sottolineato come solo allo scadere del termine previsto per la modifica del regime del rapporto di fornitura può considerarsi effettivamente perfezionatasi la modifica delle condizioni economiche del contratto. Conseguentemente, dal momento che la scadenza del termine era posteriore all’entrata in vigore del D.L. Aiuti-bis, l’AGCM ha affermato che anche le modifiche prospettate da Dolomiti devono ritenersi vietate dal D.L. Aiuti-bis. L’AGCM ha così ordinato a Dolomiti di sospendere (a) l’applicazione delle nuove condizioni economiche comunicate prima del 10 agosto che sono già state o saranno applicate in una data successiva (b) continuando così ad applicare le medesime condizioni di fornitura fino al 30 aprile 2023, e (c) consentendo ai consumatori che hanno esercitato il recesso a seguito della proposta di modifica unilaterale delle condizioni economiche di poter ritornare in fornitura con Dolomiti alle condizioni precedentemente applicate.

I provvedimenti in parola intervengono in maniera pervasiva – e non senza qualche forte criticità sia sotto il profilo costituzionale sia di compatibilità con la normativa EU – sulla libertà contrattuale delle imprese, aderendo ad una ampia, e forse eccessiva, interpretazione del D.L. Aiuti-bis il quale, rappresentando una eccezione alla regola della libertà contrattuale, dovrebbe essere interpretato restrittivamente. Non resta che attendere l’esito degli eventuali giudizi di impugnazioni dinanzi alla giustizia amministrativa avverso tali decisioni cautelari.

Ignazio Pinzuti Ansolini

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Pratiche commerciali scorrette e prodotti di elettronica di consumo - L’AGCM ha irrogato una sanzione di 3,6 milioni di euro a Mediamarket

Con il Provvedimento pubblicato lo scorso 3 novembre, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha irrogato una sanzione di 3,6 milioni di euro a Mediamarket S.p.A. (Mediamarket), società attiva nella vendita al dettaglio di elettrodomestici e prodotti di elettronica di consumo nel canale della grande distribuzione organizzata attraverso la nota insegna “Mediaworld”, per aver posto in essere un articolato insieme di pratiche commerciali scorrette ai sensi degli articoli da 20 a 25 del Codice del Consumo.

In particolare, a seguito di numerose segnalazioni dei consumatori e dell’attività istruttoria, l’AGCM ha contestato alla società il fatto di aver frequentemente ed abitualmente promosso al pubblico dei prezzi promozionali per alcuni prodotti – principalmente quelli di grande richiamo come smartphone, PC e televisori – che al momento dell’effettivo acquisto nei punti vendita si scoprivano essere forzosamente condizionati all’acquisto ulteriore di prodotti accessori non richiesti dal consumatore e da questi pagati per intero (come, ad esempio, una pellicola protettiva per lo schermo dello smartphone, pacchetti software pre-installati o pacchetti assicurativi contro i danni all’apparecchio). Una volta appurato che la creazione di tali “abbinamenti forzosi” non è frutto di occasionali errori del personale nei singoli store bensì di una strategia commerciale di Mediamarket ampiamente diffusa sul territorio nazionale, l’AGCM ha qualificato tali pratiche come ingannevoli e aggressive. Più nel dettaglio, l’AGCM ha accerto sia la capacità delle condotte di indurre in errore il consumatore in ordine a elementi essenziali dell’offerta, quali il prezzo e i prodotti effettivamente oggetto della stessa, sia la loro idoneità a condizionare indebitamente e sensibilmente la libertà di scelta dei consumatori inducendoli ad assumere una decisione commerciale che non avrebbero altrimenti preso.

L’AGCM non ha accolto le difese presentate da Mediamarket, ritenendo inconferente sia l’asserita insussistenza della fattispecie alla luce dell’oggetto della condotta, ovvero “beni non di prima necessità rispetto ai quali è possibile reperire valide alternative sul mercato”, sia l’asserita elevata capacità del consumatore medio di prodotti di elettronica di comprenderne le modalità espositive. Infatti, ad avviso dell’AGCM il disvalore delle condotte oggetto del procedimento prescinde dalla natura del bene e dalle capacità del consumatore, essendo tali pratiche idonee ad ingannare anche consumatori esperti. Risulta inoltre irrilevante che le stesse non rientrino tra le ipotesi tipizzate nel Codice del Consumo. Secondo l’AGCM, infatti, l’applicabilità delle norme in questione non si limita a specifiche ipotesi, essendo invece necessaria una valutazione complessiva alla luce di una serie di circostanze fattuali che dimostrino l’indebita pressione subita dal consumatore. Tale impostazione risulta coerente sia con la consolidata connotazione dell’illecito consumeristico come illecito di pericolo, sia con la valutazione finalistica demandata all’AGCM per il riconoscimento del carattere dell’aggressività della condotta (la quale deve verificare una limitazione o l’idoneità a limitare la libertà di scelta del consumatore). Infine, secondo l’AGCM non si poteva eccepire l’attuazione medio tempore di una serie di misure precedentemente proposte come impegni, rigettate alla luce della manifesta gravità e scorrettezza delle condotte nonché dell’interesse dell’AGCM all’accertamento dell’eventuale infrazione, qualora, come nel caso di specie, queste misure non abbiano portato alla cessazione della condotta.

Ciò considerato, l’AGCM ha ritenuto di dover procedere all’irrogazione di una sanzione amministrativa pari a 3 milioni di euro. In particolare, l’AGCM ha ritenuto di procedere a tale sanzione alla luce della rilevante dimensione economica del professionista, alla sua appartenenza ad un gruppo attivo a livello internazionale, alla notorietà del marchio Mediaworld, al significativo grado di offensività delle infrazioni, all’ampia diffusione delle condotte a livello nazionale, all’elevata incidenza economica delle condotte, nonché alla loro durata, in quanto poste in essere a partire almeno dal 2020 e ancora in corso. Tuttavia, poiché il professionista risulta già essere stato destinatario di un recente provvedimento sanzionatorio in violazione del Codice del Consumo, l’AGCM ha ritenuto altresì idoneo applicare una maggiorazione del 20%, elevando così l’importo complessivo della sanzione a 3,6 milioni di euro.

Resta ora da vedere se la società impugnerà il provvedimento in questione dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, e gli sviluppi di tale eventuale contenzioso.

Niccolò Antoniazzi

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