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Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza – Europa / Abuso di posizione dominante e settore del trasporto ferroviario – La Corte di Giustizia fornisce alcuni chiarimenti circa la relazione tra private enforcement e mercati regolamentati

Lo scorso 27 ottobre, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) si è pronunciata sul rinvio pregiudiziale proposto dal Tribunale superiore del Land di Berlino, volto a ottenere un chiarimento in merito all’esperibilità di un’azione risarcitoria ex art. 102 TFUE davanti ai giudici civili anche nel contesto di un mercato regolamentato – quale, nella specie, quello ferroviario – in cui la competenza esclusiva a pronunciarsi sulla natura asseritamente lesiva dei prezzi praticati dalla controparte sia rimessa a un’autorità regolatoria ad hoc.

Nella specie, la domanda pregiudiziale – già oggetto di commento in questa Newsletter – origina da una azione risarcitoria intentata da un operatore ferroviario tedesco, ODEG Ostdeutsche Eisenbahn GmbH (ODEG), contro il gestore dell’infrastruttura ferroviaria tedesca, DB Station & Service AG (DB Station), avente ad oggetto il sovrapprezzo pagato dalla prima alla seconda per i prezzi di accesso all’infrastruttura ferroviaria praticati dal 2005 al 2009.

Al fine di contestualizzare la vicenda è bene ricordare che, al fine di garantire un accesso equo e indiscriminato all’infrastruttura da parte degli operatori ferroviari il legislatore europeo ha regolamentato il mercato in esame. Con le direttive 2001/14 e 2012/34 (le Direttive), il legislatore europeo ha infatti imposto agli Stati membri l’obbligo di costituire un’autorità regolatoria di settore incaricata di vigilare sulle condizioni economiche di accesso all’infrastruttura ferroviaria nonché competente in via esclusiva per giudicare di ogni istanza proveniente dagli operatori ferroviari in merito a “…un trattamento ingiusto, di discriminazioni o di qualsiasi altro pregiudizio […] in relazione … [al] sistema di imposizione dei diritti [nonché al] livello o struttura dei diritti per l’utilizzo dell’infrastruttura che è tenuto o può essere tenuto a pagare”.

Nel caso in esame, ODEG e altri operatori avevano adito l’autorità regolatoria del settore ferroviario prevista dall’ordinamento tedesco, ottenendo l’accertamento della natura eccessiva dei prezzi di accesso di listino praticati da DB Station. Conformemente a quanto previsto dalla legge tedesca, la pronuncia poteva avere solo efficacia ex nunc, ossia – nel caso di specie – a partire dal 2010. Per avere ristoro dei danni patiti dal 2005 al 2010, ODEG aveva dunque adito il giudice civile lamentando di aver subito un danno per violazione dell’art. 102 TFUE, ossia sostenendo che il gestore avesse abusato della sua posizione dominante attraverso l’imposizione di prezzi eccessivamente gravosi. Nel contesto del procedimento civile instaurato da ODEG, il Tribunale superiore del Land di Berlino ha rimesso la questione alla CGUE, chiedendo se (i) i tribunali civili siano autorizzati a valutare ai sensi del diritto antitrust l’importo dei diritti di accesso all’infrastruttura indipendentemente dall’eventuale pronuncia in proposito da parte dell’organismo di regolamentazione di rivedere l’equità del prezzo; e se, laddove le imprese abbiano la possibilità di far verificare all’organismo di regolamentazione competente l’adeguatezza dei diritti pagati, (ii) i tribunali civili debbano attendere la decisione definitiva dell’organismo di regolamentazione.

In merito al primo quesito, la CGUE premette che “…dagli obiettivi stessi della direttiva 2001/14, volti a garantire un accesso non discriminatorio alle infrastrutture in condizioni di concorrenza leale, nonché dagli obblighi posti, sotto tale profilo, a carico dei gestori dell’infrastruttura, discende che le imprese ferroviarie possono invocare, dinanzi all’organismo di regolamentazione, la violazione dell’articolo 102 TFUE…”. Da ciò deriva che l’autorità regolatoria non possa declinare la propria competenza circa “…un’asserita violazione dell’articolo 102 TFUE con la motivazione che una disposizione del diritto nazionale […] non […] consentirebbe di pronunciarsi sulla legittimità dei diritti per l’utilizzo dell’infrastruttura già riscossi.” Per la CGUE da ciò consegue che non sia necessario pronunciarsi sulla seconda questione, dal momento che la CGUE chiarisce che “…qualora un’impresa ferroviaria intenda ottenere, in base all’articolo 102 TFUE, il rimborso di diritti per l’utilizzo dell’infrastruttura asseritamente riscossi in eccesso, essa deve, prima di adire qualsivoglia giudice nazionale competente, sottoporre la questione della loro legittimità all’organismo nazionale di regolamentazione…”. Ottenuta una decisione da parte dell’autorità di settore, l’impresa ferroviaria potrà quindi adire il giudice civile, che – in virtù di un principio di leale cooperazione – dovrà tenere in debita considerazione le statuizioni già compiute dall’autorità, pur potendosene discostare se è in grado di motivare le proprie decisioni alla luce di tutti i documenti dei fascicoli loro sottoposti.

Con la pronuncia in commento, la CGUE colma una lacuna interpretativa nella relazione tra diritto regolatorio e disciplina antitrust. Se infatti con le pronunce Deutsche Telekom e Telefonica era stato chiarito che l’esistenza di una regolamentazione ad hoc di un settore di mercato non ostava all’applicazione della disciplina antitrust sul piano del public enforcement, la stessa conclusione viene ora affermata, sebbene con qualche vincolo procedurale di pregiudizialità, anche per il private enforcement.

Alessandro Canosa

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Programmi di leniency e linee guida – Pubblicate dalla Commissione le FAQ relative all’applicazione della Leniency Notice

Lo scorso 25 ottobre 2022, la Commissione europea (la Commissione) ha pubblicato un documento contenente le linee guida, sotto forma di Frequently Asked Questions (le FAQ), al fine di chiarire alcuni concetti chiave ed elementi della prassi seguita dalla Commissione nell’applicazione della Comunicazione relativa all’immunità dalle ammende o alla riduzione del loro importo nei casi di cartelli tra imprese (la Leniency Notice).

Il documento fornisce alcuni spunti raggruppati in sette categorie; non questa la sede per richiamare tutte le indicazioni contenute nelle FAQ, ci si limiterà a porre l’attenzione sugli spunti principali relativi (i) alle modalità di interlocuzione con la Commissione, (ii) ad alcuni elementi di policy e di prassi, nonché (iii) a ulteriori protezioni per le imprese che domandano l’accesso al programma di leniency, definite in atti normativi distinti dalla Leniency Notice.

Con riguardo alle possibilità di interlocuzione con la Commissione, in primo luogo viene evidenziata la figura del “Leniency Officer”, la quale è inquadrata all’interno della Direzione cartelli della Direzione Generale Concorrenza della Commissione. Il Leniency Officer rappresenterà il primo “punto di contatto” per le imprese desiderose di raccogliere informazioni in merito ai programmi di leniency.

In secondo luogo, la Commissione apre alla possibilità di operare degli scambi informali di informazioni con le imprese che, tramite i loro rappresentanti legali e in forma anonima, siano interessate a sapere se (i) una certa condotta che esse hanno intenzione di rivelare alla Commissione possa essere qualificata come un cartello segreto, e se (ii) esse possano beneficiare della disciplina di favore contenuta nella Leniency Notice per quelle imprese che denunciano l’esistenza di un cartello. L’accesso a tale strumento interlocutorio anonimo non richiede che venga rivelato il settore interessato, i partecipanti all’intesa o altri dettagli.

In terzo luogo, la Commissione chiarisce alcuni elementi riguardanti la domanda di immunità formulata in termini ipotetici (la Domanda ipotetica), ai sensi dei punti 16 e 19 della Leniency Notice. In tale procedura, l’impresa che presenta la Domanda ipotetica sottopone alla Commissione una lista dettagliata di tutte le prove che ha intenzione di rivelare in un secondo momento. Benché non sia necessario che l’impresa riveli la propria identità o quelli di altri cartellisti, è invece richiesto che vengano precisamente indicati il settore, l’area geografica interessata e la durata stimata del cartello. Una volta che la Commissione abbia informato l’impresa che gli elementi contenuti nella lista soddisfano i requisiti imposti dalla Leniency Notice per conferire all’impresa l’immunità dalle sanzioni, quest’ultima deve necessariamente fornire tutti gli elementi promessi nella prima fase: solo in caso di coincidenza tra i documenti promessi e quelli dati le verrà concessa l’immunità.

Infine, la Commissione chiarisce che è possibile per le imprese interloquire con il Leniency Officer al fine di comprendere se sia ancora possibile accedere all’immunità prevista dalla Leniency Notice. In particolare, il rappresentante legale dell’impresa – che potrà rimanere anonima – dovrà in tal caso rivelare quali siano i prodotti oggetto dell’intesa anticoncorrenziale e dovrà assumere l’obbligo di sottoporre alla Commissione una domanda di immunità laddove questa risponda positivamente alla richiesta di chiarimenti.

Con riguardo ad alcuni elementi di policy e di prassi seguita dalla Commissione, si ricorda che, come è noto, ai sensi della Leniency Notice le imprese parti del cartello, quando l’immunità non è disponibile, possono comunque beneficiare di riduzioni nella sanzione che verrebbe loro inflitta in via ordinaria, che ammontano rispettivamente: (a) dal 30 al 50% (prima fascia), (b) dal 20 al 30% (seconda fascia), (c) dallo 0 al 20% (terza fascia). L’allocazione delle imprese nelle diverse fasce dipende sia dal momento in cui è pervenuta alla Commissione la domanda di riduzione delle sanzioni, sia dal tipo di contributo che l’impresa ha fornito alla Commissione al fine di reprimere il cartello. Pertanto, una domanda di riduzione pervenuta tempestivamente alla Commissione aumenta le chances di posizionarsi in una delle prime fasce, ma non è sufficiente a tal fine: è possibile, infatti, che i contributi di un’impresa pervenuti alla Commissione successivamente rispetto ad un’altra siano ritenuti di maggiore pregio ai fini investigativi, dunque giustificando il “sorpasso” della seconda impresa ai danni della prima.

Viene inoltre sottolineata la prassi della Commissione di assegnare ad un’impresa (a) che domandi la riduzione della sanzione ai sensi della Leniency Notice e (b) fornisca elementi che permettano di accertare una maggiore gravità dell’infrazione o una sua più lunga durata, la c.d. “immunità parziale” dalla sanzione che le sarebbe stata irrogata. Tale immunità fa sì che la sanzione finale irrogata all’impresa non tenga in considerazione il “surplus” di gravità o di durata del cartello accertato proprio grazie al suo contributo.

Infine, con riguardo alle ulteriori protezioni per le imprese che domandano l’accesso al programma di leniency e definite in atti normativi distinti dalla Leniency Notice, la Commissione segnala che il Regolamento 2018/1046 (il Regolamento finanziario) e la Direttiva 2014/24/UE (la Direttiva Appalti) prevedono, da un lato, che imprese che abbiano posto in essere comportamenti anticompetitivi possano essere escluse da procedure di appalti pubblici o dall’assegnazione di fondi europei; e che tuttavia, il comportamento di attiva e puntuale collaborazione adottato dalle imprese nell’ambito di un programma di leniency permetta ad esse di non vedersi applicare tali pesanti sanzioni.

La pubblicazione delle FAQ rappresenta sicuramente un interessante passo da parte della Commissione al fine di assicurare maggiore trasparenza e prevedibilità nel contesto dell’applicazione dei programmi di leniency. Non resta che vedere se, anche alla luce di esse, si avrà un utilizzo maggiore di tale strumento, fermo restando che uno dei principali fattori che si ritiene abbia ridotto la propensione alla presentazione di domande di leniency sia la sempre maggiore diffusione delle successive azioni di risarcimento in sede civile.

Ignazio Pinzuti Ansolini

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Diritto della concorrenza – Italia / Abuso di posizione dominante e settore del ticketing – Il Consiglio di Stato conferma l’annullamento della sanzione di circa 10 milioni di euro irrogata dall’AGCM a Eventim-TicketOne

Con la sentenza pubblicata lo scorso 24 ottobre, il Consiglio di Stato (CdS) ha annullato definitivamente la sanzione da circa 10 milioni di euro irrogata dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) nei confronti di TicketOne S.p.A., Di and Gi S.r.l., F&P Group S.r.l., Friends & Partners S.p.A., Vertigo S.r.l., Vivo Concerti S.r.l. e CTS Eventim AG & Co. KGaA (congiuntamente, il gruppo Eventim-TicketOne) per l’asserito abuso di posizione dominante nel mercato dei servizi di vendita dei biglietti (c.d. ticketing) per eventi live di musica leggera.

In particolare, l’AGCM aveva attribuito al gruppo Eventim-TicketOne la realizzazione di una complessa strategia abusiva di carattere escludente nei confronti degli altri operatori di ticketing sul territorio nazionale, realizzatasi attraverso una pluralità di condotte (legate da finalità anticoncorrenziali) quali, in estrema sintesi: (i) l’acquisizione di quattro tra i principali promoter nazionali (le Operazioni); (ii) la stipula di contratti di esclusiva con la quasi totalità dei promoter leader nella produzione di eventi live di musica leggera operanti in Italia; (iii) l’imposizione di esclusive sui promoter locali; nonché (iv) condotte ritorsive e di boicottaggio nei confronti dei promoter locali che non avessero accettato le imposizioni del gruppo.

La vicenda era già stata sottoposta allo scrutinio del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (il TAR Lazio) – la cui sentenza è stata commentata in questa precedente Newsletter – che, lo scorso marzo, annullava in primo grado il provvedimento dell’AGCM censurandone un difetto istruttorio nella parte in cui ha ritenuto non rilevanti le argomentazioni difensive delle parti del procedimento circa l’inesistenza della finalità escludente alla base delle acquisizioni dei promoter. Avendo l’AGCM omesso di valutare le allegazioni delle parti circa la finalità delle acquisizioni, per il TAR Lazio l’esistenza di un obiettivo comune tra le diverse condotte anticoncorrenziali contestate al gruppo Eventim-TicketOne non risultava adeguatamente provata.

Le considerazioni effettuate dal CdS hanno, in primo luogo, confermato il difetto di istruttoria rilevato in primo grado. In particolare, il CdS ha ritenuto plausibile che, con le Operazioni in parola, il gruppo Eventim-TicketOne abbia voluto creare un nuovo modello di business diretto a integrare le due attività di promozione e vendita (in modo da poter offrire all’artista un servizio di organizzazione unico ed efficiente) e pertanto è “prospettabile” il fatto che si possa addirittura superare la segmentazione tra l’attività di ticketing e promoting proposta dall’AGCM. Infine, il CdS ha osservato come le Operazioni fossero leggibili in un’ottica di normale dinamica concorrenziale legata alla necessità di rispondere all’espansione in Italia del gruppo Live Nation/TicketMaster, concorrente particolarmente rilevante in ambito internazionale, anch’esso integrato verticalmente.

Di particolare interesse è la lettura operata dal CdS dell’art. 21 del Regolamento n. 139/2004 in materia di concentrazioni, che esclude l’applicabilità del Regolamento n. 1/2003 – relativo all’applicazione degli artt. 101/102 TFUE – alle operazioni di concentrazione, la cui ratio è stata ricondotta alla necessità di evitare una doppia analisi della medesima fattispecie. Coerentemente con le recenti conclusioni rassegnate dall’Avvocato Generale Kokott (l’AG) nel caso TowerCast (commentato in questa precedente Newsletter), il CdS ha ritenuto che un’operazione di concentrazione, benché non sottoposta allo scrutinio ex-ante da parte di un’autorità (come nel caso di specie), possa essere valutata ex-post con gli strumenti ordinari anche se “…ciò non toglie che per le operazioni di fusione – stante la loro natura e gli effetti che ne conseguono – debba ritenersi preferibile un vaglio preventivo, come reso possibile dall’articolo 22 del Regolamento n. 139/2004, in base al quale nei casi in cui l’aggregazione non è soggetta all’obbligo di notifica preventiva, è ben possibile attivare un meccanismo per valutare, e se del caso conformare, le operazioni di acquisizioni qualora dovessero incidere sull’assetto concorrenziale del mercato”.

La sentenza in commento, quindi, offre numerosi spunti interessanti, evidenziando la necessità di tutelare la libertà economica anche dell’impresa che si trova in posizione dominante la quale, seppur sottoposta a una “speciale responsabilità”, è legittimata a tutelare i propri interessi commerciali. Se quindi, da una parte, non è esclusa in radice l’applicabilità dell’art. 102 TFUE a operazioni M&A, il CdS conclude che “…alcune delle operazioni contestate - in particolare le acquisizioni e le esclusive che vi accedono - possono trovare anche altrove una loro plausibile giustificazione e, soprattutto, sul piano oggettivo, non si risolvono necessariamente in una restrizione illecita del mercato del ticketing, ovvero irragionevole nei suoi effetti concreti alla stregua del principio di proporzionalità e giustificabilità oggettiva della condotta”.

Maria Spanò

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Private enforcement e prescrizione – La Cassazione dichiara estinto il diritto di British Telecom Italia al risarcimento del danno da illecito anticoncorrenziale

Con l’ordinanza n. 30783 del 19 ottobre 2022, la Cassazione ha rigettato il ricorso proposto da British Telecom Italia contro Vodafone confermando le conclusioni della Corte d’Appello milanese, secondo cui il diritto di British Telecom Italia al risarcimento del danno da illecito anticoncorrenziale è da considerarsi prescritto.

Per meglio apprezzare la sentenza in commento appare utile ripercorrere brevemente le tappe fondamentali di questa vicenda. Il 23 febbraio 2005 l’AGCM aveva aperto un’istruttoria nei confronti di Vodafone ed altre compagnie telefoniche per abuso di posizione dominante. La condotta abusiva imputata a Vodafone consisteva nell’avere imposto tariffe di terminazione di favore nei confronti delle proprie divisioni commerciali, in danno alle imprese concorrenti (tra cui British Telecom Italia). Il procedimento nei confronti di Vodafone si era chiuso senza sanzione (e senza accertamento dell’illecito) nel 2007, dopo che l’AGCM aveva accettato gli impegni offerti da Vodafone.

Successivamente il Tribunale di Milano, adito da British Telecom Italia, ha accertato l’abuso di posizione dominante attuato da Vodafone in danno della ricorrente e riconosciuto a quest’ultima il diritto al risarcimento del danno, liquidato in 12 milioni di euro oltre interessi. Vodafone ha quindi proposto impugnazione davanti alla Corte di Appello di Milano, la quale ha riformato la sentenza dichiarando estinto il diritto di British Telecom Italia per intervenuta prescrizione.

Nel riformare la sentenza, la Corte d’Appello aveva svolto due considerazioni in antitesi con il precedente grado di merito, ora confermate dall’ordinanza della Cassazione:

i)   il dies a quo della prescrizione decorrerebbe dalla data di avvio dell’istruttoria dinanzi all’AGCM “quale momento in cui può ragionevolmente desumersi che l’impresa abbia avuto conoscenza della condotta oggetto” e non, come prospettato dalla ricorrente, dalla data della comunicazione delle risultanze istruttorie (28 luglio 2006);

ii)  la missiva inviata da British Telecom Italia a Vodafone in data 10 febbraio 2009 non poteva considerarsi un atto interruttivo della prescrizione (art. 2943 c.c.), in quanto non idonea a costituire in mora il debitore. Inoltre, la successiva lettera raccomandata di British Telecom Italia, datata 18 febbraio 2010, era stata pacificamente ricevuta dalla controparte solo il 1° marzo, ovvero dopo lo spirare del termine di prescrizione quinquennale.

Riguardo alla prima considerazione, che investe i primi tre motivi del ricorso di British Telecom Italia, la Suprema Corte nel rigettarli osserva quanto segue. Il danno da illecito anticoncorrenziale rientra nella categoria del “danno lungo latente”. Secondo un consolidato orientamento della Cassazione il termine prescrizionale quinquennale della relativa azione comincia a decorrere da quando il danneggiato sia stato adeguatamente informato, o avrebbe dovuto esserlo secondo l’ordinaria diligenza, dell’esistenza dell’altrui violazione e di un possibile danno ingiusto. Nel caso in esame, dato che il titolare della pretesa è un’impresa concorrente dell’impresa dominante, si può presumere – ad avviso della Suprema Corte – che questa vigili sulle condotte di altre imprese che mirano ad escluderla dal mercato o quantomeno a ridurre i suoi margini di guadagno. Di conseguenza il dies a quo può essere individuato nella data di avvio dell’istruttoria, evento che ha senz’altro reso percettibile la possibile condotta abusiva e il conseguente possibile danno da parte del danneggiato.

La seconda considerazione è oggetto del quarto e del quinto motivo di gravame, ugualmente ritenuti infondati nell’ordinanza in esame. Secondo la ricostruzione accolta dalla Cassazione, infatti, la prima missiva inviata da British Telecom Italia, pur contenendo una rappresentazione dei danni asseritamente patiti, si concludeva col mero auspicio di “definire la vicenda in via bonaria”. Tale circostanza non è ritenuta sufficiente a costituire in mora il debitore (e quindi ad interrompere la prescrizione) poiché non è idonea a manifestare l’inequivocabile volontà del titolare di far valere il proprio diritto. La seconda lettera raccomandata, invece, pur essendo stata inviata prima dello spirare del termine prescrizionale, era giunta a conoscenza del destinatario solo successivamente. La missiva in questione tuttavia è un atto stragiudiziale recettizio. I suoi effetti si producono pertanto solo nel momento in cui il destinatario ne viene a conoscenza.

La Cassazione ha rilevato, da ultimo, la manifesta infondatezza (oltre che l’inammissibilità) della questione di legittimità costituzionale prospettata dalla ricorrente, che ritiene contraria ai principi di uguaglianza e ragionevolezza la circostanza per cui i due atti interruttivi della prescrizione disciplinati dall’art. 2943 c.c. (atti giudiziali e stragiudiziali) producano effetti secondo modalità diverse. Gli atti giudiziali, infatti, interrompono la prescrizione al momento della consegna all’ufficiale giudiziario, mentre quelli stragiudiziali solo quando il destinatario ne viene a conoscenza. La Cassazione rileva che nel caso degli atti stragiudiziali non sussiste l’esigenza di salvaguardare il diritto di difesa nel giudizio (posto a fondamento della nota pronuncia C. Cost. n. 477 del 2002 riguardante invece gli atti giudiziali), mentre va tenuto in considerazione il preminente interesse del destinatario a conoscere se la prescrizione sia stata interrotta o meno (in un’ottica di certezza del diritto).

Una sentenza importante per lo sviluppo del private enforcement del diritto antitrust in Italia.

Margherita Lucia Branca

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Appalti concessione regolazione / RTI e requisiti di partecipazione – Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana ha stabilito che deve essere disapplicata la regola del Codice degli Appalti che impone(va) l’obbligo della mandataria di possedere i requisiti di partecipazione in misura maggioritaria

Con la sentenza del 25 ottobre 2022 n. 1099, il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana (CGARS) ha stabilito che, in forza della primazia del diritto dell’Unione Europea, l’art. 83, comma 8 del d.lgs. n. 50/2016 (Codice degli Appalti) vada disapplicato, nella parte in cui prevede che la mandataria di un raggruppamento temporaneo di impresa (RTI) debba possedere i requisiti di qualificazione in misura maggioritaria rispetto alle altre imprese componenti il raggruppamento.

La vicenda originava da una procedura di gara per l’affidamento del servizio di spazzamento, raccolta e trasporto allo smaltimento dei rifiuti ed altri servizi di igiene pubblica in alcuni comuni siciliani, in cui il bando di gara imponeva che i requisiti di capacità tecnica e professionale dovessero essere posseduti per intero dalla mandataria. In tale contesto, uno dei partecipanti impugnava l’aggiudicazione del vincitore di uno dei lotti che aveva partecipato in forma di RTI, lamentando, tra i vari motivi di ricorso, che la mandataria si fosse qualificata alla procedura facendo integralmente ricorso all’avvalimento in tal modo giovandosi dei requisiti di partecipazione vantati dagli altri partecipanti al raggruppamento, in violazione del bando di gara e del requisito di legge.

In primo grado, il TAR Catania ha ritenuto di accogliere il ricorso principale.

In sede di appello, per quanto qui interessa, il CGARS da un lato confermava l’esclusione del ricorrente principale e, dall’altro, formulava un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE), con riferimento alla compatibilità con il diritto dell’Unione Europea dell’obbligo per la mandataria di possedere i requisiti di partecipazione e di eseguire la prestazione, in misura maggioritaria rispetto agli altri componenti dell’RTI.

Con la sentenza del 28 aprile 2022 (C-642/20), la CGUE ha rilevato che la Direttiva 2014/24 (i) attribuisce rilievo generale alla possibilità, mediante l’avvalimento, che un operatore – anche in forma aggregata – possa partecipare ad una procedura di gara facendo affidamento sulle capacità di altri soggetti e (ii) ammette solo in casi particolari che le stazioni appaltanti possano esigere che alcuni compiti essenziali siano direttamente svolti da uno specifico membro dell’RTI, come, per l’appunto, la mandataria. In linea con tali premesse, la CGUE ha ritenuto che la normativa italiana andasse oltre quanto consentito dal diritto dell’Unione Europea.

A valle della citata pronuncia della CGUE, il CGARS ha definitivamente respinto l’appello principale, affermando che, in virtù del principio di applicazione diretta del diritto europeo, da un lato, l’obbligo previsto dal Codice Appalti che la mandataria debba possedere i requisiti ed eseguire la prestazione in misura maggioritaria deve essere disapplicato e, dall’altro, a fortiori, che risulta illegittimo un bando di gara che imponga la necessità per la mandataria di possedere per intero i requisiti di partecipazione.

In conclusione, la pronuncia in commento conferma la portata della sentenza della CGUE sui requisiti di partecipazione alle gare pubbliche da parte degli RTI e, in parte, ne precisa l’applicazione. Ad oggi, sono inammissibili obblighi generali che impongano divieti di avvalimento e requisiti specifici di qualificazione in capo alla mandataria, salva la possibilità per le stazioni appaltanti – in ragione delle specificità della procedura di gara – di prevedere obblighi specifici. Sul punto, rimane ancora da chiarire la continua vigenza nell’ambito degli appalti di lavori dell’obbligo per la mandataria di eseguire le prestazioni e di qualificarsi nella misura minima del 40% della prestazione. Rimanendo coerenti con le indicazioni della CGUE anche tale disposizione dovrebbe essere disapplicata, ma sarà la futura giurisprudenza a chiarirlo.

Enrico Mantovani

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