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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza - Europa / Corte di Giustizia e concentrazioni – L’AG Kokott presenta le proprie conclusioni nel giudizio sul veto del 2016 della Commissione alla concentrazione tra CK Telecoms e O2

Lo scorso 20 ottobre, l’Avvocato Generale Kokott (l’AG) ha reso le proprie conclusioni nel procedimento C 376/20, avente ad oggetto l’impugnazione da parte della Commissione Europea (la Commissione) della sentenza T-399/16, con cui il Tribunale dell’Unione Europea (il Tribunale) aveva in primo grado annullato il veto posto nel 2016 da parte della Commissione all’acquisizione di Telefònica Europe (O2) da parte di CK Telecoms UK Investments Ltd (CK Telecoms).

Al fine di cogliere la portata delle conclusioni in commento è opportuno ricostruire la vicenda oggetto di contenzioso. Con la decisione impugnata, la Commissione aveva ritenuto pregiudizievole per la concorrenza la concentrazione tra O2 e CK Telecoms, sulla scorta della considerazione che la nascita di un nuovo operatore, pur non detentore di una posizione di dominanza (con una quota tra il 30 e il 40%, a fronte di analoghe quote del gruppo British Telecom e di una quota inferiore ma comunque significativa detenuta da Vodafone) – avrebbe determinato il passaggio da 4 a 3 operatori e generato effetti orizzontali unilaterali sui mercati interessati. In altri termini, secondo la Commissione l’eliminazione dei vincoli posti da una “importante forza concorrenziale”, come descritta ai sensi dei paragrafi 37 e 38 degli Orientamenti relativi alla valutazione delle concentrazioni orizzontali (gli Orientamenti), quale era considerata CK Telecoms, avrebbe potuto incidere negativamente sul livello di concorrenza nei mercati interessati, con possibili conseguenze in termini di aumento dei prezzi e decremento della qualità dei servizi.

Con la sentenza oggetto di appello, il Tribunale aveva accolto il ricorso delle parti e annullato il divieto della Commissione. Secondo il giudice di primo grado, la Commissione non avrebbe infatti soddisfatto l’onere probatorio richiesto per adottare un provvedimento di divieto, non avendo dimostrato con un livello di “seria probabilità” che l’operazione fosse idonea ostacolare in modo significativo la concorrenza effettiva nei mercati interessati (c.d. SIEC test). In aggiunta, il Tribunale ha ritenuto sommaria la qualificazione di CK Telecoms come “importante forza concorrenziale”, non avendo la Commissione fornito alcun elemento utile per distinguere tale operatore dalle altre imprese attive sullo stesso mercato.

Con le conclusioni in commento, rese nel contesto dell’appello proposto dalla Commissione contro la sentenza del Tribunale, l’AG prende posizione contro le valutazioni formulate dal giudice di primo grado. In via preliminare, l’AG sottolinea la rilevanza sistemica delle questioni pendenti davanti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE), chiamata per la prima volta a pronunciarsi sull’applicazione del SIEC test a una concentrazione con riferimento all’analisi di c.d. effetti unilaterali. A tal proposito, l’AG premette due considerazioni: se è vero che la sostituzione (avvenuta nel 2004) del test di dominanza – previsto dal precedente regolamento in materia di concentrazioni – con il SIEC test ha esteso l’ambito delle valutazioni sostanziali della Commissione anche agli effetti unilaterali, ed in particolare con riferimenti ai mercati oligopolistici, è altrettanto vero che nulla nel testo della legge introduce differenze in termini di standard probatorio tra i due test; inoltre il sindacato del giudice europeo sulle decisioni della Commissione in materia di concentrazioni si limita alla verifica materiale dei fatti e alla mancanza di errori manifesti di valutazione. Su tale sfondo, l’AG afferma che lo standard probatorio richiesto alla Commissione nell’adozione di una decisione in materia di concentrazioni corrisponde al parametro della “ponderazione delle probabilità”, in base al quale è sufficiente che gli effetti negativi dell’operazione pronosticati dalla Commissione post-merger siano “più probabili che no”. Solo tale livello di prova, secondo l’AG, è “…compatibile con il potere discrezionale di cui la Commissione dispone nell’ambito delle sue analisi (prospettiche) economiche complesse in materia di concentrazioni, ragion per cui la portata del controllo giurisdizionale è essenzialmente limitata alla ricerca di manifesti errori di valutazione…”.

Anche sulla definizione di “importante forza concorrenziale” di cui agli Orientamenti, l’AG assume una posizione critica delle valutazioni del giudice di primo grado. Il Tribunale aveva infatti ritenuto che, per qualificare CK Telecoms in questi termini, la Commissione avrebbe dovuto dimostrare che quest’ultima fosse responsabile di una politica di pricingparticolarmente aggressiva” e “idonea a modificare in maniera significativa le dinamiche concorrenziali” dei mercati interessati. In assenza di tale vincolo probatorio, aveva sostenuto il Tribunale, la Commissione sarebbe legittimata a vietare virtualmente qualsiasi concentrazione orizzontale su un mercato oligopolistico.

La tesi dell’AG sul tema si oppone invece a quella del Tribunale – come anticipato supra: non solo quest’ultimo sarebbe andato oltre la lettera degli Orientamenti, che si limitano a qualificare come “importanti forze concorrenziali” le imprese che “…hanno sul processo concorrenziale un’influenza maggiore di quanto farebbero pensare le loro quote di mercato o altri sistemi di misurazione similari…”, ma l’interpretazione adottata nella sentenza impugnata avrebbe innalzato lo standard probatorio previsto per la valutazione delle concentrazioni orizzontali con effetti unilaterali, a scapito della disciplina unitaria delle fattispecie sancita dalla normativa europea.

Le conclusioni in commento – di cui in questa sede è possibile riassumere solo taluni aspetti salienti – si innesta in una vicenda giurisdizionale che, come sottolineato dalla stessa AG, è già destinata a diventare un leading case quale che sia il merito della decisione definitiva. Non resta dunque che attendere la pronuncia della CGUE.

Alessandro Canosa

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Diritto della concorrenza – Italia / Abuso di posizione dominante e mercato del telepedaggio – L’AGCM apre un’istruttoria nei confronti di Autostrade per l’Italia S.p.A. per presunti pratiche escludenti

Nella sua adunanza dell’11 ottobre scorso, a seguito della segnalazione da parte di UnipolTech S.p.A. (UnipolT), società del Gruppo Unipol S.p.A. attiva, inter alia, nel settore della progettazione, fornitura e sviluppo di ecosistemi di c.d. mobility, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha avviato un’istruttoria per accertare un possibile violazione dell’articolo 102 TFUE da parte di Autostrade per l’Italia S.p.A. (ASPI), principale società concessionaria autostradale italiana, nel mercato del telepedaggio, posta in essere attraverso l’Associazione Italiana Società Concessionarie Autostrade e Trafori (AISCAT).

Come noto, le autostrade presenti nel territorio italiano vengono date in concessione dal Ministero delle Infrastrutture ai c.d. gestori, i quali, in relazione alla tratta di propria competenza, detengono un vero e proprio monopolio. Ciascun gestore funge anche da esattore del pedaggio per il tratto autostradale sulla tratta di competenza, che può essere versato (i) in contanti, (ii) con carta di credito/debito, (iii) con la Viacard, infine (iv) attraverso il c.d. telepedaggio, ossia un servizio di pagamento elettronico acquistabile dai c.d. service provider (SP) che forniscono all’utente un dispositivo elettronico da installare a bordo del proprio veicolo (c.d. on board unit) e che dialoga con i rilevatori installati presso le stazioni di uscita (caselli) delle tratte autostradali.

In particolare, la fornitura dei servizi di telepedaggio è caratterizzata dalla coesistenza di una triplice tipologia di servizi e relativi regimi regolatori:

(1) il servizio nazionale del telepedaggio è stato introdotto nel 1990 da ASPI attraverso il lancio del prodotto Telepass. Al momento, questo servizio viene gestito unicamente dalla società Telepass S.p.A. (società rimasta sotto il controllo di ASPI fino alla uscita di quest’ultima dal gruppo Atlantia nel maggio 2022), che mette a disposizione dei suoi utenti l’omonimo dispositivo sia per i mezzi leggeri (ML), sia mezzi pesanti (MP);

(2) il servizio europeo di telepedaggio (SET), introdotto dalla Direttiva 2004/52/UE (ormai abrogata e sostituita sul punto dalla Direttiva 2019/520/UE), che rende i servizi di telepedaggio interoperabili in tutta l’Unione europea, che può essere offerto da ogni potenziale SP sia ai ML, sia ai MP; e

(3) il servizio interoperabile di Telepedaggio, ossia un servizio che può essere offerto da ogni potenziale SP ma di cui, al momento, è stata resa possibile la sua fruizione solo per i MP (SIT-MP).

Fatte queste premesse, la condotta contestata ad ASPI consiste nell’aver negato l’accesso a nuovi SP (come UnipolT, con il suo dispositivo “Unipolmove”) al servizio nazionale di telepedaggio e, conseguentemente, nell’aver posto in essere un forzato “dirottamento” dei nuovi fornitori di servizio di telepedaggio verso il SET e SIT-MP, il tutto tramite AISCAT.

Dalle prime analisi dell’AGCM è quindi emerso che, grazie al peso decisionale di ASPI nella governance di AISCAT risultante da alcune disposizioni statutarie (ASPI detiene una maggioranza di voti nell’Assemblea generale quale organo che prende decisioni, inter alia, sul bilancio consuntivo, sulla nomina del consiglio direttivo il quale a sua volta nomina il presidente e il vice presidente) e grazie al ruolo decisivo di AISCAT nel dialogo con i SP e i concessionari autostradali (ciò in quanto ad AISCAT vengono indirizzate le richieste di accreditamento per il SET o per il SIT-MP che gestisce con apposito mandato conferito dalle concessionarie autostradali) ASPI si sia concretamente adoperata nel mantenere chiuso il sistema nazionale del telepedaggio nonché nel ritardare o ostacolare la piena operatività degli operatori nuovi entranti in relazione al SET ovvero al SIT-MP.

L’abuso escludente ipotizzato dall’AGCM rileva sotto il profilo di molteplici condotte, e sarebbe stato determinato, in particolare:

(i) dall’onerosità dei requisiti richiesti da AISCAT per la procedura di accreditamento al SET e al SIT-MP da parte dei SP, nonché delle relative condizioni contrattuali previste nei contratti standard predisposte da AISCAT e diverse da quelle di cui gode Telepass per il sistema nazionale (ad esempio, i contratti SET e quelli, speculari, SIT-MP prevedono per i SP l’obbligo di garanzia mediante fideiussione bancaria o, ancora, l’obbligo per i SP di parità di trattamento tra i vari concessionari, etc);

(ii) dal mancato accesso per i SP alle stesse agevolazioni tariffarie garantite dai concessionari a Telepass, che rappresenta uno strumento di business cruciale per attrarre nuova clientela (ad esempio, l’AGCM ha notato che le concessionarie autostradali accordano solo agli utenti Telepass e non anche agli utenti dei nuovi SP sconti sulle tariffe di telepedaggio di cui queste si fanno carico);

(iii) dal diverso trattamento dei c.d. errati transiti (ossia l’addebito del pedaggio per un transito nonostante la mancata rilevazione del veicolo in entrata, calcolata di default dalla stazione di entrata geograficamente più lontana quella tratta) che, stante l’integrazione della denuncia effettuata da UnipolT, deriverebbe dalla circostanza che solo Telepass avrebbe accesso a un database, condiviso con i vari concessionari, che attraverso un controllo incrociato (tramite fotografia) consente di rilevare l’accesso del veicolo.

Infine, a tali elementi viene aggiunta (iv) l’incompleta e/o ritardata attuazione del sistema SET nelle tratte autostradali italiane sotto il profilo dell’adeguamento tecnico di alcuni varchi non abilitati al sistema SET insieme a quello nazionale (rimanendo alcune porte di esazione riservate esclusivamente a Telepass) sia della cartellonistica dei varchi, ancora non del tutto “neutrali” dal punto di vista commerciale poiché riportante solo il marchio Telepass.

Sarà interessante osservare l’esito di questa istruttoria, anche con riguardo al profilo dell’imputabilità della posizione dominante ad ASPI nel mercato del telepedaggio, mercato distinto ma collegato a quello della gestione autostradale, alla luce della sua uscita nel maggio 2022 dal gruppo Atlantia, di cui Telepass S.p.A. continua, invece, a fare parte (ossia, essendo venuta meno l’integrazione verticale, tratto tipico degli abusi escludenti).

Maria Spanò

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Intese e settore sportivo – l’AGCM ha avviato un’istruttoria nei confronti della Federazione Italiana Pallavolo

Con il provvedimento del 27 settembre 2022 l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha annunciato l’avvio di un procedimento istruttorio nei confronti della Federazione Italiana Pallavolo (FIPAV) sulla compatibilità con l’art. 101 TFUE delle disposizioni statutarie di quest’ultima in materia di c.d. vincolo sportivo.

Con il vincolo sportivo si intende l’obbligo dell’atleta non professionista, per un determinato periodo di tempo, a prestare la propria attività sportiva esclusivamente in favore della società (affiliata alla Federazione) presso cui è tesserato, senza possibilità di cambiare società prima del termine del periodo stabilito dal vincolo, salvo consenso della società. La ratio di tale istituto è quella di remunerare l’investimento della società sportiva per la formazione tecnica dell’atleta. La durata del vincolo è modulata per fasce d’età: fino allo scorso anno, per gli atleti di età compresa tra i 14 e i 24 anni era decennale, per la fascia dai 24 ai 34 anni il vincolo era quinquennale.

Il vincolo sportivo previsto dalla FIPAV e la sua compatibilità con il diritto della concorrenza erano già stati oggetto di un’indagine pre-istruttoria nel 2017, ma l’AGCM aveva deciso di non procedere con un’istruttoria formale dopo che la FIPAV si era impegnata a modificare le disposizioni del suo statuto oggetto dei rilievi dell’AGCM. In particolare, la Federazione si era impegnata a ridurre la durata massima del vincolo (da 10 a 6 anni) e a non prevedere alcuna fase transitoria per l’adozione delle modifiche statutarie.

Nell’ottobre 2021 sono state approvate le modifiche dello Statuto della FIPAV (articoli 10-ter e 69) che hanno previsto la riduzione del vincolo sportivo. Tuttavia, contrariamente a quanto concordato con l’Autorità, viene altresì previsto un periodo transitorio, con un’entrata in vigore delle nuove tempistiche, per gli atleti già tesserati, solo al termine dell’anno sportivo in cui l’atleta compie il ventiquattresimo anno di età. Ciò – ad avviso dell’AGCM – ha reso di fatto inapplicabili le nuove tempistiche riguardanti la fascia di età 18-24 anni agli atleti già tesserati nati prima del 2003.

L’AGCM ha quindi ritenuto che tale disciplina presentasse ancora delle criticità e ha deliberato un avvio di istruttoria ai sensi dell’art. 14 della legge 287/90.

Nel provvedimento l’AGCM, in linea con i precedenti italiani ed eurounitari, rileva in primis che le Federazioni sportive, pur ricoprendo un ruolo pubblicistico, sono qualificabili come associazioni di imprese e pertanto le loro decisioni e condotte sono sindacabili sotto il profilo antitrust ai sensi dell’art. 101 TFUE.

Inoltre, il vincolo sportivo, così come delineato dalla FIPAV, avrebbe l’effetto di limitare la concorrenza perché idoneo ad ostacolare il passaggio tra società, cristallizzando per ogni società sportiva la propria “clientela” (effetto lock-in). Gli atleti dilettanti, infatti, versano delle quote associative per poter svolgere attività sportiva presso gli enti affiliati alla FIPAV e, a causa del vincolo sportivo, non possono cambiare associazione senza il consenso dell’ente vincolante. Questo conduce ad una riduzione dell’incentivo a competere per le società sportive con ripercussioni negative sugli atleti. Ad avviso dell’AGCM, la ripartizione della “clientela” (nel caso di specie, gli atleti, ossia un “input” per lo svolgimento dell’attività delle società) è un’ipotesi tipica di intesa anticoncorrenziale, mediante la quale le parti mirano a salvaguardare le rispettive posizioni a discapito della qualità dei servizi e dei relativi prezzi.

Da ultimo, l’AGCM rileva come la fase transitoria per l’introduzione delle modifiche, oltre ad essere difforme rispetto ai precedenti “impegni” offerti dalla Federazione per ottenere l’archiviazione della pre-istruttoria nel 2017, si ponga in netto contrasto con la recente normativa (la cui entrata in vigore tuttavia è per il momento rimandata al luglio 2023) introdotta nell’ambito della riforma dell’ordinamento sportivo (art. 31 del d.lgs. 36/2021), nella quale il legislatore ha stabilito l’abolizione tout court del vincolo sportivo e l’introduzione, in caso di trasferimento, di un nuovo premio per la formazione tecnica a favore della società di provenienza per remunerare l’investimento.

Il procedimento in parola si dovrebbe concludere entro dodici mesi, ma è possibile che esso condizionerà (da subito) il legislatore rispetto alle richieste di ulteriore proroga dell'entrata in vigore della riforma che abolisce il vincolo sportivo.

Margherita Lucia Branca

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Appalti concessioni regolazione / Revisione prezzi dell’appaltatore e silenzio della PA – Il Tar Lazio ha ribadito che, a fronte di una richiesta di modificare il prezzo dell’appalto rimasta senza risposta della stazione appaltante, l’appaltatore può ricorrere all’azione avverso il silenzio

Con la sentenza del 10 ottobre 2022 n. 12810, il TAR Lazio ha ritenuto illegittimo il silenzio serbato dalla stazione appaltante a fronte di una richiesta dell’appaltatore di modificare il prezzo dell’appalto. La sentenza coglie l’occasione per approfondire il rapporto tra diritto dell’appaltatore alla modifica del prezzo e l’obbligo della stazione appaltante di prevedere nel contratto una clausola di revisione periodica del prezzo, ai sensi del D.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (il Codice degli Appalti del 2006).

A seguito di una gara per la fornitura di dispositivi medici, l’impresa vittoriosa aveva avanzato nel corso dell’appalto una richiesta di aggiornamento dei prezzi, in virtù sia della normativa prevista dal Codice Civile, che stabilisce tale diritto nei casi di aumenti imprevedibili dei costi sopportati dall’appaltatore, sia del Codice degli Appalti del 2006 che, sul punto, prevedeva l’obbligo delle stazioni appaltanti di includere nei contratti una clausola di revisione periodica del prezzo.

A fronte della mancata risposta della stazione appaltante, in linea con la giurisprudenza prevalente, il TAR Lazio ha ammesso la possibilità per l’operatore di ricorrere all’azione contro il silenzio muovendo dalla soluzione di alcune rilevanti questioni relative, inter alia, (i) alla giurisdizione e alla natura dell’attività di revisione del prezzo e (ii) all’applicabilità del termine di conclusione del procedimento anche a tale attività.

In particolare, sul tema della giurisdizione, si ricorda che, da un lato, in merito all’an della revisione del prezzo, il privato risulta di titolare di un interesse legittimo (in quanto il procedimento è espressione di una facoltà discrezionale dell’amministrazione); dall’altro, con riferimento al quantum della revisione, il privato vanta un diritto soggettivo che potrebbe risultare astrattamente spettante alla cognizione del giudice civile. Tuttavia, la questione è risolta in quanto il Codice di Giustizia Amministrativa ha assoggettato tutta la materia alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

In particolare, proprio muovendo da tale distinzione che, per certi versi, risulta ancora attuale, si osserva che la stazione appaltante è tenuta a condurre un bilanciamento tra l’interesse dell’appaltatore alla revisione e l'interesse pubblico connesso sia al risparmio di spesa, sia alla regolare esecuzione del contratto aggiudicato, con la conseguenza che l’appaltatore, nell’ambio di tale procedimento, si potrà giovare dei soli rimedi previsti a tutela degli interessi legittimi, come appunto l’azione contro il silenzio, ma non anche della disciplina civilista (che, secondo il principio di specialità, non risulta applicabile ai contratti pubblici).

Sul merito, con riferimento all’applicabilità del termine di conclusione del procedimento, il TAR Lazio ha ritenuto applicabili i principi generali dell’azione amministrativa secondo cui, in assenza di disposizioni in senso opposto, esiste un generale obbligo dell’amministrazione di provvedere con atto espresso a fronte di una richiesta formale del privato. Ne consegue che tale preciso obbligo sussiste anche in capo alla stazione appaltante nell’ambito della procedura di revisione del prezzo; e ciò, nonostante il fatto che il Codice degli Appalti del 2006 non prevedeva il diritto dell’appaltatore alla revisione automatica del corrispettivo nei contratti di durata ma, più modestamente, un obbligo per l'Amministrazione di inserire nel contratto una clausola che regolasse la revisione prezzi.

Si coglie infine l’occasione per ricordare che, sebbene il nuovo Codice dei contratti Pubblici non contempli più l’obbligo di inserire le clausole adeguamento prezzo nella documentazione di gara, ma solamente una facoltà della stazione appaltante, la normativa emergenziale adottata nel corso dell’emergenza da Covid-19 ha imposto nuovamente l’inserimento di tali clausole fino al 31 dicembre 2023. Ne consegue che, almeno con riferimento alle gare soggette alla normativa emergenziale, i principi accolti dalla decisione in commento mantengono intatti la loro attualità.

Enrico Mantovani

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Legal News / Piattaforme di streaming e geo-blocking – Secondo l’AG Szpunar il gestore di una piattaforma streaming non viola il diritto esclusivo di comunicazione al pubblico qualora gli utenti eludano i suoi sistemi di geo-blocking

Con le conclusioni pubblicate lo scorso 20 ottobre, l’Avvocato Generale Szpunar (l’AG) è intervenuto nell’ambito di un rinvio pregiudiziale operato dalla Corte Suprema Austriaca nel contesto di una controversia tra la società Grand Distribution d.o.o. (GD), produttrice di contenuti audiovisivi trasmessi da un’emittente serba unicamente nel territorio di Serbia e Montenegro, e GO4YU d.o.o. Beograd (GO4YU), la quale, in forza di un contratto con la già citata emittente televisiva, ne ritrasmette i programmi su una piattaforma streaming, accessibile ovunque. Premesso che GO4YU non aveva contrattualmente il diritto di ritrasmettere al di fuori del territorio sopra indicato (Serbia e Montenegro), GD ha agito in giudizio lamentando come i contenuti da essa prodotti fossero stati resi liberamente accessibili in Austria per più di un mese e come gli utenti fossero in grado di bypassare tramite funzionalità VPN i sistemi di geo-blocking predisposti dalla piattaforma.

Con il rinvio pregiudiziale in questione, la Corte Suprema Austriaca ha chiesto alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) di chiarire innanzitutto se il gestore di una piattaforma streaming che ritrasmette un programma televisivo realizzi una comunicazione al pubblico ai sensi dell'articolo 3(1) della direttiva 2001/29 in tema di diritti d’autore (la Direttiva). Sul punto, l’AG ha evidenziato che gli elementi a ciò necessari sono rappresentati dal mezzo tecnico utilizzato e dal fatto che la comunicazione sia realizzata da un soggetto diverso dall'emittente originaria, nonché dal fatto che sia possibile identificare come destinatario un pubblico “nuovo”. In aggiunta, l’AG ha sostenuto che la circostanza per cui la radiodiffusione televisiva originale sia destinata ad un’area che si colloca al di fuori del territorio dell'UE, e quindi al di fuori dell'ambito di applicazione territoriale della direttiva, non osta a che la ritrasmissione streaming in questione sia considerata una comunicazione al pubblico ai sensi del diritto comunitario nella misura in cui il contenuto audiovisivo sia accessibile nel territorio di applicazione della direttiva stessa. Pertanto, l’AG ha concluso che una ritrasmissione che, senza il consenso del titolare del diritto d’autore, renda liberamente accessibile all’interno dell’UE un prodotto destinato esclusivamente ad un territorio extra-UE costituisce una violazione del diritto esclusivo in parola.

In aggiunta, la prima questione pregiudiziale chiede anche di stabilire se una simile violazione sia contestabile al gestore della piattaforma streaming qualora questo adotti dei sistemi di gestione dei diritti digitali (ad esempio, soluzioni di geo-blocking) che vengano però elusi dagli utenti finali. Con riferimento a tale quesito, l’AG ha suggerito una risposta negativa. Infatti, non solo ha ritenuto che la soluzione opposta comporti di fatto l’impossibilità di gestire i diritti online, ma ha giustificato tale posizione anche alla luce della giurisprudenza della CGUE. In particolare, attraverso un’analogia con il caso Svensson, l’AG ha concluso che così come la responsabilità per la messa a disposizione di contenuti ad un nuovo pubblico attraverso un collegamento ipertestuale elusivo delle misure limitative ricade sulla persona che inserisce tale collegamento, così non vi può essere un profilo di responsabilità per il gestore della piattaforma online in cui è avvenuta la comunicazione iniziale e le cui misure limitative dell’accesso sono state violate. Tuttavia, secondo l’AG l’operatore dovrebbe invece essere ritenuto responsabile nel diverso caso in cui applicasse intenzionalmente un blocco geografico dell’accesso inefficace al fine di consentire alle persone che si trovano al di fuori del territorio nel quale è autorizzato a comunicare al pubblico le opere protette un accesso facilitato rispetto alle possibilità oggettivamente esistenti su Internet.

Infine, ulteriore tema sottoposto all’attenzione della CGUE è quello dell’eventuale responsabilità dei soggetti collegati alla piattaforma streaming, ovvero quelli che a questa offrono servizi di promozione e supporto senza però operare la ritrasmissione. Sul punto, l’AG ha rilevato che, sebbene vi siano dei precedenti nel diritto dell’UE in cui sia stata ravvisata una comunicazione al pubblico in situazioni che esulano dalla mera trasmissione diretta dell’opera protetta, è in ogni caso necessario accertare l’esistenza di un nesso diretto tra l’intervento dell’utente e il materiale protetto. Tuttavia, in una situazione analoga al caso di specie tale nesso non sussiste in quanto i soggetti collegati non esercitano alcuna influenza sui contenuti trasmessi dalla piattaforma e men che meno sono nella posizione di poter prevenire potenziali violazioni dei diritti di proprietà intellettuale.

Con le conclusioni oggetto di commento l’AG Szpunar ha contributo a delineare i limiti della responsabilità degli operatori di trasmissione di contenuti in streaming, suggerendo in particolare alla CGUE di stabilire che il gestore di una piattaforma che ritrasmette online un programma televisivo non viola il diritto esclusivo dell’autore di comunicazione al pubblico qualora gli utenti eludano i sistemi di geo-blocking da questo predisposti. Si tratta di una conclusione che, seppur strettamente inerente all’ambito dei diritti di proprietà intellettuale, ha ad oggetto un tema caro al diritto antitrust e al diritto dell’UE in generale, ovvero quello della creazione di un quadro normativo equilibrato nella gestione delle limitazioni geografiche all’accesso dei contenuti digitali.

Niccolò Antoniazzi

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