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Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza – Europa / Antitrust – La Commissione europea ha aggiornato la Comunicazione sugli orientamenti informali

Con il comunicato stampa pubblicato lo scorso 3 ottobre, la Commissione europea (Commissione) ha reso noto di aver pubblicato il nuovo testo della Comunicazione sugli orientamenti informali (la Comunicazione), così come modificato a seguito delle consultazioni in materia avviate lo scorso 24 maggio e già oggetto di commento in questa Newsletter nella sua versione originaria.

Va ricordato che tali orientamenti sono ideati come uno strumento atto a cercare di migliorare il grado di certezza giuridica sull’applicabilità degli articoli 101 e 102 TFUE a specifici accordi o pratiche commerciali a favore delle imprese che stanno concretamente valutando di porle in essere, essendone invece precluso il ricorso per questioni meramente ipotetiche. A seguito delle predette consultazioni, la Commissione ha accolto alcune proposte di modifica che mirano ad ampliarne l’ambito di applicazione e la flessibilità, nonché a rafforzare le tutele offerte alle imprese che vi ricorrono, anche se alcuni dubbi circa l’effettiva utilità permangono.

In particolare, rispetto alla versione precedente vengono leggermente attenuati i due requisiti principali di ammissibilità delle richieste. Da un lato, infatti, il requisito della novità della questione non si ravvisa più in una situazione di (totale) “assenza di chiarezza” nell’esistente quadro normativo e giurisprudenziale dell’Unione Europea, bensì di “insufficiente chiarezza”. D’altro canto, lo standard per la valutazione prima facie dell’interesse comunitario a fornire gli orientamenti viene ridotto dall’apporto di un “significativo valore aggiunto” a quello di un più generico “valore aggiunto”.

Il nuovo testo presenta anche delle vere e proprie novità. Innanzitutto, si è aggiunto che le informazioni fornite alla Commissione dal richiedente in merito ad una valutazione preliminare di applicabilità degli articoli 101 e 102 TFUE e all’assenza di procedimenti pendenti dinanzi a corti o autorità della concorrenza nazionali aventi ad oggetto la medesima questione giuridica avvengono sulla base della sua “best knowledge”. Di rilievo è inoltre l’introduzione della possibilità di avviare contatti informali (e confidenziali) con la Commissione prima dell’invio della richiesta formale. Altrettanto rilevante risulta l’introduzione dell’impegno della Commissione non solo a fornire una risposta ai richiedenti in tempi ragionevoli (a seconda della complessità dei casi), senza tuttavia che venga nemmeno adombrata la durata che ci si può in linea di principio aspettare, ma anche a comunicare per iscritto l’eventuale mancato accoglimento della richiesta. In aggiunta, al fine di tutelare le legittime aspettative e di salvaguardare la certezza del diritto, e allo stesso tempo dare un valore a queste lettere di orientamento, la Comunicazione chiarisce che in linea di principio non sarà imposta alcuna sanzione ai richiedenti in relazione a qualsiasi azione che questi abbiano intrapreso facendo affidamento in buona fede sugli orientamenti ottenuti dalla Commissione. Infine, viene esplicitamente riconosciuta l’attribuzione di confidenzialità alle informazioni inviate dai richiedenti in tutte le occasioni di un possibile intervento di parti terze.

Restano invariate, invece, le considerazioni in merito ai poteri di indagine della Commissione e agli effetti degli orientamenti. Pertanto, la richiesta inviata dalle parti non pregiudica la possibilità per la Commissione di avviare un procedimento relativamente ai fatti allegati e di conservare le informazioni ricevute per utilizzarle in eventuali successivi procedimenti. È evidente che ciò richiederà alle imprese una attenta valutazione circa l’opportunità di attivare questa procedura. Inoltre, gli effetti dalle lettere di orientamento non sono vincolanti né per i richiedenti, né per le giurisdizioni e/o le autorità nazionali ed europee, sebbene queste possano comunque tenerle in considerazione nel loro processo di valutazione delle specifiche condotte.

Dai documenti di lavoro che hanno accompagnato la pubblicazione, si nota anche che la Commissione ha valutato la possibilità di permettere l’invio di richieste anonime, ritenendo tuttavia che ciò potrebbe comportare un potenziale ostacolo all’effettività dello strumento, essendo comunque la posizione delle imprese già adeguatamente tutelata attraverso la confidenzialità garantita sia nelle eventuali richieste di informazioni a parti terze, sia nell’eventuale momento successivo di pubblicazione del contenuto della lettera di orientamento sul proprio sito istituzionale.

Con il documento oggetto di commento la Commissione ha reso lo strumento degli orientamenti informali maggiormente flessibile e attento ai profili di tutela della posizione delle imprese. Come sostenuto anche dagli stakeholders intervenuti nelle consultazioni, si tratta di un progetto di riforma da accogliere con assoluto favore, essendo questo mirato a rivitalizzare uno strumento che esiste formalmente da ormai quasi venti anni ma che risulta ad oggi totalmente inutilizzato. Invero, vi sono dubbi circa l’utilità pratica per le imprese, stante la mancanza di qualsiasi indicazione circa la tempistica che sarà adottata dalla Commissione (aspetto particolarmente preoccupante, vista la durata media dei procedimenti della Commissione che appare incompatibile, almeno in linea di principio, con la velocità con cui il mondo degli affari deve muoversi) e la “protezione giuridica” di cui una impresa potrà effettivamente beneficiare se segue le indicazioni fornite dalla Commissione. Resta quindi da vedere se, nella pratica, tale riforma riuscirà nel suo intento.

Antoniazzi Niccolò

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Diritto della concorrenza Italia / Intese e settore degli online marketplace – Il TAR Lazio annulla le sanzioni irrogate a Apple e Amazon ad esito del procedimento I842

Con la sentenza 12507/2022, il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (TAR Lazio) ha accolto i ricorsi proposti da Apple Inc., Apple Distribution International Limited, Apple Italia s.r.l. e Amazon Italia Services s.r.l. (le Parti) e annullato la decisione sanzionatoria adottata dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ad esito del procedimento I842 – Vendita prodotti Apple e Beats su Amazon marketplace, con cui l’Autorità aveva comminato alle Parti una sanzione complessiva di circa 172 milioni di euro.

Al fine di comprendere le censure riscontrate dal TAR, è opportuno ricostruire brevemente i passaggi procedurali che hanno portato all’adozione della decisione del caso I842. Il procedimento traeva avvio dalla segnalazione presentata in data 22 febbraio 2019 da Digitech, operatore economico inizialmente attivo come rivenditore sul marketplace di Amazon e successivamente estromessovi in ragione dell’asserito accordo anticoncorrenziale tra le Parti. Ad esito della segnalazione, l’AGCM avviava un’istruttoria il 21 luglio 2020, circa 17 mesi dalla data della segnalazione di Digitech. In tale lasso temporale, registra il TAR, l’AGCM non risulta aver compiuto accertamenti di qualsivoglia natura, fatta eccezione per l’acquisizione tramite internet dei profili aziendali di alcuni distributori e di alcune statistiche sull’e-commerce, svolta peraltro a distanza di 16 mesi dalla segnalazione. Ad esito della propria attività di indagine, il 31 luglio 2021 l’AGCM aveva quindi inviato alle Parti la contestazione dell’infrazione mediante comunicazione delle risultanze istruttorie (CRI) prevedendo un termine a difesa pari a soli 30 giorni, successivamente prorogato di 15 giorni. Il TAR rileva altresì che i dati relativi all’analisi economica contenuti nella CRI erano stati inseriti in una apposita dataroom alle quali tuttavia le parti hanno avuto accesso solo in data 24 agosto 2021, con ciò riducendo effettivamente a pochi giorni il tempo per le parti di procedere alle proprie difese una volta avuta la possibilità di accedere a tutte le informazioni rilevanti a tale fine.

Con la sentenza in commento, il TAR Lazio ha riscontrato due gravi vizi nella condotta tenuta dall’AGCM come ricostruita brevemente supra. In primo luogo, il giudicante censura la tardività dell’avvio dell’istruttoria. La questione si inscrive nel dibattito giurisprudenziale inerente all’applicabilità dei termini perentori previsti dall’art. 14, legge n. 689/1981 ai procedimenti antitrust, norma invero pensata per essere applicata alle contravvenzioni del codice della strada, ai sensi della quale “…gli estremi della violazione debbono essere notificati agli interessati residenti nel territorio della Repubblica entro il termine di novanta giorni…”. Pur confermando il proprio orientamento in materia – secondo cui il termine decadenziale di cui all’art. 14, legge 689/1981 non trova diretta applicazione nei procedimenti antitrust – il TAR osserva che la durata della fase preistruttoria non può comunque andare esente da vincoli. I principi positivizzati nella legge n. 241/90 (che disciplina il procedimento amministrativo in generale) e nella Carta Europea dei Diritti dell’Uomo - CEDU nonché, più in generale, l’esigenza di efficienza dell’agire amministrativo richiesta dalla nostra Costituzione impongono all’AGCM di procedere all’avvio di istruttoria “…entro un termine ragionevolmente congruo, in relazione alla complessità della fattispecie sottoposta…”. Quest’ultimo, concede il TAR, può consistere in “mesi” ma non in “vari anni” dalla piena conoscenza del fatto illecito oggetto di contestazione. Alla luce di quanto sopra, “….tenuto conto che l’Autorità ha deliberato l’avvio dell'istruttoria solo il 21 luglio 2020, a distanza di circa un anno e mezzo dalla segnalazione, e che nell’arco di tale lasso di tempo non sono state compiute attività di particolare complessità che giustificassero la dilazione….” il TAR accoglie la censura.

In secondo luogo, con quella che appare una innovazione rispetto al diritto vivente, il TAR Lazio censura la decisione dell’AGCM per violazione del diritto di difesa delle Parti a causa del termine particolarmente ridotto per la presentazione delle proprie difese a fronte di un documento particolarmente complesso e articolato quale la CRI. Benché il regolamento sulle procedure istruttorie preveda solo un termine inderogabile minimo di 30 giorni, formalmente rispettato nel caso in esame, il giudice amministrativo ha ritenuto il termine a difesa comunque insufficiente in quanto: (i) l’accesso ritardato alla dataroom ha di fatto sottratto alle Parti 25 giorni per l’elaborazione delle proprie difese su 45 totali, con ciò di fatto, neanche rispettando il termine di 30 giorni menzionato; (ii) il termine de quo risulta fortemente inferiore a quello concesso dall’AGCM in altri procedimenti, spesso superiore ai 100 giorni; (iii) la coincidenza del termine a difesa con il mese di agosto ha reso più arduo raccogliere eventuali documenti da produrre a confutazione di quelli acquisiti; (iv) il termine di 45 giorni è sproporzionato in peius rispetto ai 33 mesi che sono serviti all’AGCM per formulare la comunicazione delle risultanze istruttorie a partire dalla data della segnalazione.

La sentenza in commento istituisce dunque un importante precedente a garanzia del principio di parità delle armi e a tutela dei diritti di difesa delle imprese soggette a procedimenti antitrust. Resta da vedere che posizione assumerà il Consiglio di Stato in sede di eventuale appello.

Alessandro Canosa

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Bid rigging e settore dei servizi di vigilanza privata – Il Consiglio di Stato si pronuncia sulla tempestività dell’apertura dell’istruttoria da parte dell’AGCM

Ancora una sentenza in merito al tempo “concesso” all’AGCM per avviare una istruttoria. Con le sentenze 8505, 8504, 8503, 8400 e 8399, infatti, il Consiglio di Stato (CdS) ha accolto i ricorsi presentati da alcune società attive nel settore dei servizi di vigilanza privata (le Società) che nel 2018 erano state sanzionate dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’AGCM), ad esito del procedimento I-821 per bid rigging in merito ad alcune gare bandite da diversi enti pubblici tra il 2013 e il 2017 per l’acquisto di servizi di vigilanza privata. In particolare, il CdS si è pronunciato sui termini entro cui l’AGCM è tenuta ad aprire l’istruttoria una volta pervenuta conoscenza dei fatti potenzialmente integranti un illecito anticoncorrenziale.

La vicenda ha origine nel 2015, quando erano pervenute innanzi all’AGCM diverse segnalazioni nelle quali si evidenziavano criticità in merito allo svolgimento di alcune gare pubbliche bandite in Lombardia, Lazio e Emilia Romagna segnatamente da parte di (i) Trenord S.r.l. con riferimento alla gara dalla stessa bandita nel 2014 (la Prima Segnalazione); (ii) ANAC, in relazione alla gara bandita nel 2013 da Expo 2015 S.p.A. e (iii) ANIVP e ASSIP in relazione a due gare indette dall’Azienda Regionale Centrale Acquisti S.p.A. nel 2016 e nel 2017. In particolare, nei diversi esposti presentati venivano puntualmente indicati – anche tramite il supporto di elementi probatori – anomalie quali, inter alia, la sovrabbondanza nelle ATI, l’incidenza della presunta intesa su una parte rilevante del mercato e la sua asserita idoneità a restringere la concorrenza in maniera significativa. Tuttavia, solo tre anni dopo la Prima Segnalazione – precisamente il 21 febbraio 2018 – l’AGCM apriva l’istruttoria (v. Newsletter) e nel 2019 accertava l’infrazione, essenzialmente consistente nell’utilizzo improprio gli strumenti del raggruppamento temporaneo di imprese e del subappalto. Il provvedimento veniva successivamente impugnato dinanzi al TAR Lazio che respingeva i ricorsi presentati dalle Società, le quali impugnavano la relativa sentenza.

Tra i numerosi motivi di appello presentati innanzi al CdS spicca quello procedurale relativo al tardivo avvio di apertura dell’istruttoria da parte dell’AGCM rispetto all’epoca in cui aveva avuto piena conoscenza dei fatti contestati, in violazione del principio di contestazione immediata dell’addebito sancito dall’articolo 14 della L. 689/1989. Secondo quest’ultimo, come visto nel precedente articolo di questa Newsletter, la contestazione da parte dell’amministrazione procedente deve avvenire entro 90 giorni per i residenti nel territorio della Repubblica, fermo restando che tale termine inizia a decorrere non dalla data di commissione dell’infrazione e nemmeno dalla mera notizia del fatto ipoteticamente sanzionabile nella sua materialità, bensì come rileva il CdS“….[d]all’acquisizione [da parte dell’amministrazione procedente] della piena conoscenza della condotta illecita, implicante il riscontro (allo scopo di una corretta formulazione della contestazione) della sussistenza e della consistenza dell’infrazione e dei suoi effetti…”.

L’oggetto dell’analisi del CdS verte, quindi, sulla possibilità o meno dell’estensione del principio di tempestività della contestazione ai procedimenti antitrust e, in caso di risposta affermativa sulla necessità di individuare con precisione il momento a partire dal quale iniziano a decorrere i termini previsti dall’articolo 14, legge 689/1989. La tesi sposata dal CdS, diversamente da quanto concluso dal TAR Lazio nella sentenza precedentemente commentata, nel caso in esame è quella di rilevare la portata generale di tale principio “data la sua ascendenza costituzionale” a tutela del diritto di difesa. Pertanto, con specifico riferimento ai casi in cui un procedimento istruttorio sia avviato a seguito di una segnalazione, è l’invio di quest’ultima che costituisce il momento di decorrenza dei termini, con l’unica eccezione costituita da una segnalazione “incompleta o non veritiera”. E, a tal proposito, il CdS sottolinea come “completezza e attendibilità” saranno i criteri che il giudice utilizzerà per valutare una segnalazione a cui non è seguita alcuna attività istruttoria da parte dell’AGCM.

Nel caso di specie, il CdS ha ritenuto che i requisiti in questione siano stati soddisfatti in quanto le segnalazioni erano “[caratterizzate da] elementi circostanziati, densi di informazioni e predisposti con linguaggio giuridico-economico appropriato” e la Prima Segnalazione era di fatto confluita nell’avvio di istruttoria del 21 febbraio 2018. Quindi, il CdS non riscontra alcuna ragione valida circa la tardività dell’avvio di istruttoria (avvenuto tre anni dopo la Prima Segnalazione), né l’AGCM avrebbe presentato argomenti utili a giustificare una tale dilazione che secondo il CdS potrebbero essere ricercati nella necessità di tutelare l’interesse pubblico ed evitare “una discovery prematura che consegua a una parcellizzazione dei risultati dell’indagine stessa”.

La sentenza in commento segna un punto a favore della certezza del diritto e traccia le tempistiche entro cui un intervento dell’AGCM può essere ben atteso. Allo stesso tempo, pone forti dubbi circa il suo impatto complessivo in quanto idonea a condizionare in maniera significativa la discrezionalità di cui l’AGCM si avvale nel fissare le proprie priorità di enforcement e l’organizzazione dei propri uffici, in un contesto di scarsità di risorse, per poter dare seguito alla propria attività istituzionale.

Maria Spanò

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Abusi e settore del riciclo dei rifiuti – L’AGCM accoglie gli impegni presentati da POLIECO nel contesto dell’istruttoria avviata per un possibile abuso di posizione dominante

Con il Provvedimento n. 30300, adottato lo scorso 13 settembre, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’AGCM) ha accolto gli impegni presentati dal consorzio POLIECO (POLIECO) volti a sanare i possibili profili di abusività ipotizzati in merito ad alcune condotte adottate da POLIECO nel mercato nazionale della gestione dell’avvio a riciclo dei beni in polietilene (PE).

In via preliminare, va sottolineato come il decreto legislativo n. 152/2006 (T.U.A.) – in attuazione del c.d. Polluter Pays Principle (PPP) di derivazione comunitaria – imponga, inter alia, agli operatori attivi lungo la filiera dei beni in PE di farsi carico del fine vita dei rifiuti in PE. Il T.U.A. prevede, a tal proposito, che tali operatori debbano necessariamente (i) scegliere se aderire al già esistente consorzio POLIECO (istituito con legge negli anni ’90, e fino al 2020 l’unico operatore attivo sul mercato della gestione dell’avvio a riciclo dei beni in PE), ovvero costituire un sistema autonomo di gestione di tali rifiuti (come la segnalante, Ecopolietilene), nonché (ii) versare gli appositi contributi ambientali per assicurare il funzionamento di tali consorzi.

È fondamentale sottolineare come il T.U.A., sebbene preveda l’obbligatorietà del versamento dei contributi pregressi e non ancora versati, non indichi espressamente chi sia il soggetto competente a riscuotere i versamenti dei contributi da parte delle imprese inadempienti. Ed è proprio su questo elemento che si sono innestate, secondo la ricostruzione operata dall’AGCM, le condotte asseritamente abusive da parte di POLIECO, le quali facevano parte di un’ampia strategia escludente finalizzata all’aumento dei costi di ingresso di Ecopolietilene, e si rivolgevano sia a soggetti già consorziati a POLIECO, sia a potenziali nuovi clienti.

Con riguardo ai primi, le risultanze evidenziavano numerosi comportamenti adottati da POLIECO, volti a scoraggiare i consorziati dall’effettuare il recesso da tale consorzio e dall’aderire a Ecopolietilene; con riguardo ai possibili nuovi clienti (i.e. imprese che non hanno mai aderito né a POLIECO, né a Ecopolietilene, e imprese fondatrici di quest’ultimo consorzio), POLIECO aveva offerto significativi sconti e agevolazioni nei loro confronti con riguardo ai contributi pregressi – talvolta presentandoli come derivanti da (inesistenti) obblighi di legge – prospettando il possibile avvio di iniziative giudiziarie volte a vedere riconosciuti i compensi che POLIECO riteneva a sé spettanti. Allo stesso fine, POLIECO aveva inoltre negoziato la concessione di significativi sconti in merito a tali contributi con diverse associazioni di categoria particolarmente influenti, quali Confindustria Lombardia.

Al fine di scongiurare l’accertamento di un abuso di posizione dominante, POLIECO ha presentato quattro impegni, profondamente integrati a seguito delle risultanze del market test, ritenuti dall’AGCM idonei a rimuovere le preoccupazioni di carattere concorrenziale sulla base dei quali era stato avviato il procedimento.

Mediante il primo impegno, significativamente riformulato a seguito del market test, POLIECO ha riconosciuto l’assenza di una propria “esclusiva” nella raccolta dei contributi pregressi dovuti dagli operatori della filiera del PE inadempienti, proponendo di delineare assieme a Ecopolietilene modalità comuni di verifica e di regolarizzazione della situazione contributiva degli operatori della filiera del PE inadempienti, e rinunciando a far valere l’efficacia degli accordi attuali intercorrenti con le associazioni di categoria prima menzionate, a rinnovarli o a sottoscriverne di nuovi.

Con il secondo impegno, POLIECO proporrà la transazione delle cause che lo vedono opposto ad operatori della filiera del PE e aventi ad oggetto il mancato adempimento delle obbligazioni ambientali di cui al T.U.A., non discriminando tra i soggetti che intenderanno adempiere a tali obbligazioni mediante POLIECO ovvero tramite Ecopolietilene.

Con il terzo impegno, POLIECO ha proposto di far confluire tutte le somme raccolte a titolo di saldo dei contributi pregressi, tanto da POLIECO quanto da Ecopolietilene, in un fondo appositamente costituito nelle forme di un trust, conformemente alla legge 16 ottobre 1989, n. 364, destinato alla gestione di emergenze di carattere ambientale e sottoposto alla vigilanza di quattro ministeri (Ministero della Transizione Ecologica, Ministero dello Sviluppo Economico, Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, e Ministero della Salute).

Con il quarto impegno, infine, POLIECO si è vincolato a pubblicare sul proprio sito internet la totalità degli impegni presentati.

La presente decisione risulta particolarmente rilevante, specialmente con riguardo al terzo impegno. L’AGCM, infatti, ha evidenziato come la costituzione di un trust destinato alla gestione di emergenze ambientali nonché la definizione di corrette e trasparenti condizioni competitive di offerta dei servizi di compliance con la normativa posta a tutela dell’ambiente (che porterà verosimilmente ad una maggiore efficacia nell’attività di raccolta e riciclo di beni in PE svolta da POLIECO ed Ecopolietilene) mettano in atto una “…positiva ‘complementarietà’ tra gli interessi pubblici sottesi alle norme antitrust e l’interesse pubblico alla tutela dell’ambiente e della sostenibilità…”, dimostrando come un’efficace applicazione della disciplina antitrust possa contribuire al raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità ambientale.

Ignazio Pinzuti Ansolini

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Appalti, concessioni e regolazione / Processo amministrativo e rinvio pregiudiziale – Il Consiglio di Stato ha rimesso all’Adunanza Plenaria la valutazione sul se e sul quando sia possibile impugnare per revocazione una sentenza in caso di mancato rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia

Con l’ordinanza del 3 ottobre 2022 n. 8436, la sez. V. del Consiglio di Stato (CdS) ha rimesso all’Adunanza Plenaria la questione circa la possibilità di impugnare con revocatoria una sentenza del Consiglio di Stato che abbia omesso di pronunciarsi sull’istanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) avanzata da una delle parti.

La vicenda originava da una procedura di gara per l’affidamento della concessione di costruzione e gestione di alcune tratte autostradali, in cui uno dei partecipanti veniva escluso per carenza dei requisiti di capacità tecnica e, in particolare, per mancanza di una attestazione necessaria per l’esecuzione di lavori. La società esclusa partecipava alla gara come mandataria di un raggruppamento temporaneo di imprese (RTI) (a) in cui tutte le società mandanti, al contrario, erano munite di tale attestazione e (b) in cui la mandataria non svolgeva alcuna attività di esecuzione di lavori. In sede di appello, dopo il rigetto del ricorso contro l’esclusione da parte del TAR Lazio, veniva sollevato – tra le varie censure – anche la violazione del diritto dell’Unione Europea e la conseguente necessità di rinvio pregiudiziale alla CGUE nella misura in cui, in asserito contrasto con i principi europei che vieterebbero irragionevoli restrizioni delle condizioni di partecipazione alle gare, venivano richiesti a tutti i componenti dell’RTI i requisiti propri della sola impresa esecutrice di lavori.

A tal proposito, con la sentenza del 19 aprile 2021 n. 3134, il CdS aveva respinto l’appello e, pur affrontando il tema della compatibilità con il diritto europeo, si era pronunciato su un punto diverso da quello sollevato dall’operatore, mancando dunque di affrontare il tema della legittimità del requisito della capacità tecnica imposto a tutti i membri dell’RTI. Per tale ragione, la società esclusa impugnava con revocazione la sentenza del CDS, lamentando un errore di fatto revocatorio nella parte in cui il CdS aveva omesso di pronunciarsi sul profilo sollevato.

In primo luogo, il CdS ha rilevato che, tradizionalmente, il fraintendimento incorso dal giudice si qualificherebbe come errore di diritto e, come tale, non soggetto al rimedio della revocazione; in senso opposto, si è rilevato che secondo un più recente orientamento l’omessa pronuncia sulla richiesta di rinvio pregiudiziale, conseguente ad una errata interpretazione del motivo sollevato dal ricorrente, potrebbe qualificarsi come errore revocatorio e, si aggiunge, ad analoga soluzione potrebbe anche giungersi nel caso in cui, a fronte di una istanza di rinvio pregiudiziale, la sentenza sia stata completamente silente sul punto.

In secondo luogo, il Cds ha richiamato la giurisprudenza europea in merito alla necessaria effettività dei rimedi giurisdizionali interni in caso di violazione del diritto europeo e ha sottolineato l’irragionevolezza dell’orientamento tradizionale che, a fronte di una violazione del diritto UE per violazione dell’obbligo di rinvio pregiudiziale, ammette la possibilità di procedere con una azione risarcitoria nei confronti dello Stato – caratterizzato da una certa lungaggine e da un ristoro necessariamente solo parziale, ma al contempo, esclude la possibilità di esercitare il rimedio revocatorio, più rapido ed efficace.

In conclusione, la sez. V del CdS ha invitato l’Adunanza Plenaria a precisare se, e a quali condizioni, l’omissione del giudice di pronunciarsi sull’istanza di rinvio alla CGUE formulata da una delle parti in causa sia qualificabile come omissione di pronuncia dovuta ad errore di fatto con conseguente ammissibilità della revocatoria.

Enrico Mantovani

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