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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della Concorrenza – Europa / Aiuti di stato e settore fiscale – L’AG Pikamäe presenta le sue conclusioni circa il metodo di analisi della selettività di un aiuto di Stato in materia fiscale

Il 29 settembre scorso, l’Avvocato Generale Pikamäe (AG) ha presentato le proprie conclusioni nelle cause riunite C 649/20 P, C 658/20 P e C 662/20 P dinanzi alla Corte di Giustizia, aventi ad oggetto le impugnazioni proposte rispettivamente dalla Spagna, dalla Lico Leasing SA e Pequeños y Medianos Astilleros Sociedad de Reconversión SA e dalla Caixabank SA e a. (le Ricorrenti) contro la sentenza del Tribunale dell’Unione europea (il Tribunale) del 23 settembre 2020, che a sua volta confermava la decisione 2014/200/UE della Commissione europea (la Commissione), del 17 luglio 2013, relativa al regime di spagnolo aiuti SA.21233 C/11 (regime spagnolo di tax lease).

Il regime in questione – destinato inter alia ad agevolare la costruzione di navi e il loro acquisto da parte di compagnie di trasporto marittimo - concedeva alle compagnie di trasporto marittimo la possibilità di acquistare navi costruite da cantieri navali spagnoli beneficiando di prezzi ridotti del 20-30%. Secondo la Commissione, tale sistema fiscale consentiva allo Stato spagnolo di erogare agli operatori vantaggi economici selettivi, e in quanto tale risultava in violazione degli art. 107 ss. TFUE. Nello specifico, la natura selettiva del regime spagnolo di tax lease sarebbe stata desumibile, secondo la Commissione, dall’ampio potere discrezionale in capo all’amministrazione fiscale spagnola nel concedere i benefici fiscali de quo sulla base di condizioni imprecise – elemento ritenuto di per sé sufficiente a rendere il regime spagnolo di tax lease selettivo nel suo complesso.

L’argomento principale delle Ricorrenti verte attorno all’assenza, nella valutazione in merito alla asserita selettività dell’accordo in questione, della c.d. analisi in tre fasi. Al fine di concludere a favore della selettività del regime in esame, secondo le Ricorrenti la Commissione avrebbe infatti dovuto (i) individuare il regime tributario comune, rispetto al quale l’asserito aiuto di Stato avrebbe costituito una deroga; (ii) valutare se la misura interessata presentasse un carattere selettivo in quanto introduttiva di differenze fra operatori che si trovano in una situazione fattuale e giuridica analoga; (iii) esaminare se lo Stato membro avesse dimostrato che tale misura era giustificata dalla natura o dalla struttura del sistema in cui si inserisce. L’assenza di tale analisi, secondo le Ricorrenti, avrebbe dovuto essere censurata dal Tribunale in sede di impugnazione e condurre all’annullamento della decisione.

Ad avviso dell’AG, un’analisi inclusiva della determinazione del quadro fiscale comune sub (i), quale quella evidenziata dalle Ricorrenti, non risulta giustificata nel caso di specie, risultando necessaria solo al fine di individuare l’eventuale presenza di un dispositivo derogatorio al regime impositivo applicabile a tutte le imprese rientranti nel suo ambito di applicazione. Tuttavia, ove si accerti – come nel caso di specie - che l’amministrazione fiscale gode di un potere discrezionale ai sensi della normativa nazionale vigente, l’esercizio di un siffatto potere non potrà che derogare necessariamente a qualsiasi quadro di riferimento precedentemente stabilito. In tal caso, quindi, il metodo di analisi prospettato dalle Ricorrenti risulta superfluo.

In secondo luogo, le Ricorrenti contestano le valutazioni del Tribunale circa l’effettiva sussistenza di un potere discrezionale in capo all’amministrazione fiscale nella concessione i benefici fiscali di cui al regime spagnolo di tax lease. Anche su tale profilo, l’AG si attesta sulla stessa posizione già adottata dalla Commissione. Segnatamente, l’AG rileva che il sistema fiscale spagnolo di tax lease si basava sull’ottenimento di un’autorizzazione preventiva, la quale risultava peraltro subordinata a criteri vaghi, che esigevano un’interpretazione da parte dell’amministrazione fiscale, la quale non aveva tuttavia pubblicato orientamenti sul punto. In aggiunta - evidenzia l’AG - l’amministrazione fiscale poteva non solo concedere o respingere l’autorizzazione, ma anche fissare l’inizio dell’ammortamento ad una data diversa da quella proposta dal soggetto passivo, senza ulteriori precisazioni. Ne conseguiva un potere discrezionale significativo in capo all’amministrazione fiscale.

In terzo luogo, le Ricorrenti contestano l’importo che la Commissione ha imposto in sede di recupero, allegando di aver beneficiato unicamente del 10-15% del vantaggio derivante dal regime spagnolo di tax lease, mentre il resto sarebbe stato trasferito ad altri operatori economici. Il Tribunale aveva rigettato il motivo di ricorso, sostenendo che, poiché tali operatori non erano stati considerati dalla Commissione come beneficiari dell’aiuto, l’argomento non poteva assumere rilievo in sede di impugnazione. Ad avviso dell’AG, la sentenza del Tribunale sul punto risulta affetta da un vizio di motivazione, non essendo il rilievo del Tribunale sufficiente per rigettare l’argomento sollevato dalle Ricorrenti.

La declinazione della disciplina degli aiuti di stati in materia fiscale è da tempo al vaglio della giurisprudenza europea. Si richiama a questo proposito la sentenza del 2020 del Tribunale dell’UE nel caso del tax ruling concesso dall’Irlanda a beneficio di Apple, la cui impugnazione è tuttora pendente davanti alla Corte di Giustizia.

Le conclusioni dell’AG qui in rilievo mirano a fornire ulteriori chiarimenti circa l’applicazione del criterio della selettività in materia di misure di natura fiscale. Sarà interessante vedere quale posizione assumerà la Corte di Giustizia nel caso qui in esame.

Alessandro Canosa

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Monopoli legali e settore dell’energia – Secondo l’AG Rantos il monopolio legale della Romania sul commercio di energia elettrica a lungo termine non viola le norme dell’UE

Lo scorso 29 settembre, l’Avvocato generale Rantos (l’AG) ha rassegnato le proprie conclusioni volte a chiarire se il Regolamento (UE) 2019/943, che definisce i principi e le regole fondamentali per conseguire gli obiettivi dell’Unione dell’energia e il quadro 2030 delle politiche per l’energia e il clima, come interpretato alla luce della Direttiva (UE) 2019/944 relativa a norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica, vieti ad uno Stato membro di assegnare una sola licenza per l’organizzazione e la gestione dei mercati centralizzati per l’energia e quindi, in ultima analisi se impongano di porre fine a un monopolio legale già esistente. Inoltre, l’AG esprime il suo parere sull’applicazione dei principi di libera concorrenza agli stessi gestori del mercato dell’energia che operano in regime di monopolio.

Le conclusioni in commento originano dalla domanda di pronuncia pregiudiziale sollevata dalla Corte d’appello di Bucarest nell’ambito della controversia tra la Bursa Română de Mărfuri SA (BRM) e l’autorità dell’energia elettrica rumena in merito al rifiuto di quest’ultima di rilasciare alla BRM una licenza per l’organizzazione e gestione dei mercati centralizzati di energia elettrica. Più precisamente, la legge rumena prevede il rilascio di una sola ed unica licenza per un gestore del mercato dell’energia elettrica (e nel caso di specie già assegnato alla società OPCOM concorrente) il quale, in conformità con la normativa nazionale, è abilitato a stipulare contratti che prevedono la fornitura di energia elettrica lo stesso giorno o il giorno seguente (c.d. transizioni a breve termine) o a scadenza più lunga (c.d. transizione a lungo termine).

L’AG analizza le norme europee che disciplinano il mercato dell’energia elettrica e nota come il Regolamento (CE) 2015/1222 relativo alla nomina dei gestori del mercato elettrico preveda al suo interno (in particolare nell’articolo 5, para. 1, n. 1), una deroga che consente agli Stati membri di conservare un regime di monopolio nazionale legale specificatamente per i servizi di negoziazione del giorno prima e infra-giornalieri dell’energia elettrica. Secondo l’AG, mentre il mantenimento di un monopolio legale sarebbe pacifico per le c.d. transizioni a breve termine, in nessun altro senso si esprimono le norme europee quanto alla legittimità di un monopolio legale per le c.d. transizioni a lungo termine lasciando aperta la questione. Allo stato delle cose, non solo le società nazionali rumene ma anche le società di altri Stati membri vedrebbero precluso il loro accesso nel mercato a lungo termine in Romania e una tale situazione potrebbe essere analizzata sotto il profilo della violazione del più ampio principio della libertà di stabilimento. Tuttavia, quest’ultima questione non rientra tra quelle sollevate dal giudice del rinvio (che si focalizzano solo sull’interpretazione del Regolamento) e, pertanto, l’AG suggerisce che la Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE) non dovrebbe pronunciarsi in merito in quanto non dispone di elementi a sufficienza a tale fine.

Ciò premesso, poiché l’interpretazione della normativa dell’UE relativa ai mercati dell’energia elettrica non è comunque risolutiva in senso di vietare una siffatta attribuzione, l’AG ritiene di poter concludere che il Regolamento non impedisca ad uno Stato membro di conservare un regime di monopolio legale per i servizi di energia elettrica a lungo termine.

Quanto alla seconda questione, ovvero se i principi di libera concorrenza si applichino anche agli stessi gestori del mercato dell’energia che operano in regime di monopolio (nella fattispecie, la società OPCOM titolare dell’unica licenza disponibile ai sensi del diritto rumeno), secondo l’AG, i numerosi riferimenti incrociati del Regolamento con la Direttiva 2019/944 non ostano a una tale estensione e pertanto è pacifica la loro applicazione anche a tali soggetti.

In conclusione, il regime di monopolio legale della Romania sul commercio di energia elettrica sia a breve termine, sia a lungo termine non viola le norme dell’UE, non essendo possibile trarre da queste ultime alcuna conclusione definitiva in materia. Sarà ora interessante osservare se la CGUE seguirà tali conclusioni dell’AG.

Maria Spanò

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Appalti, concessioni e regolazione / Appalti e inversione procedimentale – Il Consiglio di Stato ha precisato che, anche in caso di c.d. inversione procedimentale, i concorrenti ad una gara devono dichiarare il possesso dei requisiti al momento della presentazione della domanda di partecipazione

Con la sentenza del 27 settembre 2022 n. 8336, la sez. V. del Consiglio di Stato (CdS) ha ritenuto che i concorrenti sono tenuti a dichiarare il possesso dei requisiti di partecipazione previsti dalla lex specialis, ovvero di non trovarsi in una delle situazioni previste come cause di esclusione dall’art. 80 d.lgs. n. 50 del 2016 (Codice degli Appalti), sin dal momento della presentazione della domanda di partecipazione, non rilevando che si tratti di una gara che si svolga con la c.d. inversione procedimentale, con la conseguenza che anche in tali ipotesi non è consentito agli operatori economici di rendere la dichiarazione sul possesso dei requisiti generali di partecipazione in un momento successivo.

Come noto, l’istituto della inversione procedimentale è prevista all’art. 133, comma 8, del Codice degli Appalti, secondo cui, nelle procedure aperte - ove venga previamente specificato nel bando di gara o nell’avviso di indizione – le stazioni appaltanti hanno la facoltà di procedere alla verifica dell’idoneità degli offerenti e del rispetto dei requisiti di partecipazione, dopo la verifica delle offerte. In altri termini, a differenza di quanto accade in una procedura ordinaria, la verifica dei requisiti di partecipazione segue e non precede la valutazione delle offerte; naturalmente, il possesso di tali requisiti rimane essenziale al fine di ottenere l’aggiudicazione, verificandosi solamente un’inversione delle fasi di verifica previste del procedimento ordinario.

La questione posta al giudice amministrativo verte dunque sull’identificazione del momento in cui l’operatore economico fosse tenuto a dichiarare il possesso dei requisiti di partecipazione richiesti dalla legge di gara nonché l’assenza di cause di esclusione, contrapponendosi due tesi: la prima secondo cui, tale dichiarazioni dovessero avvenire al momento della presentazione della domanda (come avviene ordinariamente) ovvero, secondo la seconda tesi, in un momento successivo, e in particolare, solo al momento dell’aggiudicazione.

La vicenda originava da una procedura di gara indetta da Trenitalia S.p.A. per l’affidamento del “Servizio di vigilanza armata, con l’ausilio di unità cinofila, presso impianti ferroviari di Milano”, in cui uno dei partecipanti, sulla base del fatto che trovasse applicazione l’inversione procedimentale, aveva omesso di dichiarare al momento della domanda di partecipazione (a) di essere stata sanzionata dall’Autorità Garante della Concorrenza per aver preso parte ad una intesa restrittiva della concorrenza nonché (b) una condanna in sede penale contro l’amministratore delegato per alcuni gravi reati. A seguito di alcune richieste di chiarimenti effettuati dalla stazione appaltante, che così apprendeva dell’esistenza di tali pregressi illeciti professionali, veniva disposta l’esclusione del concorrente.

L’operatore escluso prima impugnava il provvedimento di esclusione davanti al TAR Lombardia che rigettava integralmente il ricorso e, successivamente, proponeva appello avverso detta sentenza al CdS, sulla base di plurimi motivi.

Per quanto qui interessa, il CdS in primo luogo ha ritenuto che, come anticipato, l’applicazione dell’inversione procedimentale non consente di derogare alla regola generale secondo cui le dichiarazioni sul possesso dei requisiti devono essere effettuate al momento della domanda di partecipazione, argomentando sulla base di due profili, letterale e sistematico: in primo luogo, si osserva che non solo l’art. 133 nulla prevede sul punto della presentazione delle domanda (occupandosi solo del momento della verifica) ma che esso tantomeno deroga all’applicazione dell’art. 85 del Codice degli Appalti che disciplina il contenuto del documento di gara unico europeo (DGUE), secondo il quale, appunto, al momento della presentazione della domanda di partecipazione ad una procedura di gara gli operatori economici devono dichiarare il possesso dei requisiti di partecipazione. Pertanto, in assenza di una deroga espressa, si ritiene debba applicarsi la regola generale.

In secondo luogo, si osserva che l’adesione alla tesi opposta sarebbe stata irragionevole e contraria ai principi di efficienza, in quanto avrebbe imposto all’amministrazione aggiudicatrice di richiedere al concorrente la presentazione della dichiarazione sul possesso dei requisiti solo in un momento successivo alla verifica delle offerte, in quanto, prima di tale fase, tale documentazione sarebbe stata legittimamente assente. Ad avviso del CdS, in tale ipotesi, si darebbe luogo ad un allungamento dei tempi procedimentali, in contrasto con la ratio dell’istituto dell’inversione procedimentale, funzionale proprio ad accelerare e semplificare la procedura di gara.

In conclusione, anche in caso di inversione procedimentale, il partecipante è tenuto a dichiarare il possesso dei requisiti di partecipazione, ovvero la presenza di una causa di esclusione ex art. 80 del Codice degli Appalti, sin dal momento della presentazione della domanda di partecipazione; in secondo luogo, che la stazione appaltante può procedere alla verifica di tali requisiti (e dunque eventualmente pronunciare l’esclusione) anche prima di giungere alla fase di verifica dei requisiti generali.

Per completezza si segnala che il Consiglio di Stato, pur non aderendo alla tesi prospettata dal ricorrente sul punto qui esaminato, ha accolto l’appello su altri profili, in particolare aderendo ad un noto precedente orientamento che non ammette l’automaticità dell’esclusione in caso di omessa dichiarazione di illeciti professionali, imponendo sempre una valutazione (e relativa motivazione) circa l’impatto di tali elementi sull’integrità e affidabilità del partecipante. Valutazione che, nel caso di specie, era del tutto assente.

Enrico Mantovani

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