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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza – Europa / Abuso di posizione dominante e settore digitale – Il Tribunale dell’UE conferma la decisione della Commissione del 2018 relativa a Google Android

Con la sentenza dello scorso 14 settembre nella causa T-604/18, accompagnata da un esteso comunicato stampa , il Tribunale dell’Unione Europea (il Tribunale) ha confermato la legittimità della decisione della Commissione Europea (la Commissione) di sanzionare Google LLC e Alphabet, Inc. (congiuntamente, Google) per un abuso di posizione dominante nel settore dei motori di ricerca (caso AT.40099, Google Android). La Commissione tuttavia ha accolto le censure di merito sollevate da Google rispetto a una parte delle condotte contestate, riducendo la sanzione complessiva da 4.343 a 4.125 miliardi di euro.

Con la decisione impugnata, la Commissione aveva accertato la responsabilità di Google per aver attuato una complessa strategia abusiva a partire dal 2011 al fine di estendere la propria posizione di dominanza nel mercato dei motori di ricerca, all’epoca consolidata con riferimento alle ricerche effettuate tramite PC, anche al settore - in quel momento storico ancora nascente - delle ricerche effettuate mediante smartphone. Tale strategia si sarebbe concretizzata nell’imposizione ai produttori di smartphone di una serie di condizioni contrattuali, quali: (i) l’obbligo di pre-installare le applicazioni di ricerca generica (Google Search) e di navigazione (Chrome) come condizione per poter ottenere da Google una licenza per installare il negozio di Google per scaricare le app, ossia il Google Play Store; (ii) la concessione delle licenze operative necessarie alla preinstallazione delle applicazioni Google Search e Play Store a condizione che il produttore interessato installasse sui propri apparecchi unicamente versioni del sistema operativo Android approvate da Google; e soprattutto, per quanto rileva in questa sede, (iii) la previsione di revenue share agreements con il quale si riconosceva la condivisione di una parte degli introiti pubblicitari di Google con i produttori di dispositivi mobili subordinatamente all’impegno, da parte di questi ultimi, a rinunciare alla preinstallazione di un servizio di ricerca generica concorrente con quelli offerti da Google.

Tra i numerosi spunti degni di rilievo offerti della sentenza, si evidenziano in questa sede due temi affrontati dal Tribunale. Il primo concerne la censura avanzata da Google contro la definizione proposta dalla Commissione del mercato dei sistemi operativi. Invero, con la decisione impugnata la Commissione aveva circoscritto il mercato rilevante ai soli sistemi operativi offerti in licenza. Restavano dunque esclusi dal perimetro tracciato dalla Commissione i sistemi operativi proprietari, come ad esempio lo iOS di Apple, i quali, essendo utilizzati in via esclusiva dagli stessi operatori verticalmente integrati che li avevano sviluppati, non risultavano secondo la Commissione sostituibili rispetto ai sistemi operativi oggetto di licenza. Sul punto Google aveva rilevato che, se è vero che tra le due classi di sistemi operativi non esiste una relazione di sostituibilità a livello di produttori di device, esiste tuttavia una pressione concorrenziale indiretta esercitata dai consumatori e dagli sviluppatori di app, entrambi fortemente sensibili alla qualità dei sistemi operativi. Il Tribunale analizza dunque l’argomento avanzato da Google, osservando come la Commissione ha già dato rilievo a tale profilo all’interno del c.d. SSNDQP test – ossia una valutazione della sensibilità dei consumatori e degli sviluppatori di app rispetto a un decremento lieve ma non insignificante della qualità del prodotto interessato - strumento metodologico cui il Tribunale dà il proprio avallo, pur riconoscendone l’incapacità ad offrire risultati quantitativamente precisi. A fondamento della conclusione della Commissione – e contro la tesi di Google circa la significatività del sistema operativo come driver delle scelte di consumo - secondo il Tribunale devono aggiungersi le difficoltà tecniche e le barriere economiche che questi incontrano nel passaggio da un sistema operativo a un altro che renderebbero (il condizionale è d’obbligo) non rilevante tale tipo di pressione concorrenziale. Su tali basi, il Tribunale respinge la tesi di Google e conferma la valutazione della Commissione in materia di mercati rilevanti.

Un ulteriore punto oggetto di analisi concerne la natura asseritamente abusiva dei revenue share agreements. Il Tribunale – richiamandosi diffusamente alla giurisprudenza Intel – premette che, al fine di sostenere l’abusività di una pratica escludente quale quella contestata, la Commissione ha l’onere di svolgere un’analisi della capacità della condotta in esame di restringere la concorrenza basata sui meriti alla luce dell’insieme delle circostanze rilevanti, tra cui: (i) il livello di copertura del mercato da parte della pratica, nonché (ii) la sua idoneità a escludere concorrenti almeno altrettanto efficaci (c.d. as efficient competitor (AEC) test). In punto di fatto, il Tribunale condivide la lamentela di Google, ritenendo che l’analisi condotta dalla Commissione per entrambi i profili sia viziata.

Quanto alle quote di mercato interessate dalla condotta, il Tribunale evidenzia come la Commissione abbia preso in esame una serie di dati (quali ad esempio la percentuale dei device di operatori vincolati dai revenue share agreements venduti nel periodo di vigenza degli accordi rispetto al totale dei device venduti nello stesso periodo) che riguardavano mercati diversi dal mercato rilevante dei motori di ricerca come definito dalla stessa Commissione (comprendente sia ricerche da PC, sia da smartphone). Ove la Commissione avesse preso in esame i dati corretti, ossia la quota di ricerche su dispositivi fissi e mobili imputabile alla pratica, avrebbe constatato la portata scarsamente significativa (circa il 5% del mercato) della condotta in esame. Quanto alla conduzione dell’AEC test, il Tribunale ha ritenuto viziata la ricostruzione del ‘concorrente altrettanto efficiente’ offerta dalla Commissione, in quanto quest’ultima avrebbe, inter alia: (i) sovrastimato i costi sostenuti da Google e quindi indebitamente compresso i margini di un concorrente altrettanto efficiente; (ii) sottostimato la quota di mercato contestabile da parte di tale concorrente ipotetico; (iii) omesso di replicare a una serie di argomenti avanzati da Google circa la maggiore redditività sul piano pubblicitario degli smartphone di nuova generazione. Riscontrando i vizi di cui sopra, il Tribunale annulla in parte qua la decisione della Commissione.

Al netto di tale ultimo profilo, la sentenza in commento conferma in larga parte l’impostazione della Commissione, di estremo rilievo soprattutto in considerazione della prevista espansione dell’influenza del sistema operativo Android nel contesto del c.d. internet of things. Sul tema dei mercati rilevanti, è di particolare interesse (anche alla luce dei possibili sviluppi futuri) l’argomento avanzato da Google secondo cui la concorrenza con Apple sussisterebbe, oltre e in aggiunta al piano dei singoli mercati, a livello di ecosistemi. Non resta che vedere quale posizione assumerà in materia la Corte di Giustizia in occasione del verosimile appello proposto da Google.

Alessandro Canosa

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Aiuti di stato e regole di procedura – L’Avvocato Generale Szpunar fa luce sulla persistenza dello status di interveniente

Con le sue conclusioni, l’Avvocato generale Szpunar (AG) si pronuncia sulla questione della persistenza dello status di interveniente a seguito del rinvio operato dalla Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE) al Tribunale dell’Unione europea (il Tribunale) nonchè sull’interpretazione di alcune delle norme procedurali relative alla ricevibilità delle impugnazioni.

Le conclusioni dell’AG si inseriscono in una intricata vicenda processuale che ha avuto inizio nel 2016, anno in cui il Regno del Belgio e la Magnetrol International NV (la Magnetrol) avevano proposto ricorso innanzi al Tribunale per l’annullamento della decisione della Commissione europea con cui veniva dichiarato incompatibile con le norme del mercato interno sugli aiuti di Stato il regime di esenzione fiscale previsto dal Regno del Belgio (la Decisione) a favore di una serie di gruppi multinazionali, tra cui Magnetrol. Nel 2019, il Tribunale aveva annullato la decisione ma successivamente, a seguito dell’impugnazione proposta dalla Commissione, la CGUE annullava parzialmente la sentenza e rimetteva con rinvio il caso al Tribunale per una nuova pronuncia sul caso (il Rinvio).

Al fine di sostenere le motivazioni del ricorso presentato dal Regno del Belgio e da Magnetrol, molte delle società coinvolte nella Decisione sono intervenute nei procedimenti sia in sede di appello sia dinanzi alla CGUE, assumendo in questo modo lo status di interveniente. Tuttavia, dopo il Rinvio e con l’inizio di un nuovo procedimento, la cancelleria del Tribunale aveva inviato una lettera alle intervenienti con cui le informava dell’impossibilità di includere nel fascicolo le loro osservazioni in quanto una tale possibilità non è contemplata dal regolamento di procedura del Tribunale. In questo modo, il Tribunale sostanzialmente negava alle intervenienti di esercitare il loro diritto di intervento nell’ambito del Rinvio.

La questione della continuità dello status di interveniente riconosciuto dinanzi alla CGUE nella fase del procedimento di rinvio è direttamente connessa all’interpretazione dell’articolo 217, paragrafo 1, del regolamento di procedura del Tribunale, che disciplina il procedimento di rinvio a seguito di un annullamento. Nell’esaminare la questione, l’AG confronta sia i regolamenti di procedura del Tribunale e della CGUE, sia la giurisprudenza in materia alla ricerca di una soluzione conforme ai principi di economia processuale:

a) nell’analisi dei regolamenti di procedura del Tribunale e della CGUE l’AG constata che (i) ai sensi dell’articolo 217, paragrafo 1, del regolamento di procedura del Tribunale, “le parti ammesse ad intervenire nel procedimento di merito dinanzi al Tribunale sono autorizzate a intervenire nel procedimento di rinvio”; per contro, (ii) ai sensi dell’articolo 172 del regolamento di procedura della CGUE, “le parti intervenute nel merito dinanzi al Tribunale possono intervenire nel procedimento di impugnazione a condizione che vi abbiano interesse”;

b) con riferimento alla giurisprudenza sul punto l’AG ravvisa che sono molti i precedenti che confermano la continuità dello status di interveniente anche a seguito del rinvio operato dalla CGUE al fine di favorire il contraddittorio e il principio di buona amministrazione della giustizia e sottolinea che tutte le altre soluzioni che si pronunciano in senso contrario erano giustificate da un mutamento dell’interesse sotteso all’intervento nella causa di riferimento.

L’AG quindi rileva che la base del diritto di intervento è costituito dall’interesse dell’interveniente alla soluzione della controversia, sottolineando la continuità funzionale che esiste tra il procedimento di impugnazione e il successivo procedimento di rinvio. Su queste premesse, l’AG, con una valutazione di buon senso, ritiene che anche nell’ipotesi di un annullamento parziale della decisione del Tribunale da parte della CGUE seguito da un rinvio, la parte ammessa in sede di impugnazione dovrebbe conservare, in linea di principio, la propria legittimazione ad intervenire, in quanto l’interesse che essa ha all’esito dell’impugnazione rimane attuale fino alla decisione definitiva della causa. Tuttavia, chiarisce l’AG, tale status non è permanente e quindi non è mai acquisito in modo definitivo poiché ben potrebbero intervenire circostanze idonee a mutare o far venir meno l’interesse dell’interveniente alla soluzione della controversia.

Maria Spanò

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Aiuti di Stato e imposta sul reddito delle società – La Corte di Giustizia ha stabilito che l’applicazione di disposizioni nazionali mirate ad evitare una doppia imposizione non osta all’effettivo recupero di un aiuto di Stato illegittimo

Con la sentenza pubblicata lo scorso 15 settembre, la Corte di Giustizia dell’Unione europea (CGUE) si è pronunciata sul rinvio pregiudiziale promosso dal Tribunale per le imposte sul reddito di Gibilterra (il Tribunale) in occasione dell’azione di recupero di un aiuto di Stato dichiarato illegittimo dalla Decisione della Commissione 2019/700 (la Decisione).

In particolare, la Decisione ha riconosciuto che la normativa fiscale di Gibilterra sulla tassazione dei redditi delle società vigente dal 2011 al 2013 (l’Income Tax Act o ITA) avesse favorito a priori in maniera selettiva alcuni tipi di società, ossia le multinazionali, in quanto non prevedeva l’imposizione dei redditi derivanti dagli interessi da prestiti infragruppo e dalle royalties, indipendentemente dalla fonte del reddito o dall’applicazione del principio di territorialità. Di conseguenza, è sorto in capo al Regno Unito l’obbligo di recuperare tutti gli aiuti concessi con tale regime fiscale.

Nel caso di specie, la controversia dinanzi al giudice del rinvio riguardava Fossil (Gibraltar) Limited, la controllata del gruppo multinazionale di moda Fossil Group Inc. (Fossil) stabilita nel territorio di Gibilterra. Fossil, infatti, aveva generato reddito tramite royalties nel periodo sopraindicato ed era stata individuata tra i beneficiari del regime fiscale controverso. Tuttavia, l’importo dell’ordine di recupero inviato alla società dalle autorità locali non teneva conto di un possibile adeguamento offerto dalla normativa fiscale nazionale allora vigente. Infatti, la totalità delle royalties di Fossil era stata tassata negli Stati Uniti e l’articolo 37 dell’ITA prevedeva uno sgravio fiscale per evitare la doppia imposizione su redditi già tassati all’estero fino a concorrenza dell’importo minore tra l’imposta dovuta nel territorio di Gibilterra e quella dovuta nell’altro Paese. Dinanzi al ricorso di Fossil, il giudice del rinvio ha presentato il quesito se l’applicazione di tale riduzione d’imposta costituisca o meno una violazione della Decisione.

Premesso che il riconoscimento della sussistenza dei requisiti per l’applicabilità dello sgravio fiscale spetta unicamente al giudice nazionale, la CGUE ha valutato se tale misura comprometta l’effettivo recupero degli aiuti di cui era stato ordinato il recupero. Citando la propria giurisprudenza in materia, la CGUE ha stabilito che il giudice nazionale può considerare tutti gli elementi portati alla sua conoscenza; pertanto, è ben possibile che l’importo dell’ordine di recupero emesso dalle autorità nazionali sia legittimamente inferiore rispetto a quello individuato dalla Commissione, potenzialmente anche pari a zero. Inoltre, la ratio del ripristino dello status quo ante, la quale è intrinsecamente legata al tema dell’effettivo recupero, comporta la rimozione del solo trattamento più favorevole derivante da tale aiuto al fine di eliminarne la conseguente distorsione della concorrenza. Se è vero quindi che il requisito in questione implica necessariamente che uno Stato membro non possa eludere la portata di una decisione della Commissione adottando misure compensative volte a neutralizzarne le relative conseguenze, esso non può tuttavia impedire ai beneficiari di tali aiuti di avvalersi, in sede di recupero, delle riduzioni previste dal diritto nazionale (e che naturalmente non siano loro stesse aiuti di Stato) qualora sia comprovato che questi avevano effettivamente il diritto di fruirne al tempo in cui le operazioni sottese sono state concretamente realizzate.

Infine, con l’intento di fornire tutti gli elementi interpretativi utili al giudice del rinvio, la CGUE ha analizzato se la Decisione implichi che lo sgravio fiscale in questione possa costituire di per sé un aiuto di stato illegittimo. Ricordato che, a norma dell’articolo 107 TFUE, costituisce un aiuto di Stato un intervento con risorse statali a vantaggio selettivo di determinati beneficiari che sia idoneo ad incidere sul commercio tra Stati membri e a falsare il gioco della concorrenza, la riduzione d’imposta oggetto di questo commento non può essere considerata illegittima in quanto non fondata su parametri discriminatori, applicandosi a tutte le imprese. In aggiunta, la decisione in merito a quali siano le imposte estere che possono essere imputate al debito fiscale nazionale, e a quali condizioni, rientra nel potere discrezionale degli Stati membri di determinare le caratteristiche costitutive dell’imposta.

Pertanto, con tale sentenza la CGUE ha contribuito a delineare un importante principio in tema di effettività del recupero di un aiuto di stato illegittimo, stabilendo quindi che tale effettività non è compromessa dall’applicazione di una disposizione nazionale che mira ad evitare una doppia imposizione su redditi già tassati all’estero che fosse effettivamente applicabile al tempo in cui le operazioni sottese sono state realizzate.

Niccolò Antoniazzi

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Legal news / Intese e settore degli appalti pubblici – La Corte di Giustizia si pronuncia in materia di cause di esclusione di imprese dalle procedure di aggiudicazione di appalti

Lo scorso 15 settembre 2022, su rinvio operato dal Bayerisches Oberstes Landesgericht (la Corte Suprema bavarese), la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (la CGUE) si è pronunciata in via pregiudiziale in merito all’ambito di operatività di alcune previsioni contenute nelle Direttive 2014/24 e 2014/25 (congiuntamente, le Direttive) in materia di esclusione di imprese dalle procedure di aggiudicazione di appalti.

La controversia dalla quale è scaturito il rinvio pregiudiziale in rilievo attiene a un bando pubblicato nel 2019 da una pubblica amministrazione tedesca, soggetto alla disciplina prevista dalla Direttiva 2014/25. Alla procedura indetta per l’aggiudicazione dell’appalto avevano partecipato in via separata un commerciante, persona fisica che agiva in nome proprio, e una società a responsabilità limitata di cui la summenzionata persona fisica era amministratore e socio unico (congiuntamente, le Parti).

Nel 2020, le Parti venivano escluse dalla procedura in quanto le loro offerte risultavano redatte dalla stessa persona, in violazione della normativa antitrust tedesca che riproduce sostanzialmente la formulazione del divieto di intese restrittive della concorrenza di cui all’art. 101 TFUE. Secondo la stazione appaltante, consentire a due offerenti che costituiscono un’unità economica (come nel caso di specie) di partecipare ad una procedura di aggiudicazione di un appalto sarebbe incompatibile con gli interessi degli altri offerenti, ledendo il principio di parità di trattamento nonché le regole di concorrenza – tali offerenti, infatti, sarebbero evidentemente in grado di concordare le loro rispettive offerte.

Dopo un primo reclamo respinto, le Parti avevano adito con successo il Giudice amministrativo bavarese per domandare la reintegrazione delle proprie offerte nella procedura di aggiudicazione. Il rinvio alla CGUE scaturisce dal giudizio di appello promosso dalla pubblica amministrazione dinanzi alla Corte Suprema bavarese; esso è volto ad accertare (i) se le disposizioni delle Direttive che permettono di escludere dalle procedure di aggiudicazione di appalti anche quegli operatori economici sospetti di aver “sottoscritto accordi con altri operatori economici intesi a falsare la concorrenza” debbano necessariamente rispettare gli elementi costitutivi del divieto di intese restrittive della concorrenza di cui all’articolo 101 TFUE; e (ii) se le disposizioni delle Direttive che disciplinano i motivi di esclusione degli operatori economici dalle procedure di aggiudicazione di appalti debbano considerarsi esaustive oppure no.

Con riguardo alla prima questione, la CGUE ha affermato che la nozione di “accordi con altri operatori economici intesi a falsare la concorrenza” ha una portata più ampia del divieto di cui all’art. 101 TFUE, ricomprendendo anche accordi anticoncorrenziali che tecnicamente non rientrino nell’ambito di applicazione di tale articolo.

La CGUE al riguardo in primo luogo rileva che, sul piano letterale, nelle Direttive (i) non appare necessario che l’accordo coinvolga più “imprese” tra loro indipendenti, né (ii) che sia idoneo a pregiudicare il commercio tra gli Stati membri, come invece richiesto per l’applicazione del 101 TFUE; inoltre, (iii) la nozione di “impresa” di cui al diritto antitrust non è perfettamente sovrapponibile con quella di “operatore economico” di cui alle Direttive.

Inoltre, la CGUE, evidenzia che sul piano sistematico, mentre l’articolo 101 TFUE persegue l’obiettivo di reprimere accordi anticoncorrenziali e dissuadere le imprese dal compierli nuovamente, l’esclusione derivante dall’applicazione della Direttiva 2014/24 – in combinato con il Considerando 101 della medesima direttiva – perseguirebbe il diverso obiettivo di assicurare che non possano partecipare alle procedure di aggiudicazione di appalti operatori che siano considerati “inaffidabili”.

Tale interpretazione estensiva seguirebbe la giurisprudenza della medesima CGUE relativa ad un’altra ipotesi di esclusione facoltativa prevista nelle Direttive, vale a dire quella causata dalla commissione di “gravi illeciti professionali”; a questo proposito, infatti, secondo la CGUE anche tale norma dev’essere interpretata estensivamente nel senso che anche la violazione delle regole di concorrenza ben può essere annoverata tra le ipotesi di “gravi illeciti professionali” ivi sanzionate.

Con riguardo alla seconda questione posta dalla Corte Suprema bavarese, la CGUE ha affermato che – in continuità con la giurisprudenza relativa alla Direttiva 93/37 (corpus normativo precursore delle Direttive) l’elenco dei motivi facoltativi di esclusione previsti dalla Direttiva 2014/24 deve ritenersi esaustivo.

Tuttavia, e con un ragionamento - a dire la verità - non del tutto lineare, la CGUE ha ritenuto che, dal momento che l’intera disciplina comunitaria relativa alle procedure di aggiudicazione di appalti pubblici è permeata dal principio di parità di trattamento tra gli operatori partecipanti ad essa e dal principio di trasparenza, gli Stati membri possono comunque emanare norme sostanziali più rigide, volte a garantire il rispetto di tali principi (sempre nel rispetto del principio di proporzionalità).

Pertanto, allo stesso modo in cui, nel caso di offerte presentate da operatori collegati, le amministrazioni aggiudicatrici possono escludere dalle procedure quelle offerte che non siano state presentate in completa autonomia e indipendenza, lo stesso deve valere a fortiori laddove le offerte siano presentate da offerenti non semplicemente collegati tra loro ma costituenti (come nel caso di specie) un’unità economica.
Resta da vedere se, alla luce delle indicazioni fornite dalla CGUE, gli Stati membri si avvarranno della flessibilità concessa.

Ignazio Pinzuti Ansolini

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