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Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza – Europa / Concentrazioni e settore farmaceutico – La Commissione europea ha vietato l’operazione di acquisizione di GRAIL da parte di Illumina rigettando gli impegni presentati al fine di risolvere le preoccupazioni concorrenziali verticali


Con il press release dello scorso 6 settembre, la Commissione europea (la Commissione) ha comunicato di aver vietato l’operazione di acquisizione di GRAIL Inc. (GRAIL), azienda farmaceutica statunitense attiva nello sviluppo di test oncologici su base ematica basati sul c.d. sequenziamento genomico di nuova generazione (“next-generation sequencing”, NGS), da parte di Illumina Inc. (Illumina), anch’essa società farmaceutica americana, a sua volta attiva nella produzione e commercializzazione di sistemi NGS e dei servizi correlati (l’Operazione).

Ad avviso della Commissione, tale Operazione avrebbe comportato un serio impedimento all’innovazione tecnologica nonché ridotto sensibilmente la possibilità di scelta nel mercato dei test diagnostici precoci per l’individuazione del cancro basati sull’analisi ematica (i Test). Infatti, Illumina – in quanto principale fornitore di sistemi NGS in Europa – avrebbe avuto non solo la capacità ma anche l’incentivo di adottare strategie escludenti nei mercati a valle nei confronti delle società concorrenti di GRAIL. Tale comportamento ad avviso della Commissione avrebbe avuto un effetto restrittivo rilevante sulle dinamiche concorrenziali nel mercato a valle relative allo sviluppo e commercializzazione dei Test. In particolare:

i) per quanto concerne la capacità da parte di Illumina di adottare strategie preclusive nei confronti dei competitor di GRAIL, la Commissione ha sottolineato come i sistemi NGS di Illumina assurgano a ruolo di input necessario per lo sviluppo ed esecuzione dei Test in esame. Infatti, i produttori di tali Test necessitano di sistemi NGS ad alta produttività, accompagnati da un’affidabile network di supporto e da una solida esperienza sul campo. Sul punto, la Commissione ha sottolineato che, al momento attuale, solo i prodotti e servizi di Illumina soddisfano tali requisiti senza che, al contempo, esistano alternative credibili nel breve-medio termine, anche alla luce delle rilevanti barriere all’ingresso che caratterizzano il mercato a monte dei sistemi NGS;

ii) per quanto concerne, invece, gli incentivi che Illumina avrebbe avuto nell’adottare i succitati comportamenti preclusivi, la Commissione ha sottolineato che, mentre le vendite di sistemi NGS da parte di Illumina ai concorrenti di GRAIL rappresentano una piccola percentuale dei suoi profitti, il mercato dei test diagnostici basati sulla tecnologia NGS è destinato a vivere una sensibile e redditizia espansione nel breve termine (con un valore stimato di 40 miliardi di euro entro il 2035). Considerando questo enorme potenziale e la continua spinta concorrenziale nello sviluppo di tali Test, la Commissione ha ritenuto che Illumina avrebbe avuto un incentivo a precludere l’accesso ai propri sistemi NGS ai concorrenti di GRAIL, al fine di preferire i propri prodotti e garantirsi così i più ampi guadagni.

Al fine di dissipare le preoccupazioni avanzate dalla Commissione, Illumina ha presentato i seguenti impegni (gli Impegni), che tuttavia non sono stati considerati adeguati e sufficienti:

i) in primis, Illumina – al fine di ridurre le barriere all’ingresso del mercato dei sistemi NGS a monte – si è impegnata a garantire un accesso “libero” ad alcuni dei suoi brevetti e ad interrompere i contenziosi in materia in Europa e Stati Uniti contro la società BGI Genomics – anch’essa attiva nello sviluppo didi sistemi NGS – per un periodo di 3 anni. La Commissione, tuttavia, ha considerato tali azioni inadatte a garantire l’emergere di un’alternativa credibile a Illumina nel breve e medio termine. In particolare, l’accesso “libero” proposto da Illumina avrebbe avuto un impatto limitato, sia in quanto i brevetti interessati sarebbero scaduti a breve termine, sia perché Illumina possiede molti altri brevetti (non coperti dall’impegno in parola) di cui i concorrenti necessiterebbero per sviluppare un sistema NGS alternativo; e

ii) in secondo luogo, Illumina si è impegnata a concludere accordi di fornitura con i concorrenti di GRAIL basati su condizioni stabilite in un contratto standard e applicabili fino al 2033, in tal modo garantendo loro un accesso continuo ai propri sistemi NGS. La Commissione, tuttavia, ha ritenuto anche tale impegno inefficace, ed in particolare non in grado di affrontare tutte le possibili strategie preclusive che Illumina potrebbe adottare. In aggiunta, la Commissione ha altresì sottolineato come sarebbe stato facile per Illumina aggirare gli obblighi previsti dai suoi stessi Impegni e concedere un trattamento preferenziale a GRAIL.

Come detto, alla luce della ritenuta inadeguatezza degli Impegni presentati, la Commissione ha deciso di vietare l’Operazione.

In ultimo, le vicende procedurali dell’Operazione in esame meritano un breve richiamo, essendo stati al centro del recente dibattito sul c.d. merger control comunitario. Invero, sebbene l’Operazione non fosse soggetta a notifica alla Commissione, quest’ultima aveva avuto la possibilità di valutarla grazie ad una richiesta di rinvio effettuata da diversi Stati Membri dell’UE (come ad esempio Francia, Belgio, Grecia e Paesi Bassi, sebbene l’Operazione addirittura non soddisfacesse le soglie di fatturato previste dalle rispettive normative nazionali). Secondo l’interpretazione della Commissione dell’art. 22 del Regolamento comunitario sulle concentrazioni, l’Operazione, visto la sua portata globale, avrebbe inciso sugli scambi all’interno del mercato unico e, pertanto, il rinvio era appropriato.

Si noti altresì che la Commissione, in data 29 ottobre 2021, ha adottato misure cautelari nei confronti di Illumina, nonché avviato, in data 20 agosto 2021, un procedimento per gun jumping nei confronti della stessa, ancora pendente. Il motivo di ciò risiede nel fatto che il 18 agosto 2021 – pertanto nel pieno del procedimento avanti alla Commissione – Illumina ha comunicato pubblicamente di aver completato dell’Operazione, violando così il divieto di cd. standstill, che impone alle parti di un’operazione soggetta al merger control europeo di astenersi dal completarla prima di una pronuncia favorevole in tal senso.
In considerazione delle molteplici vicende che hanno caratterizzato questa operazione ai sensi del diritto europeo delle concentrazioni ci si attende che vi sarà un seguito davanti ai giudici lussemburghesi.

Luca Feltrin

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Aiuti di Stato e fabbisogno energetico – Il Tribunale dell’UE conferma la compatibilità con le norme del mercato interno dell’aiuto di Stato italiano sul cd. capacity market

Con le due sentenze pubblicate lo scorso 7 settembre, il Tribunale dell’UE (il Tribunale) si è pronunciato sui ricorsi presentati da Tirreno Power S.p.A. e Set S.p.A. (le Ricorrenti) volti ad annullare la decisione del 2019 della Commissione europea in cui aveva dichiarato compatibili con le norme in materia di aiuti di Stato le modifiche proposte dallo Stato italiano sui meccanismi sottesi al c.d. capacity market (CM).

La vicenda ha avuto origine nel 2018, quando lo Stato italiano, per far fronte al fabbisogno energetico del Paese, ha attuato il CM rendendolo potenzialmente accessibile a ogni tipologia di risorsa (e.g., sistemi di accumulo, unità di generazione e impianti di autoproduzione). Il meccanismo del CM è basato su una un’asta gestita dal gestore nazionale della rete di trasmissione (Terna), che prevede il rilascio delle c.d. “reliability options”: (a) ai vincitori della gara che siano fornitori di capacità esistente (le Capacità Esistenti) viene accordata una remunerazione fissa sotto forma di pagamento regolare in cambio dell’impegno di fornire l’elettricità per la durata di almeno un anno, mentre (b) ai vincitori fornitori di capacità nuove (le Capacità Nuove) tale termine poteva estendersi fino a un periodo di quindici anni.

Nel 2019, questo meccanismo veniva leggermente modificato in modo da poter adeguare tali previsioni al Regolamento del mercato interno dell’energia che sarebbe entrato in vigore di lì a poco (Regolamento (UE) 2019/943) (il Regolamento UE). In particolare, le principali modifiche introdotte dallo Stato italiano consistevano inter alia nel (i) fissare dei limiti in materia di emissioni di CO2 quale condizione preliminare alla partecipazione al CM; e (ii) nell’ampliare le condizioni di ammissibilità per le Capacità Nuove anche a favore dei fornitori non ancora in possesso delle autorizzazioni amministrative necessarie (le Capacità Nuove Non Autorizzate).

Con i ricorsi presentati, le Ricorrenti hanno sostenuto che la modifica intervenuta nel 2019 integrava una violazione dell’articolo 108, paragrafo 2, TFUE, in quanto l’ampliamento della cerchia dei partecipanti al mercato della capacità italiano modificato, la violazione dell’obiettivo di interesse comune perseguito mediante quest’ultimo e la mancata valutazione di alcune modifiche che sono state ad esso apportate rispetto alla decisione del 2018 avrebbero dovuto portare la Commissione a nutrire dei dubbi riguardo alla compatibilità del suddetto mercato della capacità con le norme del mercato interno. Quindi, la Commissione non avrebbe tenuto conto dello sfalsamento concorrenziale creato dall’ampliamento della cerchia dei partecipanti al mercato della capacità italiano modificato, non avrebbe analizzato nel dettaglio le modifiche intervenute e, infine, non avrebbe debitamente considerato che il CM violerebbe il principio della neutralità tecnologica. Sul punto, le Ricorrenti hanno sottolineato come l’ampliamento dei soggetti beneficiari del CM non sarebbe stato equo nei confronti delle Capacità Esistenti – i cui contratti erano previsti per una durata inferiore rispetto a quelle delle Capacità Nuove che possono beneficiare dei contratti dalla durata di 15 anni – soprattutto tenendo conto del fatto che il Regolamento UE avrebbe reso impossibile la conclusione di nuovi contratti di capacità oltre l’1 gennaio 2020 (con la conseguenza allo scadere dei due anni avrebbero partecipato al CM solo le Capacità Nuove e le Capacità Nuove Non Autorizzate).

Sul punto, il Tribunale riprende molte delle osservazioni e (in realtà puntuali) analisi effettuate già in precedenza dalla Commissione, anche in relazione alla durata dei contratti a favore delle Capacità Nuove. In particolare, ribadisce che tale vantaggio avrebbe rappresentato, invero, un incentivo sotto forma di copertura dei costi agli investimenti in nuovi impianti, incoraggiando quindi la conversione delle imprese con unità di produzione a carbone verso le rinnovabili. Inoltre, le preoccupazioni concorrenziali sarebbero state escluse anche dall’impegno preso dallo Stato italiano nel monitorare lo stato del CM, escludendo quindi ogni automatismo nel bando di nuove aste, le quali sarebbero state indette solo in caso di necessità di approvvigionamento – essendo il CM autorizzato fino al 31 dicembre 2028. Infine, il Tribunale ha analizzato anche il punto sollevato in merito alle condizioni di partecipazione delle Capacità Nuove Non Autorizzate, le quali sono regolamentate e limitative e destinate ad intervenire soltanto qualora la capacità necessaria non venga raggiunta da Capacità Esistenti o da Capacità Nuove autorizzate.

Il CM italiano è stato quindi giudicato uno strumento conforme alle norme europee in materia di aiuti di Stato e in linea con gli obiettivi di decarbonizzazione, ma non solo: infatti, tra i numerosi vantaggi sono stati riconosciuti la possibilità di garantire la corretta pianificazione degli investimenti e la garanzia circa il corretto funzionamento del sistema elettrico nazionale.

Maria Spanò

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Intese e settore petrolifero – l’AG Pitruzzella rassegna le proprie conclusioni in materia di valore probatorio in sede civile dell’accertamento di infrazioni del diritto della concorrenza dell’Unione Europea da parte di un’autorità nazionale antitrust

Lo scorso 8 settembre, l’Avvocato Generale (l’AG) Pitruzzella ha rassegnato le proprie conclusioni in merito al rinvio operato dal Juzgado de lo Mercantil di Madrid (il Juzgado), nella causa che vede opposti a Repsol SA (Repsol) diversi proprietari di stazioni di servizio in Spagna. Il rinvio è volto a ottenere chiarimenti relativamente al valore probatorio delle decisioni definitive delle autorità nazionali antitrust nel quadro delle azioni per il risarcimento del danno proposte a seguito (e sulla base) di accertate violazioni del diritto della concorrenza.

La vicenda trae origine da due decisioni adottate nel 2001 e nel 2009 dall’autorità antitrust spagnola, con le quali Repsol era stata condannata per aver adottato intese restrittive della concorrenza, consistenti, in particolare, nell’artificiale fissazione dei prezzi di rivendita dei carburanti. In virtù di alcune clausole contenute nei contratti stipulati da Repsol con i distributori di carburanti, la facoltà astrattamente conferita ai distributori di effettuare sconti di prezzo risultava, in concreto, puramente teorica. Sulla scia di tali due decisioni, pertanto, diversi distributori di carburante avevano adito i giudici spagnoli al fine di ottenere la dichiarazione di nullità dei contratti così stipulati (ai sensi dell’art. 101, paragrafo 2, del TFUE), nonché la condanna di Repsol al risarcimento dei danni derivanti dall’infrazione.

In via preliminare, l’AG Pitruzzella sottolinea come, diversamente da quanto affermato dal Juzgado nell’ordinanza di rinvio, la distinzione tra azioni “stand-alone” e “follow-on” non attenga alla natura delle azioni, di nullità da un lato, e di risarcimento del danno dall’altro, bensì al momento in cui viene intrapresa un’azione per ottenere il riconoscimento delle conseguenze giuridiche derivanti da una condotta lesiva del diritto antitrust (prima dell’accertamento da parte di un’autorità antitrust, nel caso delle azioni stand-alone; dopo tale accertamento, nel caso delle azioni follow-on).

Sempre in via preliminare, e richiamando la recente sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (la CGUE) resa nella causa C-267/20, già oggetto della presente Newsletter, l’AG Pitruzzella sottolinea come l’articolo 9, paragrafo 1, della Direttiva 2014/104/UE (la Direttiva) – che disciplina il valore probatorio delle decisioni di autorità nazionali antitrust – abbia natura sostanziale, e dunque, ai sensi dell’articolo 22, paragrafo 1, della Direttiva non si applica retroattivamente.

Dal momento che l’azione intentata dinanzi al Juzgado concerneva clausole contrattuali (i) stipulate, al più tardi, nel 2009 e (ii) di durata, al più, quinquennale, e che (iii) il risarcimento del danno veniva richiesto in relazione al periodo compreso tra il 1993 e il 2013 – dunque, ben prima dell’adozione della Direttiva e dello spirare del termine ultimo per il suo recepimento (fissato al 27 dicembre 2016) – secondo l’AG Pitruzzella alla data di scadenza del termine di recepimento della Direttiva la situazione giuridica fatta valere dalle parti attrici doveva ritenersi consolidata – donde, l’inapplicabilità dell’articolo 9, paragrafo 1, della Direttiva al caso di specie.

In merito alle questioni pregiudiziali, l’AG Pitruzzella sottolinea come spetti in linea di principio ad ogni Stato membro, nell’esercizio della sua autonomia procedurale, stabilire le concrete modalità di esercizio delle azioni di nullità e di risarcimento del danno derivanti da infrazioni della disciplina antitrust, ove sia assente una disciplina comune europea.

Tuttavia, tale autonomia – secondo giurisprudenza comunitaria consolidata – è limitata dai principi comunitari di equivalenza e di effettività, nonché dal principio della certezza del diritto. In particolare, il principio di effettività impone che, in relazione all’azione per il risarcimento del danno derivante da una violazione del diritto della concorrenza dell’Unione Europea, l’accertamento definitivo di quest’ultima compiuto da un’autorità nazionale antitrust abbia quantomeno un valore di indizio o principio di prova dell’esistenza di tale violazione, al fine di rafforzare la funzione deterrente dell’accertamento stesso.

Più precisamente, secondo l’AG Pitruzzella, i principi comunitari citati permettono che il valore di detto accertamento possa variare alla luce di cinque fattori: in particolare, esso avrà valore di prova prima facie – i.e. si avrà la presunzione che la violazione si sia verificata – ove l’azione di risarcimento del danno riguardi (i) i medesimi comportamenti, (ii) giuridicamente qualificati allo stesso modo, nonché (iii) la medesima area geografica interessata dall’infrazione; (iv) le stesse imprese protagoniste della stessa; e, infine, (v) il medesimo periodo oggetto della decisione dell’autorità nazionale. Diversamente, in assenza di anche solo uno di tali presupposti, l’accertamento avrà solo valore di indizio o di principio di prova: sicché, al fine di ritenere accertata la violazione della disciplina antitrust occorreranno anche altri elementi che lo corroborino.

In via conclusiva, l’AG Pitruzzella sottolinea che: le considerazioni svolte riguardino unicamente violazioni della disciplina antitrust europea, e non anche quella nazionale (per le significative differenze tra le normative nazionali degli Stati Membri), alle quali non sia applicabile la Direttiva; una normativa o una giurisprudenza nazionale – come quella citata dal Juzgado nell’ordinanza di rinvio – che neghi qualsiasi valore, anche solo indiziario, all’accertamento di un’infrazione della disciplina antitrust europea da parte di un’autorità nazionale straniera violi il diritto dell’Unione (in particolare, i principi di effettività e di certezza del diritto), impedendo il dispiegamento della piena efficacia (in questo caso) dell’articolo 101 TFUE.

Le presenti conclusioni chiariscono uno dei punti chiave per l’esperimento delle azioni follow-on per il risarcimento dei danni derivanti da violazioni della disciplina antitrust. Non resta ora che attendere la pronuncia della CGUE.

Ignazio Pinzuti Ansolini

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Diritto della concorrenza – Italia / Golden power e telecomunicazioni – Il TAR Lazio respinge il ricorso di Vivendi per l’annullamento della comunicazione con cui la Presidenza ha accertato la violazione degli obblighi di notifica ai sensi della normativa sui “Golden Power

In data 6 settembre 2022, il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (TAR Lazio) ha pubblicato la sentenza n. 11508/2022 (la Sentenza) con la quale ha respinto il ricorso presentato dalla società Vivendi Societé Anonime (Vivendi) contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri (la Presidenza) per l’annullamento della decisione del 28 settembre 2018 (la Decisione) con cui la Presidenza ha accertato gli obblighi di notifica ai sensi della normativa sui “Golden Power” nel confronti di Vivendi e Tim S.p.A. (TIM).

Prima di passare all’esame dei punti principali del ricorso di Vivendi (il Ricorso) e della Sentenza, è utile ripercorrere i punti fondamentali della vicenda. Nel luglio 2017, TIM rendeva noto che il suo consiglio di amministrazione aveva preso atto dell’inizio dell’attività di direzione e coordinamento da parte di Vivendi. Non essendo pervenuta alcuna notifica ai sensi del decreto-legge n. 21 del 2012 sui c.d. golden power (la Normativa GP), né in occasione dell’acquisto delle partecipazioni azionarie da parte di Vivendi, né in relazione al mutato assetto di direzione e coordinamento, la Presidenza apriva un’istruttoria nei confronti di Vivendi e TIM al fine di verificare violazione degli obblighi di notifica di cui alla Normativa GP nel contesto de quo.

Nel settembre 2017, quando il procedimento volto ad accertare tali obblighi ancora non era concluso, Vivendi notificava, su base volontaria, la propria partecipazione pari a circa il 23,9% nel capitale sociale di TIM (la Notifica), ai sensi dell’articolo 1 del Normativa GP (articolo che disciplina il settore della difesa e della sicurezza nazionale). Infatti, TIM svolge, direttamente o indirettamente mediante le controllate Telecom Italia Sparkle S.p.A. e Telsy S.p.A., attività di rilevanza strategica anche per il sistema di difesa e della sicurezza nazionale.

Con la Decisione, la Presidenza accertava la sussistenza in capo a Vivendi di un obbligo di notifica ai sensi dell’articolo 1 della Normativa GP “di ogni operazione di acquisizione di partecipazioni in TIM che ha portato Vivendi a detenere azioni in misura superiore alle soglie di legge”, nonché la tardività della Notifica.

Con il Ricorso, Vivendi aveva quindi impugnato la Comunicazione. Con un primo motivo (il Primo Motivo), Vivendi lamentava che tra il marzo 2013 e il 22 giugno 2015 (data del primo acquisto di partecipazioni da parte di Vivendi in TIM con conseguente insorgenza dell’asserito obbligo di notifica per Vivendi), avevano avuto luogo diverse variazioni degli assetti partecipativi di TIM derivanti da acquisti o incrementi di partecipazioni eccedenti le soglie di legge rilevanti da parte di altri azionisti, che non avevano costituito oggetto di notifica, e con riferimento ai quali la Presidenza non aveva mai ritenuto di doversi attivare d’ufficio. Secondo Vivendi, tale circostanza evidenzierebbe una contraddittorietà ed un vizio di motivazione della Decisione oltre che un profilo di eccesso di potere da parte della Presidenza per disparità di trattamento.

Con il secondo motivo del Ricorso (il Secondo Motivo), Vivendi sosteneva che la Notifica non era stata tardiva dal momento che la sussistenza di attività strategiche per i sistemi della difesa e della sicurezza (che avrebbero fatto scattare l’obbligo di notifica per ogni operazione di acquisizione di partecipazioni in TIM, a partire dal giugno 2015) non sarebbe mai stata affermata in alcuna sede, né poteva considerarsi nota.

Con il terzo motivo del Ricorso (il Terzo Motivo), infine, Vivendi rilevava il contrasto della Normativa GP con le norme europee in tema di libera circolazione dei capitali e di libertà di stabilimento (e quindi la conseguente illegittimità della Decisione).

Il TAR Lazio ha respinto tutti e tre i motivi di cui sopra.

Con riferimento al Primo Motivo, il TAR Lazio ha rilevato che – anche ove sussistesse un acquisto di partecipazioni da parte di terzi non riscontrato dalla Presidenza – ciò comunque non implicherebbe l’illegittimità della Decisione, non potendosi far valere l’estensione di una valutazione più favorevole effettuata nei confronti di altri soggetti.

Con riferimento al Secondo Motivo, il TAR Lazio ha evidenziato che non poteva ritenersi che Vivendi non avesse consapevolezza della strategicità per il settore della difesa e della sicurezza nazionale di TIM inter alia alla luce dei “contratti in essere con i Ministeri indicati, in ragione del loro inequivoco oggetto e per le misure di sicurezza agli stessi annesse”. Alla luce di ciò, la Notifica doveva necessariamente ritenersi tardiva (in quanto l’obbligo di notifica sarebbe già scattato ai sensi della Normativa GP con la prima acquisizione in TIM da parte di Vivendi nel giugno 2015).

Infine, con riferimento al Terzo Motivo, il TAR Lazio ha confermato la compatibilità della Normativa con le norme europee.

Non resta che attendere l’esito del probabile appello ai giudici di palazzo Spada, che sicuramente rappresenterà un precedente importante per l’applicazione ed elaborazione giurisprudenziale di una Normativa che, a dispetto dei molteplici interventi legislativi occorsi nel tempo, resta incerta da molteplici punti di vista.

Mila Filomena Crispino