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Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della Concorrenza UE / Intese e settore farmaceutico – La Corte di Giustizia si pronuncia in materia di tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione

Lo scorso 7 luglio, su rinvio operato dal Consiglio di Stato (il CdS) italiano, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (la CGUE) ha adottato una pronuncia pregiudiziale con la quale ha dichiarato non contraria ai trattati europei la disciplina italiana sulla revocazione delle sentenze definitive che non prevede un’ipotesi ad hoc di revocazione per far valere un’asserita difformità della sentenza con l’interpretazione del diritto dell’Unione fornita dalla CGUE.

Il rinvio pregiudiziale si inserisce nella ormai annosa controversia che vede opposte all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’AGCM) due gruppi farmaceutici (congiuntamente, le Società) fin dal 2015, quando l’AGCM sanzionò le Società per un totale di oltre 180 milioni di euro in ragione di un’intesa restrittiva della concorrenza posta in essere nel settore farmaceutico.

Dopo il rigetto dell’impugnativa proposta dalle Società da parte del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (il TAR Lazio), la vicenda approdò in appello al CdS, che effettuò un primo rinvio pregiudiziale dinanzi alla CGUE, vertente sulla definizione dei mercati rilevanti operata dall’AGCM nella decisione impugnata e sulla qualificazione della condotta come restrittiva per oggetto. A valle di tale pronuncia, il CdS con la sentenza 4990/2019 confermò la sentenza del TAR Lazio e quindi anche la decisione dell’AGCM.

Avverso tale sentenza, le Società hanno proposto ricorso per revocazione (ai sensi dell’articolo 106 c.p.a. e 395, n. 4 c.p.c.), lamentando un errore di fatto da parte del CdS nell’applicazione della prima pronuncia pregiudiziale della CGUE. È in questo contesto che scaturisce un secondo rinvio operato dal CdS in sede di giudizio di revocazione per ottenere una (ulteriore) pronuncia pregiudiziale dalla CGUE, volta ad accertare in primo luogo se effettivamente vi sia stata una siffatta violazione della prima pronuncia della CGUE, e soprattutto, se la disciplina italiana sulla revocazione delle sentenze definitive, nella misura in cui non prevede un’ipotesi di revocazione ad hoc delle sentenze laddove si lamenti la violazione da parte di quest’ultime dell’interpretazione del diritto dell’Unione Europea fornita dalla CGUE, sia conforme al diritto europeo (alla luce degli articoli 4, paragrafo 3, e 19, paragrafo 1, del TUE, nonché dell’art. 267 TFUE e dell’art. 47 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea).

Secondo la CGUE la disciplina italiana in rilievo (artt. 106 c.p.a. e 395-396 c.p.c.) è conforme al diritto europeo, in quanto rispettosa:

(a) del principio di equivalenza, nella misura in cui le limitazioni apposte per esperire tali strumenti processuali sono le medesime, indipendentemente dal fatto che la domanda di revocazione trovi il proprio fondamento in disposizioni di diritto nazionale o in disposizioni del diritto dell’Unione, e

(b) del principio di effettività affermando, con qualche ambiguità, che, “[q]ualora, come nel caso di specie, siano invocate disposizioni di diritto dell’Unione dinanzi a un organo giurisdizionale nazionale, il quale emetta la propria decisione dopo aver ricevuto la risposta alle questioni che esso aveva sottoposto alla Corte in merito all’interpretazione di tali disposizioni, la condizione relativa all’esistenza nello Stato membro interessato, di un rimedio giurisdizionale che consenta di garantire il rispetto dei diritti che i singoli traggono dal diritto dell’Unione, è necessariamente soddisfatta…”.

La CGUE prosegue richiamando il principio secondo cui “…spetta unicamente al giudice nazionale accertare e valutare i fatti della controversia di cui al procedimento principale…”, non potendosi interpretare l’articolo 267 TFUE nel senso che “…un organo giurisdizionale nazionale possa proporre alla Corte una domanda di pronuncia pregiudiziale volta a chiarire se detto organo giurisdizionale nazionale abbia correttamente applicato al procedimento principale l’interpretazione fornita dalla Corte in risposta a una domanda di pronuncia pregiudiziale da esso precedentemente sottopostale nello stesso procedimento…”.

Al privato che lamenti una violazione di diritti conferiti dall’Unione per effetto di una decisione di un organo giurisdizionale di ultimo grado, conclude la CGUE, non resta che lo strumento risarcitorio, da attivare nei confronti dello Stato membro, “…purché siano soddisfatte le condizioni relative al carattere sufficientemente qualificato della violazione e all’esistenza di un nesso causale diretto tra tale violazione e il danno subito da tali soggetti…”.

La pronuncia è sicuramente interessante (e invero suscita qualche interrogativo) in quanto potrebbe di fatto depotenziare il ruolo di indirizzo esercitato dalle pronunce pregiudiziali considerata la difficoltà di soddisfare i requisiti per ottenere un’effettiva protezione risarcitoria. Non resta che vedere come si evolverà la situazione nel prossimo futuro.

Ignazio Pinzuti Ansolini

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Abuso di posizione dominante e trasporto ferroviario di merci – l’AG Rantos si pronuncia in materia di rifiuto di accesso 

Con le proprie conclusioni rassegnate lo scorso 7 luglio nella causa Lietuvos geležinkeliai AB v European Commission (C‑42/21 P), l’Avvocato Generale (l’AG) Rantos ha proposto il rigetto dell’appello proposto avverso la decisione del Tribunale dell’Unione Europea (il Tribunale) che aveva confermato la decisione della Commissione europea (la Commissione) con la quale era stata sanzionata Lietuvos geležinkeliai AB (LG) per un asserito abuso di posizione dominante ai sensi dell’art. 102 TFUE.

LG è l’operatore ferroviario nazionale lituano, incaricato della manutenzione dell’infrastruttura e della fornitura dei servizi ferroviari. Nel 1999 LG aveva stipulato un accordo di trasporto con Orlen Lietuva AB (Orlen), gestore di una raffineria petrolifera situata in Lituania che utilizzava i servizi di trasporto di LG per circa il 90% dei propri prodotti. A seguito di una controversia apertasi ad inizio del 2008 in merito alle tariffe dovute da Orlen, LG procedette alla risoluzione del contratto. In conseguenza di ciò, Orlen revisionò la propria strategia di esportazione, concentrandosi da quel momento sui porti lettoni.

Fino a quel momento, i trasporti per la Lettonia (situata a circa 20 km dalla raffineria) venivano operati da Latvijas dzelzceļš (LDZ), l’operatore ferroviario nazionale lettone. A seguito della controversia con LG, Orlen decise di stipulare un contratto direttamente con LDZ per poter operare indipendentemente dai servizi offerti da LG. Tuttavia, a seguito di un guasto nella ferrovia diretta in Lettonia verificatosi nel settembre 2008, LG decise di rimuovere tale specifica parte del tracciato ferroviario entro la fine del mese successivo. Dal momento che tale tratto costituiva l’unica via ferrata che collegava la raffineria con la Lettonia in maniera economicamente efficiente, in conseguenza di tale rimozione LDZ fu costretta a rinunciare alla prospettata cooperazione con Orlen.

A seguito di denuncia presentata alla Commissione da Orlen nei confronti di LG nel 2010, la Commissione qualificò la rimozione della ferrovia come un abuso di posizione dominante ai sensi dell’art. 102 TFUE, imponendo contestualmente a LG una sanzione pari a 27,87 milioni di euro. L’appello di LG proposto avverso la decisione è stato rigettato dal Tribunale. LG ha quindi appellato la sentenza del Tribunale dinanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (la CGUE).

Il più importante motivo di appello è l’affermazione della ricorrente secondo cui il Tribunale avrebbe tralasciato erroneamente di applicare i criteri che regolano la c.d. essential facility doctrine tratti dal caso Bronner. Nella sentenza Bronner la CGUE aveva affermato che il rifiuto di concedere accesso a una infrastruttura essenziale costituisce una violazione dell’articolo 102 TFUE se (a) detto rifiuto è idoneo ad eliminare qualsiasi concorrenza nel mercato rilevante, (b) viene apposto in assenza di un’oggettiva giustificazione e (c) tale accesso all’infrastruttura risulta indispensabile per l’esercizio dell’attività economica dell’impresa richiedente.

Secondo l’AG Rantos, tuttavia, la situazione in oggetto della controversia in commento è fondamentalmente diversa da quella di cui al caso Bronner. In primo luogo, nel caso di specie LG non soltanto ha escluso i concorrenti, ma anche sé stessa dall’accesso all’infrastruttura, eliminando del tutto la ferrovia. Ciò potrebbe qualificarsi, eventualmente, come una strategia di prezzi predatori, nella misura in cui LG incorrerebbe in perdite a breve termine, con la prospettiva di ottenere nel medio e lungo termine un ritorno economico derivante dall’impedimento all’ingresso di LDZ nel mercato.

In secondo luogo, lo scenario economico appare differente da quello di cui alla vicenda Bronner. LG è l’operatore nazionale che gestisce l’infrastruttura ferroviaria di proprietà dello Stato lituano. L’obiettivo dei criteri fissati nella sentenza Bronner era quello di fornire un incentivo ad imprese private che avessero costruito una certa infrastruttura per mantenerla nel futuro e continuare a investirvi risorse. Tuttavia, le ferrovie in parola sono state finanziate con sovvenzioni pubbliche, e LG è il concessionario ex lege incaricato della gestione di tale infrastruttura. Pertanto, secondo l’AG non vi è alcun bisogno di mantenere un incentivo economico mediante il conferimento di un diritto di esclusione in capo a LG. Conseguentemente, il caso di specie non richiede di essere scrutinato alla luce dei più rigidi criteri sanciti nel caso Bronner, e l’appello – sempre secondo l’AG – deve essere rigettato. Resta da vedere se la CGUE accoglierà tale impostazione.

Laurin Ingo Rudloff

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Abusi di posizione dominante e settore degli online marketplace – La CMA ha avviato un’istruttoria diretta ad accertare un abuso di posizione dominante da parte di Amazon

Con il comunicato stampa pubblicato lo scorso 6 luglio, la Competition and Markets Authority del Regno Unito (la CMA) ha reso noto di aver avviato un’istruttoria per accertare un potenziale abuso di posizione dominante da parte di Amazon nel settore dei servizi di intermediazione sui marketplace e in quello ad esso collegato dei servizi di logistica per e-commerce. Tale avvio segue quello di due istruttorie relative a condotte analoghe avviate dalla Commissione Europea (la Commissione) nel 2019 e nel 2020, già oggetto di commento in questa Newsletter, nonché al provvedimento con cui l’Autorità Garante della Concorrenza del Mercato (l'AGCM) ha accertato un abuso di Amazon nel settore della logistica imponendo allo stesso una sanzione di oltre un miliardo di euro, anch’esso già oggetto di commento.

Premesso che Amazon opera nella peculiare condizione di “dual role platform”, ovvero ricopre al contempo sia il ruolo di offerente dei servizi di marketplace, sia quello di venditore dei propri prodotti tramite lo stesso marketplace, le condotte prese in esame dalla CMA riguardano il trattamento riservato ai rivenditori terzi che utilizzano la piattaforma. Infatti, una volta accertata la probabile posizione dominante di Amazon nei marketplace del Regno Unito, il perimetro d’indagine si concentrerà sui tre aspetti di seguito elencati:

  1. il metodo di raccolta e di utilizzo dei dati non pubblici dei venditori terzi, il cui sfruttamento permetterebbe ad Amazon di calibrare le proprie offerte al dettaglio e le proprie decisioni strategiche a scapito degli altri venditori, alterando – secondo la CMA – il libero gioco della concorrenza;
  2. i criteri di individuazione dei venditori da inserire nella cosiddetta "Buy Box", ovvero in quel riquadro della schermata web dove viene offerta ai clienti la possibilità di fare acquisti veloci cliccando sui pulsanti "Acquista ora" o "Aggiungi al carrello";
  3. i criteri di selezione dei venditori a cui è permessa l’associazione dei propri prodotti con il marchio “Prime”, il quale consente ai clienti di beneficiare di importanti vantaggi come una consegna gratuita e in tempi stretti.

L’istruttoria in commento verrà condotta in parallelo rispetto a quella della Commissione e rappresenta, come indicato nel comunicato stampa della CMA, un chiaro esempio di ri-espansione della competenza giurisdizionale della CMA come conseguenza dell’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. Resterà quindi da vedere quali saranno gli esiti dell’indagine e quale sarà lo spirito con cui CMA e Commissione collaboreranno nell’affrontare il caso.

Niccolò Antoniazzi

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Appalti, concessioni e regolazione / Contratti pubblici e appalto di lavori – Il TAR Toscana si pronuncia sull’aumento del prezzo delle materie prime e la scelta di non aggiudicare una gara per la sopravvenuta non sostenibilità dell’opera

Lo scorso 4 luglio 2022, con sentenza n. 885/22, il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (TAR Toscana) ha respinto il ricorso proposto da un’impresa edile (l’Impresa o Ricorrente) contro la Provincia di Lucca (la Provincia o Amministrazione) avente ad oggetto il provvedimento con cui quest’ultima ha annullato l’intera procedura di una gara di appalto indetta per l’affidamento dei lavori di realizzazione di un nuovo ponte sul Fiume Serchio.

Quanto ai fatti di causa, dopo che l’impresa aveva presentato nei termini stabiliti la propria domanda di partecipazione alla gara, valutate le varie offerte, la commissione a ciò preposta proponeva all’Amministrazione l’aggiudicazione della gara in favore della Ricorrente.

Nonostante la procedura fosse ormai definita e fosse stata individuata l’offerta migliore, prima di procedere all’aggiudicazione ‘definitiva’, la Provincia si determinava nel senso non aggiudicare la gara e, senza accogliere la proposta di aggiudicazione della commissione, annullava l’intera procedura, “in quanto le offerte pervenute e valutate dalla Commissione non risultano convenienti né idonee in relazione all’oggetto dell’appalto” e “in considerazione delle motivate e sopravvenute esigenze di interesse pubblico connesse alla non attualità del quadro economico e alla necessità di un suo adeguamento in vista dell’indizione di una nuova gara”.

Sempre in punto di fatto, rispetto al momento in cui il bando era stato pubblicato, a fronte di una spesa prevista di circa 15 milioni, l’Amministrazione aveva dovuto riscontrare un aumento complessivo dei costi pari al 30% (circa 5 milioni di euro).

Alla luce di tale circostanza, la Provincia ha addotto “motivate e sopravvenute esigenze di interesse pubblico connesse alla non attualità del quadro economico e alla necessità di un suo adeguamento in vista dell’indizione di una nuova gara”. Riferendosi all’incremento dei prezzi delle materie prime, la Provincia ha in particolare ritenuto che “un incremento dei prezzi così forte, che ha reso obiettivamente inadeguato il quadro economico di riferimento, pone inoltre serie perplessità circa l’effettiva rimuneratività delle offerte pervenute, anche avuto riguardo alle criticità riscontrate ed esposte ai punti precedenti, con tutti i conseguenti rischi di ritardi nelle lavorazioni, cattiva esecuzione delle opere e potenziali contenziosi”.

Avverso il provvedimento della Provincia, l’Impresa presentava ricorso al TAR Toscana, affidandolo ad un'unica censura. A fronte dell’aumento oggettivo dei prezzi delle materie prime, l’Impresa deduceva che l’Amministrazione, piuttosto che annullare l’intera procedura di gara, avrebbe potuto utilizzare gli strumenti della revisione prezzi e della compensazione al fine di far fronte dell’incremento dei costi dei materiali. L’Impresa, inoltre, domandava il risarcimento (rectius rimborso) delle spese sostenute ai fini della partecipazione alla gara, successivamente annullata.

Il TAR, nel confermare la legittimità del provvedimento della Provincia, ha ritenuto che:

(i) gli strumenti di adeguamento e compensazione dei prezzi non potevano essere applicati, perché presuppongono e si riferiscono alla fase di esecuzione del contratto, il quale non era stato ancora sottoscritto;

(ii) l’incremento del costo dell’opera, pari ad un terzo di quanto originariamente preventivato (oltre ad essere una circostanza sopravvenuta e non prevista), in considerazione dell’entità dell’incremento, era suscettibile di incidere sulle ragioni che avevano portato l’Amministrazione a decidere per la realizzazione dell’opera;

(iii) il percorso motivazionale del provvedimento, inoltre, metteva correttamente in luce il (prevalente) interesse pubblico, che suggeriva di non procedere all’aggiudicazione è, di per sé, sufficiente ad esaurire gli obblighi ai quali era tenuta la stazione appaltante.

Infine, il TAR Toscana ha rigettato anche la domanda di condanna al rimborso delle spese sostenute dall’Impresa ai fini della partecipazione alla gara. L’annullamento della gara, infatti, era intervenuto in una fase procedimentale ancora interinale. Infatti, fintanto che non sia intervenuta l’aggiudicazione definitiva, la proposta di aggiudicazione costituisce un mero atto endoprocedimentale, instabile e ad effetti interinali che determina una scelta non ancora definitiva del soggetto aggiudicatario. Per l’effetto, in tale momento, sussiste sempre la possibilità che ad una aggiudicazione provvisoria (ossia, in altre parole, la proposta di aggiudicazione) possa non seguire quella definitiva. Tale ipotesi costituisce evento del tutto fisiologico, inidoneo di per sé a ingenerare forme di affidamento tutelabili e dunque un qualsivoglia obbligo risarcitorio

In attesa di un eventuale appello dinanzi al Consiglio di Stato, la sentenza in commento, apprezzabile per la sua chiarezza espositiva, pone un punto fermo rilevante: ossia la possibilità per le stazioni appaltanti di procedere all’annullamento di un’intera procedura di gara nel caso in cui, a fronte del generale aumento dei prezzi delle materie prime a cui si è assistito negli ultimi mesi, l’opera non sia più economicamente sostenibile.

L’elemento problematico superstite riguarda l’investimento per così dire ‘al buio’ che gli operatori economici sono obbligati di fatto a fare per partecipare alle gare pubbliche. Infatti, se le amministrazioni hanno la facoltà di rivalutare l’opportunità di una gara e di procedere, se del caso, al suo annullamento fintanto che non sia intervenuta l’aggiudicazione definitiva senza che da ciò derivi alcun obbligo risarcitorio in favore dei terzi che hanno partecipato alla gara, il concorrente che vi partecipa si espone ad un oggettivo rischio economico connesso all’impegno sotteso alla partecipazione (si pensi, ad esempio, ai costi di progettazione per gli appalti di lavori).

Tommaso Filippo Massari

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Legal News / Google Analytics e GDPR – Il Garante della Privacy dichiara l’illiceità ai sensi del GDPR del trattamento dei dati personali degli utenti di un sito web che utilizza Google Analytics

Con il provvedimento del 9 giugno scorso, il Garante per la protezione dei dati personali (il Garante) ha stabilito che il trattamento dei dati personali degli utenti di un sito web realizzato tramite Google Analytics, un servizio di analisi e monitoraggio delle performance delle pagine web tramite statistiche relative agli utenti che vi accedono, viola il Reg. 2016/679 (il GDPR). Il Garante ha perciò ordinato all’impresa titolare del sito web di conformare il trattamento dei dati personali alla disciplina europea entro 90 giorni.

La vicenda si innesta all’interno della controversa questione legata al trasferimento dei dati personali dall’Europa agli Stati Uniti e al regime di tutela della privacy ad esso applicabile. Sul punto si richiama in questa sede la nota sentenza Schrems II della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE), con cui la CGUE ha ritenuto che la normativa statunitense in materia di privacy comportasse deroghe alla tutela della privacy eccessive rispetto alle restrizioni necessarie in una società democratica e ha perciò dichiarato l’invalidità della decisione della Commissione UE n. 2016/1250 sull’adeguatezza della protezione offerta dal regime dello scudo UE-USA per la privacy (cd. Privacy shield).

Caducata quindi la decisione della Commissione relativa al Privacy shield, la legittimità del trasferimento di dati personali verso gli Stati Uniti è rimessa alla condotta dei titolari del trattamento dei dati personali che intendano esportare all’estero i dati raccolti. A norma dell’art. 46 del GDPR, infatti, in assenza di una decisione di adeguatezza della Commissione, “il titolare del trattamento o il responsabile del trattamento può trasferire dati personali verso un paese terzo o un'organizzazione internazionale solo se ha fornito garanzie adeguate e a condizione che gli interessati dispongano di diritti azionabili e mezzi di ricorso effettivi”. Tali garanzie possono assumere le forme, in primo luogo, di clausole contrattuali volte a imporre all’importatore di dati il rispetto della disciplina stabilita dal GDPR.

Perché tali garanzie siano effettive, tuttavia, la sentenza Schrems II ha chiarito che grava sull’esportatore di dati l’onere di verificare, caso per caso e, ove necessario, in collaborazione con l’importatore nel Paese terzo, se la legge o la prassi di quest’ultimo incidano sull’efficacia delle garanzie adeguate contenute nelle predette clausole. Qualora si rilevi che la legislazione e/o le prassi del Paese terzo impediscano all’importatore di rispettare gli obblighi previsti dallo strumento di trasferimento prescelto, gli esportatori devono adottare misure supplementari, di carattere tecnico-organizzativo, che garantiscano un livello di protezione dei dati personali sostanzialmente equivalente a quello previsto dal Regolamento.

Con il provvedimento in commento, il Garante ha ritenuto che il trasferimento dei dati personali all’estero mediante Google Analytics non rispetti le condizioni di cui sopra, e ne ha perciò dichiarato l’illegittimità ai sensi del GDPR. In prima battuta, il Garante (in linea con la sentenza Schrems II) ha ritenuto che la disciplina statunitense non garantisse l’efficacia delle clausole contrattuali che Google potrebbe offrire per il rispetto dei principi europei in materia di privacy.

Circa l’idoneità delle misure tecniche supplementari poste in essere da Google LLC, il Garante prende atto che la tech company ha tentato di anonimizzare i dati in suo possesso introducendo dei meccanismi di cifratura dei dati. Tali meccanismi, tuttavia non sono stati reputati “…sufficienti ad evitare i rischi di un accesso, ai fini di sicurezza nazionale, ai dati trasferiti dall’Unione europea da parte delle Autorità pubbliche degli Stati Uniti, in quanto le tecniche di cifratura adottate prevedono che la disponibilità della chiave di cifratura sia in capo a Google LLC che la detiene, in qualità di importatore, in virtù della necessità di disporre dei dati in chiaro per effettuare elaborazioni e fornire servizi…”. Si evidenzia infatti che “…l’obbligo di consentire l’accesso, da parte delle Autorità statunitensi, ricade su Google LLC non solo con riferimento ai dati personali importati, ma anche in ordine alle eventuali chiavi crittografiche necessarie per renderli intelligibili…”.

Il provvedimento del Garante – in linea con altri provvedimenti adottati negli ultimi mesi dalle omologhe autorità di altri Stati membri – costituisce il precipitato pratico della sentenza Schrems II. Al fine di colmare la lacuna normativa che si è creata dopo la caducazione del Privacy shield, Stati Uniti ed Unione Europea hanno provveduto a rinegoziare un accordo, che è stato definito a livello generale nei mesi scorsi. Resta da vedere se l’accordo supererà il nuovo possibile vaglio della CGUE e se di conseguenza i flussi di dati dall’Europa agli Stati Uniti potranno riprendere.

Alessandro Canosa

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