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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza – Europa / Intese e settore delle assicurazioni auto – La Commissione europea accoglie gli impegni presentati da Insurance Ireland

Con il press release pubblicato lo scorso 30 giugno, la Commissione europea (la Commissione) ha reso noto di aver accolto gli impegni presentati da Insurance Ireland (l’Associazione), un’associazione di cui fanno parte diverse compagnie assicurative attive nel settore delle assicurazioni auto in Irlanda, nell’ambito di un’indagine per una possibile violazione dell’articolo 101 TFUE.

La vicenda ha avuto inizio nel luglio 2017 con una serie di down raids effettuati dalla Commissione nel mercato delle assicurazioni auto in Irlanda e che, in seguito, hanno condotto nel maggio 2019 all’apertura di un’indagine formale nei confronti dell’Associazione. Nella comunicazione degli addebiti inviata all’Associazione nel giugno 2021, la Commissione aveva constatato che per diversi anni (almeno dal 2009) l’Associazione aveva negato o ritardato l’accesso alla sua piattaforma “Insurance Link” alle imprese che non erano membri. Secondo la Commissione, tale accesso discriminatorio avrebbe impedito l’ingresso a nuovi operatori nel mercato e avrebbe ridotto la scelta dei consumatori irlandesi circa le polizze di assicurazione auto. Infatti, Insurance Link è una piattaforma che gestisce un pool di dati sui sinistri stradali avvenuti in Irlanda il cui utilizzo permette ai suoi utenti – società che offrono assicurazioni auto – di valutare meglio il rischio (e quindi determinare in modo più efficace le proprie scelte di pricing) nonché di rilevare e difendersi da potenziali frodi.

Per risolvere tali preoccupazioni, l’Associazione ha presentato degli impegni che sono stati oggetto di diverse modifiche e integrazioni a seguito dell’usuale market test ma che, infine, hanno ottenuto l’approvazione da parte della Commissione. Con tali impegni, Insurance Ireland ha reso disponibile l’accesso al sistema di scambio di informazioni Insurance Link anche a coloro che non sono membri dell’associazione (in particolare ha esteso l’adesione alla piattaforma a tutti i richiedenti sia irlandesi, sia di altri Stati membri) e ha modificato i requisiti di accesso alla piattaforma e i tariffari per renderli trasparenti, equi e oggettivi. Inoltre, l’intera procedura di ammissione alla piattaforma sarà gestita con tempistiche predefinite e sotto la supervisione di un Application Officer, una figura indipendente da un punto di vista operativo e con una comprovata esperienza nel settore assicurativo. Infine, i richiedenti a cui verrà rifiutato l’accesso alla piattaforma potranno fare ricorso al Comitato di supervisione, quale organo di appello indipendente.

Gli impegni rimarranno in vigore per 10 anni sotto la supervisione di un monitoring trustee appositamente nominato dalla Commissione, il quale avrà l’incarico di monitorare la loro corretta esecuzione.

Il caso risulta interessante in quanto concerne la tematica spesso controversa dello scambio di informazioni nel settore delle assicurazioni auto, dove in una ottica antitrust esiste una tensione di fondo tra, da un lato, i rischi collusivi connessi allo scambio di informazioni sensibili tra le imprese e, dall’altro, l’esigenza di accesso alle stesse informazioni (anche se in forma opportunamente aggregata) per competere efficacemente nel mercato. Quest’ultima prospettiva è chiaramente prevalsa nel caso in commento.

Maria Spanò

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Diritto della concorrenza – Italia / Abusi di dipendenza economica e contratti di franchising – L’AGCM ha chiuso con impegni il procedimento avviato contro McDonald’s Development Italy

Con il provvedimento pubblicato lo scorso 30 giugno, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha chiuso con impegni il procedimento avviato per accertare il possibile abuso di dipendenza economica posto in essere a danno dei propri franchisee da McDonald’s Development Italy LLC (MCDI), ovvero dalla società che concede in sublicenza i diritti per utilizzare il c.d. Sistema McDonald’s in Italia.

Tale decisione si inserisce nel contesto di un più ampio interesse dell’AGCM verso questo tipo di abuso nei contratti di franchising, come dimostrato dagli analoghi procedimenti attualmente pendenti a carico di Benetton e di Original Marines, e risulta particolarmente rilevante sia perché si tratta della prima decisione di impegni in un caso di abuso di dipendenza economica, sia perché gli impegni presentati concretizzano significativi cambiamenti nell’intero rapporto tra MCDI e i licenziatari.

In particolare, le condotte oggetto dell’istruttoria riguardano in primo luogo l’obbligo in capo all’aspirante licenziatario di effettuare a proprie spese un lungo percorso di formazione, durante il quale questi non viene messo in condizione di avere piena consapevolezza dei futuri termini contrattuali (non venendogli fornite informazioni essenziali come, ad esempio, l’ubicazione del ristorante assegnato e non venendogli data la possibilità di prendere visione del contratto prima della sua stipula). In secondo luogo, alcune clausole sono state ritenute idonee a comprimere significativamente i margini di redditività, come l’obbligo di farsi carico di tutte le spese per la manutenzione della struttura (sia ordinaria, sia straordinaria) e per le future attività di formazione imposte da MCDI, nonché atte a limitare ingiustificatamente la libertà imprenditoriale del licenziatario. Su tale aspetto, rilevano gli obblighi di investire almeno l’1.5% del fatturato in pubblicità locale, di rispettare i prezzi massimi e le politiche promozionali imposte da MCDI, nonché l’obbligo di rivolgersi unicamente ai fornitori da questa indicati (pena l’impossibilità di acquisire la gestione di un altro ristorante McDonald’s). In terzo luogo, sono stati ritenuti critici dall’Autorità anche l’obbligo di residenza entro un raggio di 50 km dal ristorante, quello di dedicare la propria attività lavorativa esclusivamente alla gestione del ristorante McDonald’s e quello di non concorrenza in qualsiasi attività di somministrazione di alimenti per tutta la durata prevista del contratto oltre che per un anno aggiuntivo successivamente alla risoluzione del rapporto contrattuale. Infine, è stata contestata la limitata possibilità per i licenziatari di essere indennizzati per gli investimenti attuati nel ristorante al termine del rapporto contrattuale.

Al fine di fugare le perplessità sollevate dall’AGCM e di evitare sanzioni, MCDI ha pertanto presentato i seguenti impegni, successivamente accolti in seguito a consultazione pubblica. Innanzitutto, gli oneri di manutenzione straordinaria vengono assunti da MCDI, i costi dei training sostenuti dai franchisee vengono circoscritti a quelli dei propri dipendenti e gli obblighi di reinvestimento degli utili in pubblicità locale vengono ridotti allo 0,5%. Inoltre, l’obbligo della destinazione della propria attività lavorativa viene circoscritto ad un’attività prevalente a favore di MCDI e l’obbligo di non concorrenza viene limitato all’ambito più ristretto della ristorazione “informale” e per la sola durata del rapporto contrattuale. All’eliminazione dell’obbligo di residenza entro 50 km dal ristorante e della sanzione della non espandibilità, si accompagnano inoltre l’introduzione della “facoltà dell’affiliato di non aderire alle raccomandazioni di prezzo e alle promozioni proposte da MCDI”, nonché quella di scegliere i propri fornitori per gli elementi non necessari a preservare un determinato standard qualitativo del prodotto Mc Donald’s. Infine, si aggiunge l’introduzione in capo a MCDI di un obbligo di riacquisto alla cessazione del rapporto contrattuale di tutte le attrezzatture e gli arredi ad un prezzo che tenga debitamente conto del valore attuale degli stessi e l’introduzione della possibilità per i licenziatari di tenere conto dell’impatto che può derivar dall’apertura di un altro ristorante Mc Donald’s nelle vicinanze tramite un accordo tra le Parti da negoziare in buona fede.

Con questo provvedimento l’AGCM ha ridefinito i rapporti contrattuali tra MCDI e i suoi franchisee esercitando i poteri che le vengono conferiti in materia di abuso di dipendenza economica. Questo istituto sta recentemente vivendo una “seconda giovinezza” in quanto, in aggiunta all’avvio dei procedimenti già citati, si avverte anche una maggiore attenzione a livello legislativo nei suoi confronti, con particolare riferimento al settore digitale. L’articolo 29 dell’attuale testo del DDL Concorrenza, infatti, mira ad introdurre una presunzione di dipendenza economica “nel caso in cui un’impresa utilizzi i servizi di intermediazione forniti da una piattaforma digitale che ha un ruolo determinante per raggiungere utenti finali o fornitori, anche in termini di effetti di rete o di disponibilità dei dati”.

Niccolò Antoniazzi

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Tutela del consumatore / Pratiche commerciali scorrette, settore aeronautico e associazioni dei consumatori – L’AGCM sanziona Ryanair per 200.000 euro e il Codacons in solido con Ter.mil.cons. per 10.000 euro per alcune pratiche commerciali scorrette

Lo scorso 14 giugno 2022, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha sanzionato per 200.000 Ryanair DAC (Ryanair) nonché – ed è questa la vera sorpresa – il Codacons e Ter.mil.cons (in solido, per 10.000 euro – insieme, le Associazioni), per alcune pratiche commerciali ingannevoli e/o omissive relative (i) alla predisposizione e al funzionamento di una piattaforma di Alternative Dispute Resolution (ADR) ai fini della risoluzione di alcune controversie tra Ryanair e i suoi passeggeri, nonché (ii) alle procedure di verifica della sussistenza dei requisiti per l’attribuzione dei c.d. “Sigilli Ok Codacons” (i Sigilli Codacons).

In merito alla prima pratica, giova ricordare che ai sensi del Regolamento (CE) n. 216/2004 (il Regolamento), i passeggeri di una compagnia aerea hanno diritto a un pieno rimborso del prezzo del biglietto in caso di cancellazione del volo, e a un rimborso totale o parziale in caso di ritardo dello stesso. Tale rimborso va chiesto con apposito reclamo: se nel caso della cancellazione del volo il rimborso è corrisposto tipicamente senza che rilevino le circostanze che l’hanno determinata (salvo l’ulteriore diritto ad indennizzi aggiuntivi), nel caso dei ritardi acquistano decisiva importanza le c.d. cause eccezionali, vale a dire una serie di eventi o situazioni particolarmente gravi ed estranee alla sfera di controllo del vettore che, se costituiscono la causa del ritardo, portano ad escludere o ridurre il quantum del rimborso.

In questo contesto si inserisce l’iniziativa di Ryanair e delle due Associazioni per la predisposizione di una piattaforma per la risoluzione extragiudiziale delle controversie tra passeggeri e Ryanair in merito ai reclami proposti dai primi per ottenere il rimborso del prezzo del biglietto, nei casi di cancellazioni e ritardi dei voli di Ryanair. Tale piattaforma di ADR (qualificata dal Codacons come un “reclamo di seconda istanza”) è sostanzialmente finanziata da Ryanair, che corrisponde al Codacons una somma per ciascuna pratica espletata (indipendentemente dal suo esito), e viene eventualmente adita dai consumatori una volta che il primo reclamo, proposto ai sensi del Regolamento direttamente a Ryanair, sia andato del tutto o in parte a vuoto.

Secondo l’AGCM, la comunicazione ai consumatori delle concrete modalità di funzionamento della piattaforma di ADR, che enfatizzava significativamente l’indipendenza e l’affidabilità dello strumento alla luce del coinvolgimento del Codacons, risultava omissiva ed ingannevole. Infatti, i consumatori (a) non erano a conoscenza del finanziamento della piattaforma da parte di Ryanair, e (b) non erano a conoscenza di direttive impartite da Ryanair alle Associazioni, e da quest’ultime accettate, riguardanti ad esempio la non considerazione dei reclami proposti da alcuni soggetti (come società di gestione dei reclami e “avvocati seriali”), o gli eventi considerati “circostanze eccezionali” ai fini dell’esclusione o della riduzione del rimborso – accettazione di queste ultime direttive che addirittura assurgeva a “condizione” affinché Ryanair indicasse ai propri passeggeri la possibilità di adire tale piattaforma di ADR, una volta respinto il primo reclamo proposto ai sensi del Regolamento.

Inoltre, (c) non veniva previsto un regolamento circa il funzionamento della piattaforma, né veniva redatto un verbale a conclusione delle operazioni di mediazione, (d) le eventuali proposte di Ryanair formulate a favore dei consumatori all’esito della procedura non erano vincolanti per la compagnia, anche in caso di decisione di accettazione, e, infine, (e) non veniva comunicato ai consumatori che la piattaforma di ADR poteva gestire solo un certo numero di pratiche annuali, e solo relativamente a controversie sui reclami presentati ai sensi del Regolamento.

La seconda condotta ritenuta ingannevole riguarda, come anticipato, le modalità di attribuzione dei Sigilli Codacons, vale a dire due simboli rilasciati dall’associazione che attestano un’“Azienda affidabile con contratti customer friendly, termini e condizioni trasparenti e un servizio clienti efficiente”, nonché un’“Azienda 4.0 con un sito Web intuitivo, una politica sui cookie trasparente e un uso corretto dei social media”.

Tale attribuzione è avvenuta, secondo l’AGCM, con modalità decettive, in quanto (a) l’indagine di mercato condotta dalle Associazioni al fine di raccogliere le opinioni dei passeggeri di Ryanair veniva finanziata da quest’ultima, senza che i consumatori ne avessero contezza; (b) i risultati dell’indagine condotta dalle Associazioni (indicati come non favorevoli per Ryanair nel provvedimento) erano stati integrati con i risultati di una parallela indagine, condotta da Ryanair direttamente sui propri clienti, al fine di diluire il numero di risultati negativi; (c) i criteri per il conferimento dei Sigilli non erano predeterminati (con conseguente eccessiva discrezionalità in capo alle Associazioni); (d) l’audit condotto dalle Associazioni sui Termini e Condizioni di servizio di Ryanair appariva meramente formale; (e) infine, l’attività di monitoraggio successivo al conferimento dei Sigilli Codacons, per verificare l’effettivo rispetto dei parametri necessari per il loro ottenimento, non era stata compiuta.

Nelle more del procedimento, il Codacons ha apportato alcune modifiche alle indicazioni contenute sul proprio sito internet, per venire incontro alle obiezioni sollevate dall’AGCM, indicando la natura onerosa della procedura per l’ottenimento dei Sigilli Codacons e definendo precisamente una check-list di parametri che verranno tenuti in considerazione per il conferimento di tale riconoscimento. Sebbene tali modifiche siano state positivamente valutate dall’AGCM, esse non sono bastate ad evitare alle Associazioni una condanna al pagamento di due somme, pari ciascuna al minimo edittale (5.000 euro), unitamente a Ryanair, colpita con maggiore severità.

La vicenda è senz’altro interessante perché costituisce un caso, certamente non comune, di accertamento di una pratica scorretta a carico di un’associazione che ha come propria missione proprio la tutela dei consumatori. Resta solo da vedere se il provvedimento verrà impugnato, e se verrà dato seguito dal Codacons alle iniziative annunciate dallo stesso in un duro comunicato.

Ignazio Pinzuti Ansolini

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Pratiche commerciali scorrette e settore delle telecomunicazioni – Il Consiglio di Stato conferma l’annullamento di un provvedimento dell’AGCM adottato nei confronti di TIM, per violazione del ne bis in idem

Con la sentenza 5254/2022, il Consiglio di Stato (CdS) ha respinto l’appello proposto dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) contro la sentenza del TAR Lazio relativa a una pratica commerciale scorretta in precedenza accertata dall’AGCM a carico di Telecom Italia S.p.A. (TIM), confermando le valutazioni compiute dal giudice di merito circa la violazione del principio del ne bis in idem.

La vicenda giurisdizionale origina da una sanzione irrogata dall’AGCM a TIM per una condotta relativa alla vendita di prodotti c.d. ‘pregiati’, quali telefoni fissi, computer, videotelefoni e notebook. Nello specifico, oggetto di contestazione era la fornitura non richiesta di tali prodotti ai clienti, riconducibile in parte all’azione di alcuni dealer di TIM, che avrebbero addebitato sul conto dei clienti TIM il prezzo di tali prodotti senza autorizzazione all’acquisto da parte di questi, e in parte a soggetti estranei alla società, i quali avrebbero contattato con telefoni cellulari gli operatori TIM effettuando ordini di prodotti pregiati all’insaputa degli effettivi titolari di telefonia fissa TIM (teleselling).

Tali fatti hanno costituito oggetto di indagine, in primo luogo, davanti all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM), la quale – con delibera n. 96/10/CONS del marzo 2010 – se aveva accertato l’assenza di responsabilità in capo a TIM per le frodi tramite teleselling, allo stesso tempo aveva comminato una sanzione di 116.000 euro alla stessa per omessa vigilanza sull’operato dei propri dealer. L’anno successivo, l’AGCM aveva a sua volta avviato nei confronti di TIM il procedimento PS4058, il cui oggetto verteva attorno al comportamento posto in essere da TIM nel contesto della vendita di c.d. prodotti pregiati offerti congiuntamente alla fornitura dei servizi di telefonia fissa sia presso i dealer, sia tramite il teleselling. Ad esito del procedimento, l’AGCM ha ritenuto TIM responsabile per entrambe le condotte e ha irrogato una sanzione pecuniaria per 400.000 euro. Quest’ultimo provvedimento sanzionatorio è stato oggetto del ricorso dinanzi il TAR, che lo ha accolto ritenendo violato il principio del ne bis in idem.

Con la sentenza in commento, il CdS ha respinto il ricorso proposto dall’AGCM e ha avallato le conclusioni del TAR. In via di premessa, il massimo organo della giustizia amministrativa ricorda che il principio del ne bis in idem, garantito dall’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, conferisce ai soggetti dell’ordinamento un diritto suscettibile di immediata applicazione, non essendo subordinato ad alcuna condizione. Secondo il CdS, nel caso in esame, sussistono tutti i presupposti per riconoscerne l’applicazione. In primo luogo, sono del tutto congruenti i fatti oggetto di contestazione: al netto della differenza tra i plessi normativi applicati nei due procedimenti – per il procedimento AGCOM, l’art. 70 d.lgs. n. 259/2003 in combinato con l’art. 3 c. 1 allegato A della delibera 654/06/CONS, mentre per il procedimento AGCM la disciplina del Codice del Consumo – “l’idem factum sostanziale, rilevato dal Tar, appare confermato”. A suffragio di questa conclusione, il CdS rileva come i fatti contestati dalle due Autorità siano pienamente sovrapponibili sul piano temporale, nonché pienamente coincidenti in punto di prodotti interessati.

Analoga coincidenza sussiste anche sotto il profilo del fine perseguito dai provvedimenti delle due Autorità, per la cui determinazione ai fini del ne bis in idem il CdS effettua rinvio ai leading case Engels, Menarini e Grande Stevens. La ratio dell’intervento sanzionatorio dell’AGCOM nonché dell’AGCM converge infatti nella “tutela degli utenti consumatori della linea mobile defraudati”. Alla luce di tali rilievi, il CdS ha rigettato l’impugnazione dell’AGCM e confermato la pronuncia impugnata.

La sentenza in commento si pone nel solco di una giurisprudenza consolidata ed è priva di innovazioni di rilievo. Appare peraltro degna di nota l’assenza nella sentenza di un riferimento alle recenti sentenze Bpost e Nordzucker della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, già oggetto di commento su questa Newsletter, che hanno sistematizzato e chiarito numerosi profili di applicazione del principio del ne bis in idem precedentemente emersi in modo disorganico nella casistica. Si osserva inoltre come, con la prossima approvazione ed entrata in vigore del Digital Markets Act (nonché delle omologhe normative nazionali), il principio tornerà sicuramente all’attenzione delle corti europee e nazionali: sarà interessante vedere se e in che misura i principi richiamati in questa sede troveranno applicazione anche alla nuova disciplina.

Alessandro Canosa

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