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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza – Europa / Unione Europea e Competition policy – La Commissione europea ha pubblicato il suo Annual Activity Report per il 2021

Il 30 maggio scorso, la Commissione europea (la Commissione) ha pubblicato l’Annual Activity Report (il Report) relativo alle attività della Direzione Generale per la Concorrenza, che riassume gli obiettivi perseguiti e i principali risultati raggiunti nel 2021.

Tra i vari punti trattati, viene osservato come l’attività di enforcement della Commissione si è svolta in pieno supporto alle politiche e agli obiettivi sanciti in tre progetti: il c.d. Green Deal europeo, l’adeguamento dell’ordinamento europeo alla c.d. Digital Age e alla promozione di una economia funzionale alle effettive esigenze della gente. Queste, infatti, sono le tre chiavi di lettura che la Commissione ha perseguito nel corso dell’attività svolta nel 2021 al fine di perseguire concreti obiettivi di sostenibilità, progresso tecnologico e di sostegno all’economia.

Lo scorso anno la Commissione ha adottato dieci decisioni sui cartelli e una decisione di modifica infliggendo ammende per un importo complessivo di 1,75 miliardi di euro. Importanti anche le decisioni nei confronti di imprese che hanno abusato della loro posizione dominante, mentre è risultata intensa l’attività sul fronte del controllo delle concentrazioni, con 396 decisioni adottate e 14 fasi II. Diversi sono stati i mercati interessati da tali decisioni, ma significative sono state in particolare quelle che hanno riguardato i settori del commercio elettronico, della tecnologia delle emissioni delle automobili, dei biocarburanti, farmaceutico e quello ferroviario. Inoltre, il Report attesta anche gli sviluppi avutesi nell’ambito del quadro temporaneo per gli aiuti di Stato e mostra come su 1.000 decisioni in materia più di 675 hanno riguardato aiuti di Stato concessi per porre rimedio alle difficoltà economiche causate dalla pandemia da Covid-19.

In aggiunta, il Report mette in luce i progressi significativi svolti nella revisione delle norme e degli orientamenti in materia di concorrenza (basti pensare alla recente emanazione della nuova Vertical Block Exemption Regulations o la pubblicazione della bozza delle nuove Horizontal Guidelines con la nuova sezione dedicata alla sostenibilità, il Digital Markets Act e così via). Interessante è notare come anche questo tipo di azione è stata guidata dal perseguimento degli obiettivi richiamati in precedenza, atti a garantire che tutti gli strumenti della politica di concorrenza dell’Unione Europea rimangano adeguati alle sfide del futuro, contribuendo alla transizione digitale e green.

Inoltre, il Report sottolinea l’attività di cooperazione interna, rafforzata dall’attuazione della direttiva ECN plus sempre in più Stati membri e che ha portato alla realizzazione di un totale di 145 nuove istruttorie all’interno del network con 84 decisioni finali, ma anche l’attività di cooperazione esterna con l’International Competition Network (ICN), con l’OECD Competition Committee, e con l’United Nations Conference on Trade and Development (UNCTAD).

Non solo successi: il Report prende atto anche delle numerose sfide ancora in gioco per la Commissione europea, come quelle relative alle operazioni sottosoglia che avvengono in settori come quello tecnologico, farmaceutico e biotecnologico che ancora sfuggono al controllo sia della stessa Commissione, sia da parte delle singole autorità nazionali o come i finanziamenti, diretti e indiretti, da parte di governi o enti pubblici di paesi terzi alle imprese europee. Al riguardo il Report sottolinea lo sforzo per ricercare strumenti idonei a colmare tali lacune, come, ad esempio, la Comunicazione sul meccanismo di rinvio tra gli Stati membri e la Commissione previsto dall’articolo 22 del Regolamento sulle concentrazioni o, ancora, la proposta di Regolamento sui Foreign subsidies promossa nel maggio 2021.

In conclusione, il Report è un documento che non solo dà conto dell’attività passata ma che permette di interpretare anche la futura attività di enforcement antitrust da parte della Commissione. In aggiunta, ciò che emerge è che la Commissione ha un ruolo sempre più centrale al fianco delle altre istituzioni politiche e che la sua funzione è sempre più vicina a quella di regolatore dell’economia del mercato unico europeo e non solo di promotore e attuatore delle norme in materia di concorrenza: prevedere la direzione della sue politiche appare sempre più necessario.

Maria Spanò

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Telecomunicazioni e accesso a infrastrutture – L’Avvocato Generale Collins si esprime sull’obbligo di accesso alle infrastrutture di posa da parte di operatori non qualificati come detentori di significativo potere di mercato

Con le proprie conclusioni rassegnate nella causa C-243/21, sul rinvio pregiudiziale sollevato dal Tribunale regionale di Varsavia, l’Avvocato Generale Collins (AG) ritiene che la possibilità – per un’autorità di regolamentazione nazionale – di imporre ad un operatore che dispone di un’infrastruttura fisica ma non è stato designato come operatore con significativo potere di mercato (SPM) l’obbligo di applicare determinate condizioni per l’accesso alla sua infrastruttura fisica, indipendentemente dall’esistenza di una controversia relativa all’accesso all’infrastruttura stessa, sia compatibile con il quadro regolamentare europeo.

Ripercorrendo brevemente i fatti, il Presidente dell’ufficio per le comunicazioni elettroniche polacco nel 2018 aveva imposto a TOYA sp. Z o.o. (Toya) – impresa di telecomunicazioni e operatore di rete polacco – di garantire la disponibilità a concludere contratti e a ricevere richieste di accesso alla sua infrastruttura fisica e aveva definito al contempo le condizioni di accesso per quanto riguardava la canalizzazione dei cavi. La base giuridica di tale decisione era stata individuata nella legge relativa al sostegno allo sviluppo per garantire alle imprese di telecomunicazione la condivisione e l’accesso alle infrastrutture di posa per realizzare una rete di telecomunicazioni ad alta velocità, nonché negli obiettivi della direttiva 2014/61/UE recante misure volte a ridurre i costi dell’installazione di reti ad alta velocità (Direttiva). Toya impugnava il provvedimento ritenendo che, ai sensi della Direttiva e delle altre direttive quadro a livello europeo in ambito di telecomunicazioni, un’autorità nazionale di regolamentazione potesse imporre simili obblighi e condizioni ex ante soltanto agli operatori detentori di SPM a valle di un’analisi di mercato ovvero qualora sussista una controversia relativa all’accesso all’infrastruttura di posa. Il giudice del rinvio, avendo dubbi in merito alla compatibilità delle disposizioni nazionali polacche rispetto al diritto dell’UE, ha sollevato una questione pregiudiziale dinanzi alla Corte di Giustizia, chiedendo essenzialmente se la Direttiva ostasse a che un’autorità nazionale di regolamentazione potesse imporre ex ante condizioni di accesso a un fornitore di reti di comunicazione elettroniche che non detenga un SPM anche in assenza di una controversia relativa all’accesso.

Per rispondere ai quesiti, l’AG descrive brevemente il quadro delle direttive europee atte ad agevolare lo sviluppo di mercati concorrenziali nel settore delle telecomunicazioni (e rilevanti nel caso di specie ratione temporis): (i) la c.d. “direttiva quadro” (direttiva UE n. 2002/19), che si concentra sulla possibilità per le autorità di regolamentazione di definire i mercati rilevanti, individuare gli operatori con SPM a cui possono essere imposti alcuni obblighi ex ante (tra cui obblighi di trasparenza, non discriminazione e di prezzo), e che è stata accompagnata da altre direttive specifiche, tra cui la c.d. “direttiva accesso”, che disciplina l’accesso alle reti di telecomunicazione e la loro interconnessione. Entrambe prevedevano la possibilità per le autorità nazionali di regolamentazione di imporre obblighi a operatori privi di SPM; (ii) la raccomandazione 2010/572/UE relativa all’accesso alle reti di nuova generazione, in cui si indicava la possibilità di imporre alle imprese che gestiscono una rete di comunicazione elettronica obblighi di condivisione delle infrastrutture; e (iii) la Direttiva, che mira a facilitare e incentivare l’installazione di reti di comunicazione elettronica ad alta velocità promuovendo l’uso condiviso di infrastrutture fisiche esistenti, consentendo un dispiegamento più efficiente di infrastrutture fisiche e abbattendo i costi dell’installazione delle reti. L’AG ricorda che l’applicazione della Direttiva non è limitata alle situazioni nelle quali gli operatori sono designati come detentori di SPM e che vi è un obbligo sugli operatori di reti in generale di soddisfare tutte le richieste ragionevoli di accesso alle infrastrutture fisiche secondo condizioni eque, anche con riguardo al prezzo. Quindi, l’AG conclude per l’assenza di conflitti o contraddizioni tra le direttive di cui sopra nella misura in cui (i) esiste un diritto di chiedere e ottenere accesso all’infrastruttura fisica più ampio rispetto a quello esistente nei confronti degli operatori con SPM e (ii) sia la “direttiva quadro”, sia la “direttiva accesso” prevedono la possibilità di imporre obblighi di accesso anche a fornitori non designati come detentori di SPM. Pertanto, per l’AG la Direttiva non osta all’imposizione di condizioni di accesso ex ante anche a operatori senza SPM. Inoltre, posto che la Direttiva stabilisce solo prescrizioni minime e che – per l’AG – non è irragionevole ipotizzare che un approccio ex ante (come quello promosso dalla legislazione polacca in questione) possa presentare vantaggi per il raggiungimento degli obiettivi individuati dalla Direttiva stessa, esso conclude che, in linea di principio, la normativa polacca oggetto di controversia deve ritenersi compatibile con il quadro europeo. Spetterà poi al giudice nazionale verificare se la legislazione polacca condivide effettivamente gli stessi obiettivi contenuti nella Direttiva.

Le conclusioni in commento consentono di ripercorrere l’articolato quadro delle iniziative legislative volte ad incentivare l’installazione di reti ad alta velocità e l’uso condiviso delle infrastrutture di posa per un dispiegamento efficiente delle infrastrutture nuove, l’abbattimento dei costi e una maggior sostenibilità a livello sociale e ambientale, ricordando al contempo la delicatezza e l’importanza del (separato ma connesso) tema della definizione del perimetro dell’obbligo di accesso, nonché della ragionevolezza e proporzionalità delle richieste presentate dai diversi operatori in tal senso. Non resta ora che vedere se la Corte di Giustizia deciderà di seguire a pieno la ricostruzione operata dall’AG.

Cecilia Carli

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Diritto della concorrenza – Italia / Intese e settore dei diritti tv – Il Consiglio di Stato ha annullato parzialmente il provvedimento con cui l’AGCM ha sanzionato Media Partners e MP per un’intesa nelle procedure di assegnazione dei diritti di trasmissione internazionale dei principali eventi calcistici italiani

Con la sentenza pubblicata il 9 giugno scorso, il Consiglio di Stato (CdS) ha accolto il ricorso presentato dalle società Media Partners Limited e MP S.r.l. (congiuntamente, MP) contro la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (il TAR Lazio) confermativa del provvedimento sanzionatorio emesso dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ad esito del procedimento I-814. In tale occasione, l’AGCM aveva accertato l’esistenza dal 2008 al 2015 di un’intesa avente per oggetto il coordinamento del comportamento delle società partecipanti alle gare indette dalla Lega Professionisti Serie A (Lega Calcio) per l’assegnazione dei diritti televisivi per la trasmissione, al di fuori del territorio nazionale, delle partite di Serie A, Coppa Italia e Supercoppa Italiana. Le sanzioni irrogate ammontano a circa €63,9 milioni a carico di MP, circa €3,1 milioni a carico delle società riconducibili a B4 Capital SA (B4) e €343.645 a carico delle società del gruppo IMG (IMG), tenuto conto per quest’ultime di una riduzione pari al 40% per il contributo offerto in sede di leniency e di un’ulteriore riduzione del 5% per aver presentato un programma di compliance.

Con riferimento ai motivi di censura, in primo luogo il CdS ha ritenuto infondate le principali doglianze in merito ad (i) un’asserita lesione del diritto di difesa arrecata dal parziale accesso alla documentazione presentata da IMG in veste di leniency applicant e (ii) alla qualificazione dell’intesa come un’infrazione unica e continuata.

Sul punto (i) il CdS ha ritenuto che le appellanti non abbiano subito alcun vulnus dal mancato accesso a 144 documenti mantenuti integralmente riservati, ritenendo invece rispettate le regole di procedura tramite la lettura orale delle dichiarazioni confessorie rese ed evidenziando l’impossibilità di procedere al riesame della questione relativa all’accesso agli atti in quanto il motivo di censura dedotto nel ricorso richiama un’istanza presentata agli appellanti ai sensi dell’articolo 116 c.p.a. sulla quale nel frattempo, come già correttamente rilevato anche dal TAR Lazio, si è formato un giudicato.

Ai fini del punto (ii), il CdS ha ritenuto irrilevanti sia la circostanza per cui alle distinte gare abbiano partecipato soggetti differenti (IMG e MP per la gara relativa ai diritti della Serie A, IMG e B4 per quelli relativi alle Coppe), sia la contestazione circa l’assenza di alcuna prova diretta della reciproca conoscenza dei contatti intercorrenti tra le società. Per il CdS risulta invece sufficiente che emergano elementi sintomatici di un complessivo disegno unitario consolidatosi nel tempo che, nel caso di specie, si rinvengono nella stipula di contratti di sublicenza con IMG da parte sia di MP, sia di B4, a volte anche prima dello svolgersi della relativa gara, e nella sistematicità con cui negli anni da un lato MP è risultata sempre aggiudicataria per i diritti di trasmissione della Serie A e, dall’altro, B4 per quelli relativi alle Coppe.

In secondo luogo, viene invece accolta la censura relativa all’erronea determinazione della sanzione. Il CdS ha infatti stabilito che l’AGCM non ha correttamente considerato l’effettiva (in)capacità contributiva di MP, con conseguente violazione del principio di proporzionalità, poiché nella motivazione non ha trovato spazio la situazione di crisi economica e finanziaria in cui versavano le società del gruppo, culminata in una serie di dichiarazioni di insolvenza e in una relazione dell’allora amministratore delegato della capogruppo in cui risultavano perdite nel 2018 pari a $164 milioni. Ulteriore vizio rilevato dal CdS, è, infine, il calcolo del massimo edittale sulla base dei bilanci di MP relativi all’esercizio chiuso al 30 giugno 2016, ovvero quelli anteriori rispetto alla data del provvedimento di quasi tre anni. Ciò ha portato il CdS ad enucleare delle considerazioni in merito al dettato dell’articolo 15 c. 1 della legge 287/90, che individua quale base di calcolo per il massimo edittale della sanzione il fatturato come risultante dall’ “…ultimo esercizio chiuso antecedentemente alla notifica della diffida…”, e non necessariamente quello risultante dall’ultimo bilancio depositato. Tale disposizione non pare quindi precludere la possibilità di determinare il fatturato dell’ultimo esercizio chiuso, indipendentemente dal fatto che sia stato depositato il relativo bilancio. Il CdS ha di conseguenza demandato all’AGCM il ricalcolo della sanzione in base ad un’operazione di ricostruzione dei ricavi da compiersi alla luce delle evidenze disponibili. Inoltre, qualora non fosse concretamente possibile pervenire a risultati attendibili e fosse dunque costretta a fare riferimento nuovamente ai dati del bilancio del 2016, il CdS ha stabilito che l’AGCM debba tenere in maggior considerazione lo stato di crisi in cui versava il gruppo nel periodo antecedente l’irrogazione della sanzione.

Con tale sentenza, il CdS ha pertanto ribadito l’importanza del rispetto del principio di proporzionalità delle sanzioni amministrative di carattere quasi-penale (come quelle antitrust), così come stabilito anche dalla Corte costituzionale. Nel perseguire tale obiettivo, il CdS ha inoltre fornito importanti indicazioni sulle modalità di determinazione della sanzione qualora l’AGCM si trovi nell’indisponibilità di fare affidamento sul bilancio più recente.

Niccolò Antoniazzi

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Tutela del consumatore / Pratiche commerciali scorrette e settore dei servizi di trading online – L’AGCM avvia due istruttorie contro eToro e Degiro per una serie di pratiche commerciali scorrette nell’offerta dei servizi di investimento online

Con il Bollettino della scorsa settimana, l’Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato (AGCM) ha pubblicato i provvedimenti di avvio di due istruttorie, rispettivamente contro eToro Europe Ltd (eToro) e flatexDEGIRO Bank AG (Degiro), società di intermediazione finanziaria che erogano servizi di trading online, contestando ad esse la diffusione di informazioni ingannevoli circa le caratteristiche economiche e tecniche dei servizi offerti.

Vale la pena osservare come la pubblicazione dell’avvio di un’istruttoria per pratica commerciale scorretta sul Bollettino settimanale dell’Autorità costituisce una circostanza eccezionale, disciplinata dall’art. 19 co. 2 del Regolamento sulle procedure istruttorie in materia di tutela del consumatore approvato con delibera AGCM dell’1 aprile 2015, n. 25411, il quale dispone che “…alle Parti interessate e ai soggetti eventualmente intervenuti nel procedimento le comunicazioni vengono effettuate per posta elettronica o al domicilio dagli stessi indicato. […] Se le comunicazioni non possono avere luogo, le stesse sono effettuate mediante pubblicazione di un avviso nel bollettino pubblicato sul sito istituzionale dell’Autorità”. Nel caso in esame, stante l’esito infruttuoso del tentativo di trasmissione della comunicazione di avvio a eToro e Degiro, la pubblicazione sul Bollettino supplisce la mancata notifica dell’avvio del procedimento alle parti.

Nel merito, l’AGCM contesta a eToro la diffusione di informazioni ingannevoli tramite il proprio sito web in merito alle condizioni di fornitura dei servizi di investimento in titoli azionari, asseritamente prive di commissioni. Nella homepage italiana del sito, il professionista utilizzerebbe secondo il provvedimento di avvio espressioni quali “Investi in azioni con commissioni pari allo 0%”, “100% azioni”, “0% commissioni”, o ancora, in altra sezione del sito, “apri un account d’investimento gratuito con eToro e liberati dalle commissioni”. In realtà, l’attività di investimento promossa di eToro non potrebbe dirsi sempre gratuita per il consumatore: già dalle FAQ poste nell’ultima schermata di una pagina del sito relativa alle condizioni di investimento, si evincerebbe che l’assenza di commissioni si applicherebbe solo alla negoziazione di determinate azioni. Ulteriori profili di carenza informativa riguarderebbero inoltre diversi altri profili, quali: (i) la necessità di convertire ogni importo depositato sul conto detenuto per la negoziazione in dollari, unica valuta impiegata per le operazioni di intermediazione di strumenti finanziari veicolate da eToro. Ne deriva che oltre al pagamento della commissione di conversione della valuta, il consumatore si espone altresì al rischio legato alle variazioni dei tassi di cambio; (ii) per ogni operazione di prelievo della liquidità dal conto detenuto per la negoziazione, vengono addebitate commissioni fisse; (iii) i titoli azionari non sono trasferibili presso altri intermediari, ma sono negoziabili esclusivamente tramite la piattaforma di eToro.

Parzialmente simili sono altresì le contestazioni mosse dall’AGCM a Degiro. Anche in questo caso, l’oggetto dell’istruttoria dell’AGCM comprende l’asserita diffusione di informazioni ingannevoli circa la natura occultamente oneroso del servizio di trading offerto dalla piattaforma. Una variazione rispetto alla fattispecie contestata a eToro riguarda l’asserito indebito condizionamento esercitato sui consumatori per le modalità di conversione del conto in valuta estera. Degiro offrirebbe due diverse soluzioni: un’opzione preimpostata denominata “AutoFX”, che preleva una commissione dell’0,25% del controvalore dell’operazione contestualmente a ogni operazione di acquisto o vendita di strumenti finanziari; e un’opzione meno agevole, che richiede una scelta espressa del consumatore, per la quale il cambio avviene su richiesta consumatore con un costo di 10 euro + 0,25% del controvalore convertito. La cifra convertita verrebbe accantonata sul conto, rendendo non necessaria la conversione della valuta in occasione di ogni operazione. Ne deriva che l’applicazione delle commissioni potrebbe avvenire in un numero di volte di gran lunga inferiore rispetto all’altra opzione, con un risparmio sulle spese di gestione. Le informazioni sui costi di conversione della valuta sarebbero reperibili solo scaricando il Tariffario di Degiro o accedendo alle pagine di helpdesk da un link situato in posizione poco visibile al fondo dell’homepage.

L’avvio delle due istruttorie in commento dimostra l’attenzione da parte dell’AGCM nei confronti di un settore strategico dell’economia quale quello finanziario ove, data l’elevata tecnicità dei servizi offerti, la scarsa alfabetizzazione finanziaria del Paese e la crescente volatilità dei mercati, il consumatore risulta particolarmente esposto a possibili condotte decettive da parte del professionista. Resta da vedere quale sarà l’esito dell’istruttoria, e se ad essa faranno seguito ulteriori interventi da parte dell’AGCM.

Alessandro Canosa

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Appalti, concessioni e regolazione / Art. 21-bis e legittimazione ad agire – Il Consiglio di Stato si pronuncia sulla legittimazione straordinaria dell’AGCM all’impugnazione di bandi nei c.d. settori speciali

Il 3 giugno scorso, la sezione consultiva del Consiglio di Stato ha emesso il parere n. 934/2022 (il Parere) sull’applicabilità dell’art. 21-bis della legge n. 287/1990 ai bandi di gara delle società operanti nei c.d. settori speciali di cui agli artt. 115 e ss. del d.lgs. n. 50/2016 (Codice dei contratti pubblici). I settori speciali includono inter alia quelli del gas, dell’energia elettrica, dell’acqua, dei trasporti, ecc. Nella sostanza, le gare che hanno ad oggetto attività riconducibili a tali settori presentano una disciplina che è in parte derogatoria rispetto a quella degli appalti c.d. ordinari.

Il Parere affronta la questione interpretativa se l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) sia legittimata, ai sensi dell’art. 21-bis della legge n. 287/1990, ad impugnare i bandi di gara adottati da imprese “che operano nei settori speciali e che sono tenute ad osservare le regole dell’evidenza pubblica solo in quanto operanti in uno dei settori previsti dagli artt. 115-121” del Codice dei contratti pubblici.

Il citato art. 21-bis invero prevede in capo all’AGCM una legittimazione straordinaria ad “…agire in giudizio contro gli atti amministrativi generali, i regolamenti ed i provvedimenti di qualsiasi amministrazione pubblica che violino le norme a tutela della concorrenza e del mercato…”. La formulazione letterale della disposizione fa riferimento alle sole amministrazioni pubbliche. Di qui, pertanto, il dubbio interpretativo sottoposto al Consiglio di Stato: se, nella materia dei contratti pubblici, tale legittimazione si limiti ai bandi anticoncorrenziali delle sole amministrazioni in senso stretto (opzione restrittiva) ovvero si estenda anche a quelli adottati da soggetti che hanno personalità di diritto privato, ma, nei settori speciali, sono sottoposti alla disciplina del Codice dei contratti pubblici (opzione estensiva).

Il Consiglio di Stato ha ritenuto preferibile l’opzione estensiva per tre ordini di ragioni:

(i) in primo luogo, sotto il profilo formale, gli atti adottati dalle imprese operanti nei settori speciali, quando promuovono procedure ad evidenza pubblica, sono atti amministrativi a tutti gli effetti e quindi rientrano, per esempio, nella giurisdizione del giudice amministrativo;

(ii) in secondo luogo, sotto il profilo sostanziale, la stessa nozione di pubblica amministrazione non è più monolitica, bensì “cangiante” e, per l’effetto, idonea a ricomprendere al proprio interno una pluralità di soggetti che, sotto il piano formale, hanno personalità di diritto privato;

(iii) in terzo luogo, l’art. 21-bis della legge n. 287/1990 richiede una interpretazione sistematica alla luce di un’altra norma – ossia l’art. 211 del Codice dei contratti pubblici – che, conferendo una legittimazione processuale straordinaria all’ANAC, si applica pacificamente a tutte le stazioni appaltanti e non solo a quella che rientrano nella nozione di p.a. in senso stretto. In tale contesto, l’art. 21-bis deve essere adeguatamente armonizzato con norme di simile ratio.

Il Parere in commento è interessante nella misura in cui suggella un approccio interpretativo del Consiglio di Stato, nell’identificazione della p.a., che ha un carattere marcatamente sostanziale e appare coerente con l’espansione del diritto amministrativo oltre il perimetro tradizionale della sua applicazione su basi meramente soggettive. In tale contesto, sarà interessante vedere in che misura l’AGCM, sulla scorta della pronuncia del massimo organo della giustizia amministrativa, allargherà lo spettro del proprio monitoraggio sul mercato dei contratti pubblici al fine di garantire la piena attuazione dei principi della concorrenza.

Alessandro Paccione

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