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Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza UE / Concentrazioni e attrezzature mediche – Il Tribunale dell’UE ha confermato la sanzione della Commissione Europea a Canon per gun-jumping

Con la sentenza del 18 maggio 2022 nel caso T-609/2019, il Tribunale dell’Unione Europea (il Tribunale) ha respinto l’impugnazione promossa da Canon (di seguito, Canon o Ricorrente) avverso la decisione C(2019) 4559 finale (la Decisione) della Commissione Europea (la Commissione) che le aveva inflitto due ammende, per un totale di 28 milioni di euro, per violazione delle disposizioni che regolano la prematura attuazione di concentrazioni di rilevanza comunitaria.

La vicenda risale al 2016, quando Toshiba Corporation (Toshiba), a seguito di difficoltà finanziarie, decise di vendere la società Toshiba Medical Systems Corporation (TMSC), una società specializzata nella vendita di attrezzature mediche, nonché nella fornitura di servizi tecnici in tale ambito. A fronte del sollecito interessamento di Canon, e delle esigenze di liquidità di Toshiba, le società convennero di procedere rapidamente alla chiusura dell’operazione di vendita di TMSC, articolandola in diversi passaggi:

  • in primo luogo, TMSC convertì le originarie azioni ordinarie in nuove azioni, di tre tipologie distinte (20 azioni del gruppo A, con diritto di voto; 1 azione del gruppo B, senza diritto di voto ma dotata di un importante diritto di veto nei confronti di alcuni poteri esercitabili dall’azionista di maggioranza, ai sensi della legislazione giapponese; 100 azioni del gruppo C, con diritto di voto e con diritto di riscatto esercitabile da TMSC); Canon procedette quindi all’acquisto dell’azione del gruppo B e delle opzioni di acquisto su tutte le azioni del gruppo C, il cui diritto di voto rimaneva pertanto subordinato all’esercizio delle opzioni sulle azioni, versando a favore di Toshiba l’intero prezzo pattuito per il trasferimento di TMSC; inoltre, venne predisposta una società veicolo, MS Holding, appositamente creata ai fini della concentrazione, acquirente delle restanti venti azioni con diritto di voto di categoria A di TMSC;
  • infine, ottenuta l’autorizzazione rilevante ai fini della concentrazione, Canon esercitò le sue 100 opzioni di acquisto sulle azioni di categoria C, e Toshiba, di converso, acquistò da MS Holding le venti azioni di categoria A e, da Canon, l’azione di categoria B senza diritto di voto.

Il cuore della Decisione assunta dalla Commissione – e ora confermata dal Tribunale – consiste nel fatto che la Ricorrente, tramite l’operazione intermedia di costituzione di MS Holding e di trasferimento delle azioni di TMSC in capo a MS Holding e alla stessa Canon (avvenuta il 17 marzo 2016), avrebbe parzialmente realizzato una concentrazione consistente nell’acquisizione del controllo di TMSC, in violazione degli artt. 4, paragrafo 1, e 7, paragrafo 1, del Regolamento 139/2004 (che proibiscono rispettivamente l’omessa notifica alla Commissione e l’attuazione di una concentrazione prima della clearance) – Canon, infatti, aveva notificato alla Commissione l’acquisizione di TMCS nell’agosto del 2016, quasi cinque mesi dopo il completamento dell’operazione intermedia.

Con l’impugnazione della Decisione, la Ricorrente ha innanzitutto contestato che la violazione delle due appena citate norme si possa avere anche in occasione di operazioni intermedie che, tuttavia, non trasferiscano contestualmente il controllo sulla società target in capo all’acquirente. Secondo la Ricorrente, infatti, per aversi “realizzazione parziale” di una concentrazione si richiederebbe almeno l’acquisizione di un controllo.

Di diverso avviso si è mostrato il Tribunale, che, concordando con la Commissione, ha ritenuto che la Decisione abbia opportunamente applicato la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) e del Tribunale stesso (casi Ernst & Young, Aer Lingus, Marine Harvest e Cementbouw Handel), che distingue tra “concentrazione” e “realizzazione di una concentrazione”: secondo questo orientamento con “concentrazione” si indica la situazione che si produce con la modifica duratura del controllo dell’impresa target, mentre con “realizzazione di una concentrazione” si intende (in modo più ampio) l’attuazione di operazioni che “contribuiscono” a modificare in modo duraturo il controllo sull’impresa target.

Dal momento che sia l’art. 7, paragrafo 1, che l’art. 4, paragrafo 1, del Regolamento 139/2004, parlano di “realizzazione” della concentrazione, per garantire il loro effetto utile deve pertanto ritenersi che il criterio corretto per valutare eventuali violazioni di tali disposizioni sia quello di verificare se l’operazione oggetto di indagine da parte della Commissione ha contribuito, in tutto o in parte, in fatto o in diritto, alla modifica del controllo dell’impresa stessa. Verifica, questa, che secondo la Commissione ha dato esito positivo, e che è stata ritenuta corretta dal Tribunale.

Parimenti, il Tribunale ha ritenuto non persuasivo l’argomento della Ricorrente secondo cui la Commissione avrebbe errato nel ritenere l’operazione intermedia e l’operazione finale come un’unica concentrazione. Secondo la Ricorrente, infatti, la nozione di “unica concentrazione” riguarderebbe unicamente operazioni collegate tra loro con vincolo condizionale, e che siano concluse in un periodo di tempo ragionevolmente breve – condizioni, queste, assenti nel caso di specie.

La Commissione, invece, ha ritenuto (ad avviso del Tribunale, correttamente) che le due operazioni costituissero un’unica concentrazione in quanto (i) l’operazione intermedia era esclusivamente funzionalizzata all’operazione finale (vale a dire, il trasferimento di TMSC in capo a Canon con il contestuale pagamento dell’intero prezzo in anticipo rispetto all’ottenimento del via libera da parte della Commissione, in tempo utile per permettere a Toshiba di iscrivere a bilancio la plusvalenza), (ii) l’unico scopo della società veicolo MS Holding era di agevolare l’acquisto del controllo da parte di Canon e, infine, (iii) la Ricorrente era l’unica a poter determinare l’identità dell’acquirente finale (grazie al diritto di veto di cui all’azione di categoria B, Canon poteva impedire a MS Holding di acquistare le opzioni sulle azioni di categoria C o di rivendere a terzi il gruppo di azioni di categoria A).

Su quest’ultimo punto, peraltro, il Tribunale evidenzia la diversità dell’operazione del caso di specie rispetto alle “tipiche” operazioni di acquisto di un’impresa mediante i c.d. share purchase agreements: in particolare, normalmente quando un investitore compra il diritto di opzione su un pacchetto azionario di una certa impresa, lo fa ad un prezzo non già commisurato al valore totale di tale partecipazione azionaria, bensì minore, corrispondente al valore del diritto di opzione e solo a valle dell’esercizio dell’opzione di acquisto viene versato il prezzo corrispondente al valore delle partecipazioni acquistate. Nel caso dell’acquisto di TMSC da parte di Canon, invece, la Ricorrente aveva versato a Toshiba l’intero prezzo di TMSC al momento dell’acquisto delle opzioni, segno che l’operazione intermedia aveva costituito un “de facto automatic mechanism for acquiring [TMSC] or for having the right to sell it to a third party of [Canon’s] choice” (par. 195).

Nonostante questa sia stata, per espressa ammissione del Tribunale, la prima ipotesi in cui la Commissione ha ritenuto violati gli obblighi di notificazione e sospensione nell’ambito di un’operazione di concentrazione, la giurisprudenza richiamata e il tenore della sentenza potrebbero essere ritenuti tali da non lasciare ampi spiragli per un eventuale appello. Resta da vedere, nondimeno, se Canon riterrà opportuno adire la CGUE, dato che – inter alia – la piena conformità (pur se dichiarata) di questa pronuncia alla precedente sentenza Ernst & Young non appare di immediatamente lettura.

Ignazio Pinzuti Ansolini

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Concentrazioni e settore dei prodotti laminati – Il Tribunale dell’UE conferma la decisione della Commissione europea di non autorizzazione della concentrazione Wieland-Aurubis

Con la sentenza pubblicata il 18 maggio scorso, il Tribunale dell’UE (il Tribunale) ha respinto integralmente gli 11 motivi di ricorso presentati da Wieland-Werke AG (Wieland) contro la decisione (la Decisione) della Commissione europea (la Commissione) che, nel 2019, aveva vietato la concentrazione concernente, da parte della stessa Wieland, i) l’acquisto della società Aurubis Flat Rolled Products (la Target) nonché ii) il passaggio da una situazione di controllo congiunto ad uno esclusivo su Schwermetall Halbzeugwerk GmbH & Co. KG (Schwermetall) (l’Operazione).

Wieland e la Target sono due società di diritto tedesche attive entrambe nel mercato della produzione dei prodotti laminati. In particolare, la Target è una società controllata interamente da Aurubis AG (Aurubis), società tedesca leader a livello europeo nella produzione, vendita e distribuzione di metalli non ferrosi tra cui il rame che rappresenta l’input essenziale per la produzione dei prodotti laminati. A sua volta, Schwermetall è una joint venture soggetta al controllo congiunto di Aurubis e Wieland che, oltre a distribuire prodotti laminati, fornisce Wieland, la Target e terzi produttori di prodotti laminati i nastri prelaminati necessari alla produzione.

A seguito della notifica dell’Operazione nel giugno 2018, la Commissione aveva aperto un’indagine approfondita dei seguenti mercati rilevanti: i) il mercato delle forme del rame (in particolare quello delle billette e bramme); ii) il mercato dei nastri prelaminati; nonché iii) il mercato dei prodotti laminati. Le criticità concorrenziali, in particolare, individuate dalla Commissione erano relative solo a quest’ultimo mercato con la creazione a) di effetti orizzontali consistenti nella creazione di una posizione dominante (con quote superiori al 50%) ed b) effetti verticali a seguito dell’acquisto esclusivo di Schwemetall, che avrebbe comportato – ad avviso della Commissione – il rischio di un aumento dei prezzi dei nastri prelaminati (input essenziale per i concorrenti di Wieland nel mercato dei prodotti laminati) e un accesso alle informazione dell’attività a valle esercitata dai concorrenti di Wieland per quanto riguarda i volumi e prezzi di tale fattore produttivo. Diversi set di impegni erano stati presentati da Wieland nel corso del procedimento (sostanzialmente tre volte), ma questi, secondo la Commissione, non sarebbero stati né idonei né sufficienti a risolvere le problematiche emerse e, quindi, nel febbraio 2019, l’Operazione era stata vietata.

Con il ricorso avverso la Decisione, Wieland ha lamentato inter alia i) una ricostruzione errata del mercato rilevante; ii) la presenza di errori manifesti nella valutazione degli effetti dell’operazione, iii) un discostamento da un precedente caso nello stesso mercato; iv) l’adozione da parte della Commissione di una teoria del danno basata su un ‘test sui generis’, che avrebbe mescolato effetti orizzontali e verticali, e, infine, v) la presenza di errori manifesti di valutazione relativi all’adeguatezza degli impegni proposti.

Per quanto riguarda il mercato rilevante, la Commissione ha ricostruito il mercato dei prodotti laminati come caratterizzato da un elevato tasso di differenziazione, con conseguente segmentazione dello stesso e tale segmentazione, secondo Wieland, sarebbe stata arbitraria e non fondata su considerazioni oggettive. Tuttavia, secondo il Tribunale, la Commissione non solo era pervenuta a tale conclusione seguendo correttamente le indicazioni dalla Comunicazione della Commissione sulla definizione del mercato rilevante (valutando il grado di sostituibilità sia sul versante della domanda, sia sul versante dell’offerta) ma è stata suffragata dagli stessi documenti, pubblici e interni, presentati dalle stesse società e redatti dalle persone direttamente coinvolte.

La possibile creazione di una posizione dominante sarebbe occorsa in un segmento del mercato dei prodotti laminati definito come “high-end”, caratterizzato da vincoli di capacità produttiva, elevate barriere all’ingresso, prezzi elevati e, quindi, una scarsa dinamicità al suo interno. In particolare, secondo il Tribunale, è proprio tale segmentazione e differenziazione nel mercato dei prodotti laminati che spiega il discostamento della Commissione rispetto ad una precedente autorizzazione di un’operazione di concentrazione nel medesimo mercato (in particolare, tra il terzo e il quarto maggiore fornitore di prodotti laminati nel SEE, ma attivi negli altri due segmenti del mercato definiti come “low-end” e “commodities”) e ricorda che “in ogni caso, né la Commissione, né a fortiori, il Tribunale sono vincolati dalle constatazioni di valutazioni di fatto o economiche effettuate in una decisione precedente”.

Inoltre, il Tribunale ha confermato la correttezza dell’analisi effettuata dalla Commissione riguardante gli effetti dell’Operazione, la quale sarebbe avvenuta “conformemente ai principi generali enunciati al punto 36 degli orientamenti sulla valutazione delle concentrazioni orizzontali e ai punti 18 e 78 degli orientamenti sulla valutazione delle concentrazioni non orizzontali”, e ha respinto le argomentazioni di Wieland sull’errata valutazione della situazione concorrenziale per assenza di prove precise e dirette.

Infine, il Tribunale ha confermato la piena sufficienza e ragionevolezza delle motivazioni della Commissione volte a dichiarare strutturalmente inadeguati e insufficienti gli impegni (già oggetto di commento in questa Newsletter) e ha constatato la piena legittimità della procedura seguita dalla Commissione nella relativa valutazione perché, come ribadito dal Tribunale, “non sussiste alcun obbligo per la Commissione di consultare i partecipanti al mercato su tutti gli impegni proposti”.

La sentenza in commento appare interessante, oltre che con riguardo al percorso valutativo ed agli standard probatori seguiti in materia di controllo delle concentrazioni, anche in particolare per quanto concerne l’importanza dei documenti interni e pubblici presentati nel corso delle indagini, ritenuti “particularly reliable evidence”.

Maria Spanò

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Aiuti di Stato e trasporto marittimo – Il Tribunale dell’UE ha respinto il ricorso di Tirrenia Navigazione S.p.A. per annullare la decisione del 2020 della Commissione europea relativa agli aiuti concessi alla compagnia marittima Adriatica dal 1992 al 1994

Con la sentenza nel caso T 601/20 del 18 maggio scorso, il Tribunale dell’UE (il Tribunale) ha respinto il ricorso presentato Tirrenia di navigazione S.p.A. (Tirrenia), società al vertice dell’omonimo gruppo, contro la decisione della Commissione europea (la Commissione) del 2020 che aveva dichiarato parzialmente incompatibili con il divieto di aiuti di Stato, inter alia, le sovvenzioni concesse dalla Repubblica Italiana per il periodo da gennaio 1992 a luglio 1994 in favore della compagnia marittima Adriatica di Navigazione S.p.A. (Adriatica), parte del gruppo Tirrenia, in relazione al collegamento Brindisi/Corfù/Igoumenitsa/Patrasso.

La vicenda origina nel 1999, a seguito della decisione della Commissione di avviare il procedimento a norma dell’articolo 108(2) TFUE nei confronti degli aiuti ricevuti da sei società del gruppo Tirrenia sotto forma di sovvenzioni dirette, versate allo scopo di sostenere i servizi di trasporto marittimo, in applicazione di sei convenzioni di servizio pubblico stipulate nel 1991 con la Repubblica Italiana. Nel 2005, la Commissione aveva stabilito che le compensazioni concesse dalla Repubblica Italiana alle compagnie regionali erano in parte compatibili con il mercato interno, a condizione che esse rispettassero alcuni impegni, e in parte incompatibili. Tra le misure rientravano, per quanto rileva in questa sede, gli aiuti concessi ad Adriatica in relazione al collegamento Brindisi/Corfù/Igoumenitsa/Patrasso nel periodo dal gennaio 1992 al luglio 1994. Nel marzo 2009, su impugnazione delle società del gruppo Tirrenia, il Tribunale aveva annullato la decisione della Commissione riscontrando una serie di lacune motivazionali. A ciò faceva seguito una nuova istruttoria della Commissione, volta a sanare i vizi istruttori rilevati dal Tribunale, che si è conclusa il 2 marzo 2020 con una nuova decisione di incompatibilità degli aiuti concessi al gruppo Tirrenia, compresi quelli già menzionati relativi alla tratta Brindisi/Corfù/Igoumenitsa/Patrasso.

Contro tale nuova decisione della Commissione, la ricorrente ha dedotto in primo luogo una violazione di ordine procedurale in relazione al termine di prescrizione per il recupero degli interessi sugli aiuti maturati tra il 1° gennaio e il 26 marzo 2007. Nella decisione del 2020, la Commissione imponeva infatti alla Repubblica Italiana di recuperare tale somma, non restituita originariamente da Tirrenia nel 2005 in sede di esecuzione della prima decisione. Tirrenia ha eccepito il decorso del termine di prescrizione decennale, che inizia a decorrere il giorno in cui l’aiuto illegittimo viene concesso al beneficiario, deducendo l’assenza di contestazioni da parte della Commissione idonee a interromperlo. Respingendo il motivo, il Tribunale osserva che, contrariamente a quanto sostenuto da Tirrenia, la Commissione ha posto in essere plurime azioni interruttive del termine di prescrizione, tra cui figura una lettera inviata alla Repubblica italiana il 18 ottobre 2018, che invitava tale Stato membro a comunicare, tra l’altro, l’esatto importo dell’aiuto recuperato dalle autorità italiane per l’esercizio della linea Brindisi/Corfù/Igoumenitsa/Patrasso nel periodo dal 1992 al 1994.

La ricorrente ha contestato in secondo luogo la qualificazione dell’aiuto nella decisione come aiuto nuovo e sostiene, al contrario, che esso sarebbe invece un aiuto esistente. Secondo Tirrenia, infatti, gli aiuti avrebbero avuto origine in una normativa nazionale specifica entrata in vigore nel 1936, ovvero prima dell’entrata in vigore dei Trattati. Sul punto, il Tribunale premette che è incompatibile con il divieto di aiuti di Stato “un obbligo di servizio pubblico che sia così generale e indifferenziato e che riguardi tutte le linee tra l’Italia e la Grecia senza precisare le linee specificamente interessate da un regime di aiuti”, e osserva in punto di fatto che non esistono evidenze conclusive che dimostrino che la tratta operata da Adriatica fosse già prevista ai tempi dell’entrata in vigore di tale normativa. In ogni caso, il collegio giudicante constata che la normativa del 1936, di durata ventennale e oggetto di numerose proroghe, è stata abrogata da una legge del 1974. Tale abrogazione assume natura sostanziale e non formale, in quanto implica la scomparsa dei decreti dall’ordinamento giuridico interno. Ne deriva che, alla luce di una modifica sostanziale della disciplina, l’aiuto deve essere qualificato come nuovo.

Inoltre, la ricorrente ha censurato l’affermazione della Commissione secondo cui l’incompatibilità con il mercato interno dell’aiuto ricevuto da Adriatica deriverebbe ipso iure dall’attuazione di un’intesa ex art. 101 TFUE avente ad oggetto la stessa tratta destinataria di sovvenzioni. L’argomento si fonda sulla premessa fattuale per cui Adriatica aveva partecipato tra il 1990 e il 1994 a un cartello per la fissazione dei prezzi da applicare ai veicoli commerciali sulla stessa tratta oggetto di sovvenzioni pubbliche. Nella decisione del 2020, la Commissione ha rilevato il diretto contrasto tra la condotta collusiva di Adriatica, peraltro controllata dallo Stato, e lo scopo dell’aiuto concesso alla stessa al fine di agevolare il trasporto marittimo sulla stessa linea. Il Tribunale respinge il motivo rilevando che, fermo restando che una eventuale violazione dell’art. 101 TFUE non può per ciò solo rendere l’aiuto incompatibile, è pur vero che la Commissione si è limitata a constatare la contraddizione tra lo scopo dell’aiuto, consistente nel garantire servizi pubblici accessibili e regolari agli utenti, e l’obiettivo dell’intesa, volto a incrementare artificialmente i prezzi.

La sentenza in esame costituisce l’ultimo episodio di una complessa vicenda che si è intersecata con la privatizzazione del gruppo Tirrenia alla fine degli anni ’90. Resta da vedere se questa sentenza ha posto fine ad una saga quasi trentennale ovvero alla pronuncia in commento farà seguito un’impugnazione alla Corte di Giustizia.

Alessandro Canosa

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Diritto della concorrenza Italia / Abusi di posizione dominante e settore dello smaltimento dei rifiuti RAEE – L’AGCM ha accettato gli impegni proposti dal sistema di gestione collettiva ERION WEEE

Con il provvedimento adottato il 27 aprile 2022, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha accettato gli impegni proposti dal sistema di gestione collettiva ERION WEEE (Erion) e dalle società Erion Compliance Organization S.c.a.r.l. (ECO) e Interseroh TSR Italia S.r.l. (Interseroh) a seguito dell’istruttoria avviata il 18 maggio 2021 per accertare la sussistenza di un possibile abuso di posizione dominante nel mercato dello smaltimento dei rifiuti RAEE, ossia delle apparecchiature elettriche ed elettroniche a fine vita.

Il mercato in questione costituisce una piattaforma concorrenziale a due versanti, che vede i sistemi di gestione collettiva come Erion, da un lato, offrire servizi di compliance ai produttori di apparecchiature elettroniche, sui quali ricade l’onere di farsi carico dello smaltimento secondo il principio cardine del diritto ambientale “chi inquina paga” e, dall’altro, acquistare servizi di trattamento e smaltimento agli appositi impianti. L’AGCM ha ritenuto che la posizione di Erion sia dominante in entrambi i versanti del mercato, costituendo in particolare un quasi monopsonio (ossia, un quasi monopolio ma sul lato della domanda).

I profili problematici rilevati dall’AGCM si sostanziavano principalmente in tre elementi:

(i) il primo consiste nell’inserimento nei contratti con gli impianti di trattamento di una clausola di “miglior prezzo” secondo cui quest’ultimi si obbligavano a non offrire termini e condizioni economiche più favorevoli ai sistemi di gestione collettiva concorrenti nella misura in cui, in un dato raggruppamento, Erion era il consorzio che conferiva i maggiori volumi di rifiuti RAEE domestici. La criticità della clausola risiede in particolare nell’incertezza generata dai criteri di determinazione di questo requisito, che a detta dell’AGCM induceva i gestori degli impianti a mantenere un certo differenziale rispetto alle offerte presentate ad altri sistemi di gestione collettiva per evitare di violare la clausola ed esporsi alla connessa facoltà di recesso di Erion, “ingessando” così tale versante del mercato. Ulteriore effetto di tutto ciò sarebbe stato un costante ribasso dei costi sostenuti da Erion, che poteva così offrire artificialmente e sistematicamente eco-contributi più bassi nel mercato a monte. Sull’ammontare degli eco-contributi, ovvero il driver principale della scelta del sistema di gestione collettiva a cui affidarsi, agisce anche la seconda condotta contestata, ossia:

(ii) l’offerta di eco-contributi sottocosto, resa possibile grazie al ricorso alle riserve accumulate negli esercizi precedenti, sia in ottica di retention verso i produttori già aderenti, sia per attrarre potenziali nuovi aderenti. Ciò avrebbe costituito una condotta escludente non replicabile dai concorrenti, indipendentemente dalla loro efficienza. In aggiunta,

(iii) l’AGCM ha richiamato l’attenzione anche sulla presenza nello statuto di Erion di una previsione in forza della quale i produttori aderenti non potevano contestualmente aderire ad altri sistemi collettivi di gestione dei RAEE, clausola ritenuta idonea ad amplificare gli effetti anticoncorrenziali prodotti dalle condotte sopra descritte.

Con l’intento di mitigare tali effetti, Erion, ECO e Interseroh hanno presentato congiuntamente i seguenti impegni:

(i) con riferimento alla prima condotta contestata, le società hanno proposto di abrogare integralmente la clausola in questione e quelle connesse, impegnandosi a non inserire in futuro clausole analoghe. Sul punto, seguendo le indicazioni emerse dalle consultazioni, hanno offerto anche l’impegno a non verificare le condizioni praticate dagli impianti ai sistemi di gestione collettiva concorrenti;

(ii) con riferimento alla seconda condotta, invece, l’AGCM ha accettato gli impegni a pubblicare sul sito internet di Erion l’ammontare degli eco-contributi richiesti distinguendo chiaramente tra quelli offerti ai soggetti già aderenti al consorzio e quelli offerti invece ai potenziali entranti, nonché ad inserire nel proprio Statuto clausole che impongono l’utilizzo degli eventuali avanzi di gestione generati in un dato esercizio in riduzione dei contributi richiesti nell’esercizio successivo ai soli produttori già aderenti. L’AGCM non ha ritenuto necessario imporre, come inveri richiesto da una società intervenuta in fase di consultazione, il vincolo di utilizzare le riserve solo relativamente al singolo raggruppamento RAEE in cui sono state realizzate;

(iii) infine, l’AGCM ha accettato l’ulteriore impegno ad abrogare la clausola dello statuto che costituiva la terza criticità concorrenziale e a non prevedere oneri aggiuntivi a carico dei produttori che desiderano conferire mandato a più sistemi di gestione collettiva.

Ad esito di consultazione pubblica, l’AGCM ha ritenuto tali impegni idonei a rimuovere le preoccupazioni concorrenziali sollevate, adottando quindi un provvedimento di chiusura del procedimento che ha reso detti rimedi vincolanti per le imprese, e senza l’accertamento di alcuna infrazione a carico di queste ultime. Resta peraltro da vedere se altre società riterranno tale esito soddisfacente o riterranno di contestarlo mediante ricorso giurisdizionale.

Niccolò Antoniazzi

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