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Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza UE / Diritto della concorrenza e settore dei sistemi di pagamento – La Commissione Europea ha inviato ad Apple una comunicazione delle risultanze istruttorie relativa ad un possibile abuso di posizione dominante

Lo scorso 2 maggio 2022, nell’ambito dell’istruttoria avviata nel giugno del 2020, la Commissione Europea (la Commissione) ha pubblicato un comunicato stampa con cui ha reso noto di aver inviato ad Apple una comunicazione delle risultanze istruttorie (la CRI) secondo cui la società avrebbe abusato della propria posizione dominante nel mercato dei sistemi di pagamento disponibili sui dispositivi iOS (mobile wallets), in violazione dell’art. 102 TFUE.

Giova ricordare che il procedimento avviato riguarda tre diverse condotte, rispettivamente concernenti : (i) le condizioni, i termini e le modalità d’uso del sistema di pagamento proprietario Apple Pay per acquisti via app o in siti internet realizzati per il tramite di dispositivi mobili che utilizzano il sistema operativo iOS; (ii) le restrizioni all’accesso al servizio Apple Pay imposte ad alcune applicazioni disponibili sui sistemi operativi iOS e sviluppate da concorrenti di Apple; nonché (iii) la limitazione alla sola applicazione proprietaria Apple Pay dell’accesso ai necessari input hardware e software per l’utilizzo della tecnologia Near-Field Communication (NFC) al fine di permettere l’esecuzione di pagamenti tramite dispositivi mobili in negozi fisici.

La CRI tuttavia concerne unicamente quest’ultima condotta, la quale, secondo la Commissione, si inscrive in un mercato rilevante particolarmente circoscritto, costituito dai soli mobile wallets per dispositivi iOS. La Commissione sembrerebbe voler proseguire sulla strada tracciata nel caso Google Android – non andata esente da critiche – dove ha ritenuto i sistemi operativi “chiusi”, come iOS, costituissero un mercato del prodotto distinto rispetto a sistemi operativi “aperti”, come Android.

La Commissione ritiene che la tecnologia NFC (integrata all’interno dei dispositivi mobili di Apple), e in particolare il meccanismo “tap and go” (con cui il pagamento avviene mediante il semplice appoggio del dispositivo mobile su un terminale abilitato presso i negozi fisici) rappresentino i meccanismi di pagamento tramite dispositivi mobili più rapidi, sicuri e diffusi a livello europeo; e la Commissione sembrerebbe ritenere che Apple avrebbe escluso i mobile wallets sviluppati da terze parti dall’accesso alla tecnologia NFC sui dispositivi iOS.

Non resta da vedere come si concluderà la vicenda e come verranno affrontati alcuni punti spinosi come ad esempio le delimitazioni dei mercati rilevanti.

Interessante peraltro notare come possibili restrizioni alla modalità di pagamento tap and go mediante dispositivi mobili siano anche oggetto di un’istruttoria avviata dalla Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) nel dicembre del 2021 per abuso di posizione dominante contro MasterCard (si veda la presente Newsletter).

Ignazio Pinzuti Ansolini

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Diritto della concorrenza e azioni di risarcimento del danno – L’AG Szpunar si pronuncia in materia di esibizione delle prove

Lo scorso 5 maggio l’Avvocato Generale (l’AG) Maciej Szpunar ha rassegnato le proprie conclusioni in relazione al rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE), con il quale la Corte Suprema della Repubblica Ceca (la Corte Suprema), nell’ambito di un’azione di risarcimento c.d. stand alone, ha chiesto taluni chiarimenti circa l’interpretazione degli articoli 5 e 6 della Direttiva 2014/104 (la Direttiva). In particolare, ha chiesto se un giudice nazionale possa ordinare la divulgazione di prove nell’ambito di un procedimento nazionale relativo ad un’azione per il risarcimento del danno derivante da una violazione del diritto della concorrenza anche qualora un procedimento concernente siffatta violazione penda dinanzi alla Commissione europea (la Commissione).

Il rinvio origina da un’azione di risarcimento del danno incardinata da RegioJet presso un tribunale di primo grado ceco e avente ad oggetto certe condotte poste in essere da Czech Rail nelle more della definizione di un procedimento aperto ex officio dall’Autorità Garante della concorrenza della Repubblica Ceca (UOHS) per accertare una violazione dell’articolo 102 TFUE. Nel frattempo, anche la Commissione aveva aperto un’istruttoria nei confronti di Czech Rail concernente le medesime condotte e, conseguentemente, l’UOHS aveva sospeso la sua istruttoria.

In tale contesto, RegioJet aveva presentato al giudice nazionale un’istanza di esibizione di taluni documenti (anche di natura contabile) e in relazione a cui l’UOHS aveva negato la divulgazione in quanto l’istruttoria nazionale (per quanto sospesa) era ancora in corso.

Il giudice nazionale, quindi, ordinava dapprima l’esibizione di una serie di documenti che contenevano, da un lato, informazioni elaborate da tale società ai fini del procedimento dinanzi all’UOHS e, dall’altro, informazioni predisposte indipendentemente da tale procedimento, come ad esempio estratti dei collegamenti ferroviari, relazioni trimestrali sul trasporto ferroviario pubblico, nonché l’elenco delle linee gestite dalla Czech Rail. A valle della sospensione del giudizio in attesa della definizione dell’indagine avviata dalla Commissione, il giudice d’appello (innanzi a cui era stata impugnata la relativa ordinanza di sospensione) confermava l’ordinanza in parola e contestualmente ordinava il sequestro delle prove di cui era stata disposta la divulgazione. Tale pronuncia è stata a sua volta impugnata innanzi alla Corte Suprema, che ha a sua volta investito della questione la CGUE.

Sull’ambito di applicazione temporale della Direttiva, l’AG Szpunar, che il mese scorso ha rassegnato le sue conclusioni in merito all’interpretazione del solo articolo 5 della Direttiva nell’ambito di un altro giudizio di rinvio, ha confermato che anche l’articolo 6 della Direttiva è una norma di diritto processuale e, pertanto, si applica alle richieste di risarcimento del danno antitrust instaurate dopo l’attuazione della Direttiva stessa nell’ordinamento dello Stato Membro interessato.

Quanto al merito delle domande pregiudiziali, l’AG ha chiarito in primo luogo che un giudice nazionale può ordinare la esibizione di prove ai fini di un giudizio nazionale relativo ad un’azione per il risarcimento del danno derivante da una violazione del diritto della concorrenza anche qualora un procedimento concernente siffatta violazione penda dinanzi alla Commissione europea. Sebbene il Regolamento 1/2003 imponga alle autorità nazionali garanti della concorrenza di sospendere le loro istruttorie aventi ad oggetto le medesime violazioni di un’istruttoria pendente davanti la Commissione per evitare che vengano adottate decisioni contrastanti, questo non obbliga i giudici nazionali a sospendere i relativi contenzioni standalone. Ciò è confermato dal tenore testuale dell’articolo 6, paragrafi 5 e 9 della Direttiva, che secondo l’AG supporta un’interpretazione secondo la quale un procedimento relativo ad un’azione per il risarcimento del danno può continuare anche in pendenza di un procedimento dinanzi ad un’autorità garante della concorrenza. Infatti, mentre le prove rientranti nella lista grigia (i.e. informazioni elaborate ai fini di un procedimento di un’autorità garante della concorrenza; informazioni che un’autorità garante della concorrenza ha redatto e comunicato alle parti nel corso del suo procedimento; proposte di transazione che sono state ritirate) non possono essere divulgate prima che un’autorità garante della concorrenza abbia chiuso il suo procedimento (articolo 6, paragrafo 5), la divulgazione di prove rientranti nella lista bianca (i.e. informazioni incluse nel fascicolo di un’autorità garante della concorrenza che non rientrano né nella lista grigia né rientrano nella categoria delle dichiarazioni legate a un programma di clemenza e proposte di transazione) può essere ingiunta «in ogni momento ai fini delle azioni per il risarcimento del danno» (articolo 6, paragrafo 9).

Successivamente, l’AG ha evidenziato, inter alia, che il giudice nazionale, nel valutare una richiesta di esibizione, rimane vincolato al rispetto dei principi di proporzionalità e necessità e, in tale valutazione, è tenuto a prendere in considerazione la circostanza che il procedimento relativo all’azione per il risarcimento del danno è stato sospeso a seguito dell’avvio di un’indagine da parte della Commissione. Pertanto, l’AG ha concluso che l’interesse ad evitare i conflitti tra decisioni, secondo quanto disposto dal Regolamento 1/2003, non può impedire ad un giudice nazionale che sospende il giudizio civile a seguito dell’avvio di un’istruttoria da parte della Commissione di ritenere che la plausibilità della domanda risarcitoria sia stata suffragata e di ordinare la divulgazione delle prove.

Non resta che da vedere quale sarà la posizione che verrà adottata dalla CGUE visto l’impatto pratico della questione in materia di private enforcement in ambito antitrust.

Sabina Pacifico

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Diritto della concorrenza e mercato del lavoro – L’autorità antitrust portoghese sanziona 31 squadre di calcio per intese anticoncorrenziali relative all’ingaggio dei giocatori

Con il comunicato stampa pubblicato lo scorso 29 aprile, l’autorità della concorrenza portoghese (l’AdC) ha annunciato di aver irrogato (per la prima volta nella sua storia) sanzioni per violazioni antitrust relative ad accordi anticoncorrenziali tra datori di lavoro. In particolare, 31 squadre di calcio della Primeira e Segunda Liga sono state sanzionate per un totale di 11,3 milioni di euro in quanto si sarebbero coordinate per astenersi dall’ingaggiare i giocatori che, per ragioni legate al Covid-19, esercitassero unilateralmente il loro diritto di recesso dai rispettivi contratti.

L’indagine ha avuto inizio ex officio nel maggio 2020 a seguito di un comunicato stampa pubblicato dalla Primeira Liga portoghese in cui si annunciava che le squadre aderenti si sarebbero astenute dall’ingaggiare i giocatori che, per ragioni legate alla pandemia da Covid-19, recedessero dal rapporto di lavoro con le rispettive squadre di appartenenza. A seguito dell’annuncio, anche la Segunda Liga aveva dichiarato che avrebbe intrapreso un’analoga iniziativa. L’AdC aveva dunque imposto misure cautelari (il 26 maggio 2020) e circa un anno dopo, precisamente nell’aprile 2021, ha trasmesso ai club una comunicazione degli addebiti. Il procedimento si è quindi concluso con il provvedimento in commento, in cui l’AdC, ha ritenuto che la condotta sanzionata non potesse essere giustificata come necessaria cooperazione diretta a contrastare le gravi conseguenze sui club dell’epidemia in corso. Al contrario, la condotta descritta avrebbe ingiustificatamente falsato la domanda di giocatori professionisti, limitando ogni incentivo dei calciatori a terminare i loro contratti con le rispettive squadre. Ciò a danno non solo dei giocatori stessi ma anche della qualità delle partite e quindi dei consumatori.

Come noto, accordi simili possono avere una dimensione anticompetitiva in quanto alterano la concorrenza per l’acquisizione di risorse umane e/o riducono la mobilità dei lavori all’interno del mercato. Tali accordi, insieme (ad esempio) ai ‘wage-setting agreement’, ossia accordi orizzontali di fissazione dei salari attraverso i quali le imprese armonizzano o standardizzano le retribuzioni e/o altri benefici dei loro dipendenti, possono ricadere nel divieto di cui all’articolo 101 TFUE.

In proposito, è interessante notare come si siano registrati da entrambi i lati dell’Atlantico segnali di un enforcement sempre più aggressivo diretto a questa tipologia di intese. La stessa AdC aveva pubblicato una Best Practice Guide) in tal senso e in un recente discorso la Vice-presidente della Commissione europea Vestager ha chiaramente criticato tale tipologia di intese: le imprese sono avvisate.

Maria Spanò

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Diritto della concorrenza Italia / Intese e settore del cemento – Il Consiglio di Stato ha confermato l’illegittimità di un provvedimento dell’AGCM che accoglieva un’istanza di accesso agli atti

Lo scorso 2 maggio, il Consiglio di Stato (CdS) ha confermato la sentenza del Tribunale Amministrativo del Lazio (TAR), già discussa in questa Newsletter, che dichiarava l’illegittimità dell’accesso agli atti non riservati relativi al procedimento n. I793, ad esito del quale era stato accertato un cartello nel settore del cemento, disposto a favore della società Robertazzi Costruzioni Srl (RC) in quanto soggetto potenzialmente leso dall’infrazione ivi accertata dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM). RC era infatti cliente di una delle società del gruppo facente capo a Italcementi Fabbriche Riunite Cemento S.p.A. (ITC), una delle imprese coinvolte nella violazione delle regole sulla concorrenza.

Se non risulta chiaro se e quando sia stata effettivamente evasa l’istanza di accesso, l’AGCM aveva informato ITC della richiesta proveniente da una società descritta come “Robertazzi Calcestruzzi” tramite una comunicazione datata 9 settembre 2021, aggiungendo che tale richiesta sarebbe stata ritenuta accolta decorsi 15 giorni dalla sua ricezione. Il 17 settembre ITC presentava la propria opposizione lamentando, inter alia, una lesione dei principi del contraddittorio e del giusto processo, nonché l’assenza di interesse all’accesso da parte della richiedente. Il 23 settembre l’AGCM ha respinto l’opposizione, rettificando il nome della richiedente in “Robertazzi Costruzioni”. In seguito, ITC aveva chiesto l’annullamento della comunicazione in parola, nonché dell’atto, non noto, di accoglimento dell’istanza. Il TAR aveva accolto tale impugnativa.

Secondo il TAR, prima di accogliere l’istanza l’AGCM avrebbe dovuto darne comunicazione a ITC affinché quest’ultima potesse formulare le proprie osservazioni. Inoltre, il TAR ha prescritto all’AGCM di omissare i riferimenti ai documenti riservati presenti nell’indice del fascicolo istruttorio e di procedere al riesame dell’istanza.

L’AGCM ha quindi presentato ricorso avverso la sentenza del TAR, evidenziando in particolare come lo scopo della comunicazione in parola fosse proprio quello di favorire la partecipazione della contro-interessata e sostenendo che l’attività di omissione non potesse soddisfare il bilanciamento nei termini di cui sopra, essendo la semplice visione dell’indice inidonea a cagionare alcun tipo di pregiudizio. Per contro, ITC ha presentato un ricorso incidentale sostenendo l’insussistenza di un interesse qualificato all’accesso in capo a RC, avendo quest’ultima acquistato non cemento, bensì calcestruzzo, da una società che, sebbene facesse parte del gruppo ITC, non rientrava tra quelle interessate dal procedimento dell’AGCM. Inoltre, ITC ha sostenuto l’assenza di un pregiudizio a danno di RC in caso di diniego all’accesso potendo questa disporre in ogni caso della possibilità di richiedere l’accesso ai documenti nel contesto di un procedimento civile avviato per promuovere un’azione di risarcimento del danno follow-on.

Il CdS ha ritenuto corretto il provvedimento del TAR, formulando però le seguenti precisazioni. Innanzitutto, non essedo mai stata prodotta la decisione di accoglimento dell’istanza di accesso, la comunicazione va considerata, nonostante il lessico utilizzato, come un “preavviso di accoglimento suscettibile di essere revocato”. Nel caso specifico, il pregiudizio causato da questo modus operandi, non condivisibile a detta del CdS stesso, va individuato nell’errore significativo sul nome che ha limitato di conseguenza le osservazioni presentabili da ITC in sede di opposizione. L’AGCM avrebbe dunque dovuto rimettere in termini ITC per presentare nuove osservazioni. Infine, il CdS non ha ritenuto opportuno censurare l’ordine di procedere con l’omissione dei documenti riservati, in virtù del principio cardine per cui il giudice non può sostituirsi alle parti nell’individuazione del perimetro della richiesta d’accesso.

Tramite questa sentenza il CdS ha pertanto confermato importanti aspetti di natura procedurale nell’ambito delle istanze di accesso a documenti istruttori presentate all’AGCM, sia in merito al rispetto dei principi del contraddittorio sia al perimetro di accesso a documenti riservati.

Niccolò Antoniazzi

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Appalti, concessioni e regolazione / Procedure ad evidenza pubblica e diritto europeo – La Corte di Giustizia dichiara l’incompatibilità con il diritto UE di una norma del Codice dei contratti pubblici

In data 28 aprile 2022, con la sentenza pronunciata nell’ambito della causa C-642/20, la Corte di Giustizia dell’Unione europea (CGUE) si è pronunciata in ordine alla compatibilità con il diritto unionale dell’art. 83, comma 8, del Codice dei contratti pubblici (il Codice) nella parte in cui stabilisce che, nell’ipotesi di partecipazione di un raggruppamento temporaneo di imprese (RTI) ad una procedura ad evidenza pubblica, il mandatario del RTI debba possedere i requisiti ed eseguire le prestazioni in misura maggioritaria.

La pronuncia in commento si colloca a valle di un contenzioso originato da una gara per l’affidamento di servizi di igiene urbana in vari Comuni della Provincia di Messina. Nello specifico, uno dei lotti in cui era divisa la procedura era stato aggiudicato ad un RTI il cui mandatario non soddisfaceva da solo i requisiti di partecipazione in misura maggioritaria, ma a tale scopo dichiarava di avvalersi delle capacità dei propri mandanti. In tale contesto, la ditta seconda in graduatoria faceva ricorso presso il TAR Sicilia – Catania (il TAR) lamentando l’illegittimità dell’aggiudicazione per violazione del citato art. 83, comma 8. In primo grado, con sentenza n. 3150/2019, il TAR accoglieva le censure di parte ricorrente e, pertanto, disponeva l’annullamento dell’aggiudicazione.

In sede d’appello, il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la regione siciliana, con ordinanza n. 1106/2020, ha sollevato questione pregiudiziale circa la compatibilità dell’art. 83, comma 8, del Codice con l’art. 63 della Direttiva 2014/24/UE (la Direttiva), “in quanto quest’ultimo articolo non sembra limitare la possibilità per un operatore economico di ricorrere alle capacità di operatori terzi”, anche nel contesto di un RTI.

Tanto premesso, la CGUE ha ‘confermato i sospetti’ del giudice di rinvio e ha dichiarato la contrarietà della disposizione interna in commento ai precetti del diritto unionale: in particolare, secondo la CGUE, l’art. 63 della Direttiva non pone limiti generalizzati alla facoltà per i mandatari di un RTI di fare ricorso alle capacità di altri membri del medesimo raggruppamento, ma si limita a disporre che le amministrazioni aggiudicatrici, nel contesto di singole gare, possano esigere che taluni compiti essenziali siano svolti da un componente specifico. Nel descritto scenario, pertanto, la normativa nazionale prescrive un requisito di ampia portata e più restrittivo (ossia la necessaria prevalenza dell’impresa mandataria rispetto alle mandanti nel possesso dei requisiti di partecipazione e nell’esecuzione delle prestazioni) che non trova riscontro nella cornice normativa eurounitaria e provoca indebite restrizioni concorrenziali. Come chiaramente espresso dalla CGUE, le vincolanti disposizioni della Direttiva non consentono al legislatore nazionale di prevedere “in modo orizzontale, per tutti gli appalti pubblici in Italia, che il mandatario del raggruppamento di operatori economici esegua la maggior parte delle prestazioni”, dovendosi lasciare alle stazioni appaltanti la scelta (in via casistica e senza un obbligo prescritto per legge) se vincolare o meno il mandatario all’osservanza dei requisiti e all’esecuzione delle prestazioni in misura maggioritaria rispetto agli altri componenti.

La pronuncia in commento scardina un ‘pilastro’ della normativa nazionale in materia di contratti pubblici, che è sempre esistito anche nei precedenti assetti normativi. La motivazione dell’intervento correttivo della CGUE è nota e deve rintracciarsi in quella che può a pieno titolo considerarsi una delle missioni istituzionali della CGUE nel contesto della disciplina dei contratti pubblici (e non solo): rimuovere quei ‘lacci e lacciuoli’ nei regimi normativi interni che ostacolano una piena esplicazione del principio della libera concorrenza. In effetti, gli RTI possono costituire un importante strumento per garantire un ampliamento della platea dei soggetti abilitati a partecipare a gare pubbliche anche ad operatori piccoli e medi e, nell’ottica della CGUE, l’assenza di indebite restrizioni ne potenzia la funzione pro-concorrenziale.

Alessandro Paccione

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Legal news / Tutela della concorrenza nel settore tech – Il Bundeskartellamt ha accertato che Meta rientra tra le società che detengono importanza fondamentale per la concorrenza in più mercati

Con un comunicato stampa pubblicatolo scorso 4 maggio (il Comunicato), l’Autorità antitrust tedesca (il Bundeskartellamt) ha comunicato di aver adottato una decisione (la Decisione) tramite cui ha determinato che la società Meta Platforms, Inc. (Meta), posta al vertice del gruppo Meta (ex Facebook), detiene una posizione di importanza fondamentale per la concorrenza in più mercati (“paramount significance for competition across markets”), ai sensi della sezione 19(a) della legge nazionale sulla concorrenza tedesca (il c.d. German Competition Act o Gesetz gegen Wettbewerbsbeschränkungen, GCA), entrata in vigore a inizio 2021.

La Decisione in esame non rappresenta un unicum da parte del Bundeskartellamt, né tantomeno una prima applicazione della succitata sezione 19(a). Questa, infatti, come già illustrato su questa Newsletter, ha trovato applicazione lo scorso dicembre nei confronti della società Alphabet Inc., società al vertice del gruppo Google, la quale è stata la prima ad essere individuata come avente una importanza fondamentale per la concorrenza in più mercati ai sensi della disposizione in esame.

Nel giustificare l’inserimento di Meta tra le società che meritano uno scrutinio particolare ai sensi della normativa antitrust tedesca il Presidente del Bundeskartellamt ha sottolineato in particolare come “l’ecosistema digitale creato da Meta ha una base di utenti decisamente vasta”, la quale la rende un “attore chiave nel settore dei social media”. Come per Google, la Decisione pone Meta all’interno dell’ambito d’applicazione di una speciale disciplina la quale – si ricorda – prevede che il Bundeskartellamt possa impedire l’adozione di determinate condotte unilaterali anche in mercati in cui le imprese destinatarie della Decisione non siano dominanti.

Il Bundeskartellamt ha altresì ricordato come siano attualmente in corso due procedimenti nei confronti di Meta. Infatti, nel 2019 il Bundeskartellamt ha adottato una decisione con cui ha impedito a Meta di combinare i dati relativi ai propri utenti derivanti da fonti diversi e il contenzioso innanzi ai giudici competenti è ancora in corso; mentre nel 2020 ha avviato un procedimento nei confronti della società per presunta condotta abusiva consistente nell’aver collegato la tecnologia delle cuffie di realtà virtuale (‘VR’) prodotte da Meta Quest (ex Oculus) esclusivamente a Facebook. Nell’ottica del Bundeskartellamt, l’applicazione della sezione 19(a) GCA anche a Meta permetterebbe una risoluzione più celere non solo dei due summenzionati procedimenti, ma anche di quelli che saranno potenzialmente aperti in futuro.

La Decisione è valida per 5 anni, fino al 4 maggio 2027. Meta ha già dichiarato che (analogamente ad Alphabet) non presenterà ricorso per l’annullamento della medesima, pur avendo cura di specificare che tale approccio non debba intendersi come una condivisione delle conclusioni raggiunte dal Bundeskartellamt nella Decisione.

Stanti le premesse indicate in precedenza e, in particolare, la volontà espressa del Bundeskartellamt di velocizzare la chiusura dei procedimenti attualmente pendenti nei confronti di Meta, non resta che attendere l’impatto pratico della Decisione sull’attività di enforcement del Bundeskartellamt. Sarà altresì necessario osservare come tale sistema si porrà in relazione all’entrata in vigore del c.d. Digital Markets Act europeo, attualmente in fase di approvazione.

Luca Feltrin

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