Skip to main content

Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza UE / Controllo delle concentrazioni e settore dell’automazione aerospaziale – La Commissione ha approvato con condizioni l’acquisizione di Meggit da parte di Parker Hannifin

Con il press release dello scorso 11 aprile, la Commissione europea (la Commissione) ha comunicato di aver approvato con condizioni l’acquisizione di Meggit PLC (Meggit) da parte di Parker Hannifin Corporation (Parker), entrambi attivi a livello mondiale nella distribuzione di componenti per il settore dell’automazione aerospaziale.

L’operazione è stata notificata alla Commissione lo scorso 21 febbraio. Da una parte, Meggit è una impresa inglese attiva nella progettazione, fabbricazione e distribuzione di componentistica per i settori aerospaziali, della difesa e dell’energia; dall’altra, Parker è un operatore americano attivo nella progettazione, produzione e distribuzione di tecnologie di movimento e controllo, soluzioni ingegneristiche di precisione per diversi settori, tra cui quello aerospaziale.

La Commissione ha indagato in particolare sull’impatto della acquisizione nei mercati del design, produzione e distribuzione di ruote, freni e valvole pneumatiche per velivoli.

L’indagine ha rivelato che l’operazione – ad avviso della Commissione – avrebbe ulteriormente ridotto il numero già limitato di operatori attivi nella distribuzione di ruote e freni per piccoli aerei dell’aviazione generale, business jet, elicotteri civili e militari e droni militari ad ala fissa e, di conseguenza, avrebbe rafforzato il potere di mercato dell’entità risultante dall’acquisizione con un impatto rilevante sui prezzi e le dinamiche di innovazione nei mercati coinvolti. I mercati della distribuzione di ruote e freni per velivoli sono invero caratterizzati da operatori di modeste dimensioni e che, tra l’altro, non sempre offrono tutti i tipi di freni.

Di contro, la Commissione non ha riscontrato problematiche antitrust nel mercato della distribuzione di altri componenti per l’automazione aerospaziale, incluse le valvole pneumatiche, in quanto a seguito dell’operazione quei mercati avrebbero conservato un adeguato livello di concorrenza tra gli operatori ivi attivi.

La Commissione ha quindi ritenuto di approvare l’operazione subordinatamente alla cessione da parte di Parker del ramo di azienda relativo alle ruote e freni per velivoli nonché a ulteriori prescrizioni affinché gli acquirenti di componenti per l’automazione aerospaziale possano operare efficientemente e indipendentemente dalla entità risultante dall’operazione.

L’operazione è stata notificata anche in altre giurisdizioni e, al momento, ha ricevuto la clearance incondizionata delle autorità garanti della concorrenza in Australia, Singapore, Arabia Saudita e Turchia. Inoltre, in considerazione dei settori coinvolti dall’operazione, ossia quelli aerospaziali e della difesa, l’acquisizione di Meggit ha ricevuto anche l’approvazione, secondo le regole sugli investimenti stranieri, dalla Foreign Investment Review Board (Australia) e dal Ministero tedesco per gli affari economici ed energetici, mentre in Italia la Presidenza del Consiglio ha ritenuto che l’operazione non rientrasse tra quelle contemplate dai c.d. Golden Power. Nel Regno Unito l’operazione è ancora al vaglio del governo inglese che ai sensi dell’Enterprise Act ha emesso un avviso di intervento motivato dal pubblico interesse della sicurezza nazionale.

Sabina Pacifico

----------------------------

Diritto della concorrenza Italia / Abuso di posizione dominante – Sanzione a Caronte & Tourist per aver applicato prezzi eccessivi e iniqui per i servizi di traghettamento sullo Stretto di Messina

In data 29 marzo, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’AGCM) ha deliberato l’imposizione di una sanzione di circa € 3,7 milioni nei confronti di Caronte & Tourist S.p.A. (Caronte). L’AGCM, in particolare, ha accertato che Caronte aveva sfruttato indebitamente la propria posizione dominante sul mercato rilevante del traghettamento passeggeri con auto al seguito sullo Stretto di Messina (rotta Villa San Giovanni/Messina-Rada San Francesco, VSG-MRSF) mediante l’applicazione di prezzi eccessivi e iniqui nei confronti dei consumatori.

L’AGCM ha dapprima ritenuto che il mercato rilevante interessato dalle condotte di Caronte fosse quello dei servizi di trasporto tramite ferryboat di passeggeri con auto o mezzi commerciali al seguito (Ro/Pax) sullo Stretto di Messina, escludendone la sostituibilità con i collegamenti veloci via aliscafo e il traghettamento di mezzi gommati per il trasporto merci (Ro/Ro), in ragione, rispettivamente, dei diversi tempi di percorrenza, delle differenze di prezzo tra i due servizi e dei servizi offerti a bordo.

Secondo l’AGCM emergerebbe in modo chiaro la posizione dominante di Caronte alla luce delle quote di mercato della società che sarebbero pari a circa il 95-100% per i passeggeri con le auto e a circa l’80-85% per le merci. Le valutazioni non cambierebbero anche ammettendo l’esistenza di un mercato rilevante inclusivo dei servizi Ro/Ro offerti sullo Stretto, in quanto le quote risulterebbero sempre elevatissime e pari al 90-95% con riferimento al numero di auto imbarcate ed ampiamente superiore all’80-85% considerando i passeggeri.

La posizione di dominanza di Caronte è stata peraltro accertata dall’AGCM anche sulla base di ulteriori elementi. Caronte rappresenterebbe l’operatore che storicamente ha offerto il servizio di collegamento sullo Stretto e tale circostanza assicurerebbe alla società conoscenza del territorio, riconoscibilità del marchio e piena cognizione delle esigenze di mobilità della clientela. Caronte sarebbe, inoltre, l’unico vettore ad aver sempre servito la VSG-MRSF, che consentirebbe di offrire i servizi di traghettamento più brevi e rapidi e, conseguentemente, rappresenterebbe la tratta commercialmente più attrattiva per i passeggeri. Infine, per l’AGCM, assumerebbe importanza anche la dimensione della flotta di Caronte, composta da 8 navi, che costituirebbe una sorta di barriera ‘strategica’ per i potenziali nuovi entranti.

Quanto alle condotte, l’AGCM ha concluso che le tariffe applicate da Caronte risulterebbero abusive in applicazione del test a due fasi previsto dalla giurisprudenza United Brands. La prima fase del test, volta all’analisi della ‘sproporzione’ tra ricavi e costi di Caronte, è stata condotta confrontando le voci di ricavo con il c.d. cost plus, ossia i costi più un valore di remunerazione del capitale investito (ROI), fissato all’8% dall’AGCM a seguito dell’esame dei bilanci di 23 società che svolgono attività di traghettamento merci e passeggeri. Tale analisi avrebbe mostrato come il ROI degli operatori considerati fosse compreso tra il 7% e il 9%: pertanto, l’AGCM ha deciso di utilizzare un ROI pari all’8%.

Su tali premesse sarebbe emerso l’elevato grado di profittabilità delle tariffe applicate; in particolare, nel 2019, il ROI registrato da Caronte (sulla base del ‘costo storico’ che si fonda sul valore dei cespiti iscritti a bilancio) sarebbe stato pari al 55-60% per tutto lo Stretto (VSG-MRSF e VSG-MTR) e, con riferimento alla sola VSG-MRSF, avrebbe raggiunto il 65-70% del capitale investito. Considerando poi il solo segmento passeggeri sulla VSG-MRSF, il ROI varierebbe tra il 130-135% e il 140-145% del capitale investito nel 2017, tra il 65-70% e l’85-90% nel 2018 e tra il 65-70% e l’80-85%nel 2019. Inoltre, anche applicando le diverse modalità di allocazione dei costi tra i due segmenti di domanda, tutti i test condotti dall’AGCM avrebbero confermato la presenza di condizioni economiche eccessive applicate da Caronte ai passeggeri con veicolo privato. In conclusione, l’AGCM ha ritenuto soddisfatto il primo test richiesto dalla giurisprudenza United Brands.

Quanto alla seconda fase del test, volta ad accertare la ‘iniquità’ delle tariffe applicate, l’AGCM ha identificato delle prime evidenze sulla base del confronto del cost plus di Caronte nel diverso segmento del traghettamento di soli mezzi commerciali in cui – a differenza del segmento per trasporto passeggeri - non sarebbe mai emersa per Caronte una profittabilità complessiva che superasse in modo significativo il livello determinato in base al predetto metodo cost plus.

La definitiva conferma dell’iniquità delle tariffe sarebbe poi provata dal confronto con i prezzi applicati dai vettori attivi su rotte estere. In tal caso, le tariffe di Caronte risulterebbero più elevate di almeno l’80% rispetto a quelle praticate dai vettori attivi sulle 6 rotte benchmark individuate dalla stessa Caronte in uno studio dedicato versato in atti. Peraltro, tale differenziale di prezzo non troverebbe giustificazione nella maggiore qualità dei servizi di traghettamento erogati da Caronte, posto che: (i) i consumatori, sulla piattaforma esaminata dall’AGCM (i.e. TripAdvisor), avrebbero di norma espresso giudizi negativi sui servizi di traghettamento di Caronte; (ii) Caronte detiene una flotta caratterizzata da un’età media di 27 anni e ciò confermerebbe ulteriormente l’iniquità delle tariffe non avendo la società investito nel rinnovo delle navi. Date tali premesse, l’AGCM ha dunque accertato l’illiceità della condotta di Caronte essendo stati soddisfatti gli standard probatori richiesti dalla giurisprudenza United Brands.

Quanto alla determinazione della sanzione pecuniaria, l’AGCM ha ritenuto di individuare una percentuale del valore delle vendite in funzione della gravità dell’infrazione pari ad un valore tra il 15 e il 20%, avendo considerato l’illecito particolarmente grave inter alia vista l’area geografica interessata, che risulta indispensabile per circa 10 milioni di persone che ogni anno devono attraversare lo Stretto con la propria auto. Per quanto riguarda la durata dell’infrazione, l’AGCM ha contestato la condotta abusiva per il periodo che va dal 1/1/2017 al 31/12/2019 (3 anni). L’importo base della sanzione è risultato superiore al massimo edittale pari al 10% del fatturato realizzato da Caronte nell’ultimo esercizio disponibile, ed è stato ricondotto a tale un valore. Infine, l’AGCM ha accolto l’istanza ex art. 34 delle Linee guida AGCM sulle sanzioni, riconoscendo la crisi economica che ha interessato il settore in virtù della pandemia da COVID-19 e, per l’effetto, ha applicato una riduzione pari al 50-55%. In considerazione di quanto sopra, l’importo finale della sanzione è stato fissato nella misura di € 3.719.370.

Con la decisione in parola, l’AGCM interviene in un settore sensibile per i consumatori e non a caso da sempre oggetto di particolare attenzione, con riferimento alle politiche di prezzo adottate (da predatorie a eccessive). Sono note, infatti, le istruttorie aperte in passato contro la stessa Caronte: (i) una terminata nel 2014 con un’archiviazione (I763) per insufficienza di prove in merito all’ipotizzata intesa volta ad aumentare artificialmente le tariffe di concerto con altri operatori tra cui RFI, Bluferries, Meridiano e (ii) un’altra terminata nel 2002 con sanzione per avere Caronte posto in essere una condotta escludente imponendo prezzi predatori sulle tariffe per il servizio di traghettamento nello Stretto di Messina (A267). Allo stato, rimane da vedere quale sarà l’esito di una possibile impugnazione innanzi al Giudice Amministrativo.

Gabriele Maria Polito

----------------------------

Abuso di posizione dominante e servizi di terminazione degli SMS – Il TAR Lazio annulla la sanzione imposta dall’AGCM a Telecom Italia, ribandendo l’importanza dell’analisi sui possibili effetti anticoncorrenziali

Con la sentenza dell’11 aprile scorso, il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (il TAR) ha accolto il ricorso presentato da Telecom Italia S.p.A. e Telecom Italia Sparkle S.p.A. (TI) per l’annullamento della decisione con cui l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’AGCM) le aveva sanzionate per circa 3,7 milioni di euro per aver abusato della propria posizione dominante nel mercato dei servizi all’ingrosso di terminazione SMS su rete propria, con effetti sul mercato a valle dei servizi di invio massivo degli SMS informativi aziendali (c.d. SMS Bulk).

I servizi di invio massivo di SMS (c.d. SMS Bulk) consentono alle imprese di inviare un consistente numero di messaggi di testo alla propria clientela per comunicazioni di carattere generale. Per l’invio degli SMS Bulk si individuano due distinti mercati: uno a monte, costituito dal servizio di terminazione sulla propria rete originaria, ed uno a valle rappresentato dall’offerta di SMS Bulk, che ingloba il servizio di terminazione sulle diverse reti mobili. Vi è poi un mercato intermedio in cui si collocano gli operatori c.d. secondari e che offrono ai venditori di SMS Bulk il servizio di terminazione sulle reti degli operatori telefonici, interconnettendosi con la rete degli operatori “infrastrutturati” (ossia TI, Vodafone e Wind). Il servizio di SMS Bulk è fornito sia da operatori di rete mobile (MNO, che hanno una propria infrastruttura di rete), che da altre imprese di comunicazione e operatori specializzati c.d. “aggregatori di SMS”, che hanno comunque bisogno di acquistare all’ingrosso il servizio di terminazione SMS sulla rete di un MNO che, come per i servizi vocali, si trova in una posizione dominante nel mercato dei servizi di terminazione della propria rete, essendo l’unico operatore in grado di consegnare il messaggio SMS ai propri clienti.

L’AGCM aveva aperto un’indagine a valle di una segnalazione dell’operatore Ubiquity S.r.l., (società concorrente nel mercato di tali servizi) ed aveva sanzionato TI ritenendo che avesse applicato nel mercato al dettaglio del servizio di invio di SMS Bulk un prezzo per singolo messaggio inferiore al prezzo di terminazione sulla propria rete venduto ai concorrenti nel mercato a monte. Così facendo, l’impresa che acquistava nel mercato a monte il diritto di terminazione su rete Telecom pagava un prezzo tale per cui la sua offerta di SMS Bulk risultava più onerosa rispetto a quella proposta da TI (c.d. margin squeeze). In particolare, oltre ad alcuni documenti interni, l’AGCM aveva basato le proprie conclusioni sul test del c.d. concorrente altrettanto efficiente (AEC) in cui aveva analizzato gli elementi di costo alla base della c.d. “soglia critica” (ossia il prezzo idoneo a coprire i costi di produzione ed a garantire un discreto margine di guadagno) per un concorrente altrettanto efficiente (si veda la Newsletter dell’8 gennaio 2018).

TI aveva quindi proposto ricorso presentando una serie di motivi relativi all’asserita erroneità della ricostruzione dell’AGCM in punto di definizione del mercato rilevante e sulla posizione di dominanza di TI, nonché all’erroneità delle valutazioni circa l’esistenza di un margin squeeze in quanto l’AGCM avrebbe errato nella metodologia per individuare la c.d. “soglia critica” (poiché – secondo le difese di TI – l’AGCM avrebbe dovuto fare riferimento ai prezzi e costi delle imprese concorrenti invece che a prezzi e costi dell’impresa dominante). L’AGCM, inoltre, avrebbe omesso di dimostrare l’effettivo pregiudizio determinato dalle condotte di TI.

Con la sentenza in commento, il TAR ha annullato la sanzione imposta dall’AGCM accogliendo il motivo di ricorso con cui TI censurava la modalità con cui era stato condotto il test AEC, nonché la mancata dimostrazione degli effetti (quantomeno potenziali) della condotta indagata sul mercato. In particolare, il TAR ha specificato che seppur “la regola è quella di riferirsi ai costi e prezzi dell’impresa dominante nel mercato a monte […] la Corte di Giustizia ha avuto modo di chiarire come in particolari ipotesi debba farsi riferimento a quelli dei concorrenti a valle”. Nel caso di specie, per il TAR le peculiarità del mercato a monte della terminazione (in particolare, l’esistenza di tre operatori dominanti – ossia i tre maggiori operatori in possesso di propria infrastruttura, TI, Vodafone e Wind – in concorrenza tra loro, ed il fatto che TI pagasse un costo maggiore per la terminazione sulle reti degli altri operatori infrastrutturati) suggerivano di far ricorso ad un criterio alternativo per la conduzione del test AEC. Per il TAR, l’AGCM avrebbe compiuto due errori. In primo luogo, la metodologia più appropriata sarebbe consistita nella verifica di quali sono i prezzi all’ingrosso generalmente applicati agli operatori c.d. D43 (operatori in decade 43, ossia che acquistano i servizi di terminazione) e offerti dagli intermediari aggregatori. Posto che l’AGCM aveva invece ignorato, nella propria analisi, l’esistenza dei soggetti aggregatori, essa aveva compiuto un errore che aveva inficiato i risultati del test. In secondo luogo, l’AGCM non avrebbe compiuto un’approfondita analisi del grado di sostituibilità dei servizi offerti nel mercato della terminazione, così incorrendo anche in un vizio motivazionale. In ultimo, il TAR ha rilevato che l’AGCM non aveva chiarito gli effetti anticoncorrenziali della condotta indagata, limitandosi ad affermare “un’illiceità in re ipsa”. Tuttavia, il TAR ha ritenuto che l’AGCM avrebbe dovuto invece dimostrare l’esistenza di un pregiudizio (quantomeno potenziale) alla concorrenza.

La sentenza in commento si pone in linea di continuità con la sentenza con cui il TAR aveva parimenti annullato la sanzione imposta dall’AGCM a Vodafone per condotte analoghe (si veda la Newsletter del 20 settembre 2021) ed anche con i recenti sviluppi giurisprudenziali a livello europeo (in particolare la sentenza del Tribunale dell’UE in sede di rinvio sul caso Intel, si veda la Newsletter del 31 gennaio 2022) in punto di esame degli effetti della condotta indagata. Il TAR si è infatti mostrato critico nei confronti dell’analisi svolta dall’AGCM, per cui sembra ragionevole potersi attendere in futuro una maggiore attenzione da parte dell’AGCM in termini di analisi economica al fine di valutare se una condotta può determinare effetti sul mercato. Sarà interessante vedere se e come la vicenda si evolverà dinanzi al Consiglio di Stato, in particolare se le (concise ed in certa misura nette) valutazioni espresse dal TAR su quale sarebbe stata la metodologia più appropriata per svolgere il test di replicabilità da parte dell’AGCM reggeranno al vaglio dei supremi giudici amministrativi.

Cecilia Carli

----------------------------

Legal News / Golden power e giustizia amministrativa – Il Tar Lazio conferma il veto imposto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri ad un’operazione nel settore agro-alimentare

In data 13 aprile 2022, con sentenze gemelle nn. 4486 e 4488, il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (il TAR) ha respinto i ricorsi che due gruppi multinazionali (i ricorrenti) hanno proposto contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri (la Presidenza) per l’annullamento del veto imposto ai sensi della disciplina Golden Power (il veto) ad una prospettata operazione di acquisizione societaria.

L’operazione in questione aveva ad oggetto inter alia la cessione di società italiane attive nell’ambito della commercializzazione e distribuzione dei semi. La Presidenza ha imposto il veto sull’assunto che la prospettata operazione potesse costituire una minaccia agli interessi nazionali in settori economici sensibili e, segnatamente, quello agro-alimentare, il trattamento di informazioni sensibili relativo allo stesso e le relative tecnologie critiche.

I ricorsi proposti dai due gruppi multinazionali coinvolti sviluppavano una serie di censure di carattere procedimentale e sostanziale. Sotto il primo profilo, i ricorrenti lamentavano, da un lato, che la Presidenza avesse omesso la comunicazione di preavviso del veto in violazione dell’art. 10-bis della legge n. 241/1990 (che richiede alle amministrazioni, nell’ambito dei procedimenti ad istanza di parte, di comunicare tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all’accoglimento della loro domanda prima dell’adozione formale di un provvedimento negativo) e, dall’altro, che non avesse ottemperato all’onere di motivare in via rafforzata le ragioni del diniego all’operazione alla luce delle chiare e inequivocabili valutazioni di segno contrario (favorevoli all’operazione) espresse in fase istruttoria dalle altre amministrazioni consultate. Sotto il profilo sostanziale, essi denunciavano l’erroneità dell’asserita strategicità degli asset detenuti dalle società italiane oggetto della prospettata cessione (specie in relazione alla circostanza che tali società detenessero una quota irrilevante del mercato professionale dei semi, essendo per lo più attive nel c.d. hobby market la cui strategicità per l’interesse nazionale sembra non immediata), il difetto di proporzionalità della misura del veto e la violazione del principio di legalità del D.P.C.M. n. 179/2020 nella parte in cui individua i beni e rapporti strategici nel settore agro-alimentare.

Quanto alle censure di carattere procedimentale, il TAR:

  • ha tout court negato l’applicabilità dell’istituto della comunicazione del preavviso di rigetto ex art. 10-bis della legge n. 241/1990 ai procedimenti Golden Power sulla scorta della considerazione che questi ultimi non rientrerebbero nella categoria dei procedimenti ad istanza di parte;
  • senza grandi spiegazioni, ha ritenuto insussistente un onere di motivazione rafforzata in capo alla Presidenza quand’anche le amministrazioni coinvolte nella fase istruttoria, come nel caso di specie, abbiano dato il loro parere favorevole all’operazione.

Quanto alle censure di carattere sostanziale, il TAR:

  • ha qualificato i provvedimenti adottati in ambito Golden Power come “atti di alta amministrazione” e, come tali, “sindacabili dal giudice amministrativo nei ristretti limiti della sussistenza di una manifesta illogicità delle decisioni assunte” che, ad avviso del TAR Lazio, non sussistevano nel caso di specie;
  • ha rigettato la dedotta violazione del principio di proporzionalità condividendo la posizione della Presidenza circa la difficoltà (se non impossibilità tout court) di enforcement di eventuali prescrizioni nei confronti di gruppi multinazionali di diritto straniero;
  • ha escluso la sussistenza della lesione del principio di legalità in quanto la vaghezza della terminologia del D.P.C.M. n. 179/2020 si giustifica in ragione di una supposta “impossibilità di catalogazione puntuale e minuta degli attivi strategici”.

In attesa di un eventuale appello dinanzi al Consiglio di Stato, la sentenza in commento appare problematica sotto il profilo delle garanzie procedimentali e processuali riconosciute agli operatori economici coinvolti nei procedimenti Golden Power. Il TAR ha, infatti, disconosciuto l’esplicazione di un contraddittorio procedimentale pieno ed effettivo, escludendo l’applicabilità dell’invocato art. 10-bis della legge n. 241/1990, e ha allo stesso tempo negato anche la fattibilità di un proprio sindacato pieno ed effettivo in forza dell’asserita natura di atti di alta amministrazione conferita ai provvedimenti in questione. Gli aspetti qui rapidamente evidenziati appaiono ancor più problematici in relazione sia alla sempre maggior pervasività della disciplina in questione, sia al rischio evidente di una strumentalizzazione per fini diversi rispetto a quelli perseguiti dalla medesima normativa sia, infine, agli elevati rischi sanzionatori per le imprese che violano le norme nazionali in materia di Golden Power.

Alessandro Paccione

---------------------------

Diritto della concorrenza nel Regno Unito e mercati digitali – La CMA ha pubblicato uno studio in tema di protezione dei consumatori e tutela della concorrenza nell’ambito della c.d. Online Choice Architecture

La Competition Market Authority del Regno Unito (la CMA) ha recentemente pubblicato uno studio per illustrare le implicazioni presentate da alcune pratiche di design dei siti internet, ovvero dalla c.d. Online Choice Architecture (OCA), nei campi della tutela del consumatore e della concorrenza. Si tratta di un tema di crescente rilevanza, come dimostrato dai recenti sviluppi normativi volti ad affrontare queste strategie di sfruttamento dei bias cognitivi della mente umana. Al riguardo, in aggiunta al Digital Markets Act e al Digital Service Act dell’Unione Europea e a specifiche leggi statali negli Stati Uniti, va ricordata la recente proposta del Regno Unito di istituire una Digital Markets Unit, ossia un apposito ufficio con il compito di individuare le imprese di rilevanza strategica nel campo delle attività digitali e di vigilare sull’applicazione di un codice di condotta volto alla promozione di equità, fiducia, trasparenza e maggiore concorrenza anche in tali mercati.

Il primo effetto analizzato dal report è quello della manipolazione della scelta dei consumatori. Ciò può essere dannoso non solo in quanto idoneo a comprimere la ricerca di alternative e ad indurre all’acquisto di prodotti non necessari o inadatti, ma anche perché può portare, nello specifico contesto sotto esame, alla divulgazione inconsapevole di dati personali, nonché ad un’invasione della sfera della privacy. Ulteriore effetto è quello dell’indebolimento delle dinamiche concorrenziali tra imprese che offrono servizi digitali. Si può osservare, infatti, che l’oggetto della competizione si sposta da quelle caratteristiche del prodotto che portano benefici al consumatore (come un prezzo più basso, una maggiore qualità e innovazione, o un ampliamento dell’offerta) verso pratiche adottate al solo fine di aumentare i profitti, comportando una ridotta fiducia nei mercati e una minore efficienza degli stessi. Infine, un ulteriore effetto è quello del consolidamento delle posizioni di mercato degli operatori economici. Si registrano frequentemente, infatti, meccanismi opachi di rinnovo automatico delle iscrizioni, accompagnati presumibilmente da gravose operazioni di cancellazione, posti in essere al solo fine di impedire uno spostamento del consumatore verso i concorrenti.

In aggiunta, meritano una particolare menzione alcune delle 21 pratiche oggetto della tassonomia offerta dal report. I scarcity claims, ovvero quei banner che annunciano che un determinato prodotto (o offerta) è in via di esaurimento, diventano critici qualora siano frutto di una finzione operata al fine di esercitare pressione sul potenziale acquirente o di creare una fittizia aurea di esclusività attorno a quel prodotto (o offerta), poiché in tal caso è molto elevato il rischio che venga minata la fiducia del consumatore nel mercato. Questi infatti sarà portato, nel lungo periodo, ad ignorare anche gli annunci veritieri, perdendo così “reali” opportunità. Il drip pricing, invece, consiste nel rendere visibile solo una parte del prezzo durante il processo di acquisto, per mostrare il prezzo complessivo solamente in un momento conclusivo. Il rischio connesso a tale pratica è quello di indurre una forte concorrenza sul prezzo iniziale, il quale è un elemento saliente per il consumatore in virtù del c.d. effetto ancoraggio, ed una scarsa concorrenza sui componenti aggiuntivi obbligatori.

Tra le strategie più efficaci figurano soprattutto le selezioni di default, non solo perché fanno leva sull’inerzia dell’individuo, ma anche perché consolidano l’idea che l’opzione preimpostata sia il benchmark per le proprie scelte di consumo. Rilevanti in materia sono altresì ritenute le considerazioni della Commissione Europea nel procedimento per abuso di posizione dominante Google Android, ad oggi oggetto di appello, relative alla posizione di Google come motore di ricerca preimpostato nella vasta maggioranza dei dispositivi mobili. Se infatti è vero che l’opzione può essere modificata manualmente, i dati empirici dimostrerebbero che ciò non avviene quasi mai, costituendo pertanto una barriera significativa alla crescita e al miglioramento dei servizi offerti dagli altri motori di ricerca. Infine, altrettanto rilevanti sono le implicazioni legate ai ranking, ovvero all’ordine in cui vengono presentate le diverse opzioni. Se anche in questo caso il consumatore può modificare i parametri di ricerca e/o aggiungere filtri, alcuni studi a cui si è fatto riferimento nel caso Google Shopping dimostrerebbero che il 95% dei click degli utenti si fermano ai primi 10 risultati. È evidente quindi come anche questo rischi di essere un fattore di dirottamento degli investimenti delle imprese verso la sponsorizzazione dei risultati, a discapito di qualità e innovazione dei prodotti.

Alla luce di questo report, nonché dei risultati che saranno resi disponibili in futuro da maggiori indagini condotte in questo campo multidisciplinare, sarà pertanto interessante vedere quali condotte verranno esplicitamente regolate dai legislatori e quale sarà conseguentemente l’approccio di enforcement adottato dalle Autorità competenti.

Niccolò Antoniazzi

-------------------------