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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza UE / Unione Europea e investimenti diretti esteri – La Commissione pubblica una comunicazione in merito agli investimenti diretti da Russia e Bielorussia

In data 6 aprile 2022, la Commissione Europea (la Commissione) ha pubblicato una comunicazione (la Comunicazione) contenente una serie di indicazioni ad uso degli Stati membri riguardanti gli investimenti esteri diretti da Russia e Bielorussia in considerazione dell’aggressione militare contro l’Ucraina e delle conseguenti sanzioni.

Secondo la Commissione, nelle circostanze attuali, il rischio che gli investimenti diretti esteri (IDE) da parte di investitori russi e bielorussi possano costituire una minaccia per la sicurezza e l’ordine pubblico si è notevolmente amplificato. Di conseguenza, questi investimenti debbono essere attentamente scrutinati ai sensi della normativa nazionale applicabile, tenendo conto che prima del conflitto le relazioni tra le società russe e le imprese attive all’interno dell’UE erano consistenti.

La Commissione sottolinea in particolare che occorre prestare particolare attenzione anche alle minacce poste dagli investimenti effettuati da persone fisiche o giuridiche associate, controllate o soggette all’influenza dei governi russo e/o bielorusso, poiché questi ultimi sono fortemente incentivati ad interferire con attività critiche all’interno dell’UE (o comunque a utilizzarle ai propri fini).

Alla luce di quanto sopra, fermi restando tutti gli altri orientamenti già consolidati in materia, la Commissione ha esplicitamente invitato gli Stati membri a:

  • utilizzare i meccanismi di controllo nazionali per valutare e prevenire le minacce alla sicurezza e all’ordine pubblico collegate agli investimenti russi e bielorussi;
  • garantire una stretta cooperazione tra le autorità competenti in materia di IDE e le autorità competenti in materia di sanzioni; e
  • dare piena attuazione al Regolamento europeo sugli IDE n. 2019/452, anche mediante la partecipazione attiva al meccanismo di cooperazione tra Stati membri e tra questi e la Commissione.

In chiusura, la Commissione ha invitato gli Stati membri che al momento non dispongono di una normativa IDE (ovvero la cui normativa non consenta il controllo preventivo degli investimenti stranieri) ad istituire con urgenza meccanismi del genere e, nel frattempo, ad utilizzare altri strumenti giuridici adeguati ad affrontare i casi in cui l’investimento russo o bielorusso creerebbe un rischio per la sicurezza o l’ordine pubblico nell’UE.

Risulta dunque evidente l’urgenza di predisporre meccanismi adeguati che coprano l’intero territorio dell’Unione europea, in un invito alla prudenza che non è solo di natura procedurale ma che lascia presagire un attentissimo scrutinio anche a livello sostanziale.

Mila Filomena Crispino

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Diritto della concorrenza e azioni di risarcimento del danno – Secondo l’AG Szpunar è legittimo l’ordine di esibizione avente ad oggetto elementi di prova creati ex novo

Lo scorso 7 aprile l’Avvocato Generale Maciej Szpunar (AG) ha rassegnato le proprie conclusioni in relazione al rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE), con il quale il Tribunale di commercio n. 7 di Barcellona (Tribunale), nell’ambito di una azione di risarcimento c.d. follow-on, ha chiesto un chiarimento circa l’interpretazione dell’articolo 5, paragrafo 1 della Direttiva 2014/104 (Direttiva) e, in particolare, se tale disposizione includa altresì la possibilità di un ordine di esibizione di documenti che la parte cui è rivolta la richiesta di informazioni debba creare ex novo, mediante l’aggregazione o la riclassificazione di informazioni, conoscenze o dati in suo possesso.

Il rinvio origina da un’azione di risarcimento danni instaurata da 45 acquirenti di autocarri nei confronti delle imprese PACCAR Inc, DAF Trucks N.V. e DAF Trucks Deutschland GmbH le quali erano state sanzionate insieme ad altre società produttrici di autocarri per pratiche asseritamente volte a fissare i prezzi e trasferire sui clienti i costi aggiuntivi connessi alle norme sulle emissioni sanzionate con una decisione della Commissione Europea (Commissione) del 19 luglio 2016. Nell’ambito del contenzioso, gli attori avevano fatto valere l’esigenza di ottenere taluni mezzi di prova al fine di quantificare l’asserito artificioso aumento dei prezzi, in particolare per effettuare il confronto dei prezzi raccomandati prima, durante e dopo il periodo di durata dell’intesa e, nello specifico, l’elenco dei modelli fabbricati nel periodo 1990-2018 classificati per anno e secondo talune caratteristiche, il prezzo franco di fabbrica per ciascun modello incluso in tale elenco e il c.d. “total delivery cost” per tali modelli. I convenuti avevano tuttavia contestato tale istanza facendo valere che taluni di questi documenti avrebbero richiesto un’elaborazione ad hoc in quanto non preesistenti.

Sull’ambito temporale di applicazione della Direttiva, in linea con il ragionamento adottato dall’Avvocato Generale Rantos nel caso C-267/20 (relativo ad una diversa previsione della Direttiva), l’AG ha confermato che l’Articolo 5, paragrafo 1, secondo cui i giudici nazionali, nei procedimenti relativi ad un’azione per il risarcimento del danno, possono “ordinare al convenuto o a un terzo la divulgazione delle prove rilevanti che rientrino nel controllo di tale soggetto, alle condizioni precisate nel presente capo” è una norma di diritto processuale e, pertanto, si applica alle richieste di risarcimento del danno antitrust instaurate dopo l’attuazione della Direttiva stessa nell’ordinamento dello Stato Membro interessato.

Per rispondere al quesito posto dal Tribunale, l’AG ha dapprima richiamato il significato di “prova” ai sensi dell’articolo 2(13) della Direttiva che include “tutti i tipi di mezzi di prova ammissibili dinanzi al giudice nazionale adito, in particolare documenti e tutti gli altri oggetti contenenti informazioni, indipendentemente dal supporto sul quale le informazioni sono registrate”, riconoscendo che il solo dato letterale della norma non permette di concludere che la divulgazione di prove escluda l’elaborazione di un documento ex novo.

Quindi, l’AG Szpunar ha ricordato che uno degli obiettivi della Direttiva è quello precipuo di agevolare ed assistere il soggetto leso dalla violazione del diritto della concorrenza nella richiesta di ristoro dei danni subiti rimediando alla asimmetria di informazioni tra le parti e in tale contesto la divulgazione delle prove rappresenta uno strumento fondamentale dal quale dipende il successo dell’azione di risarcimento. Di conseguenza, l’AG ha concluso che escludere dal novero della nozione di prova la possibilità di richiedere altresì documenti non preesistenti che necessitano di un’attività di raccolta e compilazione di informazioni da parte di colui al quale l’ingiunzione di divulgazione è rivolta condurrebbe alla creazione di ostacoli insormontabili alla realizzazione dell’effetto utile degli articoli 101 e 102 TFUE e del diritto al pieno risarcimento.

Tuttavia, l’AG ha specificato che ai sensi dell’Articolo 5, paragrafo 3 il giudice nazionale è sempre tenuto a valutare le richieste di informazione secondo i principi di necessità e proporzionalità e tenendo altresì in considerazione gli interessi legittimi di tutte le parti affinché la divulgazione possa limitarsi alle prove effettivamente rilevanti. Inoltre, altra clausola di salvaguardia è posta dall’Articolo 5, paragrafo 7 secondo cui coloro ai quali è chiesta la divulgazione di prove hanno la possibilità di essere sentiti prima che il giudice nazionale ordini la divulgazione di informazioni.

Non resta che da vedere quale sarà la posizione che verrà adottata dalla CGUE, diverse potrebbero infatti essere le implicazioni. Sebbene l’opinione dell’AG si sviluppi intorno al principio di effettività e di asimmetria di informazioni nonché al diritto dell’attore di avere accesso alle prove, per completezza è necessario specificare che le conclusioni in commento si riferiscono genericamente alla “parte cui è rivolta la richiesta di informazioni”. È pertanto possibile interpretare tale perifrasi nel senso che anche i convenuti potrebbero ugualmente richiedere agli attori la divulgazione di informazioni per sostenere la passing on defence. Infine, l’adozione da parte della CGUE di una sentenza in linea con le conclusioni rese dall’AG potrebbe stimolare richieste di divulgazione di prove in quelle giurisdizioni dove le regole probatorie sono più restrittive.

Sabina Pacifico

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Diritto della concorrenza nei settori regolamentati e riparto delle competenze – Secondo le conclusioni dell’AG Capeta la decisione dell’autorità di regolamentazione non osta alla possibilità per i giudici civili di pronunciarsi su una domanda di risarcimento del danno

Il 7 aprile scorso, l’Avvocato Generale Capeta (AG) ha rassegnato le proprie conclusioni in merito a una pronuncia pregiudiziale nella controversia che vede coinvolte due società attive nel settore del trasporto ferroviario in Germania, rispettivamente ODEG Ostdeutsche Eisenbahn GmbH e B Station & Service AG, e riguardante una domanda risarcitoria legata al rimborso di diritti versati dalla prima per l’utilizzo delle stazioni ferroviarie gestite dalla seconda, imposte in violazione della normativa applicabile e dell’articolo 102 TFUE.

A fini di chiarezza, è bene premettere che nel settore ferroviario è vigente la direttiva 2001/14/CE (la Direttiva) che è stata oggetto di diverse pronunce giurisprudenziali volte a chiarirne la portata. Nella causa CTL Logistics (la linea giurisprudenziale) la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (la CGUE) aveva statuito che – prima di intraprendere una qualsiasi azione giudiziaria – i reclami relativi ai diritti ferroviari devono essere presentati all’organismo di regolamentazione istituito dalla Direttiva, il quale detiene una competenza esclusiva in materia. Molti tribunali tedeschi, a seguito di tale pronuncia, sono stati del parere che tale linea giurisprudenziale impedisca loro di decidere sulle richieste di risarcimento relative ai canoni applicati dalle reti ferroviarie fino a quando non vi è una decisione definitiva da parte dell’autorità di regolamentazione del settore.

Ciò premesso, l’AG cerca di fare chiarezza sui dubbi sollevati dal giudice nazionale che vertono sulla trasposizione di tale impostazione giurisprudenziale nell’ipotesi in cui venga formulata una domanda risarcitoria anche in base all’articolo 102 TFUE. In particolare, il giudice ha chiesto se (i) i tribunali civili siano autorizzati a condurre un riesame antitrust riguardante l’importo dei diritti di accesso all’infrastruttura anche quando le imprese di trasporto ferroviario possono chiedere all’organismo di regolamentazione di rivedere l’equità del prezzo, e se, in caso di risposta affermativa, (ii) i tribunali civili debbano attendere la decisione definitiva dell’organismo di regolamentazione.

Appurata l’analogia della fattispecie con quella sottesa alla causa CTL Logistics, l’AG offre una linea interpretativa applicabile non solo quando venga richiamato l’articolo 102 TFUE ma anche ai casi in cui sia più in generale richiamata l’interpretazione della Direttiva, poiché, secondo l’AG, “una simile esclusività di poteri non sembra derivare dal sistema previsto dalla Direttiva”.

In primo luogo, le autorità di regolamentazione hanno poteri di vigilanza limitati alla fissazione dei canoni e alla valutazione degli stessi. Secondo l’AG, ciò non include la risoluzione delle controversie, ed in particolare quelle relative al risarcimento del danno. Per i giudici civili non sussiste pertanto l’obbligo di attendere una decisione definitiva da parte dell’autorità di regolamentazione, in quanto il termine di due mesi per ottenere una pronuncia dell’autorità di regolamentazione ferroviaria previsto dalla Direttiva è solitamente superato in modo significativo, compromettendo la tutela e i principi del giusto processo sottesi all’intero sistema giudiziario.

Dunque, secondo l’AG, il giudice nazionale, nel valutare se attendere una decisione dell’autorità di regolamentazione, dovrebbe valutare se la sospensione del procedimento consenta di ottenere una pronuncia da parte di questi senza che ciò comprometta il diritto di risarcimento entro un lasso di tempo ragionevole. Resta naturalmente da vedere se e in che termini tali conclusioni verranno confermate dalla CGUE.

Maria Spanò

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Diritto della Concorrenza Italia / Intese e settore della distribuzione del carburante – L’AGCM ha avviato un’istruttoria nei confronti dei distributori che operano nell’area extra-doganale di Livigno

Con il provvedimento pubblicato il 5 aprile, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’AGCM) ha annunciato l’avvio di un procedimento istruttorio nei confronti delle dodici società che gestiscono tutti i distributori di carburante (gli Operatori) nell’area extra-doganale di Livigno.

L’avvio dell’istruttoria prende le mosse da una segnalazione inoltrata dalla Guardia di Finanza di Bormio, accompagnata da un fascicolo contenente un numero significativo di email che fornirebbero evidenza di uno scambio iniziato nel 2012 e proseguito, con cadenza settimanale, fino ad almeno il 2019 (data di acquisizione della documentazione da parte della Guardia di Finanza).

Le email in questione contengono le comunicazioni che l’ex capo ufficio tributi del Comune di Livigno inviava agli Operatori da un indirizzo personale per indicare quale fosse il prezzo da applicare alla pompa a partire dal giorno successivo all’invio della comunicazione. Non è chiaro quale fosse il criterio attraverso il quale il dipendente pubblico comunicasse queste variazioni. Secondo l’AGCM, a questa condotta si può far risalire il sostanziale parallelismo dei prezzi applicati dagli Operatori, come peraltro risulta dalla banca dati Osservaprezzi carburanti del MISE (che mostra come, nonostante la volatilità dei prezzi nel tempo, le differenze tra i prezzi applicati dagli Operatori siano state sostanzialmente nulle o irrisorie dal 2014 ad oggi).

Resta da vedere quali saranno gli esiti dell’istruttoria, tenendo conto che, al di là della copiosa documentazione raccolta, appare comunque difficile non immaginare che operatori attivi in un’area geografica talmente limitata siano perfettamente in grado di monitorare i prezzi applicati dai concorrenti in tempo pressoché reale e adattare i prezzi di conseguenza. Se da un lato è chiaro che, secondo la consolidata giurisprudenza in materia, la condotta in parola appare in violazione dell’art. 101 TFEU, resta comunque interessante chiedersi quale sarebbe stato il controfattuale in assenza del predetto peculiare meccanismo di comunicazione adottato da tempo a Livigno. E ciò, sia in termini di scenario che si sarebbe avuto se i singoli soggetti si fossero militati a verificare unilateralmente il livello dei prezzi dei concorrenti, sia in termini di costi comuni tra i vari distributori, stante il ruolo limitati che questi ultimi hanno nella filiera industriale. Analisi che comunque aiuterebbe a capire il rilievo di questa vicenda nell’ambito della politica della concorrenza perseguita dall’AGCM.

Alessia Delucchi

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Intese e settore della distribuzione di film – L’AGCM sanziona le principali associazioni di categoria della filiera cinematografica per un’azione collettiva di boicottaggio contro le arene a ingresso gratuito

Con la decisione pubblicata nel bollettino dello scorso 4 aprile, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha sanzionato per un totale di 92.712‬ euro l’Associazione Nazionale Industrie Cinematografiche Audiovisive e Multimediali (ANICA), l’Associazione Nazionale Esercenti Cinema (ANEC) e la delegazione territoriale di quest’ultima nel Lazio (ANEC Lazio) per aver posto in essere un’azione di boicottaggio concertata volta a regolare il rilascio delle licenze per le proiezioni da parte delle imprese attive nella distribuzione alle arene a titolo gratuito e a ostacolare il loro approvvigionamento dei film almeno a partire dal 2018.

Al fine di meglio comprendere i fatti in rilievo, è bene ricordare che, come ricostruito dall’AGCM, la filiera dell’industria della distribuzione cinematografica si articola in tre fasi: (i) la fase a monte della distribuzione nazionale; (ii) la fase intermedia, ovvero la distribuzione a livello locale, nell’ambito della quale operano principalmente gli agenti regionali che fungono da intermediari tra i distributori nazionali e gli esercizi cinematografici; e (iii) la fase a valle della proiezione dei film agli spettatori. L’ANICA è l’associazione di categoria che riunisce tutte le più importanti imprese di distribuzione attive a livello nazionale, nonché le filiali italiane delle major statunitensi. ANEC è l’analoga associazione rappresentativa delle imprese, a valle della filiera, che svolgono attività di esercizio cinematografico. In tale ultimo mercato – ma estranei alle associazioni di cui sopra – competono anche i gestori di arene a titolo gratuito, il cui modello di business si differenzia dagli altri esercenti cinematografici al chiuso poiché non viene richiesto agli spettatori il pagamento di un biglietto. Al netto di questa differenza, le arene gratuite hanno un modello di business analogo a quello delle sale a pagamento (finanziamenti pubblici, contributi associativi, incassi da servizi aggiuntivi e incassi da sponsorizzazione) e acquisiscono il prodotto cinematografico con modalità e prezzi simili.

Secondo la decisione dell’AGCM, al fine di arginare la concorrenza derivante dalle arene a ingresso gratuito ANICA, ANEC e ANEC Lazio avrebbero coordinato le proprie condotte e quelle dei propri associati, principalmente mediante l’adozione di circolari e linee guida volte a ostacolare l’attività delle arene gratuite nel reperimento dell’input essenziale (ossia i film) per lo svolgimento delle manifestazioni estive. Sul punto, è infondata secondo l’AGCM la tesi delle associazioni di categoria investigate secondo cui la non vincolatività di tali circolari esclude la natura restrittiva dell’intesa. Al contrario, l’AGCM osserva che, secondo giurisprudenza consolidata, anche indicazioni non vincolanti possono integrare una violazione dell’articolo 101 TFUE nella misura in cui in cui siano idonee a interferire nella strategia commerciale delle imprese associate. Nel caso di specie, l’argomento delle associazioni risulta inficiato in via di fatto dai dinieghi delle case di distribuzione, motivati proprio dall’esistenza delle linee guida contestate. Altresì infondata è l’invocazione da parte delle associazioni della Noerr-Pennington doctrine, teoria di conio statunitense volta a esentare dall’ambito applicativo della disciplina antitrust gli atti di imprese rivolti alle autorità pubbliche, quand’anche mirino ad ottenere misure pubbliche distorsive. Nel caso di specie, dall’attività istruttoria era emerso che le associazioni di categoria avevano intrapreso diverse iniziative di pressione su Roma Capitale per sollecitare un intervento regolatorio del mercato o per ottenere direttamente la delega all’attività di regolamentazione. In tale contesto, secondo le associazioni di categoria, le linee guida si innesterebbero su una lecita interazione con la Pubblica Amministrazione. L’AGCM respinge l’allegazione delle associazioni specificando, in primo luogo, che oggetto di contestazione in sede procedimentale sono solamente le condotte volte a orientare le modalità di rilascio da parte delle imprese associate delle licenze per la proiezione. In ogni caso, l’AGCM constata che ANICA, ANEC e ANEC Lazio sono associazioni di diritto privato e in quanto tali prive di pubblici poteri tali da legittimare qualsiasi pretesa regolatoria.

Ugualmente privi di pregio sono, secondo l’AGCM, due ulteriori argomenti avanzati dalle associazioni di categoria a sostegno della liceità della propria condotta. In prima battuta, le associazioni hanno contestato l’applicabilità della disciplina antitrust al caso di specie, in quanto i gestori di arene a ingresso gratuito non svolgerebbero un’attività di impresa. Replicando sul punto, l’AGCM ha invece sostenuto che l’assenza del pagamento di un corrispettivo da parte del consumatore per il servizio erogato dai gestori non esclude la loro qualificazione di imprese ai fini di antitrust (avendo il modello di business dalle stesse adottato, diverse fonti di finanziamento), ed ha aggiunto che, in ogni caso, con una affermazione che appare invero stridere con la tesi accusatoria avanzata dalla stessa AGCM, ai fini dell’applicazione dell’art. 101 TFUE non rileverebbe che i soggetti incisi dalle condotte anticoncorrenziali siano essi stessi imprese. In secondo luogo, le associazioni hanno giustificato la propria condotta come reazione alla concorrenza sleale proveniente dalle arene a ingresse gratuito, sussidiate dallo Stato in asserita violazione degli artt. 107 ss. del TFUE. Anche questo argomento non trova accoglimento nella decisione dell’AGCM: la normativa in materia di aiuti di Stato – di cui peraltro, come evidenziato dalla stessa AGCM, beneficiano in ampia misura le associazioni sanzionate – ha infatti per destinatari solo gli Stati. Anche ammettendo che vi sia una violazione di tale normativa, da ciò comunque non potrebbe derivare alcuna legittimazione al raggiungimento di un’intesa anticoncorrenziale.

Ad esito del procedimento, l’AGCM ha inizialmente quantificato la sanzione per ANICA, ANEC e ANEC Lazio rispettivamente in 123.882,85 euro, 50.516 euro e un ammontare non specificato tra 50.000 e 100.000 euro. Le sanzioni sono state calcolate sulla base della disciplina applicabile ratione temporis, cioè quella prevista dall’articolo 15 della legge n. 287/1990 nella versione precedente alla novella introdotta con il decreto legislativo n. 185/2021. Le somme così determinate sono state ridotte del 60% per ANEC e ANEC Lazio e del 40% per ANICA ai sensi dell’art. 34 delle Linee Guida, in considerazione della difficoltà oggettiva in cui versa il settore cinematografico a causa del periodo pandemico.

Con la decisione in commento, l’AGCM interviene in un settore da tempo oggetto di particolare attenzione. A partire dal 2018, infatti, ai sensi dell’art. 31 co. 4 L. 220/2016 l’AGCM predispone annualmente e trasmette al Parlamento una relazione in merito alle dinamiche concorrenziali nei mercati della distribuzione cinematografica. Resta da vedere se seguiranno ulteriori iniziative da parte dell’AGCM nello stesso settore e quale sarà l’esito di una possibile impugnazione innanzi al Giudice Amministrativo.

Alessandro Canosa

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Appalti, concessioni e regolazione / Il TAR Campania interviene sul tema della rilevanza escludente di sentenze penali di condanna non definitive

Lo scorso 31 marzo, con la sentenza n. 2149/2022, il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (TAR Campania) ha accolto il ricorso proposto da un’impresa edile (l’Impresa o Ricorrente) contro una stazione appaltante locale (Stazione Appaltante) per l’annullamento di un provvedimento di esclusione da una gara d’appalto, motivato - ex art. 80, co. 5 del Codice dei contratti pubblici (Codice) – in relazione ad una sentenza di condanna penale in primo grado e non definitiva emessa nei confronti del legale rappresentante dell’Impresa per violazione delle norme antinfortunistiche a tutela dei lavoratori.

Quanto ai fatti di causa, nel corso della gara bandita nel 2021, la Ricorrente ha regolarmente dichiarato l’esistenza della succitata condanna a carico del suo legale rappresentante, rimarcando che i fatti oggetto dell’accertamento penale risalivano al 2015. Malgrado la notevole distanza temporale dai fatti, la stazione appaltante aveva disposto l’esclusione dell’Impresa ritenendo che il reato in questione costituisse un grave illecito professionale e giustificasse il provvedimento di estromissione.

Il ricorso proposto dall’Impresa, articolato in un unico motivo di ricorso, ha posto al TAR Campania la seguente questione giuridica: se una sentenza penale non definitiva, relativa a fatti avvenuti più di tre anni prima dell’indizione della gara, possa costituire una legittima motivazione per l’adozione di un provvedimento di esclusione ex art. 80 del Codice. La prospettata questione riguarda l’interpretazione dei commi 10 e 10-bis del citato art. 80 che prevedono, per quanto in questa sede interessa, dei limiti temporali di rilevanza delle cause di esclusione (che variano dai tre ai cinque anni oppure in misura pari alla durata della reclusione disposta in sede penale) in relazione alle ipotesi di sentenza di condanna passata in giudicato e di adozione di un provvedimento di esclusione da una procedura di gara in corso. In tale contesto, le richiamate disposizioni non contemplano la diversa fattispecie di una sentenza di condanna penale che non sia ancora definitiva. In altre parole, la normativa nazionale non indica chiaramente quale sia il momento a decorrere dal quale inizia ad essere rilevante un reato oggetto di una pronuncia non definitiva: se tale momento coincida con il fatto originario o con la decisione giudiziale.

Il TAR Campania, nell’accogliere il ricorso, ha preso atto del descritto ‘vuoto’ normativo in relazione alla fattispecie in commento e ha, pertanto, ritenuto necessario rifarsi a quanto disposto dall’art. 57, par. 7, della direttiva UE n. 2014/24/UE, il quale dispone, in termini generali, che il periodo di esclusione per gravi illeciti professionali (ivi incluse condanne non ancora passate in giudicato) non possa essere superiore a tre anni dalla data della commissione del fatto. In applicazione della normativa sovranazionale, il TAR Campania ha, dunque, concluso che, nel caso di specie, essendo passati ben più di tre anni dalla commissione del fatto integrante l’illecito penale, tale fatto non potesse più costituire una legittima causa di esclusione da una procedura di gara in corso. Di qui, in definitiva, l’accoglimento del ricorso proposto dall’Impresa.

L’interpretazione del TAR Campania, pur avvalorata da richiami giurisprudenziali nel cui solco la pronuncia in commento si è collocata, assume l’applicazione nell’ordinamento interno di un principio desumibile da una direttiva senza peraltro soffermarsi sulla sussistenza o meno dei presupposti che il diritto europeo prescrive ai fini dell’applicazione diretta delle medesime direttive. La decisione in ogni caso non sembra risolvere in maniera definitiva la questione in quanto rimane fermo che il medesimo fatto illecito, a seconda che sia o meno oggetto di una sentenza definitiva, può, seguendo l’interpretazione del TAR Campania, in un primo momento cessare di essere rilevante dopo tre anni dalla commissione del fatto rilevante, per poi in seguito tornare ad esserlo in caso di acquisita definitività della stessa condanna.

In attesa di un eventuale appello dinanzi al Consiglio di Stato, la sentenza in commento ripropone una questione interpretativa che continua ad interrogare la giurisprudenza e ha potenziali riflessi applicativi in relazione non solo ad illeciti penali ma anche ad altre tipologie di illeciti (su tutti quelli antitrust). In tale contesto, in vista di annunciate riforme della disciplina degli appalti pubblici, appare auspicabile un intervento del legislatore anche sul punto oggetto del presente commento.

Alessandro Paccione

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