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Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della Concorrenza UE / Antitrust e settore digitale- La Commissione europea ha pubblicato il report conclusivo dell’indagine conoscitiva relativa al settore dell’Internet of Things

Il 20 gennaio scorso, la Commissione europea (Commissione) ha pubblicato il report conclusivo (il Report) dell’indagine conoscitiva relativa al settore dell’Internet of Things per i beni di consumo (IoT). Quest’ultimo comprende tutti i dispositivi elettronici - ad eccezione degli smartphone e dei tablet - in grado di connettersi a una rete a cui sono collegati ulteriori dispositivi analoghi al fine di scambiarsi dati e interagire. Tale settore, il cui volume d’affari nel 2019 ammontava a 105,7 miliardi di euro a livello globale, si trova in un periodo di forte espansione: le stime della Commissione proiettano infatti una crescita del volume d’affari a 404,6 miliardi di euro entro il 2030. Si tratta dunque di un settore considerato prioritario ai fini dell’enforcement del diritto antitrust.

Per quanto concerne le principali caratteristiche tecniche del settore, ad oggi la Commissione individua quattro segmenti: (i) smart home devices (tra cui elettrodomestici intelligenti o dispositivi per l’illuminazione); (ii) wearable devices (tra cui smart watch e smart glasses); (iii) assistenti vocali; (iv) servizi ai consumatori ancillari ai dispositivi precedenti. Tra questi, gli assistenti vocali assumono una rilevanza centrale per l’intero comparto, costituendo in genere il filtro principale che si interpone tra l’utente e la rete di ulteriori dispositivi interconnessi. Attualmente, gli assistenti vocali a vocazione generale – e non limitati dunque a specifiche funzionalità – sono solamente tre a livello europeo: Alexa (Amazon), Google Assistant (Google) e Siri (Apple). Ulteriore elemento imprescindibile per garantire interoperabilità e comunicazione tra hardware e software nonché tra diversi devices è costituito dal sistema operativo. L’accesso a queste due tecnologie – assistenti vocali e sistemi operativi – sembra rappresentare un importante input per l’ingresso nel settore. Generalmente, ciò si traduce sul piano legale nella conclusione di contratti con i principali operatori di mercato, e sul piano tecnico nella predisposizione da parte di questi ultimi di application programming interfaces (API) che consentano lo scambio di dati e di funzionalità tra software diversi.

Chi voglia accedere al settore in esame, oltre agli ostacoli connessi alla necessità di ottenere accesso a soluzioni tecnologiche proprietarie quali gli assistenti vocali e i sistemi operativi, dovrà inoltre muoversi all’interno di un panorama fortemente frammentato dal lato delle licenze di standard e protocolli. Infine, un ulteriore profilo da tenere in considerazione concerne l’asimmetria nell’accesso ai dati tra i produttori di assistenti vocali e i produttori dei diversi devices connessi alla rete.

Dalle caratteristiche tecniche sopra elencate, secondo la Commissione, deriva un rischio di potenziale squilibrio del mercato favore delle società già attive nel segmento strategico degli assistenti vocali e peraltro già al centro di ecosistemi digitali verticalmente integrati. Sul piano antitrust, tale squilibrio potrebbe concretamente tradursi, inter alia, nelle seguenti condotte: (i) imposizione di requisiti tecnici e/o economici arbitrari per garantire ai terzi produttori di devices l’accesso agli asset essenziali (sistemi operativi e assistenti vocali) e l’interoperabilità tra i propri dispositivi e la rete; (ii) limitazione tecnica delle funzionalità dei devices prodotti da terzi tramite la predisposizione di API dall’operatività ridotta; (iii) leveraging della proprietà privata delle tecnologie essenziali del settore per generare un effetto di lock-in dei mercati a valle all’interno del proprio ecosistema digitale; (iv) leveraging dell’accesso privilegiato ai dati per sviluppare ulteriormente le capacità degli assistenti vocali tramite training algoritmici e machine learning, a danno di potenziali nuovi entranti nel settore; (v) leveraging dell’accesso privilegiato ai dati nel settore adiacente dell’online advertising.

L’indagine conoscitiva della Commissione – che segue analoghe iniziative già intraprese recentemente dalle autorità antitrust tedesca e francese – è coerente con gli obiettivi della Alliance for Internet of Things Innovation, promossa dalla Commissione allo scopo di attribuire all’Europa un peso centrale nello sviluppo tecnico ed economico del settore. Sul piano legislativo, l’esito dell’indagine settoriale – come osservato dalla Commissione – alimenterà il dibattito attorno al Digital Markets Act, attualmente in corso di approvazione in seno agli organi europei. Dal lato enforcement, invece, sarà interessante vedere se a seguito dell’indagine la Commissione aprirà istruttorie ex art. 101 o 102 TFUE.

Alessandro Canosa

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Abusi e settore telefonico – Il Tribunale dell’UE condanna la Commissione europea al pagamento degli interessi di mora a favore di Deutsche Telekom.

Con la sentenza pronunciata lo scorso 19 gennaio, il Tribunale dell’Unione Europea (il Tribunale) ha riconosciuto a Deutsche Telekom un importo di circa EUR 1,8 milioni a titolo di risarcimento del danno che ha subito in ragione del rifiuto della Commissione Europea (la Commissione) di versarle interessi di mora sulla porzione di una sanzione antitrust indebitamente versata in quanto successivamente annullata. La sentenza, dunque, chiude una questione iniziata nel 2014.

Il caso riguarda Deutsche Telekom, società tedesca che detiene oltre il 50% di Slovak Telekom, ossia il principale operatore di telecomunicazioni slovacco e fornitore di accesso a internet a banda larga.
Nel 2014, la Commissione accertava l’abuso di posizione dominante di Slovak Telekom sul mercato slovacco e sanzionava: (i) congiuntamente Slovak Telekom e Deutsche Telekom per la violazione della normativa antitrust in materia di abuso dominante (per margin sequeeze); e (ii) individualmente Deutsche Telekom in qualità di società controllante per il suo comportamento considerato recidivo.
Come illustrato in questa Newsletter, alla quale si rinvia per un ulteriore approfondimento, il Tribunale dell’Unione europea (il Tribunale) ha annullato parzialmente la decisione della Commissione, riducendo l’ammontare della sanzione irrogata alle parti, le quali all’epoca della pronuncia in questione avevano già interamente versato l’ammenda irrogata. Il 12 marzo 2019, Deutsche Telekom chiedeva pertanto il versamento degli interessi di mora per il periodo compreso tra la data del pagamento dell’ammenda e la data del rimborso della porzione considerata indebita A seguito del rifiuto della Commissione di versare la somma richiesta (la Decisione impugnata) Deutsche Telekom proponeva dunque ricorso innanzi al Tribunale.

Il Tribunale si è in primo luogo soffermato sull’analisi della responsabilità extracontrattuale dell’Unione europea per il lucro cessante asseritamente patito da Deutsche Telekom in ragione della privazione del godimento della somma in questione per il periodo compreso tra la data del pagamento dell’ammenda e la data del rimborso.

A tal riguardo, il Tribunale ha ricordato che la responsabilità extracontrattuale dell’Unione europea è subordinata al ricorrere di un insieme di condizioni cumulative, vale a dire: (i) l’esistenza di una violazione sufficientemente qualificata di una norma giuridica che conferisce diritti ai singoli; (ii) l’esistenza di un danno; e (iii) l’esistenza di un nesso causale tra la violazione e il danno subito. In proposito, il Tribunale ha accolto la tesi della Commissione, secondo cui Deutsche Telekom non aveva dimostrato – nel concreto – gli investimenti che avrebbe potuto effettuare con la somma in questione, né identificato gli investimenti non effettuati a causa dell’indisponibilità dell’importo necessario.

In secondo luogo, il Tribunale ha esaminato la domanda di risarcimento danni proposta in subordine. Sul punto è stato richiamato l’articolo 266 TFUE, il cui primo comma prevede l’obbligo per le istituzioni europee di adottare tutte le misure necessarie all’esecuzione di una sentenza che ha annullato uno degli atti da esse emanati. Il Tribunale ha quindi accolto la tesi della ricorrente secondo cui lo scopo di tale articolo è quello di garantire una tutela giurisdizionale effettiva, riconoscendo un diritto di ripetizione in capo ai singoli idoneo a ripristinare lo status quo ante rispetto all’adozione della decisione annullata. Secondo il Tribunale, gli interessi di mora costituiscono anch’essi – insieme al versamento della somma corrisposta indebitamente – una parte essenziale di tale ristoro. Il Tribunale ha quindi riconosciuto che il rifiuto, da parte della Commissione, di corrispondere alla ricorrente gli interessi di mora era contrario all’art. 266 TFUE.

In conclusione, la sentenza in commento chiarisce che la Commissione non può discrezionalmente stabilire, con decisione individuale, le condizioni alle quali verserà interessi di mora nell’ipotesi di annullamento totale o parziale di una decisione che abbia inflitto un’ammenda (e da cui pertanto derivi un obbligo di restituzione in capo alla Commissione). Al contrario, ai fini di garantire l’effettività della tutela giurisdizionale prevista dai Trattati, gli interessi di mora debbono in ogni caso essere corrisposti. Resta da vedere se la sentenza in commento sarà oggetto di impugnazione innanzi alla Corte di Giustizia.

Maria Spanò

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Intese e obiettivi di sostenibilità – il Bundeskartellamt ha chiarito a quali condizioni sono legittime due iniziative di cooperazione tra concorrenti a fini ESG.

Con il comunicato stampa dello scorso 18 gennaio 2022, l’Autorità garante della concorrenza tedesca (Bundeskartellamt) ha annunciato di aver completato la propria valutazione di due iniziative di cooperazione tra concorrenti a fini di sostenibilità ambientale: la prima, finalizzata ad introdurre un salario minimo nella filiera della coltivazione e commercializzazione delle banane; la seconda, diretta a promuovere la c.d. “Initiative Tierwohl”, volta a promuovere il benessere degli animali allevati a fini alimentari.

Con riferimento alla prima delle due iniziative, concernente il salario minimo nella filiera delle banane, il Bundeskartellamt non ha sollevato particolari perplessità. Nel dettaglio, la misura in questione, promossa dagli operatori attivi nel settore della vendita al dettaglio di prodotti alimentari in Germania, è volta a fissare standard comuni per la determinazione dei salari nel settore delle banane, nonché ad introdurre pratiche di approvvigionamento responsabili. Inoltre, obiettivo di tale iniziativa è anche incrementare gradualmente le vendite di banane prodotte e acquistate in linea con i criteri del salario minimo. In considerazione del fatto la cooperazione in parola esclude che siano scambiate informazioni circa i prezzi di approvvigionamento (ovvero altri costi), nonché informazioni relative a volumi e/o margini, il Bundeskartellamt ha ritenuto che l’iniziativa non sollevasse particolari criticità, purché eventuali modifiche fossero portate alla sua attenzione in modo da permettere – se necessario – un’ulteriore valutazione circa la possibile portata restrittiva dell’accordo.

Quanto invece alla c.d. “Initiative Tierwohl”, relativa al benessere degli animali, questa nasce da un accordo tra operatori attivi nei settori dell’agricoltura, della produzione di carne e della vendita al dettaglio in Germania e prevede il pagamento di una somma di denaro in favore degli allevatori che migliorino di standard di benessere degli animali. L’iniziativa riguardava finora esclusivamente la produzione di carne di pollame e maiale e prevedeva il riconoscimento di una somma fissa in favore degli allevatori. In seguito alla proposta di ampliamento dell’iniziativa ai bovini da ingrasso, il Bundeskartellamt, oltre a ricordare l’importanza dell’introduzione di una chiara etichettatura per la carne prodotta in linea con i criteri di benessere al fine di rendere le condizioni in cui gli animali sono tenuti trasparenti per i consumatori, ha ritenuto che sia necessario evitare un premio fisso per ciascun animale (com’è stato finora ammesso in relazione a polli e maiali), introducendo invece elementi concorrenziali all’interno del sistema di remunerazioni legate al welfare animale.

L’esame del Bundeskartellamt è coerente con un’esigenza sempre più attuale di certezza del diritto ai fini del raggiungimento di obiettivi ESG. In tale ambito rivestono infatti un ruolo chiave le iniziative intraprese congiuntamente da una pluralità di operatori economici (anche e soprattutto concorrenti tra loro) che mettano in comune risorse, best practices e/o informazioni per offrire più celermente ed efficacemente prodotti sempre più attenti alle esigenze di sostenibilità in senso ampio. Tuttavia, simili collaborazioni presentano significativi rischi di violazione della disciplina antitrust, e in particolare del divieto di intese anticoncorrenziali di cui all’articolo 101(1) TFEU e dalle equivalenti norme nazionali. La disponibilità del Bundeskartellamt a fornire indicazioni in proposito è quindi sicuramente da apprezzare e l’auspicio è che altre autorità antitrust agiscano in maniera simile. Fortunatamente, le indicazioni in tal senso non mancano (basti pensare al Policy Brief pubblicato dalla Commissione europea lo scorso 10 settembre, oggetto di commento nella presente Newsletter).

Davide Mancini

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Diritto della Concorrenza Italia / Intese e settore del trasporto di materiali infiammabili e rifiuti - L’AGCM ha sanzionato cinque società attive nel Golfo di Napoli.

Con il provvedimento del 21 dicembre 2021, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha concluso il procedimento avviato nel gennaio 2020 (commentato in questa Newsletter), sanzionando le società Mediterranea Marittima S.p.a. (Mediterranea Marittima), Medmar Navi S.p.a. (Medmar), Servizi Marittimi Liberi Giuffré & Lauro S.r.l. (Servizi Marittimi), Tra.Spe.Mar. S.r.l (Traspemar), GML Trasporti Marittimi S.r.l (GML) e il Consorzio COTRASIR (COTRASIR) per oltre un milione e 200 mila euro complessivi. Secondo l’AGCM, dette società, attive nel trasporto di merci infiammabili (come, ad esempio, i carburanti) e rifiuti, hanno infatti posto in essere un’intesa restrittiva della concorrenza attraverso una serie di condotte che avrebbero consentito loro di spartirsi il mercato e alzare i prezzi attraverso la definizione di tariffe comuni.

Il procedimento dell’AGCM è iniziato a seguito di quattro distinte segnalazioni che avevano portato l’AGCM ad aprire un procedimento per verificare se le condotte avessero integrato un’intesa illecita. Nel corso dell’istruttoria le parti avevano fatto pervenire all’AGCM una serie di proposte di impegni volti a rimuovere i possibili profili anticoncorrenziali dell’infrazione contestata, come ad esempio l’impegno a sciogliere GML (società compartecipata da Mediterranea Marittima, Medmar e Servizi Marittimi) e il COTRASIR (consorzio a cui partecipavano GML e Traspemar) e l’impegno ad astenersi da ogni forma di concentrazione finalizzata alla prestazione dei servizi in oggetto. Tuttavia, nell’ottobre 2020 l’AGCM aveva rigettato le proposte di impegni ritenendoli insufficienti a rimuovere efficacemente i profili anticoncorrenziali in oggetto e ritenendo che vi fosse un pubblico interesse all’accertamento dell’eventuale infrazione.

Le condotte oggetto di scrutinio da parte dell’AGCM riguardano i servizi di trasporto marittimo di merci infiammabili, prevalentemente carburanti, e di rifiuti nelle tratte (i) Napoli – Capri; (ii) Ischia – Procida – Pozzuoli; e (iii) Napoli – Procida – Casamicciola. Tali servizi venivano tradizionalmente offerti sempre dagli stessi operatori, individualmente o mediante comuni iniziative (come GML e COTRASIR), operando peraltro in un regime di “esclusiva” su ogni singola tratta. Anche la costituzione del consorzio e della società GML sarebbero – secondo l’AGCM – parte di un’intesa unica e complessa costituita da una pluralità di condotte, tra cui: (i) la conclusione di patti di non concorrenza relativi alla spartizione di rotte e servizi; (ii) la determinazione congiunta delle tariffe e dei relativi aumenti; nonché (iii) la ripartizione dei ricavi e dei costi sulla base del fatturato storico delle società.

Il fatturato derivante dall’attività di vendita dei servizi di trasporto marittimo sul quale applicare la sanzione è stato individuato nell’ultimo anno intero di partecipazione all’infrazione, ossia il 2020; su di esso, per ciascuna società, è stato applicato un coefficiente di gravità pari al 25% del valore delle vendite, ridotto per non superare il massimo edittale pari al 10% del fatturato totale di ciascuna impresa nell’anno di riferimento. Inoltre, l’AGCM ha ritenuto di ridurre di un ulteriore 30% la sanzione, in considerazione delle difficoltà subite da tale settore a causa del periodo pandemico. A GML e COTRASIR, sciolte e poste in liquidazione, l’AGCM ha invece imposto una sanzione simbolica di 10.000 euro ciascuna.

Sarà adesso interessante osservare le prossime evoluzioni della vicenda alla luce delle impugnazioni che saranno probabilmente proposte dai soggetti sanzionati.

Alessia Delucchi

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Appalti, concessioni e regolazione / Il Tar Lazio chiarisce i confini e la natura del procedimento di verifica di anomalia delle offerte

In data 13 gennaio 2022, con la sentenza n. 347/22, il Tar Lazio ha respinto il ricorso proposto da un’impresa (l’Impresa) avverso il provvedimento con cui l’Asl Roma 1 (l’Amministrazione) aveva aggiudicato ad un altro soggetto una procedura di gara avente ad oggetto l’affidamento di alcuni servizi di c.d. ausiliariato.

La vicenda ha avuto origine con il con bando di gara pubblicato nel settembre 2020, con il quale l’Amministrazione lanciava una gara per l’affidamento dei servizi di sanitari e di assistenza sociale (servizi di c.d. ausiliariato) per un importo complessivo triennale posto a base di gara di oltre 21 milioni di euro. All’esito della procedura, l’Amministrazione procedeva all’aggiudicazione della gara in favore dell’operatore economico posizionatosi primo in graduatoria.

L’Impresa, a seguito della mancata vittoria, proponeva ricorso al Tar Lazio chiedendo l’annullamento, previa sospensione degli effetti, del provvedimento di aggiudicazione, della lex specialis di gara e di tutti gli atti a questi presupposti. In particolare, formulando un unico motivo di ricorso, l’Impresa contestava l’illegittimità dell’aggiudicazione poiché l’Amministrazione avrebbe dovuto attivare, nei confronti dell’operatore aggiudicatario, il “procedimento di verifica facoltativa dell’anomalia” di cui all’art. 97, comma 3, del d.lgs. 50/2016 (Codice dei contratti pubblici o Codice) in ragione di una prospettata non sostenibilità dell’offerta presentata.

Ai fini della risoluzione della controversia, il Tar Lazio ha così tracciato i contorni di sintesi del procedimento di verifica dell’anomalia.

In primo luogo, il Tar ha considerato la ratio del procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta che sarebbe finalizzato ad accertare la complessiva attendibilità e serietà dell’offerta, sulla base di una valutazione, ad opera della stazione appaltante, che ha natura globale e sintetica. In quanto tale, tale verifica costituisce dunque l’espressione di un tipico potere tecnico-discrezionale riservato all’amministrazione pubblica. Sotto altro profilo, in via di principio, salvo che per ragioni legate alla eventuale manifesta e macroscopica erroneità o irragionevolezza dell’operato dell’amministrazione, secondo il giudice di primo grado tale valutazione di merito rimane insindacabile in sede giurisdizionale.

In secondo luogo, sempre sullo scopo e natura del procedimento, la verifica di anomalia dell’offerta non deve risolversi in una parcellizzazione delle singole voci dell’offerta presentata e in una “caccia all’errore nella loro indicazione nel corpo dell’offerta”. Il procedimento di controllo deve essere infatti diretto a verificare se, nel complesso, vi siano elementi tali da rendere palese l’inattendibilità complessiva dell’offerta. In altri termini, il procedimento di verifica della congruità dell’offerta deve mirare ad accertare se in concreto essa, nel suo complesso, sia attendibile e affidabile in relazione alla corretta esecuzione dell’appalto.

In terzo luogo, il Tar ricorda che il Codice distingue due diverse tipologie di verifica di anomalia: (i) la verifica obbligatoria: l’amministrazione è obbligata ad avviare tale procedimento tutte le volte in cui (a) i punti relativi all’offerta economica e (b) quelli relativi all’offerta tecnica sono entrambi pari o superiori ai quattro quinti dei punti massimi previsti dal bando di gara. Dunque, quando un’offerta ottiene un punteggio così alto sia nella parte economica, sia in quella tecnica, scatta automaticamente l’obbligo di avviare un procedimento di verifica della sostenibilità dell’offerta; (ii) la verifica facoltativa: tale procedimento rimane invece una facoltà dell’amministrazione che può infatti essere attivato tutte le volte in cui essa ravvisi elementi di inaffidabilità dell’offerta.

Rispetto alla verifica di anomalia facoltativa, il Tar Lazio ha ribadito che, nel valutare se e in che misura sia necessario o opportuno procedere ad una verifica sull’offerta, alla stazione appaltante compete il più ampio margine di apprezzamento. Tale valutazione costituisce esplicazione ‘esemplare’ e ‘paradigmatica’ di discrezionalità tecnica, sindacabile solo in caso di manifesta e macroscopica erroneità o irragionevolezza. Peraltro, sempre secondo le coordinate interpretative fornite dal Tar Lazio, se, per un verso, sussiste un onere di motivazione rafforzato e approfondito nel caso in cui, all’esito della verifica facoltativa, la stazione appaltante esprima un giudizio negativo che faccia venir meno l’aggiudicazione, di converso, tale onere non sussiste tutte le volte in cui il procedimento abbia invece esito positivo. In tale ipotesi, è sufficiente una motivazione sintetica. Per l’effetto, quando il procedimento di verifica facoltativa dell’anomalia dell’offerta abbia avuto esito positivo (ovvero quando il controllo non sia stato nemmeno effettuato) incombe sul soggetto che contesta l’aggiudicazione l’onere di individuare gli specifici elementi da cui il giudice amministrativo dovrebbe evincere che la valutazione tecnico-discrezionale dell’amministrazione sia stata manifestamente irragionevole ovvero sia stata basata su fatti erronei o travisati.

Sotto questo profilo, il Tar Lazio ha ribadito che “l’amministrazione dispone di una discrezionalità quanto mai ampia in ordine alla scelta se procedere a verifica facoltativa della congruità dell’offerta, il cui esercizio (o mancato esercizio) non necessita di una particolare motivazione e può essere sindacato solo in caso di macroscopica irragionevolezza o di decisivo errore di fatto”.

Nel caso di specie, come accennato, l’Impresa lamentava che l’Amministrazione non avesse avviato il procedimento facoltativo di verifica dell’anomalia dell’offerta prospettando che l’offerta dell’operatore aggiudicatario non fosse sostenibile e che dunque meritasse di essere esclusa.

Tuttavia, alla luce delle coordinate interpretative fornite, il Collegio ha rilevato che nella fattispecie de qua, il giudizio discrezionale dell’Amministrazione di non verificare la congruità dell’offerta dell’aggiudicataria non era stato manifestamente erroneo e/o irragionevole. In particolare, nel respingere il ricorso, il Tar ha dovuto anche constatare che le allegazioni fornite dall’Impresa non erano state sufficientemente supportate sotto il profilo probatorio.

La sentenza del Tar Lazio appare sicuramente utile a tutti gli operatori del settore, anche per lo ‘sforzo’ ricostruttivo fatto. La pronuncia ha infatti il pregio di delineare in maniera chiara i confini del procedimento di anomalia dell’offerta e le modalità tramite cui tale procedimento possa essere oggetto di contestazione in sede giurisdizionale.

Tommaso Filippo Massari

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