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Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza UE / Intese e settore delle conserve vegetali – La Commissione sanziona Conserve Italia per 20 milioni di euro

Come annunciato nel comunicato stampa pubblicato il 19 novembre, la Commissione europea (la Commissione) ha sanzionato Conserve Italia Soc. coop. Agricola (Conserve Italia) e la sua controllata Conserves France S.A. per 20 milioni di euro per aver preso parte a un cartello per la fornitura di alcuni tipi di conserve vegetali a dettaglianti e ad imprese del settore della ristorazione.

La decisione in commento segue alla decisione, oggetto di commento in questa stessa Newsletter, adottata dalla Commissione nel settembre 2019 nei confronti delle altre partecipanti al cartello, Coroos e Groupe CECAB, (sanzionate complessivamente per quasi 32 milioni di euro), e Bonduelle (che ha invece beneficiato di una piena immunità per aver comunicato l’esistenza del cartello), nell’ambito della quale era stata peraltro raggiunta una transazione. A differenza delle tre concorrenti, Conserve Italia aveva tuttavia deciso di non transigere con la Commissione, che ha quindi continuato il procedimento istruttorio secondo la normale procedura.

L’infrazione accertata riguardava l’intero Spazio economico europeo (SEE) ed ha avuto una durata di tredici anni; in particolare, la partecipazione di Conserve Italia all’intesa decorreva dal marzo 2000 fino all’ottobre 2013. Secondo quanto accertato dalla Commissione, attraverso il cartello le partecipanti avevano fissato i prezzi, concordato le quote di mercato e i volumi di vendita, ripartito clienti e mercati, scambiato informazioni e coordinato le partecipazioni alle gare d’appalto. In esito all’indagine, la Commissione ha quindi constatato l’esistenza di un’infrazione unica e continuata, articolata in tre accordi distinti: (i) l’accordo sulle vendite a dettaglianti del SEE di conserve vegetali con marchio del distributore; (ii) l’accordo sulle vendite a dettaglianti del SEE di conserve di mais con marchio del distributore; (iii) l’accordo sulle vendite di conserve vegetali a dettaglianti e al settore della ristorazione in Francia sia con marchio proprio, sia con marchio del distributore. La Commissione ha quindi accertato la partecipazione di Conserve Italia solo nei primi due accordi.

Come di consueto, l’entità della sanzione è stata stabilita considerando diversi elementi, tra cui il valore delle vendite realizzato per i prodotti in questione, la gravità dell’infrazione, l’estensione geografica e la sua durata. Conserve Italia ha inoltre beneficiato di una riduzione del 50% dell’importo per aver collaborato all’indagine ai sensi della comunicazione della Commissione del 2006 sulla clemenza.

Si tratta del secondo caso di cartello che coinvolge le conserve alimentari: con due decisioni, una del giugno 2014 e una dell’aprile 2016 la Commissione aveva inflitto sanzioni complessive per circa 37 milioni di euro.

Alessia Delucchi

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Diritto della Concorrenza Italia / Abuso di dipendenza economica e settore delle telecomunicazioni - AGCM avvia una istruttoria nei confronti di Wind Tre

Con il provvedimento adottato in data 4 novembre 2021, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (ACGM) ha avviato un’istruttoria nei confronti di Wind Tre S.p.A. (Wind Tre) per presunte condotte contrattuali integranti un abuso di dipendenza economica con alcuni dei rivenditori facenti parte della rete di pertinenza della società H3G, oggi parte di Wind Tre.

A valle della nota operazione di concentrazione perfezionatasi a fine 2016 che ha dato origine a Wind Tre, la Segnalante (una società a controllo familiare), nel dicembre 2019 si è rivolta all’AGCM lamentando un progressivo deterioramento dei rapporti di collaborazione conseguenti alle condizioni contrattuali applicate da Wind Tre, culminate poi nel recesso di Wind Tre nel Febbraio 2018.

In particolare, sono state portate all’attenzione dell’AGCM condizioni contrattuali che, secondo la Segnalante, determinerebbero un eccessivo squilibrio di diritti e obblighi a carico del rivenditore, tra cui: (i) il meccanismo del c.d. reverse charge che non permetterebbe al rivenditore il recupero dell’IVA relativa al dispositivo cellulare ceduto al consumatore finale in quanto le rate versate mensilmente da quest’ultimo, che ingloberebbero anche l’importo versato a titolo di IVA, verrebbero incassate direttamente da Wind Tre e non dal rivenditore, determinandosi al momento della compravendita una cessione del credito a favore di Wind Tre; (ii) il meccanismo degli storni pro rata conseguenti alla vendita con rateizzazione del prezzo del dispositivo cellulare acquistato secondo cui, in caso di recesso da parte dei clienti finali e a prescindere dalle eventuali penalità applicate a questi ultimi, Wind Tre stornava, dagli importi dovuti al rivenditore, la quota di commissione connessa alle rate che il cliente non avrebbe più pagato; (iii) le modifiche unilaterali frequenti e ricomprendenti anche quelle relative al piano compensi; nonché, infine, (iv) il recesso (ingiustificato secondo la Segnalante) da parte di Wind Tre non indicante alcuna motivazione e/o inadempienza contrattuale da parte del rivenditore.

Le valutazioni concernenti tali rapporti verranno compiute alla luce della: (i) posizione di mercato delle parti; (ii) durata della relazione contrattuale con la Segnalante (iniziata con H3G sin dal 2002); (iii) e del contenuto degli obblighi contrattuali. In particolare, secondo l’AGCM Wind Tre potrebbe avere imposto ai propri rivenditori una serie di condizioni e di obblighi ingiustificatamente gravosi, tali da condizionare indebitamente l’attività economica del rivenditore e comprimerne i margini di redditività.

Infine, è interessante sottolineare, questa vicenda è espressione della rinnovata attenzione dell’AGCM in materia di possibili abusi di dipendenza economica, utilizzati in parte anche quale strumento a supporto per la salvaguardia della concorrenza nel mercato (si vedano in proposito i due precedenti commenti sul tema riportati in questa stessa Newsletter). Come d’altronde segnalato nel provvedimento in commento, secondo l’AGCM la condotta in esame potrebbe rilevare anche sotto il profilo della concorrenza intra-brand data l’uniformità delle clausole contrattuali applicate da Wind Tre a tutta la sua rete commerciale, nonché asseritamente limitare la mobilità dei rivenditori da un operatore di telefonia mobile all’altro e tradursi in una posizione di vantaggio concorrenziale rispetto agli operatori di telefonia mobili concorrenti (concorrenza inter-brand). Resta da vedere se tali profili saranno approfonditi nel provvedimento finale.

Maria Spanò

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Legal News / La Corte di Giustizia UE si pronuncia sul tema dell’obbligo di rinvio di questioni pregiudiziali da parte di un giudice di ultima istanza a valle di una rimessione disposta dal Consiglio di Stato

In data 6 ottobre 2021, con la sentenza pronunciata nell’ambito della causa C-561/19, la Corte di Giustizia dell’Unione europea (CGUE) si è pronunciata sul tema relativo al contenuto e ai limiti dell’obbligo di rinvio pregiudiziale in capo ai giudici di ultima istanza ex art. 267 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE). Tale pronuncia si pone a valle di una rimessione da parte del Consiglio di Stato (CdS) in un giudizio in materia di appalti pubblici.

Il contenzioso da cui trae origine la pronuncia in commento si è distinto per la peculiarità che le parti ricorrenti hanno richiesto al giudice di secondo grado di fare due rinvii pregiudiziali in diverse fasi del contenzioso. Il rinvio in commento è il secondo che è stato richiesto dalle parti quando la causa era ormai giunta in decisione. Di qui il quesito pregiudiziale formulato dal CdS, ossia se sia sempre doveroso per un giudice di ultima istanza fare rinvio alla CGUE su una questione pregiudiziale, anche quando, come nel caso di specie, nella stessa causa vi sia già stato un rinvio e la causa medesima sia già stata trattenuta in decisione dal giudice remittente.

Tanto premesso, prima di rispondere alla specifica questione posta dal CdS, la sentenza in commento ha riepilogato e chiarito i principi della sua giurisprudenza sui presupposti che devono sussistere perché un giudice di ultima istanza possa essere esonerato dall’obbligo di rinvio alla CGUE. In questi termini, la sentenza costituisce una risposta ‘anticipata’ a quesiti che il CdS ha formulato con una recente pronuncia di rinvio alla CGUE del settembre scorso, che è stata oggetto di commento su questa Newsletter. La decisione in esame ha quindi ribadito il principio espresso nella sentenza “Cilfit” del 6 ottobre 1982 per cui l’esenzione dall’obbligo di rinvio pregiudiziale per un tribunale di ultimo grado sussiste solo in tre condizioni: (i) la questione sollevata non è rilevante; (ii) la disposizione di cui si tratta è stata già oggetto di una sentenza interpretativa della CGUE; e (iii) la corretta interpretazione della questione pregiudiziale si impone con una tale chiarezza da non lasciare spazio a ragionevoli dubbi.

A differenza dei primi due criteri che sono ‘self-explanatory’, non è, invece, subito chiaro quando sia configurabile la terza condizione. Posto che quest’ultima presuppone evidentemente che non ci sia stato un intervento risolutore da parte della CGUE, non emerge con immediatezza quando un giudice possa sostenere di non avere nessun dubbio sulla corretta interpretazione delle norme controverse. In tale contesto, la CGUE fornisce gli elementi da prendere in considerazione per stabilirlo.

In sintesi, occorrerà valutare se:

  • nelle diverse lingue dell’UE, il concetto giuridico controverso mantenga lo stesso significato o assuma sfumature diverse (anche se la CGUE precisa che questo non implica che i giudici nazionali debbano leggersi tutte le versioni linguistiche delle fonti euro-unitarie);
  • vi sia una non esatta corrispondenza tra le nozioni giuridiche dell’UE e quelle apparentemente corrispondenti nel diritto nazionale;
  • alla luce del contesto normativo in cui è collocata, la norma UE controversa possa prestarsi o meno ad una molteplicità di interpretazioni.

Ciò posto, come evidenziato dalla CGUE, la mera possibilità di effettuare una o diverse altre letture di una disposizione del diritto dell’Unione non è sufficiente a dimostrare l’esistenza di ragionevoli dubbi; tuttavia, l’esistenza di orientamenti giurisprudenziali divergenti (nello stesso Stato del giudice remittente o anche in altri Paesi UE) richiede una “… particolare attenzione” nel valutare l’eventuale “assenza di ragionevole dubbio quanto all’interpretazione corretta della disposizione dell’Unione di cui trattasi …”.

Infine, la CGUE ha affrontato il tema specifico del rinvio del CdS e ha espresso il principio che la sussistenza di un precedente rinvio nella stessa causa o nello stadio avanzato della causa medesima non sono di per sé cause ostative rispetto ad un nuovo e diverso rinvio. Questo principio, tuttavia, dev’essere coordinato con le norme processuali interne di ogni singolo Stato e, in particolare, in Italia, con la regola che rende inammissibile nel processo amministrativo l’introduzione di motivi nuovi e diversi rispetto a quelli originari (salvo vi siano i presupposti per i motivi aggiunti). Se la questione di rinvio pregiudiziale si correla a tali motivi inammissibili, essa è a sua volta inammissibile.

Sarà interessante attendere la pronuncia della CGUE sui temi sollevati dal CdS con la sentenza del settembre scorso. In particolare, si vedrà se la CGUE, trovandosi di fronte alla specifica questione sui presupposti che devono sussistere perché un’interpretazione del diritto unionale sia pacifica ed esoneri dall’obbligo di rinvio pregiudiziale un tribunale nazionale di ultimo grado al di fuori di un precedente in termini della stessa CGUE, riaffermerà, come c’è da attendersi, i medesimi principi evidenziati nella decisione in commento.

Alessandro Paccione

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Controllo degli investimenti esteri – La Commissione pubblica il suo primo report sul controllo degli investimenti esteri diretti (FDI)

In data 23 novembre 2021, la Commissione Europea (Commissione) ha pubblicato il primo report annuale (Report) sul controllo degli investimenti esteri diretti all’interno dell’Unione.

La pubblicazione fa seguito ad una previsione contenuta nell’art. 5 del Regolamento 2019/452 (Regolamento) istitutivo di un framework europeo sul controllo degli investimenti esteri, la quale obbliga gli Stati membri a fornire alla Commissione entro il 31 marzo di ogni anno i dati aggregati relativi agli investimenti esteri occorsi l’anno precedente all’interno del loro territorio. Sulla base di tali dati – riferiti dunque all’anno 2020 – la Commissione ha elaborato il Report.

A titolo introduttivo, la Commissione segnala un calo a livello globale del volume degli investimenti esteri nel 2020 pari al 35% rispetto all’anno precedente. Il calo raggiunge nell’area UE la quota del 71%. A tale calo si associa, sempre nell’area dell’Unione Europea, una riduzione delle operazioni di M&A con una controparte extra-UE, pari al 34%. Per quanto concerne invece la provenienza degli investimenti esteri, i principali investitori nell’UE sono stati gli USA e il Canada (35%) e il Regno Unito (30,6%), mentre sorprendentemente la Cina si arresta al 2,5%.

In merito alle iniziative nazionali inerenti al controllo degli investimenti esteri, la Commissione constata come 24 dei 27 Stati membri nel 2020 abbiano introdotto o modificato il meccanismo nazionale di controllo o abbiano dato avvio a procedure legislative finalizzate allo stesso fine. Nello stesso arco temporale, nell’area UE sono stati inviati alle autorità nazionali competenti 1.793 dossier di notifica (dei quali, come si evince dalla Relazione al Parlamento italiano in materia di golden power ex art. 3-bis d.l. 15 marzo 2012, n. 21, 342 hanno riguardato l’Italia). Dei circa 1.800 dossier notificati, l’80% è risultato al di fuori dell’ambito applicativo della normativa oppure di impatto prima facie irrilevante per l’interesse nazionale. Solo il 20% dei casi è stato oggetto di analisi sostanziale da parte delle autorità. Tenendo in considerazione esclusivamente quest’ultima categoria di casi, solo il 2% di questi è stato oggetto di veto, mentre il 79% dei casi è stato approvato incondizionatamente, il 12% approvato con condizioni e il 7% è stato abortito dalle parti per ragioni non note.

Per quanto attiene invece ai profili di cooperazione europea in materia, la Commissione comunica di aver ricevuto 265 notifiche da parte degli Stati membri ai sensi dell’Art. 6 del Regolamento nel periodo compreso tra l’11 ottobre 2020 – data di entrata in vigore del Regolamento – e il 30 giugno 2021. Il 14% di questi ha sollecitato la richiesta di informazioni ulteriori da parte della Commissione relative, inter alia, a dati su prodotti o servizi della società target, clienti, concorrenti e quote di mercato, portafoglio di proprietà intellettuale e attività di ricerca e sviluppo della stessa target. Solo nel 3% dei casi notificati la Commissione ha inoltre espresso un’opinione, suggerendo misure di mitigazione del rischio derivante dall’operazione.

In conclusione, nel Report la Commissione valuta il Regolamento e il meccanismo di cooperazione da esso introdotto come strumenti di sicura efficienza e validità, prefigurando la possibilità di implementare la normativa esistente con l’adozione di linee guida a beneficio degli investitori nonché delle autorità nazionali di controllo.

Alessandro Canosa

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