Skip to main content

Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza UE / Private enforcement e legittimazione passiva – La Corte di Giustizia dell’UE estende ancora l’uso della nozione di “impresa” ai fini delle azioni di risarcimento dei danni antitrust

Con la sentenza del 6 ottobre 2021 la Corte di Giustizia dell’UE (CGUE) si è pronunciata su un rinvio pregiudiziale riguardante la possibilità di ritenere responsabile, ai fini del risarcimento dei danni derivanti da una violazione dell’articolo 101, par. 1, TFUE, una società controllata di una società destinataria di una decisione di accertamento dell’infrazione.

La questione trae spunto dalla decisione del 2016 con la quale la Commissione europea (Commissione) aveva accertato un’intesa illecita realizzata da parte di alcuni produttori di autocarri europei, tra cui la società Daimler AG (Daimler), società a capo del gruppo omonimo. Successivamente, un acquirente spagnolo di alcuni degli autocarri interessati dall’intesa aveva agito in giudizio per il risarcimento del danno. Tuttavia, anziché agire nei confronti della società diretta destinataria della decisione della Commissione (ossia Daimler, società tedesca) aveva citato in giudizio una società controllata ossia Mercedes Benz Trucks Espana. Il giudice spagnolo investito della causa ha dunque richiesto alla CGUE se, in sostanza, l’articolo 101 TFUE debba interpretarsi nel senso che la vittima di una pratica anticoncorrenziale possa agire per il risarcimento dei danni indifferentemente nei confronti di una società che è stata sanzionata con una decisione della Commissione ovvero nei confronti di una sua controllata società che non era destinataria di detta decisione, qualora essa esse costituiscono insieme un'unità economica.

La risposta fornita dalla CGUE nella sentenza in commento è affermativa.

Per giungere ad una tale conclusione, la CGUE prende le mosse dalla nozione di “impresa”. La CGUE ricorda che tale nozione è quella rilevante sia ai fini del public enforcement, sia del private enforcement che – insieme – costituiscono il sistema di applicazione delle norme sulla concorrenza. Dal carattere unitario di tale sistema deriva, inevitabilmente, la necessaria corrispondenza della nozione di “impresa” in entrambi i campi. Ebbene, in passato la giurisprudenza comunitaria ha chiarito che la nozione di “impresa” comprende qualsiasi “ente che eserciti un’attività economica, a prescindere dal suo status giuridico e dalle sue modalità di finanziamento, e si riferisce pertanto a un’unità economica, anche qualora, sotto il profilo giuridico, tale unità economica sia costituita da più persone, fisiche o giuridiche”. In particolare, “[t]ale unità economica consiste in un’organizzazione unitaria di elementi personali, materiali e immateriali che persegue stabilmente un determinato fine di natura economica ...”.

Qualora detta entità economica violi l’articolo 101, par. 1, TFUE, essa è tenuta a rispondere dell’infrazione, secondo il principio di responsabilità personale. Per riconoscere la responsabilità di una qualsiasi entità giuridica all’interno dell’unità economica, secondo la sentenza in commento occorre che sia prodotta la prova che almeno un’entità giuridica facente parte della stessa unità economica ha violato l’articolo 101, par. 1, TFUE, cosicché si possa considerare che l’impresa costituita dalla suddetta unità economica abbia commesso l’infrazione (accertata in una decisione della Commissione divenuta definitiva, ovvero in modo autonomo dinanzi al giudice nazionale, in assenza di una decisione della Commissione).In altri termini, “[q]uando è accertato che la società madre e la sua società figlia fanno parte della stessa unità economica e formano quindi una sola impresa ai sensi dell’articolo 101 TFUE, è dunque l’esistenza stessa di questa unità economica che ha commesso l’infrazione a determinare in modo decisivo la responsabilità dell’una o dell’altra delle società che costituiscono l’impresa per il comportamento anticoncorrenziale di quest’ultima”. La CGUE si spinge finanche ad affermare che “… a tal fine, la nozione di “impresa” e, attraverso di essa, quella di “unità economica” implicano ipso iure una responsabilità solidale tra le entità che compongono l’unità economica al momento della commissione dell’infrazione”.

Tuttavia, la portata radicale di questa affermazione viene in parte ridimensionata, subito dopo, riconoscendo che la facoltà della vittima di una pratica anticoncorrenziale di agire per il risarcimento danni nei confronti di una società figlia anziché nei confronti della società madre destinataria della decisione della Commissione, non può essere automaticamente esercitata nei confronti di qualsiasi società figlia. Tale facoltà non può essere riconosciuta in modo automatico in quanto, riconosce la CGUE, non sempre vi è coincidenza tra il concetto di unità economica e quello di gruppo societario. In proposito, sarebbe necessario considerare che vi sono gruppi di società che hanno carattere conglomerale e ricomprendono società attive in vari settori economici che non presentano alcun legame tra loro. Infatti - chiarisce la CGUE - la nozione di “impresa” utilizzata nell’articolo 101 TFUE “è una nozione funzionale, che richiede che l’unità economica da cui è costituita sia identificata dal punto di vista dell’oggetto dell’accordo in questione …[pertanto] la medesima società madre può far parte di diverse unità economiche costituite, a seconda dell’attività economica interessata, da essa stessa e da varie combinazioni delle sue società figlie, tutte appartenenti allo stesso gruppo di società. Se così non fosse, una società figlia appartenente a un siffatto gruppo rischierebbe di essere ritenuta responsabile di infrazioni commesse nell’ambito di attività economiche che non presentano alcun legame con la propria attività e nelle quali essa non era affatto coinvolta, neppure indirettamente”. Da questo discende che la vittima di una infrazione (accertata nei confronti della società controllante) può legittimamente cercare di far valere la responsabilità civile di una società controllata (anziché quella della controllante). Tuttavia, la responsabilità della controllata “può sorgere solo se la vittima prova, sulla base di una decisione adottata in precedenza dalla Commissione in applicazione dell’articolo 101 TFUE, o con qualsiasi altro mezzo, in particolare qualora la Commissione abbia taciuto su tale punto in detta decisione o non sia stata ancora chiamata ad adottare una decisione, che, tenuto conto, da un lato, dei vincoli economici, organizzativi e giuridici […] e, dall’altro, dell’esistenza di un legame concreto tra l’attività economica di tale società figlia e l’oggetto dell’infrazione di cui la società madre è ritenuta responsabile, la suddetta società figlia costituiva un’unità economica con la sua società madre”. In concreto, nel caso di specie, il soggetto che ha acquistato gli autocarri e ha agito per il risarcimento del danno dovrebbe dimostrare, in linea di principio, che l’accordo anticoncorrenziale concluso dalla società madre per il quale essa è stata condannata riguarda gli stessi prodotti commercializzati dalla società figlia.

La sentenza in commento, pur non chiara e non del tutto convincente in alcuni parti (quali l’incertezza sulle limitazioni al diritto di agire contro qualsiasi società di una entità economica, o le riflessioni sulla differenza fra l’ambito della nozione di gruppo e quella di unità economica) appare di fondamentale importanza sia sul piano teorico, sia su quello pratico. Invero, in passato la nozione di “impresa” e di “unità economica” erano state utilizzate sostanzialmente al fine di affermare la responsabilità della società controllante per un’infrazione antitrust commessa da una società controllata. Nella sentenza in esame, invece, la CGUE apre ad un ribaltamento di prospettiva per cui una società può essere chiamata a rispondere dei danni causati da un’infrazione antitrust commessa dalla sua controllante sulla base inter alia dell’implicito assunto che la società figlia abbia beneficiato dei proventi dell’infrazione (sebbene, ragionevolmente, non possa esserle attribuita alcuna colpa in termini di ‘omessa vigilanza’). Una simile ricostruzione, volta senz’altro a garantire un più elevato grado di tutela alle vittime delle infrazioni antitrust, ha anche imponenti riflessi pratici; per le vittime di un’infrazione antitrust sarà infatti molto più agevole agire per il risarcimento dei danni, potendo – in linea di principio – scegliere l’entità giuridica di cui far valere la responsabilità civile (ossia la società controllata, la controllata o entrambe).

Roberta Laghi

-----------------------------------------

Diritto della concorrenza Italia / Intese e settore assicurativo – L’AGCM accoglie gli impegni di ANIA e dà il via libera al suo “progetto antifrode” nei rami danni e vita

Con il provvedimento pubblicato nel Bollettino dello scorso 4 ottobre (il Provvedimento), l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha accettato gli impegni offerti dall’Associazione Nazionale fra le Imprese Assicuratrici (ANIA), dando il via libera al c.d. “progetto antifrode” (il Progetto). Tale iniziativa, avviata da ANIA nel 2019 e in corso di attuazione, è finalizzata a supportare le imprese di assicurazione, gli organi giudiziari e le Autorità di vigilanza nello svolgimento delle attività antifrode.

L’avvio del Progetto era stato comunicato all’AGCM in data 12 marzo 2020. Il successivo 3 novembre, l’AGCM ha avviato un procedimento nei confronti di ANIA (già oggetto di commento su questa Newsletter) focalizzandosi sui seguenti strumenti attuativi:

  • una piattaforma per la condivisione di informazioni su fenomeni fraudolenti, finalizzata a consentirne una più agevole individuazione anche tramite elaborazione statistiche (la Piattaforma). La Piattaforma, che conterrà informazioni relative a tutti i rami assicurativi, sarà continuamente aggiornata ed accessibile in tempo reale dalle imprese di assicurazione;
  • una banca dati per i rami assicurativi vita (puro rischio) e danni, ad esclusione del ramo RC auto, utilizzabile dalle imprese di assicurazione sia in fase liquidativa, sia in fase assuntiva (il Portale). L’obiettivo del Portale è di consentire all’impresa assicuratrice di avere informazioni sul rischio frode relativo a un soggetto/sinistro, individuato da appositi algoritmi.

L’ipotesi avanzata nel Provvedimento di avvio è che il Progetto costituisse una decisione di associazione di imprese restrittiva della concorrenza, in violazione dell’articolo 101 TFUE. In particolare, l’AGCM aveva ravvisato il rischio di assenza di garanzie di terzietà, posto che l’attività di prevenzione e contrasto dei fenomeni fraudolenti nel settore assicurativo dovrebbe essere svolta a beneficio dell’intero sistema assicurativo (e non solo delle compagnie assicuratrici). L’AGCM ha, inoltre, rappresentato il rischio che il Progetto potesse determinare lo sviluppo di algoritmi comuni per la determinazione di indicatori del rischio di frode omogenei, uniformando così l’attività delle imprese in fasi essenziali dell’attività assicurativa. Infine, l’AGCM ha ravvisato il rischio di un general scambio di informazioni potenzialmente sensibile tra concorrenti.

In risposta alle criticità concorrenziali sollevate dall’AGCM, ANIA ha presentato una proposta di impegni il 18 marzo 2021, successivamente integrata il 28 giugno 2021, al fine di recepire le osservazioni pervenute durante il market test e gli interventi di SNA, IVASSS e del Garante per la protezione dei dati personali. In particolare, tali impegni hanno riguardato:

  • le condizioni di adesioni, con l’impegno di garantire alle medesime condizioni l’accesso alla Piattaforma e al Portale a tutte le imprese assicurative interessate, anche se non aderenti ad ANIA, sia italiane, sia estere;
  • l’uso del Portale esclusivamente in fase liquidativa (fino a quando la normativa non consentirà l’utilizzo di banche dati in fase assuntiva);
  • l’adozione di un regolamento per l’utilizzo del Portale che specificherà le finalità dell’accesso (ovvero la verifica del rischio frode del sinistro), l’elenco dei soggetti abilitati, l’elenco degli obblighi cui sono soggetti gli utenti, i controlli eseguiti da ANIA e le relative sanzioni;
  • l’impegno a comunicare all’AGCM i dati di input reputati necessari per assicurare il funzionamento del Portale;
  • l’utilizzo di algoritmi non self-learning (ovvero in grado di apprendere dall’esito delle indicazioni elaborate) per determinare il c.d. anomaly index (ovvero un indicatore di anomalia basato su analisi statistiche);
  • l’istituzione di un organismo di garanzia, dotato di un budget autonomo, a cui potranno rivolgersi gli assicurati, che svolgerà un’attività di vigilanza sull’operato delle imprese assicurative.

L’AGCM ha ritenuto che tali impegni fossero idonei a porre rimedio alle preoccupazioni concorrenziali espresse nel Provvedimento di avvio, e in particolare al rischio di scambi di informazioni sensibili tra concorrenti.

Il procedimento in oggetto conferma la particolare attenzione dell’AGCM in relazione allo scambio di informazioni sensibili tra concorrenti nel settore assicurativo, già oggetto di diversi precedenti (ad esempio, nei casi RC AutoIAMA Consulting) e attualmente al vaglio dell’AGCM nel caso Comparatori di Prezzo/Scambio di informazioni polizze RCA, relativo allo scambio di informazioni sulle condizioni di vendita diretta delle polizze RCA, intercorso tra le principali società che offrono servizi di comparazione di prezzo e la maggior parte delle principali imprese assicurative attive in Italia.

Luigi Eduardo Bisogno

------------------------------------------

Appalti, concessioni e regolazione / Gare pubbliche e principio di equivalenza – Il Tar Emilia-Romagna chiarisce i limiti e presupposti per l’applicazione del c.d. principio di equivalenza nelle gare pubbliche

In data 4 ottobre 2021, con la sentenza n. 241/2021, il Tar Emilia-Romagna (Tar) ha accolto il ricorso proposto da un’impresa (l’Impresa) avverso il provvedimento con cui una stazione appaltante (nella specie, il Consorzio della Bonifica Parmense – Consorzio) aveva aggiudicato una procedura di gara pubblica.

Quanto ai fatti di causa rilevanti, il Consorzio aveva pubblicato un avviso di indagine di mercato per l’affidamento, mediante procedura negoziata ai sensi dell’art. 63 del D.lgs. 50/2016, dei lavori di “miglioramento e adeguamento del sistema di adduzione e delle reti di distribuzione esistenti”. Tra le altre cose, nell’ambito della lex specialis, il Consorzio richiedeva la fornitura di tubazioni in Polietilene ad Alta Densità (d’ora in poi, PEAD). All’esito della procedura di gara, il Consorzio si determinava nel senso di aggiudicare la gara in favore di un raggruppamento di imprese che, per quanto riguarda la fornitura e sostituzione delle canalette, aveva offerto delle tubazioni in ghisa sferoidale. Il secondo classificato, una volta aggiudicata la procedura di gara, presentava istanza di accesso agli atti e, venuto a conoscenza delle caratteristiche tecniche delle tubazioni offerte dall’operatore aggiudicatario, presentava ricorso dinanzi al Tar.

In particolare, con il primo motivo di ricorso, l’Impresa ricorrente lamentava l’illegittimità dell’impugnata aggiudicazione, sostenendo che l’aggiudicazione della procedura era illegittima poiché l’offerta di tale concorrente era inammissibile in quanto, in violazione della lex specialis, erano state offerte condotte in ghisa piuttosto che in PEAD, ossia prodotti “totalmente difformi quindi rispetto a quanto richiesto dalla Stazione Appaltante ed approvato dagli enti competenti” offrendo “quindi un aliud pro alio”.

Il Tar, nell’accogliere il ricorso, ha accertato che l’aggiudicazione era illegittima perché effettuata in favore di una ditta che aveva offerto un prodotto – da utilizzare nella realizzazione dei lavori – costituito da materiale recante caratteristiche tecniche totalmente difformi da quelle prescritte dal bando.

In dettaglio, il Tar ha chiarito che l’aggiudicazione era illegittima in ragione delle seguenti circostanze: (i) il progetto messo a gara dalla stazione appaltante era di livello “esecutivo” (pertanto, altamente specifico e non lasciava possibilità di modificare la caratteristica materiale richiesta), (ii) il Consorzio aveva operato, negli atti di gara, una precisa e motivata scelta circa lo specifico materiale da utilizzare nella realizzazione dei lavori, (iii) il prodotto offerto, in ragione della sua difformità rispetto a quello previsto dal bando, era oggettivamente idoneo a “stravolgere il progetto”. In sintesi, secondo il Tar, benché i lavori da appaltare fossero astrattamente realizzabili anche tramite un materiale differente (ossia ghisa), nel caso di specie, considerati gli elementi sopra indicati, la fornitura offerta dall’aggiudicatario doveva qualificarsi come un “aliud pro alio”; ciò doveva a sua volta necessariamente condurre all’esclusione dell’offerta, non potendo essere applicato il principio di equivalenza di cui all’art. 68, d. lgs. n. 50 del 2016.

Nell’accogliere il ricorso e disporre l’esclusione dell’operatore economico aggiudicatario, il Tar ha chiarito i presupposti e le condizioni di applicazione del c.d. principio di equivalenza. L’ampia ‘latitudine’ che la giurisprudenza riconosce al canone di equivalenza mira infatti a evitare che, attraverso la previsione di specifiche tecniche eccessivamente dettagliate – in alcuni casi addirittura ‘nominative’, con indicazione ad esempio di un singolo brevetto, marchio o provenienza – risulti irragionevolmente limitato il confronto competitivo fra gli operatori economici, e in particolare vengano precluse offerte aventi oggetto sostanzialmente corrispondente a quello richiesto e tuttavia formalmente privo della specifica prescritta. In tal senso, il presupposto perché possa operare il principio di equivalenza è “che, sul piano qualitativo, si sia in presenza di una specifica in senso propriamente tecnico, e cioè di uno standard – espresso in termini di certificazione, omologazione, attestazione, o in altro modo – capace di individuare e sintetizzare alcune caratteristiche proprie del bene o del servizio, caratteristiche che possono tuttavia essere possedute anche da altro bene o servizio pur formalmente privo della specifica indicata”. In altre parole, la finalità del c.d. principio di equivalenza (contenuto all’art. 68 del d.lgs. n. 50/2016 – Codice dei contratti pubblici) è quella di evitare indebite restrizioni alla concorrenza ed alla partecipazione ai pubblici appalti, che potrebbero verificarsi in caso di indicazione, da parte delle stazioni appaltanti, di specifiche tecniche eccessivamente particolari, dettagliate e dunque restrittive.

Tuttavia, nel caso analizzato dal Tar, considerate le specifiche richieste nella lex specialis di gara, nemmeno il principio c.d. di equivalenza poteva giustificare la legittimità dell’offerta tecnica presentata dal concorrente aggiudicatario. Infatti, come confermato dal Tar, l’offerta di tubazioni in ghisa era diametralmente distante (rectius difforme) rispetto al PAED richiesto. Calando le coordinate interpretative sopra richiamate al caso di specie, il Tar ha accolto il ricorso ed evidenziato che il principio di equivalenza “non può, cioè, essere richiamato nelle ipotesi di difformità del bene rispetto a quello descritto dalla lex specialis, poiché altrimenti si verrebbe a “distorcere l’oggetto del contratto”, così finendo per renderlo sostanzialmente indeterminato e per modificarne surrettiziamente i contenuti in danno della stessa stazione appaltante e dei concorrenti che abbiano puntualmente osservato la disciplina di gara”.

La sentenza in commento appare apprezzabile per la sua chiarezza espositiva e per aver chiarito i limiti e i criteri entro cui può ritenersi legittima la presentazione di un’offerta tecnica che preveda, secondo il principio di equivalenza, caratteristiche particolari e, nei limiti di quanto sopra evidenziato, ‘distanti’, seppur compatibili, rispetto alle prescrizioni contenute nel bando di gara. Al tempo stesso, la pronuncia in commento consente di effettuare una più attenta riflessione sui limiti entro cui le stazioni appaltanti possano, nell’ambito del proprio potere discrezionale, restringere le ‘maglie’ della procedura di gara ed escludere di fatto ogni prodotto difforme da quello specificamente individuato.

Tommaso Filippo Massari

---------------------------------------