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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza UE / Aiuti di Stato e accesso agli atti – Il Tribunale ha respinto il ricorso di AlzChem volto a ottenere informazioni sul recupero degli aiuti di Stato illegali concessi alla concorrente Fortischem

Con la sentenza del 29 settembre scorso, il Tribunale dell’Unione europea (il Tribunale UE) ha respinto il ricorso presentato da AlzChem Group AG (AlzChem), società tedesca attiva nel settore chimico, per l’annullamento della decisione con cui la Commissione europea (la Commissione) le aveva negato l’accesso ad alcuni documenti relativi allo stato di avanzamento del procedimento di recupero e all’importo dell’aiuto di Stato da parte della Slovacchia nei confronti della concorrente Novácke Chemické Závody, a.s. (NCHZ), nonché di Fortischem, a.s., suo successore economico a seguito del fallimento di NCHZ.

Nel 2014, la Commissione aveva accertato che NCHZ, nell’ambito della procedura fallimentare a cui era sottoposta, avesse beneficiato di un aiuto di Stato illegale ed incompatibile con il mercato interno da parte della Slovacchia e che pertanto tale aiuto dovesse essere restituito. AlzChem era già intervenuta nel corso del procedimento dinanzi alla Commissione e aveva presentato una domanda di accesso, ai sensi del Regolamento UE n. 1049/2001 (il Regolamento), in relazione ad alcuni documenti tra cui, in particolare, alcuni fogli di calcolo Excel, documenti Word e banche di dati interne contenenti informazioni relative allo stato di avanzamento del procedimento di recupero e all’importo dell’aiuto di Stato recuperato dalla Slovacchia a seguito della decisione. La Commissione aveva tuttavia respinto tale domanda, ritenendo che la stessa rientrasse nell’ambito di applicazione delle eccezioni stabilite: (i) dall’art. 4, paragrafo 2, primo e terzo trattino del Regolamento, i quali prevendono la possibilità di negare l’accesso a determinati documenti qualora la loro divulgazione possa danneggiare gli interessi commerciali di una persona fisica o giuridica, oppure gli obiettivi delle attività ispettive, di indagine e di revisione contabile; nonché (ii) dall’art. 4, paragrafo 3, del Regolamento, il quale prevede altresì una presunzione di riservatezza per cui la Commissione può negare l’accesso a documenti qualora la loro divulgazione possa pregiudicare gravemente il processo decisionale dell'istituzione, a meno che vi sia un interesse pubblico prevalente alla divulgazione.

AlzChem ha dunque richiesto al Tribunale UE di annullare la decisione di diniego della Commissione sulla base di due motivi: (i) errore di diritto ed errore manifesto di valutazione nell’applicazione delle disposizioni di cui all’art. 4 del Regolamento; nonché (ii) violazione dell’obbligo di motivazione del diniego di accesso ai documenti richiesti, anche in versione non riservata (ossia previa omissione delle informazioni particolarmente sensibili) o nei locali della Commissione.

Con riferimento al motivo sub (i), il Tribunale UE, inter alia, ha valutato se la Commissione fosse effettivamente incorsa in un errore nell’applicazione della presunzione generale di riservatezza prevista dall’art. 4, paragrafo 2, terzo trattino, del Regolamento. Per fare ciò ha preso in considerazione i criteri necessari per l’applicazione di tale presunzione, i quali, come individuati e definiti da una consolidata giurisprudenza europea, sono rappresentati dall’esistenza di un’indagine e dalla sussistenza di un pregiudizio alla tutela degli obiettivi delle attività di indagine derivante dalla divulgazione dei documenti oggetto della richiesta di accesso. Quanto al primo requisito, il Tribunale UE ha ritenuto che il procedimento di controllo dell’esecuzione della decisione che ordina il recupero di un aiuto di Stato costituisca un’attività di indagine, avallando l’argomento della Commissione secondo cui tale fase di controllo deve essere considerata paragonabile alla fase precontenziosa prevista dal procedimento di cui all’articolo 258 TFUE, la quale è pacificamente considerata rientrante nella definizione di “attività di indagine” ai sensi del Regolamento. Anche con riferimento al secondo requisito il Tribunale ha avallato l’impostazione della Commissione, ritenendo che la presunzione di riservatezza trovi applicazione in quanto il procedimento di controllo sull’esecuzione del recupero di un aiuto è un procedimento bilaterale tra la Commissione e lo Stato erogatore e la divulgazione di informazioni a terzi potrebbe consentire a questi ultimi di prendere posizione sulle informazioni fornite dallo Stato, con la conseguente possibilità di arrecare un pregiudizio alla tutela degli obiettivi e delle attività di indagine.

Ritenendo sussistenti dunque i requisiti per l’eccezione di cui all’art. 4, paragrafo 2, terzo trattino del Regolamento, e non rilevando alcun vizio nell’applicazione concreta effettuata dalla Commissione, il Tribunale UE ha di conseguenza respinto le doglianze sollevate da AlzChem, dal momento che l’eccezione diretta a tutelare le indagini svolte dalle istituzioni dell’Unione, costituisce un fondamento autonomo e sufficiente per giustificare l’adozione della decisione impugnata.

Quanto al motivo sub (ii), Alzchem ha affermato di aver proposto alla Commissione l’accesso ai documenti quantomeno in una versione non riservata o nei locali della Commissione e che quest’ultima avrebbe ritenuto che non fosse possibile un accesso parziale sulla sola base dell’applicazione della presunzione generale di riservatezza alle divulgazioni parziali. Il Tribunale ha tuttavia ritento che la Commissione non avesse commesso alcuna violazione dell’obbligo di motivazione, dal momento che la stessa avrebbe esaminato nel dettaglio la richiesta di AlzChem, motivando la risposta e richiamando la consolidata giurisprudenza europea in materia di accesso parziale (inter alia, la sentenza nel caso C 271/15 P Sea Handling/Commissione). Il Tribunale UE ha dunque concluso che la Commissione avesse posto AlzChem nelle condizioni di comprendere i motivi per i quali la propria domanda era stata respinta, ritenendo che la decisione impugnata fosse sufficientemente motivata.

La sentenza in commento ripercorre in maniera efficace il quadro normativo e giurisprudenza in tema di accesso agli atti nel settore degli aiuti di Stato, delineando in maniera chiara i limiti di accesso anche a imprese concorrenti del beneficiario degli aiuti. Resta da vedere se della controversia sarà investita in seconda istanza la Corte di Giustizia.

Luca Casiraghi

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Diritto della concorrenza Italia / Relazione annuale AGCM – L’AGCM ha pubblicato la relazione annuale in cui ha illustrato i risultati conseguiti nel 2020

Il 29 settembre 2021, Roberto Rustichelli, Presidente dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’AGCM) ha presentato la Relazione Annuale sull’Attività Svolta nel 2020 (la Relazione).

La Relazione introduce l’illustrazione dell’operato dell’AGCM ricordando in primis il rilevante ruolo rivestito da quest’ultima nella protezione degli interessi dei cittadini all’indomani dell’esplosione di una crisi pandemica che ha aperto una nuova fase nella vita delle istituzioni non solo a livello nazionale ma anche a livello europeo.

La Relazione sottolinea che ogniqualvolta era consentito dalle norme, l’AGCM ha voluto privilegiare l’adozione di procedure di moral suasion e soluzioni con i c.d. impegni, il che ha comportato un effetto deflattivo del relativo contenzioso. Allo stesso tempo, è stato sottolineato che in materia di tutela dei consumatori nel periodo gennaio 2020 – luglio 2021 sono state poste in essere specifiche misure risarcitorie o compensative (42% dei 66 provvedimenti di accettazione di impegni adottati) a favore dei consumatori (oltre 480 mila consumatori per un importo superiore ai 34 milioni di euro).

In secondo luogo, la Relazione indica che durante il 2020 l’AGCM ha comminato sanzioni per un totale pari a 627 milioni di euro, di cui 496 milioni in materia di tutela della concorrenza e i rimanenti 131 milioni in relazione a casi di tutela del consumatore. Con riferimento alla tutela della concorrenza sono stati avviati 16 procedimenti, concluse 14 istruttorie e adottati 80 tra pareri e segnalazioni (c.d. provvedimenti di advocacy); mentre per quanto riguarda la tutela dei consumatori sono stati chiusi 82 procedimenti con accertamento dell’infrazione mentre quelli che sono stati chiusi con impegni sono stati 52; allo stesso tempo in oltre 165 casi l’Autorità ha disposto l’archiviazione a seguito di attività di moral suasion.

Soffermandoci sulla tutela della concorrenza, la Relazione evidenzia in particolare che l’AGCM abbia voluto contribuire alla transizione digitale, colpendo le pratiche anticoncorrenziali individuate in tale settore. In particolare:

  • ha accertato nei confronti di Telecom una condotta abusiva volta ad ostacolare lo sviluppo concorrenziale degli investimenti in infrastrutture di rete a banda ultra-larga, irrogando una sanzione di oltre 116 milioni di euro. Sempre in relazione ai principali operatori di telefonia, l’AGCM ha inoltre avviato un’istruttoria (attualmente in fase di market test degli impegni) in relazione ad un progetto di co-investimento che avrebbe, secondo l’AGCM, l’effetto di disincentivare la concorrenza per l’acquisizione di nuovi clienti, nonché una concorrenza dinamica basata sul miglioramento e l’innovazione dei servizi erogati;
  •  ha sanzionato Google per aver favorito la sua app ‘GoogleMaps’ non permettendo l’interoperabilità dell’applicazione ‘JuicePass’ di EnelX Italia con il sistema operativo Android Auto. L’AGCM ha altresì avviato un’istruttoria nei confronti di Amazon per presunto abuso di posizione dominante nell’ambito di fornitura dei venditori a terzi dei servizi di intermediazione e logistica; e
  • ha avviato un’istruttoria contro Apple e Amazon per presunta intesa restrittiva della concorrenza che sarebbe stata, ad avviso dell’AGCM, posta in essere al fine di escludere dal marketplace di Amazon alcuni rivenditori di elettronica che commercializzano i marchi Apple e Beats.

Per quanto riguarda la tutela dei consumatori, la Relazione riporta che l’AGCM ha concentrato la propria attività specialmente nel settore del commercio online, in grande espansione a seguito della pandemia. La necessità di reprimere qualsiasi sfruttamento opportunistico della crisi e svolgere controlli efficaci per la regolare fornitura dei presidi sanitari ha fatto sì che l’AGCM operasse con rapidità e con un ampio utilizzo di poteri cautelari o di moral suasion, portando le principali piattaforme di e-commerce a svolgere un controllo di oltre 60 milioni di offerte di prodotti igienizzanti e mascherine e rimuovendo circa 400 mila offerte.

La Relazione sottolinea inoltre il livello di attenzione riservato dall’AGCM al settore creditizio, a quello turistico ed ai trasporti. Per quanto riguarda il settore creditizio, l’AGCM si è occupata di controllare che le banche e gli intermediari creditizi rispettassero i loro doveri di diligenza, visto lo stato di debolezza in cui consumatori e piccole imprese si trovavano in seguito alla pandemia, aiutando questi ultimi a sostenerli e fornire con la loro attività strumenti utili per superare il momento di crisi mediante semplificazione degli adempimenti burocratici e colmando le carenze informative riscontrate. Nel settore turistico e dei trasporti l’AGCM ha focalizzato la sua attività nell’accertamento di pratiche commerciali scorrette per ostacoli all’esercizio del diritto al rimborso dei consumatori ed ha riconosciuto l’esistenza di clausole vessatorie nelle condizioni generali di acquisto degli abbonamenti e biglietti per partite di calcio (le quali non riconoscevano il diritto al rimborso in caso di evento rinviato o chiusura dello stadio).

Infine, la Relazione ha registrato un trend ascendente per il rating di legalità: più di 1680 aziende hanno conseguito il rating per la prima volta e 2615 lo hanno ottenuto nuovamente, comportando così un innalzamento del totale delle aziende che hanno richiesto il rating da 2304 a 2789 unità.

Complessivamente, dalla Relazione emerge una particolare attenzione da parte dell’AGCM alla tutela del consumatore, sia dal punto di vista della repressione delle pratiche commerciali scorrette sia nell’individuazione delle aree di intervento prioritario in ambito antitrust.

Giulia Nicolosi

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Segnalazioni e copyright – L’AGCM ha bocciato lo schema di decreto del Governo di recepimento della direttiva europea in materia di copyright

Sul bollettino del 27 settembre scorso, l’AGCM ha pubblicato il proprio parere, espresso ai sensi dell’art. 22 della legge 10 ottobre 1990, n. 287 (il Parere), in ordine allo Schema di decreto legislativo di recepimento della direttiva (UE) n. 2019/790 (la Direttiva copyright o Direttiva).

Il Parere si concentra su due temi connessi alla tutela del diritto d’autore nel contesto delle piattaforme online: (i) l’uso delle pubblicazioni giornalistiche da parte dei prestatori di servizi di informazione; e (ii) l’uso di opere artistiche ‘in senso stretto’. Le disposizioni di riferimento all’interno della Direttiva copyright sono rispettivamente gli artt. 15 e 17. I rilievi espressi dall’AGCM sono critici su entrambi i profili. Come messo in evidenza dalla stessa AGCM, la ratio sottostante alla Direttiva sarebbe quella di riequilibrare i rapporti di forza negoziale tra creatori di contenuti e piattaforme (sbilanciati a favore delle piattaforme). L’errore del recepimento italiano sarebbe quello di eccedere i confini della Direttiva e di “…porre ingiustificati vincoli all’autonomia negoziale delle parti e, in definitiva, al funzionamento dei mercati …”. Il tutto in un contesto in cui altri Stati membri (come Francia e Germania) si starebbero muovendo in diversa direzione, ossia di maggiore aderenza letterale agli articoli 15 e 17 della normativa sovranazionale.

Quanto al primo tema (ossia l’uso di pubblicazioni giornalistiche), il Parere enuclea i seguenti nodi problematici:

(i) in primo luogo, sarebbe errato e denoterebbe un approccio asseritamente ‘dirigistico’ far sì che il diritto ex art. 15 della Direttiva degli autori e degli editori a negoziare i termini contrattuali (ed economici) della licenza dei loro contenuti con le piattaforme web si tramuti in un obbligo di negoziazione il cui eventuale inadempimento entro i termini perentori previsti conferisce all’AGCOM il potere di intervenire e fissare autoritativamente un c.d. “equo compenso”;

(ii) in secondo luogo, i parametri per la definizione dell’equo compenso prevedrebbero parametri di commisurazione (come, a titolo esemplificativo, la durata dell’attività e la rilevanza degli editori) che potrebbero paradossalmente produrre effetti anticoncorrenziali e favorire gli editori incumbent a discapito di quelli più piccoli;

(iii) in terzo luogo, la definizione di “estratti molto brevi”, ossia la rappresentazione sintetica di un contenuto giornalistico esente dal beneficio della remunerazione da parte delle piattaforme, sarebbe vaga e generica e potrebbe dare luogo ad interpretazioni non univoche nella prassi.

Quanto al secondo tema (ossia la remunerazione di creatori di contenuti artistici da parte delle piattaforme), l’AGCM critica lo Schema di decreto per non aver adeguatamente valorizzato il ruolo delle imprese di intermediazione (alla luce della c.d. “Direttiva Barnier”). In altre parole, secondo l’AGCM, le imprese di intermediazione dovrebbero essere rafforzate dal legislatore nazionale nel loro ruolo di ‘filtro’ (anche negoziale) tra i creatori di contenuti e le piattaforme. Si aggiunge inoltre che il riferimento alle imprese di intermediazione dovrebbe costituire un elemento ricorrente […] in tutte le altri disposizioni dello Schema del decreto legislativo che si riferiscono alla negoziazione sull’utilizzazione/remunerazione diritti…”.

Sarà interessante osservare se ed in che misura il Governo seguirà le indicazioni dell’AGCM. In effetti, la critica del Parere, pur appuntandosi apparentemente su profili specifici, sembra, ad un più approfondito esame, contestare la stessa filosofia alla base dell’intervento riformatore che propende per un rimedio di matrice pubblicistica allo squilibrio contrattuale tra giornalisti, editori e artisti, da un lato, e piattaforme web dall’altro. L’AGCM indica un’altra strada, ossia quella di strumenti privatistici anche mediante una valorizzazione del ruolo di organizzazioni e associazioni promotrici di interessi di categoria, come le richiamate imprese di intermediazione.

Alessandro Paccione

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Tutela del consumatore / Clausole vessatorie e servizi di cloud storage – L’AGCM riconosce la natura vessatoria di alcune clausole inserite da Google, Dropbox e Apple nei propri contratti per la fornitura di servizi di data cloud

Con tre diversi provvedimenti pubblicati in data 27 settembre 2021 (i Provvedimenti), l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’AGCM) ha riconosciuto la natura vessatoria – in contrasto con l’articolo 33 del decreto legislativo 206 del 2005 (il Codice del Consumo) – di alcune delle clausole inserite da Google Ireland Inc. (Google), Dropbox International Unlimited Company (Dropbox) e Apple Distribution International (Apple) (congiuntamente, le Parti) all’interno dei propri contratti relativi ai servizi di data cloud offerti.

In particolare, l’AGCM – accogliendo i contributi forniti da alcune associazioni di consumatori (quali, ad esempio, Federconsumatori, Altroconsumo e Codacons) e richiamando la ormai consolidata giurisprudenza delle corti europee che vuole il consumatore meritevole di particolare protezione in quanto posto in una posizione di evidente “inferiorità” nella negoziazione di un contratto – ha determinato che la situazione di squilibrio risultante dalle clausole in esame fosse eccessivamente gravosa per il consumatore.

Le clausole adottate dalle Parti, benché analizzate in tre Provvedimenti separati, presentano alcuni aspetti critici comuni : i) una sensibile limitazione delle responsabilità contrattuale in capo al fornitore del servizio, nonché la mancata applicazione di garanzie in caso di perdita di dati; ii) la prevalenza della versione inglese del contratto rispetto a quella italiana in caso di controversie; iii) la previsione dell’interruzione dei servizi; e infine iv) i diritti di modifica unilaterale dei termini contrattuali. In particolare:

i) la prima delle suddette clausole – adottata da tutte le Parti coinvolte – prevedeva una sensibile limitazione (se non addirittura una esclusione) di responsabilità in capo al professionista da applicarsi in caso di mancato corretto svolgimento dei servizi promessi o di cattiva qualità degli stessi. Sul punto, l’AGCM ha sì riconosciuto il fatto che al professionista non possa (e non debba) essere richiesto di rispondere dei danni cagionati da azioni (o omissioni) cagionate da terze parti e che sfuggono al controllo dello stesso. Tuttavia, ha altresì indicato che l’esistenza di diverse tipologie di eventi perturbanti comporta l’esistenza di diversi gradi di responsabilità applicabili al professionista. Alla luce di tale ‘gradazione’, quindi, l’AGCM ha considerato come ingiustificabile l’adozione di una clausola come quella in esame, atta a traslare quasi esclusivamente sul consumatore il rischio di un eventuale evento dannoso. Per quanto riguarda l’esenzione da qualsiasi garanzia in caso di perdita dei dati, si noti che Apple aveva inserito una specifica volta a riconoscere la non applicabilità di determinate clausole d’esclusione delle garanzie in alcune giurisdizioni. Sul punto, l’AGCM ha stabilito che tale previsione fosse inadatta ad informare in maniera completa il consumatore circa i diritti riconosciutigli;

ii) la seconda clausola, invece, ha trovato applicazione limitatamente ai contratti conclusi da Dropbox, che imponeva la prevalenza del contratto in lingua inglese rispetto a quello in lingua italiana anche qualora quest’ultimo contenesse un’interpretazione più favorevole al consumatore stesso. Nonostante Dropbox abbia fatto riferimento alla necessità di garantire un’interpretazione uniforme (a livello globale) dei propri termini contrattuali, l’AGCM ha stabilito che la clausola in esame fosse contraria al dettato dell’articolo 35 del Codice del Consumo, il quale riconosce espressamente che in caso di dubbi interpretativi “prevale in ogni caso l’interpretazione più favorevole al consumatore” (la quale potrebbe essere rappresentata dalla versione italiana);

iii) la terza clausola ha avuto un’applicazione generalizzata nei contratti conclusi dalle Parti, prevedendo la possibilità in capo al professionista di sospendere o interrompere l’erogazione dei propri servizi di cloud unicamente sulla base della propria volontà discrezionale, senza fornire indicazioni circa le tempistiche, le modalità ed il necessario preavviso da fornire all’utente interessato e senza prevedere procedure tramite cui quest’ultimo poteva contestare tale decisione. L’AGCM ha riconosciuto che tale livello di discrezionalità fosse lesivo dei diritti del consumatore; e

iv) con l’ultima delle clausole analizzate, tutte le Parti coinvolte hanno riconosciuto l’esistenza a proprio favore di un diritto unilaterale di modifica dei termini contrattuali concernenti la qualità e le modalità di servizio, precedentemente accettati dal consumatore. In particolare, la clausola in questione non riportava alcuna indicazione circa i giustificati motivi posti alla base di tale modifica, nonché alcun dettaglio circa le tempistiche di preavviso a favore del consumatore, atte a garantire a quest’ultimo l’esercizio del proprio diritto di recesso. Su tale punto, l’AGCM ha sottolineato come la natura lesiva di tale clausola sia aggravata dal meccanismo di rinnovo tacito che caratterizza i contratti di cloud.

Con i Provvedimenti in oggetto l’AGCM ha inteso indicare ancora una volta in maniera chiara e precisa quali sono i diritti fondamentali che devono necessariamente essere riconosciuti ad ogni consumatore in sede contrattuale e che non riconoscono alcuna possibilità di esclusione (nemmeno nel caso in cui il consumatore abbia sottoscritto una clausola in tal senso).

Luca Feltrin

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