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Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza UE / Concentrazioni e telecomunicazioni – Il Tribunale UE riduce del 10% la sanzione record irrogata dalla Commissione ad Altice per un caso di gun jumping

Con la sentenza del 22 settembre 2021, il Tribunale dell’UE (Tribunale) ha parzialmente respinto il ricorso presentato da Altice Europe (Altice) avverso la decisione (commentata in questa Newsletter) con cui la Commissione europea (Commissione) le aveva irrogato una sanzione complessiva di 124,5 milioni di euro per aver realizzato la concentrazione consistente nell’acquisto del controllo esclusivo su PT Portugal SGPS SA (PT Portugal) (a) prima di aver notificato l’operazione alla Commissione ai sensi delle norme sul controllo preventivo delle concentrazioni (in violazione dell’art. 4(1) del Regolamento UE n. 139/2004, il Regolamento); e (b) prima che la Commissione autorizzasse l’operazione ai sensi delle stessa disciplina (in violazione dell’art. 7(1) del Regolamento).

Nel valutare il ricorso, il Tribunale ha in via preliminare rigettato l’eccezione di illegittimità degli artt. 4(1) e 7(1) del Regolamento sollevata da Altice secondo cui tali norme sarebbero “ridondanti” e la loro applicazione in contrasto con il principio di proporzionalità e del ne bis idem. Il Tribunale, infatti, ha evidenziato come esse non siano in contrasto con i richiamati principi, in quanto posseggono obiettivi autonomi e consentono alla Commissione di distinguere (specie sul piano sanzionatorio) (a) situazioni in cui è stato violato il solo obbligo di astenersi dalla realizzazione dell’operazione sino all’autorizzazione della Commissione (c.d. obbligo di standstill), da (b) situazioni in cui è stato violato anche l’obbligo di notificare l’operazione alla Commissione. In aggiunta, le norme non sarebbero “ridondanti”: infatti, l’obbligo di notifica è un obbligo di fare e la sua violazione ha natura di infrazione istantanea, mentre la c.d. standstill è un obbligo di non fare e la sua violazione si traduce in una infrazione continuata.

Nell’analisi delle questioni di merito il Tribunale ha quindi esaminato, in particolare, alcune clausole contenute nel contratto di acquisizione (Contratto) di PT Portugal riguardanti il periodo intercorrente tra la firma del Contratto (signing) e la realizzazione dell’operazione (closing) (Clausole Preparatorie). Confermando le valutazioni della Commissione sul punto, il Tribunale ha ritenuto che le Clausole Preparatorie consentissero ad Altice di esercitare il controllo su PT Portugal, conferendole la possibilità di esercitare un’influenza decisiva sulle attività della stessa prima del closing. In particolare, le Clausole Preparatorie prevedevano:

  • il diritto di Altice di nominare e licenziare il top management di PT Portugal, nonché la possibilità di modificare i loro contratti;
  • l’obbligo per PT Portugal di ottenere il previo consenso scritto di Altice in relazione a qualsiasi modifica della sua politica di prezzo ovvero delle condizioni generali;
  • l’obbligo per PT Portugal di ottenere l’accordo di Altice in relazione ad alcuni contratti, a prescindere dal loro valore economico e dal fatto che rientrassero o meno nell’ordinario esercizio dell’attività d’impresa.

Il Tribunale ha ritenuto che Altice non abbia dimostrato che le Clausole Preparatorie fossero necessarie affinché fosse conservato, nel periodo intercorrente tra il signing e il closing il valore dell’impresa oggetto del Contratto.

Inoltre, il Tribunale, sulla base delle risultanze istruttorie, ha confermato che Altice avesse anche esercitato le prerogative riconosciutele dalle Clausole Preparatorie, effettivamente intervenendo nel funzionamento quotidiano di PT Portugal, anche attraverso uno scambio di informazioni sensibili tra Altice e PT Portugal prima della notifica dell’operazione alla Commissione.

Su queste basi, il Tribunale ha rigettato l’appello di Altice, confermando la violazione degli artt. 7(1) e 4(1) del Regolamento, poiché le Clausole Preparatorie avevano conferito ad Altice la possibilità di esercitare un’influenza decisiva (e dunque il controllo) su PT Portugal prima del closing, nonché in quanto detta influenza era stata effettivamente esercitata già prima della notifica alla Commissione. Ciononostante, valorizzando il fatto che Altice aveva informato in anticipo la Commissione della sua intenzione di concludere il contratto e che all’indomani del signing aveva provveduto a depositare la richiesta di nomina del case team incaricato di analizzare il fascicolo relativo all’operazione, il Tribunale ha riconosciuto ad Altice, al contrario della Commissione, una circostanza attenuante accordandole così riduzione della sanzione nella misura del 10%.

La sentenza in commento conferma la correttezza dell’approccio rigido della Commissione rispetto al divieto di realizzare una concentrazione prima della loro notifica e prima dell’ottenimento della relativa autorizzazione da parte di quest’ultima. Resta da vedere se Altice impugnerà la sentenza del Tribunale di fronte alla Corte di Giustizia dell’UE. Intanto, l’approccio in parola sembra trovare conferma anche nella recentissima comunicazione degli addebiti inviata dalla Commissione ad Illumina, società americana attiva nel settore della diagnostica medica, che ha deciso di completare l’acquisizione di Grail, altra società americana sua concorrente, prima del rilascio dell’autorizzazione da parte della Commissione (e in pendenza del relativo procedimento di valutazione) ritenendo non sussistente la giurisdizione della Commissione. In particolare, nella comunicazione degli addebiti la Commissione ha informato Illumina che l’aver realizzato il closing dell’operazione prima facie violerebbe le norme sull’obbligo di standstill e che la misura proposta dalla società di garantire, comunque, la separazione di Grail potrebbe non essere sufficiente. Ciò ha portato la Commissione a paventare in tale comunicazione degli addebiti l’adozione di misure cautelari volte a preservare un corretto funzionamento del meccanismo concorrenziale.

Roberta Laghi

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Diritto della concorrenza Italia / Abusi e settore del polietilene – L’AGCM avvia un’istruttoria nei confronti del Consorzio Polieco per abuso di posizione dominante

Con il provvedimento pubblicato nel Bollettino del 20 settembre, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha avviato un’istruttoria nei confronti del Consorzio Polieco (Polieco) al fine di accertare l’esistenza di un eventuale abuso di posizione dominante da parte dello stesso che sarebbe consistito in una strategia escludente nei confronti del nuovo entrante, il Consorzio Ecopolietilene (Ecopolietilene), andandone a minare la base-clienti e persuadendo società potenziali aderenti a non far parte del neo-consorzio.

Polieco è un consorzio di diritto privato al quale aderiscono produttori, importatori, distributori ed utilizzatori di beni in polietilene (la più comune fra le plastiche), al fine di gestire il relativo smaltimento. Istituito nel 1997, Polieco ha fino ad ora operato in condizioni di monopolio nel mercato nazionale della gestione dell’avvio a riciclo dei beni in polietilene funzionale al rispetto degli obblighi EPR (Extended Producer Responsability, basato sul principio ‘chi inquina paga’), fino a che Ecopolietilene, consorzio autonomo istituito nel 2017 ma riconosciuto con decreto del 2020, si è affacciato in questo settore con il medesimo obiettivo.

La denuncia di Ecopolietilene che ha dato origine all’interesse dell’AGCM, ha portato alla luce la presunta strategia abusiva esercitata nei suoi confronti da Polieco sin dal 2017, data di costituzione di Ecopolietilene. In particolare:

  • con riguardo ai soggetti già consorziati, Polieco avrebbe cercato di dissuadere l’ingresso delle società in Ecopolietilene ricordando di adempiere al pagamento dei contributi pregressi dovuti dalle stesse a Polieco;
  • con riferimento invece ai nuovi, potenziali consorziati, sarebbero stati posti in essere tentativi di dissuadere tali società ad entrare nel neo-consorzio offrendo loro sconti per poter regolarizzare la loro posizione economica o vantaggi per le società che decidessero di optare per il consorzio incumbent per il nuovo. Spicca tra le evidenze già riferite dall’AGCM uno scambio di e-mail tra una nuova società che, seppur inizialmente interessata a aderire a Ecopolietilene, ha infine deciso partecipare al consorzio gestito da Polieco in quanto con quest’ultimo avrebbero beneficiato di uno sconto per il biennio 2017-2018, rimanendo vincolata fino al 2023.

Secondo l’AGCM, le condotte di Polieco sopra menzionate, realizzate mediante comportamenti ostruzionistici su base discriminatoria ed escludente nei confronti del nuovo consorzio, non solo potrebbero minare la concorrenza, ma potrebbero avere effetti pregiudizievoli anche sull’ambiente in termini di minor possibilità di riciclaggio e peggiore qualità dei servizi offerti ai consumatori.

Non resta che attendere lo sviluppo dell’istruttoria per capire se tali valutazioni preliminari e quindi una violazione dell’art. 102 TFUE saranno o meno confermate anche dalla decisione finale.

Giulia Nicolosi

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Legal News / Rapporti tra diritto UE e diritto nazionale – Il Consiglio di Stato chiama la Corte di Giustizia UE a pronunciarsi sul tema dell’obbligo di rinvio di questioni pregiudiziali da parte di un giudice di ultima istanza

In data 14 settembre 2021, con la sentenza non definitiva n. 6290/2021, il Consiglio di Stato ha rimesso alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) un quesito pregiudiziale sul tema del contenuto e dei limiti dell’obbligo di rinvio pregiudiziale in capo ai giudici di ultima istanza ex art. 267 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE).

Il contenzioso da cui trae origine il rinvio in commento coinvolge una società attiva nel commercio di prodotti petroliferi (società ricorrente), la quale aveva impugnato dinanzi al giudice amministrativo la sospensione - disposta dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli (ADM) - della sua licenza per l’esercizio di “depositario autorizzato di prodotti energetici in regime di sospensione di accisaex art. 23 del Testo Unico delle Accise (T.U.A.). Nei fatti, la società ricorrente aveva perso i requisiti richiesti dal citato art. 23 per il mantenimento della licenza e, per l’effetto, aveva subito la sospensione del titolo da parte dell’ADM. In tale contesto, con la propria azione giudiziaria in primo grado dinanzi al Tar Lazio (Tar) e in appello al Consiglio di Stato, essa ha dedotto, domandandone contestualmente la disapplicazione o in alternativa il rinvio pregiudiziale della connessa questione interpretativa, il contrasto dell’art. 23 con la normativa di cornice sovranazionale di cui alle direttive 2008/18/CE e 2006/123/CE, nonché con i principi di libera concorrenza, libera circolazione dei servizi, proporzionalità e non discriminazione. Con la sentenza di primo grado n. 1924/2021, il Tar, non ravvisando gli estremi né per una disapplicazione della normativa nazionale, né per operare il rinvio pregiudiziale, aveva rigettato il ricorso.

In sede di appello, il Consiglio di Stato ha manifestato di condividere l’orientamento interpretativo del Tar circa la compatibilità della normativa nazionale con i richiamati parametri di diritto UE. Ciononostante, anziché confermare in via immediata gli esiti del primo grado di giudizio, ha rilevato che un’eventuale risoluzione della controversia senza rinvio pregiudiziale avrebbe potuto costituire un inadempimento dell’obbligo di rimessione ex art. 267 TFUE, potenzialmente foriero di responsabilità civile dello Stato italiano nei confronti della società ricorrente ex art. 2, comma 3-bis, della legge n. 117 del 1988.

Tanto premesso, la sentenza in commento ha ricostruito in maniera puntuale la tematica di interesse e ha, in particolare, richiamato l’insegnamento dalla CGUE nella sentenza “Cilfit” del 6 ottobre 1982 (causa C 283/81), dove si è affermato il principio (poi costantemente ribadito) per cui, prima di giungere alla conclusione che non vi sia evidenza di contrasto tra fonti nazionali e UE, “… il giudice nazionale deve maturare il convincimento che la stessa evidenza si imporrebbe anche ai giudici degli altri Stati membri ed alla Corte di Giustizia. Solo in presenza di tali condizioni il giudice nazionale può astenersi dal sottoporre la questione alla corte risolvendola sotto la propria responsabilità” (principi Cilfit).

In tale contesto, la prova circostanziata dell’evidenza di un convincimento unanime tra i giudici di altri Stati UE e della CGUE, laddove intesa nel senso di dimostrare che non vi sarebbe il “minimo dubbio” soggettivo circa la compatibilità della norma interna con il diritto europeo anche in altre giurisdizioni, potrebbe tradursi in una ‘prova diabolica’ per il giudice di ultima istanza e, per l’effetto, obbligarlo in ogni caso al rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE. In altri termini, egli sarebbe costretto a rimettersi al giudizio della CGUE, anche quando non abbia dubbi sulla risoluzione della questione, ma riscontri che la medesima questione non sia già stata (in termini identici) rimessa alla Corte di Giustizia e decisa in via pregiudiziale.

Nello scenario descritto si inseriscono, dunque, i quesiti formulati dal Consiglio di Stato che ha chiesto, in primo luogo, alla CGUE se i principi Cilfit debbano essere interpretati: a) in senso soggettivo, ossia motivando in ordine alla possibile interpretazione attribuibile alla medesima questione dai giudici degli altri Stati membri e dalla CGUE, ove investiti di identica questione; oppure b) oppure in senso oggettivo, senza un’indagine dettagliata sull’interpretazione soggettiva che potrebbero dare altri organi giurisdizionali, ma limitandosi a tenere conto di elementi certi, quali la terminologia e il significato delle singole parole, il contesto normativo europeo e la ratio della disciplina sovranazionale. In secondo luogo, il Consiglio di Stato ha chiesto alla CGUE di chiarire anche se sia possibile interpretare l’art. 267 TFUE nel senso di escludere che un giudice nazionale di ultima istanza, che non operi il rinvio su una questione pregiudiziale, sia per ciò solo sottoposto in via automatica, ossia “a discrezione della sola parte che propone l’azione”, ad un procedimento per responsabilità civile e disciplinare.

Infine, il Consiglio di Stato ha, in via subordinata all’esito delle questioni interpretative di cui sopra, ha formulato anche quesiti circa la compatibilità o meno dell’art. 23 T.U.A. con il sopra richiamato quadro giuridico UE, non potendo “…dimostrare con certezza che l’interpretazione da dare alle pertinenti disposizioni si affermi soggettivamente, con evidenza, anche presso i giudici nazionali degli altri Stati membri e presso la stessa Corte di giustizia”.

Sarà interessante attendere la pronuncia della CGUE sui temi sollevati. La CGUE si troverà, di fatto, davanti ad un bivio interpretativo con rilevanti riflessi pratici: da un lato, accogliere un’interpretazione dei principi Cilfit in senso soggettivo e, dunque, incentivare il ricorso al rinvio pregiudiziale come mezzo di uniformazione del diritto europeo nei vari Stati membri; dall’altro, accogliere un’interpretazione dei medesimi principi in senso oggettivo e, per l’effetto, favorire una maggiore autonomia di valutazione dei giudici nazionali anche, potenzialmente, a costo di una non sempre univoca interpretazione del diritto UE nelle singole controversie.

Alessandro Paccione

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