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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della Concorrenza Italia / Intese e settore bancario – Il TAR Lazio ha accolto i ricorsi proposti da 6 istituti di credito e ha annullato la decisione dell’AGCM che aveva accertato un coordinamento in relazione al servizio SEDA

Con sei sentenze pubblicate lo scorso 30 giugno, il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (il TAR Lazio) ha accolto i ricorsi (i Ricorsi) presentati da Unicredit S.p.A., ICCREA Banca S.p.A., Banca Nazionale del Lavoro S.p.A., Monte dei Paschi di Siena S.p.A., UBI Banca S.p.A. e Intesa Sanpaolo S.p.A. (congiuntamente, le Ricorrenti) avverso la decisione adottata dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’AGCM) in data 28 aprile 2017 (il Provvedimento), al termine del procedimento I794-ABI/SEDA (il Procedimento).

In particolare, tramite il Provvedimento l’AGCM aveva ravvisato l’esistenza di una concertazione delle strategie commerciali per la determinazione del modello di remunerazione del c.d. servizio Sepa Compliant Electronic Database Alignment (SEDA) – il quale rappresenta un accordo ancillare alla costituzione a livello comunitario della c.d. Single Euro Payments Area (SEPA) – posta in essere dall’Associazione Bancaria Italiana (ABI) nonché dalle 11 principali banche nazionali (incluse le Ricorrenti) (le Parti). Tramite detta condotta, secondo l’AGCM le Parti avrebbero frustrato l’obiettivo principale del legislatore comunitario, ossia l’abbassamento dei costi collegati alle operazioni bancarie di pagamento periodiche. Si noti, infine, che il Provvedimento non aveva comminato alcuna sanzione a carico delle Parti, alla luce sia della non gravità dell’infrazione, sia del fatto che nel corso del Procedimento le Parti avevano proposto un nuovo sistema di remunerazione volto a dimezzare il costo complessivo del SEDA che ne sarebbe altrimenti derivato.

In via preliminare, giova ricordare che la SEPA è l’area unica in cui le persone fisiche e quelle giuridiche possono eseguire e ricevere pagamenti in euro provenienti e/o diretti non solo all’interno dei confini nazionali ma anche verso paesi terzi facenti parte della SEPA stessa (ossia, tutti gli Stati membri dell’UE). In particolare, tale sistema ha sostituito il previgente servizio di rapporto interbancario diretto (RID) – il quale prevedeva l’adozione di una commissione interbancaria multilaterale (multilateral interchange fee, MIF) determinata in misura fissa dagli istituti di credito – adottando un sistema che consente ai consumatori di pagare i propri addebiti periodici (come le bollette) direttamente con un prelievo dal proprio conto corrente bancario.

In relazione all’impugnazione del Provvedimento, i principali motivi addotti dalle Ricorrenti sono stati:

i) il fatto che il Provvedimento fosse stato adottato al termine di un Procedimento avviato successivamente al decorso dei termini perentori per l’esercizio dell’azione amministrativa indicati dall’articolo 14 della legge 689/1981 (Art. 14) (ossia, 90 giorni dalla piena conoscenza circa l’infrazione). In particolare, secondo le Ricorrenti l’AGCM era a conoscenza della condotta contestata sin dal 30 ottobre 2012, giorno in cui l’ABI aveva illustrato il funzionamento della seda in un’apposita audizione dinnanzi ai funzionari dell’AGCM. L’ABI stessa – dietro richiesta dell’AGCM – aveva invero ulteriormente spiegato le particolarità del nuovo sistema in altre due occasioni, l’ultima delle quali nel dicembre 2013. Nonostante ciò, l’AGCM aveva avviato il Procedimento solo due anni più tardi, il 21 gennaio 2016; e

ii) l’erronea interpretazione da parte dell’AGCM dei mezzi probatori a disposizione, che ha portato all’accertamento di una condotta concertativa, invece ritenuta inesistente.

Come anticipato, il TAR Lazio ha accolto i suddetti motivi, annullando il Provvedimento. In particolare:

i) dopo aver chiarito in realtà che il termine di cui al succitato Art. 14 non trova applicazione in relazione alla durata della fase istruttoria dei procedimenti antitrust, il TAR Lazio ha sottolineato come tale inapplicabilità non può comunque giustificare il verificarsi di una attività preistruttoria “… che si prolunghi entro un lasso di tempo totalmente libero da qualsiasi vincolo e ingiustificatamente prolungato”. Un siffatto modus operandi, infatti, sarebbe contrario non solo ai principi di cui alla legge sul processo amministrativo ma anche a quelli ex articolo 6 CEDU e 41 della Carta Fondamentale dei diritti UE e relativi alla ragionevole durata del processo. Il TAR Lazio ha sottolineato come, ai fini della valutazione circa la congruità del tempo di accertamento dell’infrazione, rileva – quale termine iniziale – non la notizia del fatto ipoteticamente sanzionabile ma “l'acquisizione della piena conoscenza della condotta illecita”. Alla luce della documentazione prodotta in giudizio, il TAR Lazio ha riconosciuto come l’AGCM fosse a conoscenza di tutte le caratteristiche del servizio SEDA già dal dicembre 2013 e che, pertanto, la sua decisione di aprire il suddetto procedimento due anni più tardi debba essere censurata; e

ii) sotto un profilo sostanziale, il TAR Lazio ha riconosciuto come la circostanza suggerita dall’AGCM che l’intento delle Parti fosse quello di alterare le dinamiche concorrenziali relative alla fissazione del costo del servizio SEDA risulti smentita da una serie di elementi probatori. In particolare, il TAR Lazio ha riconosciuto come non trovi conferma alcuna l’affermazione avanzata nel Provvedimento secondo cui le Parti si sarebbero attivate al fine di sostenere un aumento complessivo dei prezzi di remunerazione del SEDA ovvero di impedirne la diminuzione rispetto al precedente RID. Infatti, il TAR Lazio ha riconosciuto come l’intento delle Parti – tenuto conto della natura opzionale ed aggiuntiva del servizio SEDA, atto ad individuare un meccanismo alternativo al precedente MIF, considerato troppo rigido e poco adattabile al mercato – fosse quello di individuare un meccanismo di remunerazione adeguata del servizio.

Le sentenze in commento sono rilevanti in quanto ribadiscono il principio secondo cui, pur non trovando applicazione nei confronti delle istruttorie antitrust il termine di 90 giorni per la contestazione di una condotta, l’AGCM non può godere di eccessiva discrezionalità sul punto, dovendo questa rifarsi ai principi cardine del giusto processo con riferimento alla durata dello stesso. Resta da vedere se il giudizio proseguirà dinanzi al Consiglio di Stato, offrendo una opportunità per auspicabilmente aumentare il grado di certezza giuridica sul tema.

Luca Feltrin

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Tutela del Consumatore / Pratiche commerciali scorrette e grande distribuzione organizzata – L’AGCM ha concluso 12 procedimenti per prezzi eccessivi senza accertare alcuna violazione

Con le decisioni pubblicate sul bollettino del 28 giugno scorso, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha concluso, senza accertare alcuna violazione, 12 distinti procedimenti (i Procedimenti) avviati nell’ottobre 2020 nei confronti di Regina S.r.l., COAL Soc. Coop. a r.l, Ce.Di. Sigma Campania S.p.A., Coop Centro Italia Soc. Coop. a r.l., Unicoop Tirreno Soc. Coop. a r.l., Margherita Distribuzione S.p.A, Pam Panorama S.p.A., Conad Nord-Ovest Soc. Coop., Vi.Pa.Gu. s.r.l., Sorinat s.r.l., Marill s.r.l., SPAM s.r.l. (le Società), tutte attive nella gestione di punti vendita al dettaglio di beni di consumo e/o nei servizi di acquisto e approvvigionamento centralizzato di beni destinati alla rivendita al dettaglio.

A seguito di numerose segnalazioni pervenute da consumatori residenti su tutto il territorio nazionale, nonché da loro associazioni, l’AGCM, nel pieno della crisi pandemica, aveva avviato i Procedimenti al fine di accertare la legittimità dell’asserito aumento, da parte delle Società, dei prezzi di rivendita o di vendita al dettaglio di svariate categorie di beni di prima necessità. Nello specifico, l’AGCM aveva inizialmente ipotizzato che le Società avessero aumentato (a volte fino a raddoppiare o triplicare) i prezzi praticati per alcol denaturato, guanti usa e getta, saponi per persona, farina, lievito, pane, olio, frutta, verdura, carni bianche, latte per l’infanzia e uova (congiuntamente, i Prodotti), nel periodo compreso tra il 17 febbraio 2020 ed il 19 aprile 2020 (ossia sostanzialmente, durante la fase acuta iniziale della pandemia), rispetto al periodo immediatamente nonché rispetto al corrispondente periodo del 2019. Secondo l’AGCM tali aumenti avrebbero potuto costituire un indebito sfruttamento delle limitazioni alla mobilità imposte dal lockdown e dall’emergenza sanitaria, che hanno modificato le diverse modalità attraverso le quali i consumatori giungevano a decisioni di acquisto, i quali hanno dovuto ricorrere ad acquisti di beni di prima necessità, tra cui quelli necessari a prevenire il contagio, e sono stati costretti a rinunciare a rifornirsi presso i punti vendita più convenienti, privilegiando invece quelli più vicini. Pertanto, ad avviso dell’AGCM, con un approccio di enforcement intenzionalmente aggressivo, tale condotta avrebbe potuto costituire una pratica commerciale scorretta in violazione dell’Art. 25, lett. c) del Codice del Consumo.

Al fine di condurre la propria analisi, l’AGCM ha quindi inviato ad oltre 50 catene distributive una richiesta volta ad acquisire informazioni sull’andamento settimanale dei prezzi medi di vendita al dettaglio, dei prezzi medi di acquisto dai fornitori e dei prezzi medi all’ingrosso dei Prodotti. In particolare, l’AGCM ha richiesto i dati aggregati a livello di categoria riguardanti, per ciascuna delle settimane dal 6 gennaio al 19 aprile del 2020 e del 2019, i ricavi di vendita e le quantità vendute al dettaglio dei Prodotti, nonché il costo di acquisto e i volumi acquistati.

I dati raccolti nel corso dei Procedimenti hanno dimostrato che durante il lockdown le singole società affiliate alle grandi catene distributive che gestiscono i singoli punti vendita abbiano effettivamente riscontrato sensibili aumenti del prezzo medio pagato per approvvigionarsi dei Prodotti dai centri di distribuzione. Analogamente, l’AGCM ha riscontrato aumenti anche consistenti del prezzo medio di vendita al dettaglio dei Prodotti. Tuttavia, le risultanze dalle verifiche compiute dall’AGCM hanno rivelato che tali aumenti sarebbero stati riconducibili ad una serie di fattori scollegati all’asserita volontà delle Società di sfruttare la situazione emergenziale creatasi a causa dell’emergenza sanitaria. Infatti, gli aumenti dei prezzi medi sarebbero stati dovuti, inter alia, a: (i) l’aumento dei costi all’ingrosso dei Prodotti; (ii) la scadenza di promozioni avvenute prima del lockdown; (iii) l’inserimento di referenze (ossia uno specifico formato di vendita di un tipo di prodotto) aggiuntive a quelle disponibili prima del lockdown; (iv) la dinamica dei prezzi delle singole referenze; (iv) la variazione del peso di ciascuna referenza sul totale venduto nell’ambito di ciascuna categoria di Prodotti analizzati.

Pertanto, alla luce delle risultanze istruttorie, l’AGCM ha ritenuto di non aver raccolto elementi sufficienti a ricondurre gli aumenti di prezzo riscontrati a modifiche delle politiche di vendita finalizzate allo sfruttamento della situazione emergenziale. Sono stati quindi conclusi senza l’accertamento di alcuna violazione del Codice del Consumo questi Procedimenti che, al loro avvio, anche a causa delle poche informazioni disponibili al tempo nel comunicato stampa dell’AGCM, avevano creato non poca curiosità (ed invero qualche perplessità) sullo strumento giuridico e sulla policy stessa eventualmente idonei per affrontare problemi di incremento di prezzo non collegati a fenomeni collusivi o di abuso di posizione dominante.

Luca Casiraghi

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Appalti, concessioni e regolazione / Procedure ad evidenza pubblica – Il Tar Lazio sui raggruppamenti temporanei di imprese e sul principio d’immodificabilità soggettiva

In data 1 luglio 2021, con la sentenza n. 7786/2021, il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (TAR Lazio) ha accolto il ricorso proposto da un operatore economico pretermesso costituito in un raggruppamento temporaneo di imprese (Raggruppamento o Ricorrente) contro la Regione Lazio (Resistente o Regione) e nei confronti di un altro raggruppamento temporaneo (Controinteressato) diretto all’annullamento dell’aggiudicazione di una gara di appalto di servizi di gestione di alloggi universitari. Il cuore della vicenda contenziosa origina dunque dal provvedimento con cui la Regione, nel disporre l’aggiudicazione, aveva consentito al Raggruppamento aggiudicatario di sostituire una delle imprese mandanti con altra impresa esterna al Raggruppamento stesso.

Con il ricorso, la Ricorrente tra le altre cose domandava

(a) l’annullamento (i) dell’aggiudicazione in favore del Controinteressato e (ii) il provvedimento con cui la Regione Lazio aveva consentito al Controinteressato di procedere alla sostituzione, nell’ambito del relativo raggruppamento, di una delle imprese mandanti nonché, per l’effetto,

(b) la dichiarazione dell’inefficacia del contratto eventualmente medio tempore stipulato.

Nello specifico la vicenda tra origine dal fatto che nel corso della procedura di gara, una delle imprese mandanti del raggruppamento Controinteressato aveva subito la perdita di alcuni requisiti di partecipazione con riferimento alla (i) regolarità fiscale e contributiva nonché (ii) con riguardo alla situazione aziendale per aver presentato domanda di concordato c.d. in bianco. In ragione di tali circostanze, l’impresa mandante aveva presentato istanza di sostituzione alla Regione Lazio allo scopo di consentire il subentro di una diversa impresa dotata dei requisiti persi, seppur esterna al raggruppamento. A supporto dell’istanza, l’impresa allegava di aver stipulato con l’altra impresa un contratto di affitto di ramo d’azienda. All’esito della propria istruttoria, la Regione accoglieva l’istanza di sostituzione dell’impresa mandante al raggruppamento Controinteressato e consentiva il subentro della nuova impresa.

Il Tar, accogliendo alcune delle censure della Ricorrente, si è espresso sul tema della sostituzione dell’impresa mandante. In particolare, secondo la Ricorrente, la Regione aveva illegittimamente consentito, ex post e nel corso della procedura di evidenza pubblica, la modificazione della composizione soggettiva di uno degli operatori concorrenti autorizzando la sostituzione dell’impresa che aveva perso i requisiti di partecipazione con un’altra e diversa impresa in possesso di tali requisiti pur esterna al Raggruppamento.

Nell’accogliere il ricorso, il Tar Lazio ha chiarito che il Codice consente esclusivamente la sostituzione meramente “interna” al raggruppamento, ammettendo all’impresa mandante o alla mandataria di essere sostituita con altra impresa purché già parte del raggruppamento stesso, ossia con una diversa distribuzione di ruoli e compiti tra mandanti e mandataria, secondo la disciplina tipizzata (con portata eccezionale e di stretta interpretazione) agli artt. 48, commi 17 e 18, e 106, del Codice dei contratti pubblici.

La sentenza in commento appare apprezzabile per la sua chiarezza ponendosi nel solco interpretativo tracciato recentemente dalla pronuncia dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 10/2021. Dopo rilevanti contrasti giurisprudenziali, tale pronuncia dell’Adunanza Plenaria ha tentato di porre un punto fermo ai vari contrasti insorti e così di definire la portata – e gli effetti – del principio dell’immodificabilità soggettiva dei raggruppamenti temporanei di imprese che partecipano a procedure di evidenza pubblica.

Un ulteriore interessante, possibile corollario della sentenza è rappresentato dal fatto che, nel quadro normativo chiarito dalla pronuncia in commento, le imprese che intenderanno partecipare alle gare pubbliche in forma aggregata potrebbero essere incentivate a costituire dei raggruppamenti temporanei c.d. sovrabbondanti, ossia raggruppamenti formati da un numero maggiore di imprese rispetto a quelle strettamente essenziali per partecipare alla gara. In tal modo, infatti, qualora necessario il raggruppamento avrà maggiori probabilità di poter modificare la propria “organizzazione interna” sostituendo (rectius escludendo), per sottrazione, una delle imprese partecipanti. Di converso, tali raggruppamenti potrebbero tuttavia porsi in violazione dell’art. 101 TFUE nell’ipotesi in cui, per come strutturati, ed a seconda delle circostanze del caso concreto, presentino connotazioni tali da potersi ritenere “macroscopicamente anticoncorrenziali” (sul punto, come da comunicato, si rinvia alla segnalazione AGCM AS880 del 28 settembre 2011 sul tema dei possibili effetti anticoncorrenziali derivanti dai raggruppamenti sovrabbondanti).

Tommaso Filippo Massari

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