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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza UE / Commissione e definizione di mercato – Pubblicato uno Staff Working Document che valuta la ‘Comunicazione sulla definizione del mercato rilevante’ del 1997

Lo scorso 12 luglio la Commissione europea (la Commissione) ha pubblicato uno Staff Working Document (il Documento) con cui ha fornito una prima valutazione sulla ‘Comunicazione sulla definizione del mercato rilevante ai fini dell’applicazione del diritto comunitario in materia di concorrenza’ (la Comunicazione) redatta nel 1997, al fine di verificare se la medesima rivesta ancora il ruolo di guida di riferimento nell’interpretazione dell’approccio comunitario alla definizione del mercato rilevante a favore non solo delle singole autorità nazionali di concorrenza (NCAs) ma anche delle imprese attive sul mercato europeo.

Secondo il Documento, la Comunicazione in generale risulterebbe – a 24 anni di distanza dalla sua pubblicazione – uno strumento ancora attuale e necessario, il quale permette, in primis, alle imprese interessate, di godere di un elevato livello di certezza relativamente all’approccio adottato dalla Commissione nella determinazione dei confini e delle caratteristiche di un particolare mercato, nonché, si evidenzia, di risparmiare sensibilmente sui costi di analisi (in quanto i criteri di analisi e definizione sono riportati in maniera chiara e trasparente); in secondo luogo, permetterebbe alle diverse NCAs, di adottare, a loro volta, un approccio coerente e conforme ai principi e alle linee guida europee. Nonostante una valutazione generalmente positiva, il Documento sottolinea tuttavia che la Comunicazione presenta delle aree in cui non appare propriamente aggiornata alle dinamiche economiche e ai cambiamenti che hanno interessato il mercato europeo negli ultimi anni.

Come affermato dal Commissario europeo alla Concorrenza, Margrethe Vestager (il Commissario), nella conferenza stampa di presentazione del Documento, infatti, la Comunicazione “fornisce chiarezza e trasparenza alle parti interessate” su come la Commissione affronta la definizione del mercato; tuttavia “non copre completamente le recenti evoluzioni […] comprese quelle relative alla digitalizzazione dell'economia”. Sul punto, il Commissario ha concluso affermando che è intenzione della Commissione analizzare “se e come la comunicazione dovrebbe essere rivista” per affrontare le sfide del XXI secolo.

Gli aggiornamenti auspicati dal Commissario dovrebbero interessare in particolare le seguenti aree: i) i mercati digitali; ii) l’utilizzo e le finalità del c.d. SSNIP test (ossia il test atto a determinare gli effetti di un “modesto ma significativo incremento di prezzo non temporaneo” sulla individuazione di un determinato mercato); iii) la determinazione della dimensione geografica di un mercato rilevante in condizioni di globalizzazione e concorrenza derivante da importazioni extra-UE; iv) le tecniche quantitative; v) il calcolo delle quote di mercato; e vi) la rilevanza della c.d. ‘non-price competition’ (come, ad esempio, l’innovazione).

Nella propria analisi, Commissione si è concentrata sulle seguenti aree: a) la rilevanza; b) l’effettività; c) l’efficienza; e d) la coerenza della Comunicazione. In particolare:

a) per quanto concerne la rilevanza, la Commissione sottolinea non solo come la Comunicazione continui a rivestire un ruolo di assoluta preminenza ma, anzi, come quest’ultima risulti oggi addirittura più importante che nel 1997. La Commissione ha infatti sottolineato come la decentralizzazione nell’applicazione della normativa della concorrenza a favore delle NCAs, nonché il sistema di ‘auto valutazione’ delle imprese (elementi introdotti dal Regolamento 1/2003), hanno permesso alla Comunicazione di acquisire sempre maggior importanza nell’adozione di un approccio unitario. Sul punto, come accennato, il Documento sottolinea tuttavia la necessità di un aggiornamento della Comunicazione per quanto concerne la tematica dei mercati digitali;

b) relativamente al profilo dell’effettività, la Commissione afferma che nonostante la Comunicazione continui a rappresentare una guida corretta, comprensiva e chiara alla definizione del mercato (sintetizzando in maniera efficace i vari input forniti dalla casistica giurisprudenziale, dalle best practices della Commissione e dalle spinte dottrinali), ci sono però aree in cui la stessa non risulta aggiornata. Infatti, la Comunicazione non riporta le evoluzioni che hanno interessato l’approccio delle corti europee e della Commissione, che ha subito modifiche sulla base delle nuove theories of harm adottate nell’analisi degli abusi anticoncorrenziali, delle nuove condizioni di mercato e della sofisticatezza dei nuovi strumenti a disposizione dei soggetti coinvolti. Tra le varie aree che necessitano di un aggiornamento, si annovera l’utilizzo del suindicato SSNIP test; la definizione di mercato per le cc.dd. ‘multi-sided platforms’ (specialmente qualora forniscano servizi senza necessità di un corrispettivo economico) e per gli ecosistemi di dati; nonché la valutazione della concorrenza online e di quella offline;

c) per quanto riguarda l’efficienza, il Documento sottolinea che la Comunicazione fornisce sensibili benefici, in termini di risparmio, alle imprese che si trovano nella necessità di effettuare la definizione di un mercato, in quanto i criteri ivi contenuti forniscono linee guida chiare che non necessitano di un’eccessiva opera di integrazione basata sulla casistica. Sul punto, tuttavia, il Documento rileva altresì che l’efficienza della Comunicazione sarebbe migliore se quest’ultima fosse aggiornata con l’introduzione delle risultanze derivanti dalla casistica più recente; e

d) in ultimo, relativamente alla coerenza, il Documento sottolinea in particolare come vi sia necessità di maggior chiarezza circa le differenze ed il ruolo della definizione del mercato, da un lato, in ambito antitrust o comportamentale (caratterizzato da un’analisi di una situazione preesistente) e, dall’altro, in ambito di controllo delle concentrazioni (ove l’approccio è orientato ad una situazione di mercato futura/prospettica).

Come visto, nonostante la Comunicazione sembri ancora soddisfare le aspettative di guida che lei sono state attribuite ormai 24 anni fa, la stessa Commissione ritiene che vi siano margini di miglioramento che non possono (e non devono) essere ignorati dalla Commissione. È quindi verosimile che vi sarà una nuova fase della consultazione volta a mettere in consultazioni proposte concrete in questo senso.

Luca Feltrin

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Intese e settore ottico – L’Autorità francese per la concorrenza sanziona Luxottica per oltre 125 milioni di euro

Lo scorso 22 luglio, l’Autorità francese per la concorrenza (Autorité de la concurrence, l’Autorità) ha inflitto una sanzione di oltre 125 milioni di euro a Luxottica per aver imposto agli ottici francesi prezzi minimi di vendita al dettaglio e per aver vietato agli stessi le vendite online. Anche i gruppi LVMH e Chanel sono stati multati rispettivamente di 500.000 euro e 130.000 euro (il primo, per gli stessi motivi; il secondo, per il solo divieto di vendita online).

L’istruttoria dell’Autorità ha rivelato che tra il 2005 e il 2014 Luxottica avrebbe trasmesso prezzi in apparenza ‘consigliati’ ai propri distributori, invero incoraggiandoli a mantenere un certo livello di prezzo minimo al dettaglio per i suoi prodotti (che includono, in particolare, occhiali di vari marchi come Chanel, Ray Ban, Oakley, Prada, Burberry, Bulgari, Dolce & Gabbana, Armani, Michael Kors, Miu Miu, Ralph Lauren), anche attraverso la conclusione di contratti di distribuzione selettiva contenenti il divieto di sconti e promozioni.

Inoltre, Luxottica avrebbe imposto ai distributori alcune restrizioni per quanto riguarda la pubblicità sui prezzi. Tali restrizioni sarebbero state oggetto di un attento monitoraggio da parte di Luxottica (insieme ad alcuni distributori “alleati”), la quale avrebbe adottato misure di ritorsione nei confronti degli ottici che non si fossero conformati alle sue indicazioni (come, ad esempio, il ritardo o la sospensione delle consegne, il ritiro delle autorizzazioni necessarie per la distribuzione di alcuni marchi o impedendo gli ordini).

Per quanto riguarda LVMH, le clausole contenute nei contratti di licenza per il marchio TAG Heuer avrebbero previsto un framework che limitavano i prezzi e le promozioni che gli ottici potevano adottare.

L’Autorità, nell’accertare tali infrazioni, ha osservato che tali pratiche sono gravi e costituiscono restrizioni per oggetto della concorrenza (ossia non è necessario dimostrarne gli effetti). Esse infatti avrebbero colpito la concorrenza tra i distributori (c.d. concorrenza intra-brand) in relazione ad una porzione significativa delle loro vendite. Tali pratiche avrebbero, inoltre, fortemente danneggiato i consumatori per i quali gli occhiali da vista, e in certi casi, anche gli occhiali da soli, costituiscono una necessità.

Per quanto concerne le restrizioni alle vendite online, i contratti di licenza stipulati tra Chanel e Luxottica (dal 1999 al 2014), nonché gli accordi tra Luxottica e i suoi distributori autorizzati (dal 2002 al 2013) per i marchi Chanel, Prada, Dolce & Gabbana e Bulgari, vietavano la vendita su internet di occhiali da sole e montature per occhiali da parte degli ottici.

L’Autorità ha osservato che tali pratiche hanno avuto l'effetto di privare gli ottici e i consumatori finali di un canale di vendita caratterizzato da prezzi competitivi. L’Autorità ha peraltro riconosciuto che la legalità di tali restrizioni sarebbe stata incerta fino alla sentenza Pierre Fabre del 13 ottobre 2011 della Corte di giustizia dell'Unione europea e che, pertanto, la loro gravità andasse ridimensionata fino a quel tempo. Inoltre, l'Autorità ha ritenuto che il danno da esse causato all'economia fosse molto limitato, a causa del debole sviluppo delle vendite su internet, soprattutto in relazione alle montature da vista.

Luxottica ha contestato l’accertamento e la sanzione, ha già dichiarato di volere impugnare la decisione dell’Autorità.

Luigi Eduardo Bisogno

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Diritto della concorrenza Italia / Pratiche commerciali scorrette e settore autostradale – L’AGCM avvia un procedimento di inottemperanza contro ASPI per la mancata riduzione di pedaggi autostradali

Nel marzo del 2021 l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) aveva accertato la scorrettezza di alcune pratiche commerciali poste in essere da Autostrade per l’Italia S.p.A. (ASPI o Società), diffidando la Società dalla loro prosecuzione e irrogando una sanzione pari a 5 milioni di euro. Le pratiche commerciali in questione riguardavano: (i) l’assenza di una riduzione del costo del pedaggio in presenza di disagi sulla rete autostradale in concessione ad ASPI (riduzione delle corsie, della velocità consentita, limitazioni di vario genere); e (ii) le carenze informative riguardanti le procedure di rimborso, in particolare per ipotesi di peggioramento del servizio.

Ora, ritenendo prima facie che ASPI non si sia conformata alla diffida anzidetta, l’AGCM ha deliberato il 13 luglio 2021 l’avvio di un procedimento di inottemperanza. ASPI, infatti, per ottemperare alla diffida si è limitata ad avviare una pluralità di iniziative volte a migliorare solo l’aspetto informativo connesso alle condotte sanzionate. In particolare, la Società ha ritenuto che mettere a disposizione dell’utente (attraverso una pluralità di canali) informazioni complete e aggiornate costantemente sulle condizioni dell’infrastruttura autostradale fosse sufficiente affinché l’utente potesse fare la propria scelta di consumo in modo consapevole. In altri termini, secondo ASPI informare in tempo reale il potenziale fruitore del servizio sull’esistenza di disagi sulla rete autostradale avrebbe consentito a quest’ultimo di scegliere consapevolmente se percorrere quel dato tratto autostradale o meno.

Tuttavia, l’AGCM ha ritenuto che tali iniziative non fossero sufficienti a superare i profili di scorrettezza delle condotte, segnalando soprattutto come non risulta che ASPI abbia adottato alcuna misura di tempestiva riduzione del pedaggio. Secondo l’AGCM, infatti, sarebbe ingiustificato il pagamento dell’intero pedaggio a fronte dei disagi in termini di chiusure, restringimenti e limitazioni della velocità imputabili ad ASPI in quanto derivanti dall’inadeguata gestione e manutenzione, protrattasi per anni, della rete autostradale. ASPI si sarebbe difesa affermando di non poter intervenire autonomamente (in assenza di previa intesa con il Ministero concedente) sulla riduzione o il rimborso del pedaggio ma l’AGCM sembra aver ritenuto smentita questa affermazione dalle evidenze del procedimento.

La vicenda in esame potrebbe peraltro dare nuovo slancio al dibattito sul riparto di competenze tra autorità indipendenti, soprattutto con riguardo ad ipotesi come quella in esame in cui le rispettive competenze (qui di AGCM e Autorità di Regolazione dei Trasporti (ART)) sembrano strettamente intrecciate. Per il momento non resta che vedere se la vicenda darà luogo anche ad un coinvolgimento (diretto o indiretto) di ART e se la preliminare valutazione dell’AGCM sarà confermata in esito al procedimento di inottemperanza (che potrebbe condurre all’applicazione di una sanzione massima di 5 milioni di euro).

Roberta Laghi

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Legal news / Garanzie procedimentali e gare – Il Consiglio di Stato interviene sul tema delle garanzie procedimentali nell’ambito della procedura di verifica dell’anomalia dell’offerta

In data 21 luglio 2021, con la sentenza n. 5482/2021, il Consiglio di Stato ha accolto l’appello proposto da un’impresa (l’impresa o appellante) avverso la sentenza adottata dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (TAR Puglia) con cui i giudici di primo grado avevano respinto il ricorso che l’impresa aveva proposto contro una centrale unica di committenza di alcuni Comuni pugliesi e diretto a vedere annullato il provvedimento con cui la stessa era stata esclusa da una procedura di gara.

Quanto ai fatti di causa, dopo che l’impresa aveva presentato nei termini stabiliti la propria domanda di partecipazione alla gara e all’esito del procedimento di selezione della migliore offerta, la sua risultava l’offerta migliore.

Nonostante l’offerta dell’impresa non rientrasse tra le ipotesi di automatica anomalia che il Codice individua tutte le volte in cui un’offerta risulta inferiore a determinate soglie (non superando la c.d. soglia di anomalia, ai sensi dell’art. 97, comma 3, d.lgs. n. 50/2016, Codice), il Responsabile Unico del Procedimento (RUP) avviava, di propria iniziativa, un sub-procedimento per analizzare la congruità dell’offerta presentata dall’impresa. Nel dettaglio, il RUP chiedeva all’impresa (aggiudicataria provvisoria) di esplicitare le voci di cui si componeva la propria offerta, ritenendo non sufficiente il quadro economico presentato in sede di gara e, chiedendo, in particolare, di presentare le spiegazioni relative al dettaglio delle voci prezzo ed agli elementi di valutazione dell’offerta presentati in sede di gara. L’impresa, nei termini indicati dalla stazione appaltante, presentava i propri chiarimenti. Senza disporre alcun confronto procedimentale con l’impresa al fine di chiarire i punti eventualmente controversi, la stazione appaltante si determinava nel senso di escludere l’impresa, ritenendo che l’offerta presentata fosse anomala.

L’impresa impugnava così il provvedimento dinanzi al Tar Puglia che, con la sentenza n. 28/2021, respingeva il ricorso nel merito. In particolare, il Tar Puglia, dopo aver richiamato numerose massime della giurisprudenza in tema di giudizio di anomalia, ha statuito che: “…[i]n definitiva, la verifica di anomalia operata dal seggio di gara si sottrae ai denunciati vizi perché, senza palesare manifesti sintomi di evidente irragionevolezza o illogicità, ha riguardato la totalità dell'offerta presentata dalla ricorrente ed ha valorizzato le voci di prezzo e le lavorazioni più significative per l'appalto da affidare, avuto riguardo alle sue caratteristiche, esprimendo un giudizio finale nel quale è dato conto delle ragioni poste a fondamento del giudizio di incongruità dell'offerta…”.

L’impresa appellava la sentenza in Consiglio di Stato deducendo l’erroneità della sentenza perché, in estrema sintesi, l’offerta era sostenibile e complessivamente affidabile in tutte le sue voci, ed infatti non rientrava nelle ipotesi di valutazione obbligatoria di anomalia, ai sensi dell’art. 97, comma 3, d.lgs. n. 50 del 2016. Per tale motivo, lamentava l’omissione di un ulteriore e necessario momento partecipativo, finalizzato ad ottenere una migliore specificazione delle voci di costo di cui si componeva la sua offerta. In sintesi, il RUP aveva impedito all’impresa di fornire tutti quei chiarimenti che avrebbero condotto l’amministrazione ad una diversa determinazione.

Il Consiglio di Stato ha accolto tale profilo. Proprio in considerazione del fatto che l’offerta dell’impresa non era anomala ai sensi di legge ma era solo “sospetta di anomalia” da parte del RUP, l’amministrazione avrebbe dovuto permettere all’appellante di fornire nell’ambito procedimentale eventuali ulteriori chiarimenti, nella piena consapevolezza di quali fossero i punti principali di criticità a motivo del sospetto della stazione appaltante. Al contrario quest’ultima, contravvenendo ai principi del giusto procedimento, aveva escluso in via diretta l’impresa senza dar corso ad un ulteriore e necessario momento partecipativo, finalizzato ad ottenere una migliore specificazione delle voci di costo di cui si componeva un’offerta che - si sottolinea nuovamente - era congrua ai sensi di legge. Secondo il Consiglio di Stato, la commissione, al contrario, avrebbe dovuto richiedere all’impresa un ulteriore apporto partecipativo, in omaggio ai principi di buon andamento, di imparzialità e di leale collaborazione che devono caratterizzare l’azione dell’amministrazione pubblica.

La sentenza in commento, apprezzabile per la sua chiarezza espositiva, pone un punto fermo rilevante: la necessità di garantire la possibilità (rectius necessità) che il privato possa poter interloquire con l’amministrazione all’interno del procedimento e, prima che quest’ultima assumi le proprie determinazioni finali, poter dunque fornire i chiarimenti necessari ovvero utili alla soluzione del caso esaminato. In questo contesto, si coglie la funzione di garanzia che assume la partecipazione del privato al procedimento, non soltanto rispetto agli interessi vantati da questo ma anche rispetto agli interessi dell’amministrazione. Tale principio potrebbe trovare applicazione anche in altri contesti – quale ad esempio nell’ambito della presentazione di impegni ex art. 14 ter, legge n. 287/1990 - ove l’amministrazione, pur mantenendo un rilevante grado di discrezionalità, deve comunque garantire alla parte un sufficiente livello di partecipazione e interlocuzioni per spiegare le proprie ragioni.

Tommaso Filippo Massari

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