Skip to main content

Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza UE/Aiuti di Stato e settore finanziario – La Corte di Giustizia conferma che il salvataggio di Banca Tercas non costituiva un aiuto di Stato

Con la sentenza pubblicata lo scorso 2 marzo, la Corte di Giustizia (CGUE) ha respinto il ricorso della Commissione europea (Commissione), confermando le conclusioni del Tribunale (Tribunale) secondo cui le misure adottate dal Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi (FITD) a supporto di Banca Tercas S.p.A. (Banca Tercas) nel 2014 non dovevano essere qualificate come aiuti di Stato in quanto non imputabili allo Stato italiano.

Banca Tercas è stata sottoposta ad amministrazione straordinaria nell’aprile 2012. Circa un anno dopo, sono state avviate trattative con la Banca Popolare di Bari SCpA (BPB), la quale si è offerta di sottoscrivere un aumento di capitale a condizione che il FITD, un consorzio di diritto privato tra banche di tipo mutualistico, coprisse interamente il deficit patrimoniale di Banca Tercas. Agendo sulla base dell’art. 29 del proprio statuto, il consiglio del FITD ha quindi deciso, il 30 maggio 2014, d’intervenire a sostegno di Banca Tercas. Tale intervento, autorizzato dalla Banca d’Italia, ha consentito di coprire parzialmente le perdite ed aumentare il capitale a 230 milioni di euro mediante l’emissione di nuove azioni ordinarie riservate a BPB.

Con la decisione del dicembre 2015, la Commissione aveva tuttavia ritenuto che tale intervento costituisse un aiuto di Stato incompatibile con il mercato interno concesso dalla Repubblica italiana a Tercas e ne ha ordinato il recupero.

L’Italia e il FITD, sostenute dalla Banca d’Italia, avevano impugnato con ricorso tale decisione avanti al Tribunale che nel marzo 2019 lo accoglieva, annullando la decisione della Commissione. Il Tribunale aveva ritenuto non soddisfatta la prima delle condizioni richieste affinché un aiuto sia qualificato come “aiuto di Stato” ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE, ossia che sia concesso dallo Stato ovvero mediante risorse statali.

Con la sentenza in esame, la CGUE ha rigettato l’impugnazione della Commissione, chiarendo a quali condizioni le misure adottate da un ente privato siano imputabili alle autorità pubbliche.

In particolare, il giudice di prime cure aveva in primo luogo evidenziato che, anche in una situazione in cui l’aiuto è concesso da un’impresa pubblica, la Commissione deve prendere in considerazione l’insieme degli indizi presenti nel caso di specie e le circostanze risultanti dal contesto in cui il contributo finanziario è stato reso al fine di determinare il livello d’implicazione delle autorità pubbliche nella concessione dell’aiuto. Nel caso di specie, in cui i fondi erano stati erogati da un ente privato, la Commissione era tenuta a esporre “indizi sufficienti” per stabilire che la misura di aiuto in questione era stata adottata sotto l’influenza o il controllo effettivo delle autorità pubbliche.

Contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione, la CGUE ha ritenuto che, in questo modo, il Tribunale non avesse reso più gravoso l’onere della prova relativo all’imputabilità della misura allo Stato per il solo motivo che il FITD era un ente privato. Al contrario, il Tribunale avrebbe solo preso atto delle differenze oggettive tra una situazione in cui l’ente erogatore dell’aiuto è un’impresa pubblica e quella in cui è un ente privato, giungendo alla conclusione che quando l’ente erogatore dell’aiuto ha natura privata, gli indizi atti a dimostrare l’imputabilità della misura allo Stato sono diversi da quelli richiesti nell’ipotesi in cui l’ente erogatore dell’aiuto sia un’impresa pubblica.

Infine, la CGUE ha confermato la correttezza della conclusione del Tribunale laddove aveva accertato un errore di diritto commesso dalla Commissione sulla base di un’analisi globale del contesto di riferimento nel sostenere che l’intervento del FITD era imputabile allo Stato italiano.

La sentenza in commento è di grande interesse in quanto “riabilita” il ruolo dei fondi di garanzia per interventi preventivi atti a scongiurare crisi bancarie. La pronuncia apre inoltre (almeno in teoria) il varco alle richieste di risarcimento danni. Dati i precedenti in materia, la strada per l’ottenimento di congrui risarcimenti resta tuttavia in salita.

Luigi Eduardo Bisogno
--------------------------------------

Aiuti di Stato e settore calcistico – La Corte di Giustizia smentisce il Tribunale UE stabilendo che il Barcellona e il Real Madrid hanno ricevuto aiuti di Stato

Con la sentenza pubblicata lo scorso 4 marzo 2021, la Corte di Giustizia (CGUE), ha smentito la pronuncia del Tribunale (Tribunale), sancendo che il regime speciale previsto dalla legislazione spagnola, al quale avevano aderito il Fùtbol Club Barcellona (FCB) e altri club sportivi (che nei fatti comportava un vantaggio di natura fiscale rispetto ad altri club calcistici), costituisce un aiuto di Stato sotto forma di trattamento fiscale preferenziale, vietati dal Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE).

Il FCB aveva proposto ricorso per annullamento al Tribunale avverso la decisione della Commissione europea (Commissione) secondo cui la normativa spagnola che permetteva ai club calcistici economicamente più virtuosi di non trasformare la propria forma giuridica in Società Sportive per Azioni (SSPA) consentisse a tali club di pagare l’imposta sui redditi con un’aliquota più bassa rispetto a quella prevista per le SSPA. Il Tribunale aveva accolto tale ricorso, annullando la decisione della Commissione per non aver sufficientemente e correttamente adempiuto all’onere di motivazione circa il reale vantaggio di cui i club avrebbero beneficiato, che sarebbe, a parere del Tribunale, compensato da un’aliquota di deduzione meno favorevole rispetto a quella applicabile alle SSPA.

La CGUE ha invece accolto il motivo di appello della Commissione e, in linea con la giurisprudenza France Télécom SA v. Commission, ha inquadrato i fatti in causa nel genus del regime di aiuti di natura fiscale (anziché qualificarla come aiuto individuale, per quanto fosse possibile identificare i beneficiari della normativa in esame).

Ciò premesso, la CGUE ha ritenuto che la Commissione avesse correttamente adempiuto all’onere probatorio gravante su di essa, non essendo tenuta a valutare l’incidenza di possibili fattori neutralizzanti il vantaggio medesimo, salva ovviamente la possibilità, in fase di recupero dell’aiuto, di determinare in quale misura tali fattori abbiano procurato o meno un vantaggio.

Viene così in rilievo un importante principio di diritto, già evidenziato dall’Avvocato Generale, ovvero l’ammissibilità di una valutazione ex ante da parte della Commissione per la valutazione di un regime di aiuti: il solo vantaggio fiscale del beneficiario al momento dell’adozione di tale regime potrebbe costituire violazione dell’art. 107 TFUE obbligando lo Stato a notificare tale regime alla Commissione ex art. 108 TFUE. Sarà interessante attendere l’effettivo impatto di questa sentenza sulle politiche fiscali di altri Stati membri.

Luca Campise
--------------------------------------

Aiuti di Stato e servizio di conto corrente postale – La Corte di Giustizia chiarisce che le commissioni pagate a Poste Italiane S.p.A. dai concessionari di riscossione dell’ICI potrebbero essere un aiuto di Stato

Con la sentenza dello scorso 3 marzo 2021, la Corte di Giustizia (CGUE) ha risposto alle due domande di pronuncia pregiudiziale rivoltele dalla Corte Suprema di Cassazione (il Giudice del Rinvio) nell’ambito di due controversie riguardanti le pretese di pagamento avanzate da Poste Italiane S.p.A. (Poste Italiane) nei confronti, rispettivamente, di Riscossione Sicilia S.p.A. e dell’Agenzia delle Entrate (congiuntamente, i Concessionari di Riscossione) in relazione alle commissioni per la gestione dei conti correnti utilizzati da queste ultime per consentire ai contribuenti il pagamento dell’imposta comunale sugli immobili (ICI) nel periodo compreso tra il 1997 ed il 2011.

La normativa italiana sulla riscossione dell’ICI vigente al tempo dei fatti prevedeva una riserva di attività (ossia, in regime di monopolio legale) a favore di Poste Italiane con riferimento alla gestione del servizio di conto corrente dedicato alla raccolta dell’ICI. Il versamento dell’imposta poteva infatti essere effettuato dai contribuenti solamente “mediante versamento diretto al concessionario della riscossione […] ovvero su apposito conto corrente postale intestato al predetto concessionario”. La normativa attribuiva inoltre a Poste Italiane il potere di determinare unilateralmente l’importo della commissione dovuta dai Concessionari di Riscossione ed applicata a ciascuna operazione di gestione effettuata sul loro conto corrente postale.

Sospendendo i due procedimenti e rivolgendo le domande di pronuncia pregiudiziale, il Giudice del Rinvio ha chiesto alla CGUE di chiarire: (i) se la normativa sopra descritta (la Misura) fosse compatibile con le regole europee in materia di aiuti di stato, oppure implicasse l’erogazione di un aiuto in favore di Poste Italiane notificabile alla Commissione europea ai sensi dell’art. 108 TFUE e (ii) se la Misura fosse in contrasto con l’art. 102 TFUE in quanto l’obbligo sussistente in capo ai concessionari di pagare la commissione unilateralmente determinata da Poste Italiane avrebbe potuto determinare un abuso di posizione dominante da parte di quest’ultima.

Per rispondere al quesito sub (i) la CGUE ha applicato al caso concreto le quattro condizioni previste dall’art. 107 TFUE, che devono essere cumulativamente soddisfatte affinché una misura possa essere qualificata come “aiuto di Stato”, ossia: (a) che sussista un intervento diretto dello Stato oppure un utilizzo indiretto di risorse statali; (b) che tale intervento possa incidere sugli scambi tra gli Stati membri; (c) che esso conceda un vantaggio selettivo al suo beneficiario; e (d) che falsi o minacci di falsare la concorrenza.

Con riferimento al requisito sub (a), la CGUE ha osservato che le misure in oggetto erano state istituite attraverso disposizioni di natura legislativa e regolamentare. Di conseguenza, pur rimettendo al Giudice del Rinvio il compito di verificare nel concreto, ha concluso che essa potesse essere considerata imputabile allo Stato. In secondo luogo, la CGUE ha rilevato il soddisfacimento anche del requisito sub (c) relativo al vantaggio selettivo concesso dalla misura in oggetto. Infatti, richiamando anche la giurisprudenza Altmark, la CGUE ha osservato che la Misura non potesse essere qualificata come una compensazione rappresentante la contropartita delle prestazioni effettuate da Poste Italiane per adempiere ad un obbligo di servizio pubblico, in quanto il rapporto intercorrente tra essa ed i Concessionari di Riscossione era di natura prettamente privatistica. Da ultimo, anche con riguardo alle condizioni sub (b) e (d), in base alle quali l’intervento deve essere tale da incidere sugli scambi tra Stati membri e deve falsare o minacciare di falsare la concorrenza, la CGUE ha ritenuto, salvo verifica da parte del Giudice del Rinvio, che queste fossero soddisfatte nel caso concreto. Infatti, la CGUE ha osservato che la Misura avesse effetti tali da rafforzare la posizione di Poste Italiane rispetto alle imprese concorrenti nel settore dei servizi bancari e finanziari.

Pertanto, la CGUE ha risposto al quesito sub (i) in senso affermativo, ossia sostenendo che la Misura avrebbe potuto aver introdotto un aiuto di stato ai sensi dell’art. 107 TFUE, qualora il Giudice del Rinvio verificasse e confermasse la sussistenza di tutti e quattro i requisiti sopra descritti.

Con riferimento invece al quesito sub (ii), la CGUE ne ha dichiarato l’irricevibilità, in quanto in Giudice del Rinvio avrebbe mancato di fornire informazioni sufficienti per consentirle di identificare gli elementi costitutivi di una eventuale posizione dominante detenuta da Poste Italiane, con particolare riferimento alle caratteristiche del mercato rilevante, all’estensione geografica dello stesso e all’eventuale esistenza di servizi equivalenti.

Luca Casiraghi ---------------------------------------

Tutela del consumatore/Pratiche commerciali scorrette e settore aereo – La Commissione europea e la rete di autorità nazionali hanno avviato  un’indagine relativa alla cancellazione dei voli a causa della pandemia di Covid-19

Com'è noto, le restrizioni ai viaggi riconducibili alla pandemia in corso hanno comportato la cancellazione da parte delle compagnie aeree di un elevato numero di voli. Sul punto, numerose associazioni dei consumatori (sia nazionali, sia internazionali) hanno lamentato che le pratiche adottate dalle suddette compagnie al riguardo sarebbero lesive dei diritti dei consumatori, e in particolare del Regolamento UE n. 261 del 2004, il quale istituisce regole comuni in materia di compensazione ed assistenza ai passeggeri in caso – inter alia – di cancellazione del volo.

Agendo per la prima volta in conformità a quanto indicato dal Regolamento UE 2394 del 2017 – il quale permette alle associazioni di consumatori riconosciute di formulare segnalazioni sia all’attenzione delle autorità nazionali poste a protezione dei consumatori (le cc.dd. CPC) che alla Commissione europea (la Commissione) circa la sussistenza di presunte infrazioni alla normativa a protezione dei consumatori –associazioni dei consumatori attive in diversi Stati Membri dell’Unione europea hanno formulato precise doglianze circa i comportamenti adottati dalle compagnie aeree richiedendo l’intervento della Commissione e del network europeo delle CPC (il CPC network). In particolare, l’Organizzazione Europea dei Consumatori denominata ‘BUEC’ (BUEC) in un proprio comunicato del 22 luglio 2020 (il Comunicato) ha espressamente richiesto alle autorità preposte di investigare sulle suddette pratiche di cancellazione (attuate, in particolare, da una serie di compagnie nei cui riguardi i consumatori hanno formulato specifiche segnalazioni, come ad esempio; Aegean Airlines, Air France, EasyJet, KLM, Norwegian Air Shuttle, Ryanair, TAP Portugal e Transavia) in quanto potenzialmente lesive dei diritti dei consumatori.

Più specificamente, BUEC ha segnalato che le compagnie aeree: (i) avrebbero costretto i propri clienti ad accettare un voucher sostitutivo del volo cancellato, invece che un rimborso in denaro (tale opzione sarebbe stata imposta anche nei casi in cui i consumatori avrebbero richiesto espressamente una somma quale rimborso); (ii) non avrebbero fornito le necessarie informazioni ai consumatori circa il loro diritto ad un rimborso; e infine (iii) avrebbero fornito informazioni ingannevoli ai passeggeri circa i loro diritti.

La Commissione, pertanto, dopo aver ricevuto siffatte segnalazioni ha optato per avviare – in comunione con il CPC network – un’indagine conoscitiva (l’Indagine) relativamente a tali condotte, in tal modo dando un seguito concreto alle preoccupazioni avanzate dalle summenzionate associazioni dei consumatori. L’obiettivo di tale Indagine, in particolare, è quello di raccogliere ulteriori informazioni direttamente dalle compagnie aeree che operano nell’Unione europea circa le modalità da queste adottate al fine di informare i relativi consumatori sui loro diritti di passeggeri e di come queste gestiscono le richieste di rimborso pervenute. Sul punto, la Commissione ha altresì indicato che per quanto concerne le compagnie che si trovano in una situazione di difficoltà a soddisfare tutte le richieste di rimborso, queste devono fornire le informazioni necessarie a comprendere le modalità adottate al fine di affrontare tali difficoltà.

Come detto, la Commissione, che ricordiamo non ha poteri di enforcement diretto in questo settore, non agirà da sola in questa Indagine ma si avvarrà del contributo delle CPC di sei Stati Membri dell’Unione europea (ossia: Belgio, Germania, Grecia, Italia, Spagna e Svezia).

Data la sensibilità dell’argomento – soprattutto in un momento tanto delicato non solo per i consumatori ma anche per l’industria del volo, che ha visto crollare il proprio fatturato nell’anno passato a causa della pandemia di Covid-19 – sarà interessante attendere i risultati dell’indagine e le conclusioni della Commissione al fine di comprendere quanto peserà nel processo valutativo la natura emergenziale della situazione.

Luca Feltrin
----------------------------------------

Legal News/Abuso di posizione dominante e smartphones – L’Autorità della concorrenza inglese ha avviato un’istruttoria nei confronti di Apple per possibili comportamenti abusivi relativi all'accesso degli sviluppatori di app al proprio App Store

Con un comunicato stampa dello scorso 4 marzo, la Competition and Market Authority britannica (CMA) ha comunicato di aver formalmente avviato un’istruttoria nei confronti di Apple Inc. (Apple o la Società) volta a constatare la natura potenzialmente restrittiva dei termini e condizioni imposti agli sviluppatori di app per l’accesso al proprio portale denominato App Store.

La CMA intende seguire le orme della Commissione europea (la Commissione), la quale ha avviato – in data 16 giugno 2020 – due diversi procedimenti aventi natura analoga nei confronti di Apple (e già oggetto di commento su questa Newsletter) concernenti (i) il sistema di pagamento denominato Apple Pay; e (ii) le regole che governano la distribuzione agli utenti di app attraverso il suo App Store.

In particolare, la CMA sottolinea che Apple non solo riveste un ruolo preminente nella produzione e commercializzazione di smartphone e tablet ma anche che l’App Store rappresenta – per i terzi sviluppatori di app – l’unico mezzo tramite cui distribuire i propri prodotti per i dispositivi gestiti dai sistemi operativi iOS e iPadOS di Apple, nonché l’unico tramite mediante il quale i proprietari di detti dispositivi possono avere accesso a tali app. Sul punto, gli sviluppatori di app lamentano che tutte le app disponibili sull’ Apple Store devono da questa essere approvate. Tale approvazione è condizionata al fatto che gli sviluppatori accettino i termini imposti da Apple, i quali – inter alia – impongono la distribuzione delle app in questione esclusivamente attraverso l’App Store, tramite cui Apple addebita una commissione fino al 30%, ed utilizzando il sistema di pagamento interno ad Apple denominato Apple Pay.

Alla luce di tali doglianze e successivamente ad un’indagine preliminare, la CMA, ha avviato un’istruttoria per valutare se Apple vanti una posizione di dominanza nella distribuzione di applicazioni nel Regno Unito e, in caso affermativo, se Apple imponga effettivamente termini anticoncorrenziali o comunque scorretti a danno degli sviluppatori che utilizzano l'App Store.

Come per il procedimento dinnanzi alla Commissione, anche in questo caso, data anche la complessità tecnica della materia oggetto d’esame, si presume che l’indagine della CMA richiederà molto tempo prima di poter addivenire ad una decisione, in un mercato peraltro esposto a continua innovazione grazie, tra gli altri, proprio ad Apple.

Mila Filomena Crispino
---------------------------------------