Skip to main content

Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della Concorrenza UE / Aiuti di Stato e settore aereo - Il Tribunale dell’Unione Europea respinge i ricorsi di Ryanair avverso gli aiuti di Stato disposti da Svezia e Francia a favore delle compagnie aeree per far fronte ai danni economici derivanti dall’emergenza Covid-19

Con due distinte sentenze pubblicate lo scorso 17 febbraio, il Tribunale dell’Unione europea (Tribunale UE) ha respinto i ricorsi presentati da Ryanair per chiedere l’annullamento delle decisioni della Commissione europea (Commissione) che avevano autorizzato i sistemi di aiuti istituiti dalla Svezia e dalla Francia per far fronte alla perdita di liquidità subita dalle compagnie aeree in conseguenza delle misure restrittive legate alla pandemia da Covid-19. Tali aiuti consistevano nell’accesso a prestiti agevolati nel caso della Svezia e ad una sospensione del pagamento delle tasse aereonautiche dovute dalle compagnie aeree in Francia.

Il primo motivo di ricorso, comune ad entrambi i casi, è analizzato dal Tribunale UE da diversi punti di vista: violazione del principio di non discriminazione sulla base della nazionalità, violazione del principio di proporzionalità, errore manifesto di valutazione e violazione del principio di libera prestazione dei servizi. Nel respingerlo, il Tribunale ha anzitutto chiarito che le misure disposte da Svezia e Francia rispettano il requisito di cui all’art. 107, para. 2, lett. b) TFUE, ai sensi del quale gli aiuti di Stato sono compatibili con il mercato interno se finalizzati a ovviare a danni recati da calamità naturali o altri eventi eccezionali, purché ne siano conseguenza diretta. Posto che la pandemia da Covid-19 costituisce un evento eccezionale, il Tribunale UE non ha condiviso la tesi sostenuta da Ryanair, secondo la quale i danni economici che le misure miravano a riparare non erano diretta conseguenza della pandemia.

Il Tribunale UE ha poi stabilito che le misure adottate fossero adeguate e proporzionate all’obiettivo perseguito, dal momento che l’attribuzione dei benefici alle sole compagnie in possesso di una licenza nazionale sarebbe giustificata dall’esigenza di garantire l’esistenza di un legame stabile fra i beneficiari degli aiuti e gli Stati che li erogano e che, in ogni caso, tale licenza non viene attribuita sulla base della nazionalità. Quanto alla presunta violazione del principio di libera prestazione dei servizi, in entrambi i casi il Tribunale UE ha ritenuto che Ryanair non abbia fornito la prova adeguata dei motivi che l’avrebbero dissuasa dal prestare servizi da e verso Svezia e Francia in ragione delle misure oggetto di impugnazione.

Nel caso della Francia, con il secondo motivo è stato contestato un errore manifesto di valutazione sulla proporzionalità dell’aiuto, basato sulla contestazione delle modalità di calcolo dell’importo dovuto e della mancata valutazione del vantaggio competitivo di cui avrebbero beneficiato le compagnie destinatarie degli aiuti nella fase successiva alla pandemia. A tal riguardo, il Tribunale UE ha evidenziato che l’ammontare dei danni subiti fosse con ogni probabilità superiore agli aiuti ricevuti e che, in ogni caso, gli argomenti della ricorrente non fossero sostenuti da prove adeguate. Quanto ai vantaggi indiretti, la loro stima sarebbe troppo complessa e non dovrebbero dunque essere presi in considerazione.

Nel caso della Svezia, invece, Ryanair ha contestato alla Commissione di aver compiuto un errato bilanciamento fra i benefici e gli effetti negativi derivanti dalle misure disposte. Anche in questo caso il Tribunale UE ha respinto il motivo, ritenendo che l’esame della Commissione dovesse limitarsi a valutare se le misure fossero necessarie, adeguate, anche in considerazione dell’equilibrio complessivo del mercato interno.

Elena Mandarà
---------------------------------------------------------------------------------------------

Concentrazioni e settore dei servizi ambientali – La Commissione europea respinge l’accusa di gun-jumping di Suez nei confronti di Veolia

Con la decisione pubblicata lo scorso 17 febbraio, la Commissione europea (Commissione) ha respinto la segnalazione presentata da Suez S.A. (Suez) volta a constatare che Veolia Environnement S.A. (Veolia), attraverso l’acquisto una partecipazione di minoranza in Suez senza la preventiva autorizzazione della Commissione, avrebbe violato il c.d. obbligo di standstill previsto dall’art. 7, comma 1, del Regolamento UE n. 139/2014 in materia di concentrazioni (EUMR).

Nel tentativo di realizzare una scalata ostile sul suo diretto concorrente, lo scorso 5 ottobre Veolia aveva infatti acquistato da Engie S.A. (Engie) una partecipazione di minoranza non di controllo nel capitale sociale di Suez pari al 29,9%. Veolia aveva inoltre, annunciato la propria intenzione di lanciare un’offerta pubblica d’acquisto (OPA) sul restante 70,1% delle azioni di Suez al fine di ottenere il controllo esclusivo (complessivamente, l’Operazione).

Il 16 ottobre 2020, Suez, ha segnalato alla Commissione che le due fasi dell’Operazione costituivano un'unica concentrazione, volta alla creazione di un “campione mondiale della trasformazione ecologica”. Suez ha quindi chiesto alla Commissione di (i) constatare che acquisendo la partecipazione del 29,9% nel capitale sociale di Suez, Veolia aveva violato il divieto di dare attuazione ad una concentrazione prima della relativa autorizzazione, previsto dall'articolo 7, paragrafo 1, dell’EUMR, (ii) nonché di adottare delle misure cautelari contro l'acquisizione da parte di Veolia del 29,9% delle azioni Suez e di avviare un procedimento contro Veolia al fine di infliggerle un'ammenda.

In primo luogo, la Commissione ha accertato, anche sulla base delle dichiarazioni pubbliche e delle presentazioni interne di Veolia, che le due fasi dell’Operazione costituivano una concentrazione unica, in quanto collegate di fatto da una condizionalità reciproca – Veolia avrebbe realizzato la prima fase dell'Operazione esclusivamente allo scopo di acquisire il controllo di Suez.

La Commissione ha quindi valutato la potenziale applicazione dell’esenzione di cui all’art. 7, comma 2, dell’EUMR, che prevede una deroga all’obbligo di c.d. standstill nel caso di un’offerta pubblica o di una serie di transazioni su valori mobiliari per effetto delle quali si acquisisce il controllo, a condizione che (i) la concentrazione sia notificata senza ritardo alla Commissione; e (ii) l’acquirente non eserciti i diritti di voto inerenti ai valori mobiliari in questione o li eserciti soltanto ai fini di mantenere il pieno valore dei suoi investimenti.

Contrariamente a quanto sostenuto da Suez, la Commissione ha tuttavia ritenuto che l’acquisizione del 29,9% delle azioni e la successiva offerta pubblica d’acquisto potessero essere qualificati come una serie di transazioni sui valori mobiliari rispetto a una pluralità di venditori. In particolare, la Commissione ha dichiarato che sarebbe contraddittorio constatare l'esistenza di un'unica concentrazione e privare la prima fase di tale concentrazione del beneficio della deroga di cui all'articolo 7, paragrafo 2, dell’EUMR.

Infine, la Commissione ha respinto l'argomento di Suez secondo cui Veolia avrebbe ritardato la notifica in contrasto con le condizioni della deroga allo standstill. La Commissione ha infatti fatto riferimento a contatti preliminari avviati nella fase di c.d. pre-notifica, in relazione ai quali è sottoposta ad un obbligo di riservatezza.

La decisione in commento si inserisce all’interno di una lunga battaglia tra i due colossi francesi, ribattezzata dai giornali come “la guerra dell’acqua”. Da un lato, Suez (che è anche secondo azionista, con il 23,3%, di Acea) si oppone strenuamente al potenziale acquisto da parte di Veolia, perché ritiene che l’operazione sia dominata da una logica di breve termine. Dall’altro lato, Veolia è convinta dell’importanza di creare un campione nazionale per contrastare la concorrenza cinese. In tale contesto, si è sollevato un problema procedurale importante, dato che in altre occasioni l’acquisizione di un pacchetto azionario da un soggetto specifico è stato ritenuto in violazione dell’obbligo di standstill anche se non erano esercitati i diritti di voto (si veda ad esempio il caso Marine Harvest. Nel caso citato, tuttavia, era risultato chiaro che la prima fase dell’operazione fosse sufficiente ad attribuire il controllo. Tale circostanza non è stata invece accertata nel caso in esame.

Luigi Eduardo Bisogno
----------------------------------------------------------------------------------------

Tutela del consumatore / Inottemperanza e social network – L’AGCM ha sanzionato Facebook per non aver ottemperato alla diffida a chiarire la portata dell’utilizzo a fini commerciali dei dati dei propri utenti

Con la decisione dello scorso 9 febbraio (la Decisione), l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha sanzionato Facebook Ireland Ltd e Facebook Inc. (congiuntamente, Facebook) per un totale di 7 milioni di euro per non aver ottemperato a quanto disposto nel precedente provvedimento del 29 novembre 2018 (già oggetto di commento su questa Newsletter (il Provvedimento) tramite cui Facebook era stata sanzionata per un totale di 10 milioni di euro per aver posto in essere due distinte pratiche commerciali scorrette aventi ad oggetto la raccolta, lo scambio con terzi e l’utilizzo a fini commerciali dei dati dei propri utenti-consumatori.

In particolare, con il summenzionato Provvedimento, l’AGCM aveva sanzionato Facebook in quanto quest’ultima:

i) avrebbe fornito ai propri utenti un’inadeguata comunicazione relativa all’utilizzo dei dati da questi forniti in occasione della registrazione alla propria piattaforma tramite sito web o app. In particolare, ad avviso dell’AGCM, così agendo Facebook avrebbe omesso di riportare le informazioni necessarie al fine di permettere a questi ultimi di adottare una decisione di natura commerciale (ossia, secondo l’AGCM, quella di registrarsi ad un social network) realmente consapevole. Facebook, infatti, poneva il consumatore dinnanzi ad un claim enfatizzante la natura gratuita dei servizi offerti (i.e.Iscriviti. È gratis e lo sarà sempre”), senza tuttavia comunicare in maniera chiara e dettagliata il fatto che, tramite la sua iscrizione, l’utente attribuiva a Facebook il diritto a raccogliere ed utilizzare i propri dati per attività a finalità commerciali (Condotta A); e

ii) avrebbe acquisito il consenso alla trasmissione dei suddetti dati a siti web o app gestiti da soggetti terzi e viceversa al fine di permetterne l’utilizzo nell’attività di profilazione commerciale, tramite un’informativa incompleta e fuorviante atta a falsare il processo decisionale dei consumatori proprietari di detti dati. In particolare, secondo la prospettazione dell’AGCM, le modalità tramite cui Facebook acquisiva tale consenso sarebbero idonee a falsare il processo decisionale del consumatore, il quale era indotto a credere che l’eventuale revoca del consenso si sarebbe tradotto in limitazioni al servizio sottoscritto (Condotta B).

Facebook ha quindi presentato ricorso avverso il suddetto Provvedimento dinnanzi al Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio (TAR), il quale con la duplice sentenza del 10 gennaio 2020 (già oggetto di commento su questa Newsletter) ha accolto le doglianze relative alla Condotta B, annullando il Provvedimento limitatamente a questa parte, allo stesso tempo confermandolo tuttavia per quanto concerne la Condotta A.

Alla luce di quanto detto, Facebook si è approcciata all’ottemperanza al Provvedimento inter alia tenendo conto del giudizio del TAR. A tal proposito, Facebook ha in primis provveduto a cancellare dalla propria pagina iniziale per l’iscrizione ai propri servizi il claim relativo alla gratuità del servizio, sostituendolo con il seguente “è veloce e semplice”. Per quanto concerne la pubblicazione del Provvedimento rettificato all’interno della propria piattaforma, nonostante Facebook avesse ricevuto il testo modificato (alla luce del risultato del suindicato giudicato del TAR) e in data 18 novembre 2020 l’AGCM avesse comunicato le modalità tramite cui questa avrebbe dovuto rendere disponibile il testo in esame, Facebook non avrebbe reso pubblico il suddetto Provvedimento sulla propria piattaforma.

Per quanto concerne, invece, l’introduzione dell’informativa circa l’utilizzo a fini commerciali dei dati forniti dagli utenti, con la Decisione oggetto del presente commento, l’AGCM ha concluso che Facebook non ha introdotto – all’interno della pagina per l’iscrizione al suo servizio di social network – alcuna indicazione atta a fornire una informativa adeguata ed immediata, a beneficio dei consumatori. Sul punto, in particolare, l’AGCM ha sottolineato come il rinvio da parte di Facebook alle proprie Condizioni d’Uso e alla normativa vigente in tema di protezione dei dati non potrebbe per l’AGCM assurgere a ruolo di “informativa immediata e chiara” mentre l’introduzione del summenzionato claim nella pagina di registrazione non conterebbe sufficienti chiarimenti circa il detto valore economico dei dati in questione. In altre parole, l’AGCM ritiene che il consumatore che intenda registrarsi al social network continuerebbe “… a non essere informato con chiarezza e immediatezza in merito alla raccolta e utilizzo a fini commerciali dei suoi dati da parte della società …” e che, pertanto, Facebook ha mancato di ottemperare a quanto indicato nel Provvedimento al fine di far cessare la suindicata Condotta A.

Con la presente Decisione (soggetta a impugnazione), l’AGCM ha confermato il proprio approccio improntato all’intransigenza nei confronti dell’inottemperanza a quanto da questa definito con i propri provvedimenti sanzionatori.

Luca Feltrin
----------------------------------------------------------------------------------------------

Legal News / Energie rinnovabili e incentivi – Il TAR Lazio annulla il provvedimento del GSE di decadenza degli incentivi già concessi a Segata S.p.A.

In data 4 febbraio 2021, il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (TAR) ha accolto parzialmente il ricorso proposto da Segata S.p.A. (la Società) nei confronti del Ministero dello Sviluppo Economico (MISE) e del Gestore dei Servizi Energetici S.p.A. (GSE), annullando il suo provvedimento di decadenza e contestuale recupero di alcuni incentivi concessi alla ricorrente (il Provvedimento).

La Società è titolare di un’unità di cogenerazione ad alto rendimento per la quale aveva ottenuto una serie di incentivi economici (gli Incentivi), previsti appositamente per tali impianti per gli anni 2015, 2016 e 2017 dal Decreto Ministeriale del MISE 5 settembre 2011 (DM 5 settembre 2011). A seguito, però, di un controllo disposto dal GSE, era emerso che per l’impianto in questione la Società aveva precedentemente ricevuto anche un contributo di circa 70.000 euro finalizzato all’acquisto di macchinari e attrezzature (il Contributo), in violazione del divieto di cumulo degli incentivi (il Divieto); a seguito della revoca del Contributo da parte del MISE, il GSE aveva poi comunque disposto l’annullamento degli Incentivi, nonché il conseguente recupero delle somme erogate.

La Società ha proposto ricorso avverso il Provvedimento, deducendone l’illegittimità sulla base di vari motivi, tra cui (i) l’illegittimità del Divieto per violazione della fonte primaria che lo aveva previsto (con conseguente illegittimità del Provvedimento); (ii) violazione del principio di legittimo affidamento; e (iii) l’insussistenza del potere di disporre la totale decadenza dagli incentivi ai sensi della normativa primaria, cioè il decreto legislativo sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili (articolo 42 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28) (il Decreto Legislativo).

Con riferimento al motivo sub (i) di cui sopra, la Società ha sostenuto l’illegittimità del Divieto, essendo quest’ultimo generalizzato, laddove invece la fonte primaria da cui è derivato avrebbe consentito unicamente divieti di cumulo all’interno della disciplina in tema di cogenerazione. Il motivo in questione è stato ritenuto infondato dal TAR, secondo cui la fonte primaria in questione, nel riconoscere il regime di incentivazione per la cogenerazione, specifica che tale regime di sostegno debba essere disciplinato in modo da “perseguire l’obiettivo dell’armonizzazione ed evitare distorsioni della concorrenza”, demandando al DM 5 settembre 2011 (contenente il Divieto) la disciplina delle incentivazioni e stabilendo la “non cumulabilità delle forme incentivanti”. Il Divieto contestato è, pertanto, coerente con la fonte primaria tanto sulla base di una interpretazione letterale della fonte di legge, quanto perché la limitazione al solo ambito della cogenerazione sarebbe stata in contrasto con l’obiettivo espressamente richiamato dal legislatore di tutelare la concorrenza.

Con riferimento al motivo sub (ii), la Società ha sostenuto che il GSE, laddove evidenziava che l’operatore non aveva fornito documentazione utile a comprovare l’effettiva revoca e restituzione del Contributo, l’avrebbe indotta a fare affidamento sul fatto che, se avesse rinunciato a quest’ultimo, avrebbe poi potuto trattenere gli Incentivi, circostanza invece successivamente non verificata. Anche questo motivo è stato ritenuto infondato dal TAR Lazio, posto che al regime di incentivazione è sotteso quello di auto-responsabilità, per cui è onere dell’interessato fornire tutti gli elementi idonei a dar prova della sussistenza delle condizioni per l’ammissione degli incentivi, dovendosi – in tale ottica – escludere la possibilità di integrare, dopo la domanda di ammissione, l’iniziale documentazione.

Il motivo sub (iii) è invece stato accolto dal TAR. La Società ha sostenuto che il GSE non avrebbe potuto disporre la decadenza tout court dagli incentivi ma avrebbe dovuto esercitare il potere di decurtazione della tariffa tra il 20 e l’80 per cento in ragione dell’entità della violazione, in ossequio al Decreto Legislativo (nella versione applicabile ratione temporis) che prevedeva una tal regola nei casi di impianti per fonti rinnovabili che “al momento dell’accertamento della violazione percepiscono incentivi”. Secondo il TAR, il GSE, ancor prima di addivenire ad una pronuncia di decadenza dagli incentivi, avrebbe dovuto per legge procedere a verificare l’applicabilità di detta “deroga”, avuto riguardo al requisito ivi menzionato (deve trattarsi di un impianto che, al momento dell’accertamento della violazione, percepisca incentivi) e calibrando la “decurtazione” in ragione dell’entità della violazione rilevata: valutazioni che, nel caso di specie, erano state del tutto omesse.

Bisognerà ora attendere il giudizio del Consiglio di Stato, sicuramente interessante vista l’ampia discrezionalità di cui ha sempre goduto il GSE nel revocare – nonostante i molteplici contenziosi amministrativi instaurati avverso tale operato – gli incentivi già concessi, e spesso percepiti per molti anni, per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili.

Mila Filomena Crispino
------------------------------------------------------------------------------------------