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Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza UE/Abuso di posizione dominante e prezzi eccessivi – La Commissione accetta gli impegni di Aspen di ridurre il prezzo di sei farmaci

La Commissione europea (Commissione) ha reso noto di aver accettato, e, per l’effetto reso vincolanti, gli impegni offerti da Aspen Pharmacare Holdings Ltd. congiuntamente alle proprie controllate (Aspen) relativamente al prezzo di sei farmaci antitumorali. Aspen aveva acquistato tali prodotti nel 2012 e – secondo quanto riportato dalla Commissione nel proprio comunicato stampa – ne ha progressivamente aumentato il prezzo, ricavando profitti di gran lunga superiori rispetto a quelli di imprese comparabili, giungendo ad applicare un ricarico di quasi il 300% su tali prodotti.

La Commissione ha pertanto avviato un’istruttoria per valutare se tali prezzi costituissero un abuso della posizione dominante di Aspen. In particolare, la Commissione ha ipotizzato una possibile infrazione dell’Articolo 102 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) che vieta lo sfruttamento abusivo di una posizione dominante sul mercato, anche mediante l’imposizione di prezzi iniqui perché eccessivi. La Commissione ha rilevato l’assenza di alternative equivalenti ai farmaci commercializzati da Aspen e quindi una posizione di monopolio o quasi-monopolio in capo alla stessa in un mercato presumibilmente definito, come da prassi della Commissione, come il mercato dei farmaci con la medesima indicazione terapeutica.

Nell’ambito della propria indagine, la Commissione non ha identificato alcun legittimo motivo che giustificasse il livello elevato dei prezzi, in particolare rilevando che i prodotti in questione non erano coperti da brevetto da oltre 50 anni, ed escludendo pertanto che essi fossero necessari per recuperare gli investimenti di ricerca e sviluppo. Gli aumenti di prezzo erano peraltro stati – secondo le evidenze ottenute dalla Commissione – anche contestati dalle autorità nazionali responsabili per il rimborso, nell’ambito dei vari servizi sanitari nazionali, del prezzo del farmaco; ma Aspen aveva reagito alla richiesta di abbassare i prezzi minacciando financo talvolta il ritiro dei farmaci dal mercato.

Per rispondere alle preoccupazioni della Commissione, Aspen ha quindi presentato una serie di impegni (Impegni), che prevedono in particolare di:

- ridurre i prezzi dei sei farmaci in tutti Europa del 73% circa. Tale misura riporterebbe i prezzi dei farmaci intorno al livello cui si trovavano nel 2012, quando Aspen li ha acquisiti al proprio portafoglio, escludendo dunque gli effetti causato dalla condotta di Aspen sul prezzo dei farmaci;
- non incrementare i prezzi per i prossimi dieci anni;
- garantire la fornitura dei farmaci sul mercato per almeno i prossimi cinque anni, mettendo nei cinque anni successivi a disposizione di altri fornitori la propria autorizzazione all’immissione in commercio.

Per l’effetto di tali Impegni, il procedimento è stato dunque concluso senza l’accertamento di alcuna infrazione, il che può in qualche misura costituire un vantaggio rilevante per l’impresa a fronte dei rischi di azioni di risarcimento del danno. Allo stesso tempo, resta chiara l’efficacia degli Impegni nell’incidere sul prezzo dei farmaci in oggetto – non solo allo stato, ma anche per il futuro. Resta il fatto che impegni che abbiano ad oggetto la riduzione dei prezzi mal si conciliano, quantomeno dal punto di vista della coerenza del sistema, sia con il presupposto teorico che è il mercato che deve determinare in ultima analisi il livello dei prezzi, sia con l’assenza di funzioni regolatorie delle autorità antitrust e, quindi, della loro inidoneità strutturale a stabilire quando un prezzo è equo.

Riccardo Fadiga
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Diritto della concorrenza e mercati digitali – Pubblicato il report degli esperti sulla proposta della Commissione sul nuovo Regolamento dei Mercati Digitali

La Commissione Europea (Commissione) ha di recente pubblicato il report del Joint Research Centre (il Report) sul nuovo Digital Markets Act (DMA), ossia la proposta di regolamento comunitario sui mercati digitali, presentata lo scorso dicembre. Gli economisti incaricati hanno commentato alcune delle principali novità che il regolamento mira ad introdurre nel disciplinare l’attività delle grandi piattaforme digitali tentando di contrastarne i possibili effetti anticoncorrenziali.

Tra i vari punti considerati dal Report, vien sottolineato che il DMA prevede (artt. 5 e 6) l’introduzione di una serie di obblighi in capo alle piattaforme qualificate come gatekeepers (i.e. piattaforme aventi, inter alia, più di 45 milioni di utenti finali e più di 10.000 utenti business attivi su base mensile). Al fine di superare le asimmetrie informative fra queste piattaforme e gli enti regolatori, la proposta di regolamento stravolge l’approccio adottato tradizionalmente nella fase di accertamento di eventuali illeciti antitrust e attribuisce maggiori poteri investigativi alla Commissione. In particolare, sotto il primo profilo viene previsto che determinati obblighi trovino applicazione automaticamente in ragione del fatto in sé che la piattaforma sia qualificabile come gatekeeper, superando la tradizionale procedura “a tre fasi”, seguendo la quale si dovrebbe invece dapprima procedere a definire il mercato rilevante, poi valutare la condotta tenuta e, infine, individuare rimedi idonei. Il panel di esperti autori del Report condivide l’adozione un approccio di regolazione ex ante, reputandolo più efficace nel prevenire possibili abusi e violazioni.

Il Report mette però in luce anche profili potenzialmente problematici della disciplina, suggerendo soluzioni alternative e/o complementari. In primo luogo, viene evidenziato un certo margine di incertezza nella vaga e ambigua formulazione delle norme (artt. 6 e 7) contenenti obblighi suscettibili di essere “ulteriormente specificati” e alle modalità di attuazione. Quale alternativa, viene proposto di distinguere le attività portate avanti dalle piattaforme, creando una black e una grey list. La prima conterrebbe tutte le attività considerate comunque anticompetitive, rispetto alle quali gli obblighi introdotti dal regolamento troverebbero automatica applicazione. Per le attività incluse nella grey list, invece, verrebbe lasciato ai gatekeepers l’onere di provare che queste non abbiano effetti distorsivi della concorrenza.

Attenzione particolare viene posta sulla disciplina riguardante le sponsorizzazioni online e la condivisione dei dati, definiti come l’asset più innovativo e specifico delle piattaforme digitali.

Per le prime, la versione attuale del DMA prevede l’imposizione di obblighi di trasparenza riguardo ai prezzi e agli strumenti utilizzati per la valutazione delle performance. Ci si chiede, tuttavia, se non sarebbe meglio consentire piuttosto l’accesso ai dati grezzi, aprendo alla possibilità di valutare le prestazioni anche mediante strumenti diversi.

Per quanto riguarda, invece, la condivisione dei dati, il DMA distingue a seconda che questa avvenga fra soggetti che operano sulla stessa piattaforma o su piattaforme diverse. Nel primo caso viene sancito il diritto degli utenti business alla portabilità dei dati (sulla falsariga del GDPR), previo consenso degli utenti finali, nonché l’accesso a tutti i dati, aggregati e non. Evidenziando i problemi legati alla portabilità dei dati, in termini di obsolescenza e perdita di valore conseguente alla loro decontestualizzazione, nel Report si propone quale soluzione alternativa quella di riconoscere il diritto di accesso ai dati direttamente dai server delle piattaforme. Nel caso di condivisione fuori dalla piattaforma, il divieto principale riguarda la possibilità di combinare dati provenienti da piattaforme diverse, mentre graverebbe sui search engine providers l’obbligo di garantire ai terzi l’accesso ai dati risultanti dalle ricerche.

Interessante appare anche la proposta di valutare l’introduzione di un controllo sui prezzi per l’accesso ai servizi forniti dagli app stores, come misura alternativa agli obblighi previsti dal DMA. Si osserva, infatti, che le novità proposte, consistenti prevalentemente nell’obbligo di consentire l’installazione di stores di soggetti terzi, la disinstallazione delle app preconfigurate e l’interoperabilità fra i servizi, potrebbero non portare ai risultati sperati, sia in termini concorrenziali, sia d’innovazione.

Per quanto concerne, infine, la disciplina su fusioni e acquisizioni, il Report è critico sul il fatto che il DMA si limiti ad imporre in capo ai gatekeepers l’obbligo di notifica nel caso in cui tali operazioni coinvolgano altre piattaforme o soggetti che forniscono servizi digitali. Nel mettere in luce l’inadeguatezza della disciplina attualmente vigente in materia, gli esperti si dividono fra chi auspicherebbe l’introduzione di un regime rigido e chi, invece, propende per una regolamentazione più soft.

Elena Mandarà
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Intese e revisione del regolamento di esenzione – Pubblicato il documento di lavoro della Commissione in tema di “dual role agents

Lo scorso 5 febbraio 2021 la Commissione europea (Commissione) ha pubblicato un documento di lavoro (il Documento di lavoro) riguardante la possibile applicazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE nel contesto degli accordi tra fornitori, da un lato, e distributori che operano anche come agenti per determinati prodotti dello stesso fornitore (c.d. “dual role agents”), dall’altro. Il Documento di lavoro si inserisce nel contesto della revisione del regolamento (UE) n. 330/2010 (regolamento di esenzione per categoria relativo agli accordi verticali, VBER), destinato a scadere nel 2022, e dei relativi Orientamenti (Orientamenti), i quali attualmente – come noto – prevedono una parziale esclusione dell’applicabilità dell’art. 101 ai rapporti di agenzia, con riguardo in primis alla fissazione del prezzo da parte del c.d. principal (il fornitore), altrimenti vietata nei rapporti di distribuzione (c.d. resale price maintenance).

Le ragioni che hanno portato alla pubblicazione del Documento di Lavoro sono principalmente due: (i) dalle interazioni con gli stakeholders consultati nell’ambito del processo di revisione della VBER, la Commissione ha riscontrato che gli Orientamenti non sono sufficientemente chiari nel disciplinare i casi in cui un’impresa attiva in un mercato a valle possa agire sia come vero e proprio agente, sia come distributore indipendente per diversi prodotti dello stesso fornitore attivo a monte; e (ii) la Commissione ha notato una tendenza all'aumento del ricorso a modelli che combinano agenzia e distribuzione nei mercati dei beni di consumo. Per questo secondo motivo, il Documento di Lavoro limita la propria analisi a tale unica tipologia di mercati; sono inoltre escluse esplicitamente le questioni relative alle situazioni in cui il distributore o agente è una piattaforma online.

Con riferimento ai rischi antitrust derivanti dai rapporti tra fornitore e dual role agent, nel documento di lavoro si sottolinea il pericolo che le condizioni imposte dal fornitore all’agente per svolgere la propria attività influenzino gli incentivi e limitino la libertà decisionale di quest’ultimo nel momento in cui vende prodotti come attività indipendente.

La comunicazione indica che, in relazione all’applicabilità dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, l’esistenza di un vero e proprio contratto di agenzia non è di per sé incompatibile con il fatto che l’agente operi anche come distributore indipendente all'interno dello stesso mercato del prodotto, a condizione che il fornitore rimborsi interamente ogni costo correlato alle attività che richiede contrattualmente di svolgere all’agente. Ciò, generalmente, accade quando l’attività principale del dual role agent è la distribuzione di prodotti in agenzia per conto del fornitore, confinando invece la distribuzione indipendente ad una attività limitata e residuale. In tutte le altre ipotesi di agenti che operano in dual role, il Documento di lavoro indica che l’accordo di agenzia non rientra nel campo di applicazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE solamente se sono rispettate due condizioni, ossia: (i) il contratto di agenzia è stato stipulato dall’agente in piena libertà (vale a dire, in assenza qualsiasi forma di imposizione da parte del fornitore, come potrebbe essere, ad esempio, una minaccia di porre fine o di peggiorare i termini del rapporto di distribuzione); e (ii) la totalità dei rischi specifici legati alla vendita a terzi dei beni oggetto dell’accordo di agenzia sono sostenuti dal fornitore.

Da ultimo, il Documento di lavoro affronta il problema legato al rimborso dei summenzionati costi correlati all’attività dei dual role agents. A tal riguardo, la Commissione premette che non è richiesto alcun metodo di rimborso particolare, ma è semplicemente necessario che tutti i costi pertinenti dell’agente siano coperti interamente, in modo che esso non sostenga alcun rischio finanziario o commerciale. Tuttavia, la Commissione suggerisce anche che, quando i rimborsi vengono fissati in una somma forfettaria o in una percentuale fissa sulle vendite, il fornitore dovrebbe assicurarsi che tale somma o percentuale rifletta adeguatamente qualsiasi variazione dei costi che possa esistere tra agenti operanti in Stati membri diversi o con modelli commerciali differenti. Inoltre, il fornitore dovrebbe anche tener conto del fatto che i propri agenti potrebbero sostenere investimenti pertinenti anche se non effettuano vendite per un certo periodo di tempo. In tali casi, i fornitori dovrebbero considerare e rimborsare tali costi.

In conclusione, la pubblicazione del Documento di lavoro indica che nel prossimo futuro la Commissione presterà particolare attenzione al ruolo dei dual role agents e potrebbe rivedere l’approccio finora adottato, qualora riscontrasse il sorgere di ulteriori problematiche antitrust. In proposito, si rileva che se la Commissione ha cercato di fare chiarezza in relazione agli aspetti verticali del dual role agent, la sua comunicazione sembra aver perso di vista il rischio – peraltro dalla stessa enunciato – di un rischio di coordinamento tra il fornitore attivo nel mercato a valle tramite l’agente, e il medesimo, quale distributore, che si materializzerebbe in tutti i casi di dual distribution laddove il fornitore e il distributore operano in concorrenza nel mercato a valle.

Luca Casiraghi
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Diritto della concorrenza Italia/Abuso di posizione dominante e settore ferroviario – Il Consiglio di Stato ha parzialmente accolto l’appello dell’AGCM in relazione all’illecito in precedenza accertato in capo a Ferrovie dello Stato ai danni di Arenaways

In data 5 febbraio 2021, il Consiglio di Stato (CdS) ha pronunciato la sentenza n. 1101/2021 (la Sentenza) in un giudizio che ha visto coinvolti, da un lato, l’Autorità della Concorrenza e del Mercato (AGCM) in qualità di appellante, e dall’altro Ferrovie dello Stato Italiane S.p.A. (FS) e le sue controllate Rete Ferroviaria Italiana – RFI S.p.A. (RFI) e Trenitalia S.p.A. (Trenitalia, con FS e RFI, le Parti). Con la Sentenza, il CdS ha parzialmente accolto l’appello presentato dall’AGCM (soccombente in primo grado), mettendo il punto finale ad un contenzioso iniziato nel 2012 a seguito della sanzione – pari a 300.000 euro totali – irrogata nei confronti nelle Parti per abuso di posizione dominante nel caso A436.

Per comprendere al meglio la Sentenza, è necessario riassumere brevemente gli elementi essenziali relativi alle condotte anticoncorrenziali contestati dall’AGCM alle Parti. Nel 2012 l’AGCM aveva deliberato che “FS, attraverso le società controllate RFI e Trenitalia…” aveva messo in atto una complessa e unitaria strategia finalizzata a ostacolare e, di fatto, impedire, l’ingresso della società Arenaways sul mercato del trasporto ferroviario passeggeri che era stato da poco liberalizzato (in particolare, con riferimento ad alcune tratte tra Milano e Torino). Secondo la ricostruzione dell’AGCM, ciò sarebbe avvenuto mediante l’avvio strumentale di una procedura di consultazione con le due regioni interessate (Piemonte, Lombardia), con il Ministero per le Infrastrutture e i Trasporti (MIT) nonché con l’Ufficio per la regolazione dei servizi ferroviari (URSF) (ufficio oggi sostituito dall’Autorità per i Trasporti).

In questo contesto, secondo l’AGCM RFI aveva adottato comportamenti dilatori rispetto alla richiesta di assegnazione delle tracce avanzata da Arenaways, che avevano così portato a un ritardo di oltre 18 mesi nel consentire l’accesso a un’infrastruttura essenziale. Trenitalia, a sua volta, aveva fornito alla stessa URSF una rappresentazione dei fatti non corretta per orientare la decisione del regolatore a proprio favore e portare così ad una decisione di diniego della possibilità di effettuare fermate intermedie fra Milano e Torino.

Soccombente in primo grado, l’AGCM si è vista con la sentenza in commento accogliere, per quanto parzialmente, l’appello presentato in CdS. Peraltro, il motivo più interessante di tutta la Sentenza, quello relativo alla responsabilità di FS in qualità di capogruppo, non è stato accolto dal CdS.

Secondo il CdS, l’AGCM aveva constato una violazione dell’articolo 102 TFUE dovuta ad “un’unica e complessa strategia escludente posta in essere da FS, tramite le sue controllate RFI e Trenitalia…”, operando con ciò un’inversione logica della presunzione semplice di responsabilità (basata sul fatto di tale controllo) della capogruppo.

Secondo il CdS, pur ferma la presunzione semplice legata al controllo totalitario della controllante sulle imprese del gruppo, ciò non vuol dire che la prima per forza esercizi in ogni singolo aspetto dell’attività delle controllate un’influenza dominante. Nel caso di specie, infatti, il CdS aderisce all’impostazione secondo cui questa presunzione non implica (né legittima) che l’AGCM possa limitarsi a presumere e non anche verificare, trascendendo la “responsabilità di posizione”, se vi sia stata effettivamente l’influenza nel caso concreto, al di là del mero vincolo di controllo.

Proprio in relazione a questa prova “di fatto”, il CdS rileva inter alia che appare vago il vantaggio economico proprio ed immediato (e non di riflesso) - sottolineato invece dall’AGCM - pari a quello di RFI e Trenitalia, che la FS avrebbe ottenuto dal (e grazie al) l’abuso commesso dalle sue controllate. Né era stato raccolto alcun serio indizio, in capo a FS, sull’esistenza di vantaggi compensativi o del saldo finale positivo per il complesso del gruppo societario per il sol fatto dell’attività abusiva di RFI e Trenitalia. L’AGCM non era in buona sostanza riuscita a dimostrare un coinvolgimento di FS, e pertanto tale parte dell’appello è stata rigettata.

La sentenza risulta di sicuro interesse per la questione relativa alla cd. parental liability; essa presenta – pur lasciando dubbi su vari aspetti – idee e posizioni di grande interesse e sicuramente innovative rispetto alla prassi e giurisprudenza comunitaria, e costituirà inevitabilmente un punto di riferimento per i prossimi casi che si occupino dello stesso tema.

Mila Filomena Crispino
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