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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza UE/Intese e responsabilità della controllante – La Corte di Giustizia conferma la responsabilità di Goldman Sachs nel cartello dei cavi elettrici

Con la sentenza pubblicata lo scorso 27 gennaio, la Corte di Giustizia dell’Unione europea (CGUE) ha respinto l’appello proposto dalla banca d’affari The Goldman Sachs Group Inc. (Goldman Sachs) avverso la sentenza del Tribunale dell’Unione europea (Tribunale) che aveva confermato la decisione con cui la Commissione europea (Commissione) l’aveva sanzionata in solido con Prysmian S.p.A. (Prysmian) per una porzione pari a 37,3 milioni di euro (su una sanzionate totale pari a 104,6 milioni di euro irrogata a Prysmian) per la partecipazione di quest’ultima ad un cartello volto alla ripartizione del mercato dei cavi elettrici sotterranei e sottomarini tra il 1999 e il 2009. Goldman Sachs, infatti, secondo la Commissione aveva esercitato un’influenza determinante su Prysmian, attraverso il fondo GS Capital Partners V (GSCP V), dal 2005 al 2009, ed era pertanto responsabile in solido per una quota parte della sanzione complessiva.

In primo luogo, Goldman Sachs ha rilevato che la sua partecipazione nel fondo GSCP V nel periodo tra il 2005 e il 2009 ammontava ad appena il 33% circa, mentre il resto del capitale era detenuto da investitori terzi indipendenti. Inoltre, la partecipazione di tale fondo al capitale di Prysmian era inizialmente pari al 91% circa, poi all’84% circa, fino a scendere prima al 46% circa, poi al 26% circa a valle della quotazione (IPO) di Prysmian sulla Borsa di Milano nel 2007. Goldman Sachs ha in particolare sottolineato che, date le circostanze di fatto, la presunzione di esercizio effettivo di un’influenza determinante prevista dalla giurisprudenza non era applicabile, in quanto Goldman Sachs non deteneva la totalità o la quasi totalità del capitale di Prysmian.

Tuttavia, la CGUE ha ricordato che, come articolato dalla giurisprudenza rilevante, non è la semplice detenzione della totalità o della quasi totalità del capitale della controllata a fondare di per sé la presunzione di esercizio effettivo di un’influenza determinante, bensì i diritti di voto inerenti le partecipazioni. Pertanto, per il periodo anteriore all’IPO tale presunzione ara applicabile in virtù del fatto che Goldman Sachs controllava, tramite il fondo GSCP V, il 100% dei diritti di voto associati alle azioni in Prysmian.

Secondo la CGUE, Goldman Sachs non è poi riuscita a soddisfare l’onere della prova incombente su di essa al fine di confutare tale presunzione.

Per quanto riguarda il periodo successivo all’IPO (in cui, come supra ricordato, il fondo GSCP V deteneva una partecipazione di minoranza in Prysmian) la CGUE ha ritenuto che il Tribunale abbia correttamente concluso che Goldman Sachs aveva continuato a esercitare un’influenza determinante su Prysmian.

In tale contesto, la CGUE ha ritenuto che “…l’esercizio effettivo di un’influenza determinante della società madre sul comportamento della controllata può essere dedotto da un insieme di elementi concordanti, anche se nessuno di tali elementi, considerato isolatamente, sia sufficiente a dimostrare l’esistenza di una siffatta influenza…”, evidenziando che l’esistenza di un’unità economica costituita dalla società madre e dalla sua controllata può sorgere non solo sulla base di rapporti formali tra le due, ma anche in modo informale. Nel caso in esame, la CGUE ha ritenuto che Goldman Sachs avesse continuato a esercitare un’influenza determinante su Prysmian (e fosse pertanto responsabile in solido dell’illecito anticoncorrenziale de quo) anche in virtù dei legami personali con alcuni amministratori “indipendenti” scaturenti da servizi di consulenza forniti in precedenza.

La sentenza in esame è di particolare interesse perché indica come l’effettivo esercizio di un’influenza determinante su un’impresa direttamente coinvolta in un illecito anticoncorrenziale (che, una volta accertato, rende pressoché impossibile sfuggire alla responsabilità in solido per tale illecito) può verificarsi anche in presenza di una partecipazione di minoranza. Gli operatori di private equity e gli investitori istituzionali sono avvisati.

Luigi Eduardo Bisogno
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Abusi e mercato dei chipset – La Corte di Giustizia respinge l’impugnazione di Qualcomm contro una richiesta di informazioni della Commissione europea

Lo scorso 28 gennaio 2021 a Corte di Giustizia dell’Unione europea (CGUE) ha respinto il ricorso di Qualcomm Inc. e Qualcomm Europe Inc. (congiuntamente, Qualcomm) avverso la sentenza del Tribunale dell’Unione europea (Tribunale) del 9 aprile 2019. Tale sentenza, a sua volta, aveva confermato la legittimità della decisione della Commissione europea (Commissione) del 31 marzo 2017 con la quale venivano richieste a Qualcomm alcune informazioni nell’ambito di un’indagine avente a oggetto un potenziale abuso di posizione dominante da parte di quest’ultima.

Più specificamente, la Commissione aveva contestato a Qualcomm una potenziale violazione dell’articolo 102 TFUE tramite l’applicazione di prezzi predatori nel mercato dei chipset di banda di base UMTS. Dopo avere contestato tale potenziale violazione attraverso la comunicazione degli addebiti, la Commissione aveva inviato un’ulteriore richiesta di informazioni a Qualcomm (la Richiesta controversa), che, secondo Qualcomm, avrebbe raddoppiato la durata dell’infrazione contestata, richiedendo inoltre numerose informazioni relative a sette diversi componenti dei chipset (laddove la comunicazione degli addebiti si era concentrata su tre soli componenti). Non solo: dopo avere ricevuto le informazioni comunicate rispondendo alla Richiesta controversa, la Commissione avrebbe elaborato una contestazione integralmente nuova basata sul criterio “prezzo-costo” non presente nella comunicazione degli addebiti, e ciò in una fase molto avanzata di un procedimento amministrativo.

La CGUE ha rigettato le argomentazioni di Qualcomm ricordando che la comunicazione degli addebiti è un documento di natura procedurale e soprattutto preparatoria, ossia soggetto a modifiche e che non vincola la Commissione. Anche considerando che la Commissione può chiedere soltanto la comunicazione di informazioni rilevanti per verificare le presunte infrazioni, la CGUE ha ricordato che spetta alla Commissione stessa valutare la necessità di tali informazioni e che il sindacato del giudice eurounitario è limitato alla ragionevolezza del contenuto della richiesta di informazioni stessa. Di conseguenza, la CGUE ha respinto il ricorso di Qualcomm.

Con la sentenza in commento, la CGUE ha confermato e consolidato l’ampia discrezionalità di cui la Commissione gode nella selezione delle informazioni da richiedere nel corso di un’istruttoria, in particolare confermando il limitatissimo sindacato opponibile alle decisioni di quest’ultima. È peraltro utile ricordare che tale discrezionalità, sebbene in certa misura necessaria per garantire l’efficacia delle indagini, deve tenere conto e incontrare dei limiti nella misura in cui incide sulla possibilità delle imprese soggette ad indagini di comprendere tempestivamente e correttamente l’ambito delle contestazioni che vengono loro mosse (sicché sembrerebbe ragionevole attendersi, nel caso in esame, la formalizzazione di una nuova comunicazione degli addebiti).

Riccardo Fadiga
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Tutela del consumatore/Pratiche commerciali scorrette e settore energetico – il Consiglio di Stato riduce la sanzione inflitta ad Edison Energia sulla base dell’esiguo numero di segnalazioni giunte all’AGCM

Con la sentenza dello scorso 22 gennaio 2020, il Consiglio di Stato (CdS) ha parzialmente accolto l’appello proposto da Edison Energia S.p.A. (Edison) per la riforma della Sentenza n. 8699 del 2018 del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio (TAR). Tale sentenza, a sua volta, aveva confermato la Decisione n. 71328 del 2011 (la Decisione) dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) che sanzionava Edison per un totale di 360 mila euro per aver posto in essere due distinte pratiche commerciali scorrette, consistenti: (i) nell’attivazione di servizi in assenza di sottoscrizione o manifestazione di volontà contrattuale, ovvero sulla base di firme false; e (ii) nell’aver comunicato informazioni ingannevoli a potenziali consumatori, al fine di ottenere la sottoscrizione dei contratti.

Nello specifico, con il primo dei tre principali motivi di appello, Edison ha eccepito l’erroneità della sentenza che non aveva sancito la nullità della Decisione per difetto di attribuzione, sostenendo che l’AGCM non avrebbe il potere di sanzionare le società operanti in settori di competenza di altre autorità indipendenti specifiche (nel caso in questione, l’Autorità di Regolazione per Energia, Reti e Ambienti). Il CdS ha tuttavia ritenuto infondata tale censura in quanto, nelle more del processo, la CGUE aveva già avuto modo di esprimersi sulla questione (Cause C-54/17 e C-55/17), affermando la regola generale secondo cui, in presenza di una pratica commerciale scorretta, la competenza spetta all’AGCM, laddove le autorità di settore sono competenti solamente in via residuale, nei casi in cui la disciplina di settore regoli “aspetti specifici” delle pratiche oggetto di indagine, in contrasto o in deroga alla generale disciplina consumeristica (si ricorda al riguardo che successivamente ai fatti oggetto di questa causa fu introdotto l’art. 27, comma 1-bis del Codice del Consumo che disciplina il rapporto tra le pratiche scorrette e la regolazione in maniera sostanzialmente analoga).

Con il secondo motivo di appello, Edison ha invece lamentato che le condotte sanzionate dall’AGCM fossero state poste in essere dagli agenti delle società di vendita di cui Edison si avvaleva; di conseguenza, ad avviso della società, essa non poteva essere ritenuta responsabile per tali condotte. Anche in questo caso, il CdS ha respinto le argomentazioni di Edison, ricordando innanzitutto che il mercato su cui hanno inciso le condotte, al tempo dei fatti, era stato recentemente liberalizzato e dunque era richiesto uno standard di diligenza “rafforzato” in capo agli operatori professionisti. Inoltre, il CdS ha affermato che la giurisprudenza è costante nel ribadire che, nei casi di interposizione di soggetti terzi nell’attività di vendita dei professionisti, il canone della diligenza richiesta obbliga a monitorare il comportamento dell’attività dei singoli agenti, al fine di evitare che il ricorso al contratto di agenzia possa costituire una facile esimente. Di conseguenza, laddove i vantaggi della condotta siano riconducibili al professionista, non rileva che l’attività sanzionata sia stata materialmente posta in essere da terzi, considerato che la mancata predisposizione di adeguati strumenti di controllo rappresenta comunque una condotta non conforme al grado di diligenza, competenza ed attenzione che ragionevolmente i consumatori attendono da un professionista, sancendo la culpa in vigilando di Edison.

Da ultimo, con il terzo motivo, Edison ha contestato la determinazione della sanzione, sottolineando come le 85 segnalazioni giunte all'AGCM corrispondessero ad appena lo 0,028% dei nuovi contratti stipulati dalla società nel periodo oggetto di istruttoria. Il CdS ha parzialmente accolto tale ultima censura, affermando che il dato sulle segnalazioni giunte all’AGCM era tale da mostrare che le pur gravi pratiche, giustamente sanzionate, erano state poste in essere in un numero davvero limitato di casi. Per tale motivo, il CdS ha ritenuto che la sanzione inflitta dall’AGCM violasse il principio di proporzionalità nella modulazione dell’entità della sanzione. Alla luce di tali considerazioni, il CdS ha ridotto la sanzione di un terzo rispetto a quella complessivamente irrogata dall’AGCM per le due pratiche illecite contestate.

Si tratta sicuramente di una pronuncia interessante data la propensione dell’AGCM a non tenere in alcuna considerazione l’esiguo numero di segnalazioni nel commisurare le sanzioni irrogate. Resta da vedere se la pronuncia in commento avrà un impatto su tale impostazione.

Luca Casiraghi
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Pratiche commerciali scorrette e vendita multilivello - L’AGCM sanziona myWorld Italia S.r.l. e Lyconet Italia S.r.l per aver messo in atto un sistema di vendita piramidale

Nella sua adunanza del 22 dicembre 2020, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha irrogato una sanzione complessiva di 3 milioni alle società myWorld Italia S.r.l. (myWorld) e Lyconet Italia S.r.l. (Lyconet) per aver promosso in modo ingannevole e poco trasparente un sistema di vendita avente gli elementi costitutivi delle vendite a carattere piramidale.

myWorld è attiva (i) nella gestione di un marketplace online, sul quale è possibile acquistare prodotti della società e di soggetti terzi con la possibilità di ricevere un cashback (ovvero la restituzione di una percentuale del denaro speso presso gli esercenti convenzionati); (ii) nella vendita dei prodotti della Lyconet per ottenere Shopping Points ai consumatori (c.d. marketer) aderenti al Lyconet Marketing Program (LMP). Lyconet, a sua volta, gestisce il LMP, nonché la registrazione e il pagamento ai marketer delle provvigioni e degli altri benefici scaturenti dalle attività di network marketing finalizzate alla promozione della diffusione del sistema di cashback di myWorld.

La condotta sanzionata, utilizzando il pretesto del descritto vantaggio degli acquisti con cashback, si sostanziava in realtà nel reclutamento di un numero elevato di consumatori ai quali veniva richiesto di pagare tariffe di ingresso particolarmente elevate (fino a 1.300 euro circa, modulati sulla base di una serie di benefit) per accedere al primo livello commissionale e iniziare la “carriera” come marketer. Successivamente, i marketer dovevano reclutare altri consumatori, nonché acquistare (o far acquistare a terzi reclutati dal marketer) i prodotti Lyconet suddetti, con la funzione principale di generare Shopping Points (“generati” in maniera proporzionale al valore dell’acquisto), necessari per raggiungere e mantenere i livelli previsti nel piano di compensazione e progredire nella “carriera”.

L’istruttoria svolta dall’AGCM ha confermato che la possibilità di ottenere uno sconto differito sugli acquisti sotto forma di cashback ha costituito in realtà un aspetto secondario del volume economico generato dal sistema in questione. Infatti, il conseguimento di elevati livelli dei suddetti Shopping Points – il meccanismo di remunerazione del piano di compensazione – era in sostanza possibile solo con versamenti di somme di denaro da parte dei consumatori aderenti o da parte dei soggetti da questi ultimi reclutati e, da quanto emerso, solo pochissimi soggetti sono effettivamente riusciti a conseguire posizioni rilevanti.

L’AGCM ha, inoltre, accertato le modalità ingannevoli con le quali sono prospettate le caratteristiche, i termini e le condizioni del sistema di cashback, aspetti non adeguatamente chiariti né sui siti internet né negli eventi promozionali, nonché l’assenza in detti siti internet di talune informazioni essenziali richieste nelle vendite a distanza, quali quelle sulle modalità di trattamento dei reclami, sul diritto di recesso e sul foro competente.

Alla luce di ciò, la pratica commerciale in oggetto è quindi risultata poco trasparente e non veritiera, oltre che essere basata su un modello di vendita/reclutamento di terzi consumatori di tipo piramidale e, pertanto, meritevole di una sanzione da 3 milioni di euro.

Si rileva, peraltro, che il tema del sistema di vendita multilivello messo in atto da myWorld era già stato valutato negativamente in Norvegia, Austria e Svizzera.

Mila Filomena Crispino
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