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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Tutela del consumatore / Tutela del consumatore e On-line Travel Agencies – Il Consiglio di Stato ha parzialmente accolto il ricorso dell’AGCM avverso le sentenze del TAR che avevano riformato le sanzioni contro Bravonext S.A. e Lmnext Ch S.A. per credit card surcharge 

Lo scorso 15 ottobre il Consiglio di Stato si è pronunciato sui ricorsi nn. 6278 e 6280 del 2019, proposti dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) contro le società Lmnext Ch S.A. e Bravonext S.A. (le Società), operanti come intermediari in qualità di agenzie turistiche online attraverso la piattaforma www.it.lastminute.com (il Sito), per la riforma delle sentenze emesse dal TAR Lazio che avevano a loro volta riformato le decisioni dell’AGCM nn. 26913 e 26915 (le Decisioni). Tali Decisioni erano state adottate nel 2017 a conclusione di due procedimenti istruttori paralleli concernenti la violazione del divieto di credit card surchage.

Nello specifico, l’AGCM nel 2017 aveva sanzionato le due Società per le seguenti condotte: (i) la mancanza, sul Sito e nella sezione dello stesso dedicata alle condizioni generali di contratto, di informazioni idonee a consentire l’individuazione del fornitore del servizio; (ii) l’omissione delle informazioni relative ai criteri di sconto applicabili alle prenotazioni dei soggiorni in hotel; (iii) l’applicazione di un supplemento di prezzo in caso di pagamento tramite strumenti di pagamento diversi dalla carta di credito Maestro Widiba, che era l’unica ad essere convenzionata; e, infine, (iv) l’omessa indicazione sul sito di un indirizzo e-mail o di un form tracciabile, mediante il quale il consumatore potesse richiedere assistenza ai fini della conclusione del contratto anche in fase precontrattuale.

Il TAR Lazio, sul ricorso delle Società avverso tali decisioni, aveva ritenuto condivisibili le conclusioni dell’AGCM relativamente alle condotte sub (i), (ii) e (iv), confermandone l’accertamento e le sanzioni addebitate.

Al contrario, riguardo la condotta sub (iii), il TAR aveva censurato l’accertamento dell’AGCM. Quest’ultima, a conclusione dei procedimenti istruttori, aveva accertato che il meccanismo utilizzato dalle Società integrasse una violazione del divieto del c.d. credit card surchage. In particolare, l’AGCM aveva riscontrato che, ricercando un volo aereo sul Sito, il primo risultato visualizzabile era rappresentato dal prezzo più basso a cui si poteva avere diritto soltanto utilizzando le carte di credito convenzionate con il sito, le quali erano tuttavia le meno diffuse tra i consumatori, e nel caso si fosse selezionato un diverso metodo di pagamento vi sarebbe stata una tariffa maggiore.

In entrambi i casi, il TAR ha rilevato che l’AGCM, sebbene avesse formalmente contestato l’imposizione di un prezzo più alto a seconda del metodo di pagamento utilizzato, e dunque di una credit card surchage, non avesse offerto sufficienti elementi a supporto di tale tesi. Secondo il giudice di primo grado, la condotta che poteva emergere, ma che non era stata contestata, era al più rappresentata da una distinta pratica ingannevole consistente nell’omissione di un’informazione adeguata in merito al fatto che il prezzo di default era ottenibile soltanto utilizzando un determinato strumento di pagamento convenzionato. Il giudice di primo grado ha quindi sostenuto che il meccanismo previsto non fosse invece inquadrabile come una surcharge ma uno sconto e in quanto tale fosse consentito dalle disposizioni legislative al tempo vigenti. Il TAR, ha quindi ritenuto che la condotta contestata non integrasse un’elusione del divieto di credit card surchage.

L’AGCM ha dunque proposto ricorso al Consiglio di Stato avverso le sentenze del giudice di primo grado, sostenendo che il meccanismo sub iudice non rappresentava uno sconto, bensì un aumento di prezzo dovuto all’utilizzo di un differente strumento di pagamento rispetto al metodo impostato di default. Il Consiglio di Stato, accogliendo le doglianze dell’AGCM e considerando errata la qualificazione di pratica commerciale ingannevole operata dal TAR, ha ritenuto che l’AGCM avesse correttamente qualificato la pratica contestata come imposizione di un sovrapprezzo dipendente dal metodo di pagamento prescelto. Secondo il Consiglio di Stato, il meccanismo rappresentato dall’appellante prevedeva l’aumento di prezzo conseguente al mancato utilizzo della carta di credito convenzionata.

Il Consiglio di Stato, riguardo le ulteriori condotte addebitate alle Società, ha confermato la sussistenza delle condotte sub (i) e (ii), in linea con il TAR e l’AGCM. Diversamente, il Consiglio di Stato ha ritenuto non sussistente la pratica sub (iv), poiché entrambe le Società avevano adottato canali di contatto idonei ed esperibili dai consumatori per ottenere assistenza in ambito contrattuale. Esse avevano infatti predisposto un indirizzo e-mail e un call center ad hoc per le segnalazioni dei consumatori. Inoltre, in linea con la giurisprudenza della Corte di Giustizia (vedasi, in particolare la causa C-649/17), il Consiglio di Stato ha affermato che sebbene la legge non stabilisca la natura esatta del mezzo di comunicazione che in concreto i professionisti sono tenuti a utilizzare, è sufficiente che essi siano idonei a consentire un contatto rapido ed efficace con quest’ultimo. Con le sentenze in commento il Consiglio di Stato ha messo in luce nuovi aspetti della controversa fattispecie del c.d. credit card surchage e dei rapporti di quest’ultima con i divieti generali contro le pratiche scorrette.

Carla Maria Virone
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Tutela del consumatore e servizi digitali – La Corte di Giustizia chiarisce le norme UE in materia di diritto di recesso

Con la sentenza dello scorso 8 ottobre, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) si è pronunciata sul rinvio pregiudiziale proposto dall’Amtsgericht Hamburg (Tribunale di Amburgo) nell’ambito di una controversia tra un consumatore (identificato con la sigla EU) e PE Digital Gmbh (PE Digital), in merito all’importo dovuto a quest’ultima a seguito dell’esercizio da parte di EU del diritto di recesso dal contratto concluso con tale società, ai sensi della Direttiva 2011/83/UE sui diritti dei consumatori (la Direttiva).

PE Digital, società con sede in Germania, gestisce il sito internet di incontri “Parship”. Essa propone ai suoi utenti due tipi di iscrizione, vale a dire l’iscrizione gratuita di base, che consente di contattare altri utenti in maniera molto limitata, e l’abbonamento premium a pagamento. Immediatamente dopo l’iscrizione, PE Digital invia ai suoi membri una comunicazione di una selezione di proposte di incontri nello stesso Land, stabilita sulla base di un test di personalità. Gli abbonati premium ricevono automaticamente il risultato del test della personalità, sotto forma di un documento di 50 pagine, mentre i membri con l’iscrizione di base lo possono acquistare a pagamento.

Il 4 novembre 2018, EU ha concluso con PE Digital un contratto di abbonamento premium per una durata di 12 mesi, al prezzo di € 523,95 – un prezzo superiore al doppio rispetto a quello fatturato ad altri utenti per un contratto della stessa durata concluso nello stesso anno. La PE Digital ha informato EU del suo diritto di recesso e quest’ultima ha confermato che PE Digital doveva iniziare a fornire la prestazione prevista da detto contratto prima della fine del periodo di recesso. Soltanto quattro giorni dopo, tuttavia, EU ha effettuato il recesso dal contratto in questione e PE Digital le ha fatturato un importo totale di € 392,96 a titolo di indennità compensativa.

EU ha chiesto il rimborso di tutti i versamenti effettuati a favore della PE Digital al Tribunale di Amburgo, il quale, a sua volta, si è rivolto alla CGUE chiedendo, in sostanza, (i) se il rimborso previsto per i consumatori che recedono da un contratto parzialmente eseguito debba essere calcolato solo pro rata temporis o considerando anche il valore dei servizi già eseguiti; (ii) come determinare se il prezzo totale previsto dal contratto fosse eccessivo; e infine (iii) quali implicazioni ha il fatto che, in base al contratto concluso, il consumatore ha ricevuto anche, ma non esclusivamente, contenuti digitali ai quali si applica la deroga al diritto di recesso prevista dall'articolo 16, lettera m), della Direttiva.

In merito al primo punto, la CGUE ha richiamato l’art. 14, paragrafo 3, della Direttiva, il quale dispone che il consumatore che chiede al professionista l’esecuzione del contratto prima della fine del periodo di recesso (pari a 14 giorni) e poi decida ugualmente di esercitare il proprio diritto di recesso, è tenuto a pagare “… un importo proporzionale a quanto è stato fornito fino al momento in cui il consumatore ha informato il professionista dell’esercizio del diritto di recesso, rispetto a tutte le prestazioni previste dal contratto …”. Tale disposizione precisa anche che tale importo “… è calcolato sulla base del prezzo totale concordato nel contratto”.

La CGUE ha chiarito che è solo nel caso in cui il contratto preveda espressamente che una o più prestazioni siano fornite integralmente sin dall’inizio dell’esecuzione del contratto, in modo distinto, a un prezzo che deve essere pagato separatamente, che occorre tener conto dell’intero prezzo previsto per una simile prestazione per calcolare l’importo dovuto al professionista in caso di recesso. Questo non era il caso del contratto del sito di incontri, il quale non specificava un prezzo separato per il test della personalità consegnato al cliente al momento dell’iscrizione.

In secondo luogo, la Corte ha esaminato i criteri che occorre applicare per valutare se il prezzo totale sia eccessivo, ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 3, della Direttiva, la quale prevede che “[s]e detto prezzo totale è eccessivo, l’importo proporzionale è calcolato sulla base del valore di mercato di quanto è stato fornito”. A tal proposito, la Corte ha dichiarato che tutte le circostanze relative al valore commerciale del servizio fornito sono pertinenti al fine di valutare il carattere eventualmente eccessivo del prezzo totale, vale a dire il confronto sia con il prezzo chiesto dal professionista in questione ad altri consumatori alle stesse condizioni, sia con il prezzo di un servizio equivalente fornito da altri professionisti.

La terza questione concerneva l’applicazione dell'articolo 16, lettera m), della Direttiva che esclude l'applicazione del diritto di recesso ai contratti per la fornitura di contenuto digitale (definiti come “dati prodotti e forniti in forma digitale”) quando il consumatore ha acconsentito all'esecuzione del contratto nel periodo di recesso. La CGUE, tuttavia, ha ritenuto che né la fornitura di un servizio di incontri online ai consumatori, né la produzione di un report sulla personalità potessero essere qualificati come fornitura di contenuto digitale ai sensi dell'articolo 16, lettera m), della Direttiva. La CGUE, però, non ha ampliato ulteriormente il suo ragionamento su questo punto.

Per concludere, la sentenza in esame fornisce utili chiarimenti su come calcolare l’importo del rimborso dovuto al consumatore in caso di recesso dal contratto. Tuttavia, essa non ha esposto con sufficiente chiarezza le ragioni che giustificano l’esclusione della fornitura di un servizio online ai consumatori o la produzione di un report sulla personalità dalla categoria dei contenuti digitali.

Luigi Eduardo Bisogno
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Legal News / Fornitura di energia elettrica e rapporto tra gestore di infrastruttura e cliente finale – La Corte di Giustizia stabilisce che non può essere respinto il reclamo di un cliente finale nei confronti di un gestore sulla base della sola mancanza di un contratto diretto tra le parti 

Con la sentenza dello scorso 8 ottobre, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) ha risposto alla domanda di pronuncia pregiudiziale propostale dalla Corte d’Appello per il contenzioso amministrativo in materia economica dei Paesi Bassi (il Giudice del Rinvio) nell’ambito di una controversia tra la società Crown Van Gelder BV (Crown Van Gelder) e l’Autorità garante dei consumatori dei Paesi Bassi (Autoriteit Consument en Mark, ACM). Tale controversia si era instaurata a seguito di una decisione con cui l’ACM aveva dichiarato irricevibile il reclamo presentato da Crown Van Gelder contro la società TenneT TSO BV (TenneT TSO), che gestisce il sistema nazionale ad alta tensione, a seguito di un guasto a tale sistema.

Nello specifico, nel 2015 un guasto ad una delle centrali ad alta tensione gestite da Tennet TSO ha privato per diverse ore di energia elettrica i territori di alcune provincie del Nord dei Paesi Bassi. In tale area si trovava lo stabilimento della Crown Van Gelder, a cui era stata interrotta la trasmissione di energia elettrica in quanto esso era connesso al sistema di distribuzione di una terza società, alimentato a sua volta dal sistema ad alta tensione della Tennet TSO. Affermando di aver subito un danno e sostenendo che la Tennet TSO non aveva fatto tutto ciò che fosse ragionevolmente in suo potere al fine di prevenire l’interruzione di Energia, la Crown Val Gelder ha presentato un reclamo dinnanzi all’ACM. Tuttavia, l’ACM ha dichiarato irricevibile tale reclamo, con la motivazione che la Crown Van Gelder non aveva un rapporto contrattuale diretto con la TenneT TSO e non poteva dunque essere considerata una “parte che si trova in contraddittorio con un gestore di sistema”, come invece richiesto della legge olandese sull’energia elettrica.

Investito della questione, il Giudice del Rinvio ha deciso di sospendere il procedimento e domandare alla CGUE di chiarire l’interpretazione della nozione di “parte che intenda sporgere reclamo” a cui si fa riferimento all’articolo 37, paragrafo 11, della direttiva 2009/72 (Direttiva), relativa a norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica. Tale articolo prevede che qualsiasi parte che intenda sporgere reclamo contro un gestore di un sistema di trasmissione o di distribuzione, per quanto concerne gli obblighi di quest’ultimo ai sensi della stessa direttiva, può adire l’autorità di regolamentazione. In particolare, il Giudice del Rinvio ha domandato alla CGUE se tale articolo “debba essere interpretato nel senso che l’autorità può respingere un reclamo presentato da un cliente finale contro il gestore di un sistema di trasmissione in seguito a un guasto verificatosi in tale sistema di trasmissione, per il motivo che l’impianto di tale cliente finale è connesso non direttamente al suddetto sistema di trasmissione, ma unicamente a un sistema di distribuzione da esso alimentato”.

Nella sua breve analisi per risolvere la questione, la CGUE analizza dapprima il tenore letterale della norma, osservando che la competenza dell’autorità di regolamentazione non risulta subordinata all’esistenza di un rapporto diretto tra il reclamante e il gestore del sistema.

Osservando poi il contesto dell’art. 37, paragrafo 11, della Direttiva, la CGUE rileva che nessuna delle disposizioni della direttiva mira a respingere la portata della nozione in questione, escludendo dall’ambito della stessa i soggetti che non abbiano un rapporto diretto con il gestore del sistema.

Da ultimo, la CGUE, prendendo in considerazione gli obiettivi perseguiti dalla Direttiva, osserva che essa mira, inter alia: (i) a conferire ai regolatori dell’energia il potere di garantire la piena efficacia delle misure per la tutela dei consumatori; (ii) a far beneficiare tutti i settori industriali e commerciali e tutti i cittadini dell’Unione Europea di elevati livelli di tutela dei consumatori e (iii) a far rispettare i diritti dei consumatori di energia elettrica. Alla luce di tali obiettivi, la Corte osserva che porre una limitazione del diritto di esporre un reclamo all’autorità di regolamentazione ai soli clienti finali direttamente connessi con il gestore del sistema di trasmissione limiterebbe notevolmente la capacità dell’autorità di regolamentazione di assolvere il compito che le è conferito di garantire il rispetto, da parte dei gestori del sistema di trasmissione, degli obblighi ad essi incombenti in forza della Direttiva.

Di conseguenza, la CGUE conclude la sua analisi stabilendo che la nozione di “parte che intenda sporgere reclamo” non può essere interpretata nel senso che essa presuppone un rapporto diretto tra il reclamante e il gestore del sistema di trasmissione contro il quale è proposto il reclamo. Resta ora da vedere quale possa essere l’impatto di questa pronuncia nell’ordinamento italiano, in cui invece in passato era stata in varie sedi (amministrative e contenziose) attribuita importanza decisiva proprio all’assenza di un siffatto rapporto contrattuale.

Luca Casiraghi
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