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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza UE/Intese e componenti per auto – La Commissione sanziona due produttori per un totale di 18 milioni

Lo scorso 29 settembre la Commissione europea (Commissione) ha sanzionato le società tedesche Brose e Kiekert con, rispettivamente, 3 e quasi 15 milioni di euro per avere partecipato a due separati cartelli bilaterali con il concorrente Magna.

Magna, Brose, e Kiekert sono produttori di componenti per autoveicoli quali portiere, finestrini e i meccanismi di chiusura degli stessi. Le due intese accertate dalla Commissione, messe in atto tra Magna e Brose l’una, e tra Magna e Kiekert l’altra, erano volte a contenere il progressivo decremento dei prezzi prevalenti nel settore, e secondo quanto riportati nel comunicato stampa della Commissione, erano state attuate attraverso lo scambio di informazioni per e-mail, per telefono, e tramite incontri personali.

È stata Magna a rivelare alla Commissione l’esistenza dei due cartelli, assicurandosi pertanto l’immunità completa dalle sanzioni nell’ambito del programma di c.d. leniency della Commissione, che attribuisce tale privilegio al primo segnalante dell’esistenza di un’intesa vietata. Anche Brose e Kiekert hanno beneficiato di riduzioni significative sulle sanzioni,

(i) in primo luogo, cooperando con la Commissione nelle indagini (ed aggiudicandosi, rispettivamente, una riduzione pari al 35% e al 40%) nell’ambito del procedimento di clemenza, “confessando” ulteriori elementi utili per l’accertamento dell’infrazione;

(ii) in secondo luogo, ammettendo l’esistenza dell’intesa e la propria responsabilità ai fini di una più rapida conclusione delle indagini raggiungendo con la Commissione una transazione (c.d. settlement), per un’ulteriore riduzione pari al 10% della sanzione.

La sanzione in discorso si inserisce nel contesto di una serie di indagini nel settore automobilistico e dei componenti automobilistici su cui la Commissione ha incrementato i propri sforzi dal 2013, e porta l’ammontare totale di sanzioni erogate dalla Commissione per cartelli in questo settore a 2,17 miliardi di euro.

Roberta Laghi
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Diritto della concorrenza Italia/Intese e settore del cemento – Dichiarato inammissibile il ricorso per revocazione presentato da Buzzi Unicem S.p.A.

Con la sentenza del 28 settembre 2020 il Consiglio di Stato (CdS) ha dichiarato inammissibile il ricorso per revocazione proposto dalla società Buzzi Unicem S.p.A. (Buzzi o la Società) in relazione ad una sentenza dello stesso CdS che aveva confermato una sanzione antitrust per un cartello nel settore del cemento.

Più precisamente, la sentenza in parola costituisce l’ultimo atto di una vicenda che aveva preso le mosse da un provvedimento con cui l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) aveva accertato la partecipazione della Società ad un’intesa anticompetitiva nel settore del cemento, irrogando alla stessa una sanzione pari a circa 60 milioni di euro. La Società aveva successivamente presentato ricorso avverso tale provvedimento dinanzi al TAR Lazio (TAR) e successivamente appello al CdS. Entrambi le impugnazioni erano state respinte. La Società aveva dunque impugnato la sentenza del CdS ritenendo che sussistessero errori di fatto idonei a determinarne la revocazione ex artt. 106 c.p.a. e 395, n. 4 c.p.c. Si ricorda che in base a quest’ultima disposizione può esservi revocazione “…se la sentenza è l'effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa. Vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l'inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell'uno quanto nell'altro caso se il fatto non costituì̀ un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare”.

In primo luogo, nel caso in esame detti errori avrebbero riguardato la partecipazione di Buzzi all’intesa anticompetitiva. Ad avviso della Società, infatti, sarebbe stata data erroneamente per presupposta l’esistenza di prove a suo carico (costituite dal mero insieme di tutti i paragrafi della parte del provvedimento dell’AGCM sulle risultanze istruttorie nei quali compare la parola Buzzi) e su questa sola base il CdS avrebbe completamente tralasciato le censure mosse da Buzzi sulla sua presunta partecipazione all’intesa, ritenendole attinenti ad aspetti singoli e secondari.

Nella sentenza in commento, richiamando una sua precedente giurisprudenza, il CdS ha chiarito che l’errore di fatto idoneo a fondare la richiesta di revocazione “…deve essere caratterizzato:

a) dal derivare da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, la quale abbia indotto l’organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto di fatto, facendo cioè ritenere un fatto documentalmente escluso ovvero inesistente un fatto documentalmente provato;

b) dall’attenere ad un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato;

c) dall’essere stato un elemento decisivo della decisione da revocare, necessitando perciò un rapporto di causalità tra l’erronea presupposizione e la pronuncia stessa.

L’errore deve, inoltre, apparire con immediatezza ed essere di semplice rilevabilità, senza necessità di argomentazioni induttive o indagini ermeneutiche.


Ciò posto, nel caso di specie il CdS ha escluso la sussistenza di un errore revocatorio, ritenendo che ciò che lamentava la Società ricorrente fosse un’erronea valutazione del materiale istruttorio – riguardante un tema, la partecipazione all’intesa, sul quale la sentenza si era ampiamente pronunciata – che al più può integrare un errore di giudizio, non sindacabile in sede di revocazione. Se così non fosse, chiarisce il CdS, verrebbe di fatto ammesso un ulteriore grado di giudizio non ammesso dall’ordinamento.

La Società, tuttavia, aveva presentato delle censure ulteriori riguardanti le modalità di calcolo della sanzione e, in particolare, il calcolo del limite edittale del 10%. Buzzi, infatti, lamentava un errore del TAR che aveva valutato - come corretto - il calcolo dell’importo base della sanzione, pronunciandosi dunque su un profilo diverso da quello contestato dalla Società.

Sul punto il CdS ha ritenuto, però, che le considerazioni svolte dal TAR sulle modalità di calcolo del valore delle vendite si attagliassero anche alla (diversa) censura mossa dalla Società, in particolare alla luce della formulazione del relativo motivo di appello. Pertanto, il CdS ha respinto anche questo secondo ordine di censure, ritenendole inammissibili in quanto riproponevano “…una rivalutazione di un punto controverso su cui la sentenza aveva avuto modo di pronunciare”.

Infine, ad abundantiam, la sentenza in parola richiama una giurisprudenza dell’Adunanza Plenaria del CdS che si era espressa nel senso che “…non costituisce motivo di revocazione per omessa pronuncia il fatto che il giudice, nell’esaminare la domanda di parte, non si sia espressamente pronunciato su tutte le argomentazioni poste dalla parte medesima a sostegno delle proprie conclusioni”.

La sentenza in parola, dunque, mettendo la parola fine alla vicenda dell’intesa sull’aumento dei prezzi del cemento, applica rigidamente i parametri ermeneutici per il riconoscimento della sussistenza dell’errore revocatorio, ribadendo, anche nei fatti, la straordinarietà di tale ricorso.

Riccardo Fadiga
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Tutela del consumatore/Pratiche commerciali scorrette e settore bancario – L’AGCM sanziona Compass per non aver ottemperato al divieto di abbinare in modo scorretto polizze assicurative a prestiti

Con la decisione pubblicata nel Bollettino del 28 settembre scorso, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha sanzionato per 250.000 euro Compass Banca S.p.A. (Compass) per inottemperanza alla delibera del 27 novembre 2019 n. 28011 (Delibera del 27 novembre 2019), in cui si vietava la continuazione di una pratica commerciale aggressiva consistente nell’abbinamento forzoso tra prodotti di finanziamento e prodotti assicurativi non connessi al prestito.

La Delibera del 27 novembre 2019 aveva accertato che Compass aveva indebitamente indotto i consumatori che volevano sottoscrivere un prestito a stipulare contestualmente delle polizze assicurative che non avevano alcuna correlazione diretta con il prestito stesso (ad esempio, per la copertura del rischio d’infortunio o di malattia). In particolare, la pratica si sarebbe realizzata con l’inserimento obbligatorio del premio assicurativo nella rata mensile del prestito. Secondo la ricostruzione dell’AGCM, i consumatori percepivano come obbligatoria la polizza per ottenere il finanziamento o consideravano unico il pacchetto prestito/polizza in conseguenza dei comportamenti degli addetti di Compass, tra i quali la mancata consegna della documentazione precontrattuale e contrattuale contenente le caratteristiche della polizza.

Nel gennaio 2020, Compass presentava la relazione di ottemperanza alla Delibera del 27 novembre 2019, la quale prevedeva inter alia:

- una lettera informativa da inviare ai clienti attuali sulla facoltà di recesso dalla polizza e sulla gestione della restituzione della quota parte del premio non goduto;

- l’attestazione del cliente, tramite sottoscrizione di uno specifico documento, di essere consapevole della natura facoltativa e delle caratteristiche del prodotto assicurativo. In assenza di tale sottoscrizione, la polizza non poteva essere collocata insieme al prestito;

- la separazione temporale tra sottoscrizione ed attivazione della polizza. In particolare, si prevedeva che gli effetti della polizza decorressero dopo almeno sette giorni dalla sua sottoscrizione, contestuale a quella del finanziamento;

- un contatto telefonico con il cliente, sette giorni dopo la stipula della polizza, per acquisire la conferma della volontà di sottoscrivere il prodotto.

Non soddisfatta dal fatto che Compass continuasse a richiedere la contestuale sottoscrizione del contratto di erogazione del finanziamento personale e della polizza non connessa al prestito, l’AGCM ha avviato un procedimento per verificare l’ottemperanza alla diffida contenuta nella Delibera del 27 novembre 2019. Con il provvedimento in esame, l’AGCM ha accertato la continuazione delle pratiche aggressive di Compass dal momento che permaneva l’inscindibilità di fatto dei due contratti.

In via preliminare, di fronte all’eccezione di Compass relativa alla disomogeneità delle condotte nella delibera di avvio del procedimento d’inottemperanza rispetto a quelle censurate nella Delibera del 27 novembre 2019, l’AGCM ha dichiarato che ai fini della sussistenza della reiterazione della pratica in sede di valutazione dell’ottemperanza rilevano “…tutte le condotte successive al provvedimento originario che mirano a conservare i già accertati profili di opacità e/o aggressività, a prescindere dalla loro identità con quelle specificamente considerate nel provvedimento stesso”. L’AGCM pertanto ritiene necessario considerare la finalità dei provvedimenti sanzionatori al fine di evitare modalità elusive di esecuzione della delibera.

L’AGCM ha ritenuto che la separazione tra il momento di sottoscrizione e di attivazione della polizza comporta pur sempre che i due contratti di finanziamento e assicurativo siano stipulati contemporaneamente e in maniera inscindibile tra loro. Di conseguenza, non vi sarebbe la certezza dell’assenza di qualsiasi condizionamento dei funzionari di Compass nella fase della richiesta del prestito personale da parte del consumatore. In proposito, l’AGCM si è spinta a dichiarare che la completa consapevolezza dei consumatori circa la non connessione dei due contratti si poteva realizzare soltanto tramite la separazione temporale della firma dei due contratti. In tale contesto, il contatto telefonico da parte degli operatori di Compass non era idoneo a rimuove la scorrettezza della pratica, dal momento che la volontà di aderire era stata già manifestata all’atto della firma contestuale dei due contratti.

Nel calcolo della sanzione, l’AGCM ha tenuto conto del comportamento collaborativo di Compass, che ha concesso la possibilità di recedere dalla polizza, con rimborso integrale del premio, a coloro che hanno sottoscritto un contratto dal 23 gennaio al 30 aprile 2020. Pertanto, l’AGCM ha irrogato a Compass una sanzione di 250.000 euro (che si sommano ai 4.700.000 milioni di euro della Delibera del 27 novembre 2019).

La decisione in commento evidenzia il rigore delle valutazioni dell’AGCM (anche dal punto di vista dell’onere probatorio) in sede di ottemperanza, ed in particolare che le imprese incorse in una diffida devono assicurarsi con particolare cautela di rispettare il contenuto sostanziale del divieto imposto, ed evitare di adottare pratiche che secondo l’Autorità potrebbero eluderlo, per evitare una nuova sanzione.

Luigi Eduardo Bisogno
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Tutela del consumatore e accessibilità dei sistemi di pagamento – l’AGCM sanziona Vodafone e Wind Tre per inottemperanza a due precedenti provvedimenti mentre accetta gli impegni proposti da Enel.

Con i provvedimenti n. 28343, 28344 e 28349 dello scorso 8 settembre, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha adottato tre decisioni afferenti analoghi comportamenti sanzionando per inottemperanza Vodafone Italia S.p.A. (Vodafone) e Wind Tre S.p.A. (Wind Tre) rispettivamente per 500.000 e 300.000 euro, mentre ha accettato gli impegni proposti Enel Energia S.p.A. (Enel). Tutti e tre i casi sono relativi alla medesima condotta e alla conformità con il Regolamento (UE) 260/2012 che disciplina i requisiti tecnici e commerciali per i bonifici e gli addebiti diretti in euro. Nello specifico, la violazione in questione consiste nel non avere ottemperato a precedenti decisioni che avevano accertato la pratica scorretta rappresentata dal non aver consentito il pagamento dei servizi offerti tramite domiciliazione bancaria su conti correnti accesi presso banche aventi sede in paesi UE diversi dall’Italia (c.d. IBAN Discrimination).

Vodafone e Wind Tre sono state sanzionate per non aver ottemperato alle precedenti decisioni del 10 aprile 2019 n. 27642 e 27643 (Decisioni del 2019), con le quali l’AGCM, oltre ad infliggere una prima sanzione del valore di 800.000 euro a ciascuna delle due società, aveva imposto loro di porre rimedio alla condotta discriminatoria.

In particolare, l’AGCM ha rilevato che, anche seguito delle Decisioni del 2019, sarebbe rimasta una parziale differenza nel processo di attivazione delle offerte di telefonia fissa tramite canale web tra consumatori che intendano avvalersi di IBAN italiani e coloro che invece vorrebbero domiciliare i pagamenti su IBAN di altri paesi UE. Nello specifico, mentre i primi, ad oggi, hanno la possibilità completare la procedura di attivazione online in totale autonomia, i secondi devono necessariamente rivolgersi al call center dell’operatore telefonico, il quale procede a registrare la richiesta e ad attivare l’offerta.

Nonostante le società abbiano evidenziato che tali disparità nel processo di attivazione siano solo transitorie e che abbiano come unico effetto un limitato allungamento dei tempi di attivazione relativamente alle domiciliazioni su IBAN esteri (peraltro di soli 6-7 minuti in media), l’AGCM ha comunque ritenuto che la mancanza di possibilità di attivazione di offerte in totale autonomia da parte del consumatore che intenda domiciliare il pagamento su IBAN estero integri la non ottemperanza alle precedenti decisioni.

Con riferimento ad Enel, invece, l’AGCM ha contestato che la società permettesse il ricorso ad un conto corrente estero come strumento di pagamento non in via automatica ma solamente a seguito dell’invio di un modulo di attivazione e del pagamento della prima fattura.

Nel corso del procedimento, Enel ha tuttavia presentato una serie di impegni che sono stati ritenuti dall’AGCM idonei ad eliminare i profili di illiceità della condotta contestata. Nello specifico, Enel si è impegnata, inter alia: (i) ad attuare una nuova funzionalità automatica per la domiciliazione su conti correnti esteri, (ii) a formare adeguatamente sul tema in questione gli operatori incaricati della gestione del rapporto coi clienti, potenziando al contempo tali canali di assistenza (iii) a fornire supporto ai clienti che hanno richiesto, ma non completato, la domiciliazione su IBAN esteri e (iv) a rimuovere la pre-impostazione del prefisso telefonico italiano nel form online di attivazione delle offerte.

Con questi tre provvedimenti l’AGCM ha dunque mostrato di essere particolarmente attenta verso il tema della c.d. IBAN discrimination e, più in generale, delle violazioni al Regolamento (UE) n. 260/2012, volto alla creazione del mercato unico europeo dei pagamenti.

Luca Casiraghi
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