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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza UE/Cartelli e smart chip - Il Tribunale UE riduce di quasi 6 milioni di euro la sanzione inflitta ad Infineon

Lo scorso 8 luglio, il Tribunale dell’Unione europea (Tribunale) si è pronunciato nel contesto del rinvio ordinato dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea (CdG) avente ad oggetto la valutazione della proporzionalità della sanzione imposta dalla Commissione europea (Commissione) a Infineon Technologies AG (Infineon) per la sua partecipazione ad un cartello nel settore degli smart chip per carte.

La controversia risale al 2014, quando la Commissione aveva accertato l’esistenza, dal 2003 al 2005, di un’intesa unica e continuata sul mercato delle smart chip per carte nello Spazio economico europeo. La Commissione aveva concluso che nell’ambito di tale intesa, quattro imprese, ossia Infineon, Philips, Samsung e Renesas, avevano coordinato il loro comportamento sul mercato attraverso una rete di contatti bilaterali e di scambi di informazioni commerciali sensibili sui prezzi, sull’utilizzo della capacità produttiva e sulle future condotte sul mercato. In tale contesto, la Commissione aveva riconosciuto ad Infineon una riduzione dell’ammenda del 20% a titolo di circostanze attenuanti – irrogando quindi una sanzione finale di € 82 784 000 – dal momento che essa si era limitata a partecipare ad accordi collusivi con Renesas e Samsung, e non con Philips, e non era stato dimostrato che fosse al corrente dei contatti anticoncorrenziali tra gli altri partecipanti all’intesa.

In seguito, Infineon si era rivolta al Tribunale per ottenere l’annullamento della decisione della Commissione. Infineon aveva contestato, da un lato, l’esistenza di un’intesa e, dall’altro, l’importo dell’ammenda che le era stata inflitta. Con la sentenza del 15 dicembre 2016, il Tribunale aveva quindi respinto in toto detto ricorso, confermando la sanzione irrogata dalla Commissione.

Infineon aveva successivamente impugnato la sentenza del Tribunale dinanzi alla CdG. Con la sentenza del 26 settembre 2018, la CdG aveva confermato la sussistenza dell’intesa e la ricostruzione operata dalla Commissione. Allo stesso tempo, la CdG aveva accolto parzialmente il ricorso, ritenendo che il Tribunale avesse operato un controllo giurisdizionale incompleto nella parte relativa alla determinazione della sanzione. In particolare, la CdG aveva ritenuto che, nel valutare la gravità della sanzione, il Tribunale avesse esaminato solo cinque degli undici contatti che, secondo la Commissione, Infineon avrebbe avuto con Renesas e Samsung, mentre, nel suo ricorso, Infineon aveva contestato tutti i contatti di cui trattasi. Il Tribunale sarebbe quindi incorso in errore omettendo di rispondere all’argomento sollevato da Infineon secondo cui la Commissione aveva violato il principio di proporzionalità fissando l’importo dell’ammenda senza prendere in considerazione il numero limitato di contatti ai quali essa avrebbe partecipato. Pertanto, la Corte aveva parzialmente annullato la sentenza del Tribunale e rinviato la causa dinanzi al medesimo, affinché valutasse la proporzionalità dell’ammontare dell’ammenda inflitta rispetto alla comprovata partecipazione di Infineon all’infrazione.

Con la sentenza in esame, il Tribunale ha precisato, in via preliminare, che il suo controllo giurisdizionale fosse limitato alla rideterminazione dell'importo dell'ammenda. A tal riguardo, il Tribunale ha osservato che, per soddisfare i requisiti del principio della tutela giurisdizionale effettiva sancito dall'art. 47, n. 1, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, si dovesse procedere ad un'analisi indipendente e completa della sanzione inflitta ad Infineon, anche se ciò potesse comportare una modifica di alcuni aspetti della valutazione effettuata dalla Commissione.

Il Tribunale si è poi dedicato all’esame dei sei contatti addebitati all’Infineon che non erano stati oggetto di controllo giurisdizionale del Tribunale nella sentenza del 2016. Il Tribunale ha rilevato che Infineon avesse partecipato ad almeno cinque di questi sei contatti, e che tali contatti erano tutti anticoncorrenziali. Il Tribunale ha ritenuto, tuttavia, che la Commissione non fosse invece riuscita a provare l’esistenza di uno degli asseriti contatti anticoncorrenziali.

Il Tribunale ha successivamente provveduto ad un esame complessivo dell'importo dell'ammenda nei confronti di Infineon dal momento che potevano essere riscontrati solo dieci, e non undici, contatti bilaterali a cui aveva partecipato la ricorrente. Sul punto, il Tribunale ha precisato che Infineon non aveva svolto un ruolo meramente passivo nel cartello e la sua partecipazione non poteva essere considerata sporadica, alla luce della frequenza degli incontri (nel periodo del cartello vi sarebbe stato in media un incontro ogni due mesi) e del fatto che nei mercati delle smart card chips i prezzi siano negoziati su base annuale. Cionondimeno, il Tribunale ha osservato che la Commissione, avendo applicato una riduzione del 20% dell’importo dell’ammenda inflitta a Infineon, avesse violato il principio di proporzionalità, non tenendo sufficientemente conto del numero limitato dei contatti anticoncorrenziali cui tale società aveva partecipato, ossia 10 su un totale di 41 contatti complessivamente accertati.

Di conseguenza, il Tribunale ha rilevato che la Commissione non avesse tenuto conto in modo appropriato della partecipazione individuale di Infineon all’infrazione. Il Tribunale ha ritenuto quindi di applicare un’ulteriore riduzione del 5% dell’importo dell’ammenda inflitta a Infineon, riducendo quindi l’ammontare di tale sanzione di quasi 6 milioni di euro.

La sentenza in esame riveste particolare interesse in quanto la riduzione della sanzione in seguito al mancato soddisfacimento dell’onere della prova da parte della Commissione con riferimento a un solo contatto anticoncorrenziale non è stata conseguenza della riduzione della durata del cartello accertato ma di un riconoscimento della minore intensità della partecipazione all’illecito (pur effettiva e non sporadica) da parte della ricorrente.

Luigi Eduardo Bisogno
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Tutela della concorrenza e Commissione europea – La Commissione ha pubblicato la relazione sulla politica di concorrenza relativa al 2019

La Commissione europea (la Commissione) ha pubblicato la Relazione sulla politica di concorrenza 2019 (la Relazione), il documento che riferisce al Parlamento e al Consiglio dell’attività svolta dalla Commissione in tale settore nel corso dell’anno precedente.

La Relazione si apre con un richiamo ai tre principi eletti a pilastri essenziali dell’attività della vicepresidente Vestager, ossia (i) l’idoneità della normativa a rispondere alle sfide dell’economia del nuovo millennio, (ii) l’applicazione di tale normativa  in maniera idonea a reprimere in maniera efficace le violazioni di tali norme, e (iii) il contributo della normativa tutela della concorrenza alla solidità e competitività dell’industria europea sia a livello interno che sulla scena mondiale.

Il principio sub (i) è declinato nei due ambiti che la Commissione indica come caratteristici delle sfide del nuovo millennio, ossia, da un lato, l’attenzione all’ambiente, l’economia c.d. verde, nell’ambito del “Green New Deal” europeo, e, dall’altro, la crescente digitalizzazione dell’economia. Per quanto riguarda il supporto alla sostenibilità ambientale, la Commissione ha avviato il controllo dell’adeguatezza della disciplina in materia di ambiente ed energia e ha proseguito la valutazione degli orientamenti relativi a determinati aiuti di Stato nell'ambito del sistema per lo scambio di quote di emissione dei gas a effetto serra. Rispetto alla digitalizzazione dell’economia, la Relazione richiama in particolare il “processo di riflessione” avviato dalla Commissione con la relazione “Competition policy for the digital era”, finalizzato segnatamente a valutare le peculiarità dell’economia digitale, quali, per esempio, gli elevatissimi rendimenti di scala dei servizi digitali, le esternalità di rete, e il ruolo ricoperto dai big data, per assicurare che la politica di concorrenza risulti efficace anche in questo settore.

Mentre il principio sub (ii) si intravede in filigrana nella misura in cui la Commissione ripercorre le proprie attività di enforcement in diversi casi di alto profilo (ad esempio con riferimento a Google), il principio sub (iii) informa le valutazioni circa l’opportunità di considerare più esplicitamente la necessità che le imprese europee possano competere su un piano di parità con le imprese extra-EU, che potrebbero non essere assoggettate alle medesime regole; tale argomento è centrale nell’attività corrente della Commissione, sia per la forte rilevanza nella valutazione delle operazioni intra-EU (ad esempio la concentrazione Siemens/Alstom, che la Commissione ha proibito all’inizio del 2019 rifiutando l’argomento relativo alla competitività dei rivali extra-europei delle due imprese), sia relativamente alle nuove misure che verranno potenzialmente sviluppate a seguito del white paper della Commissione sul tema dei sussidi erogati da Stati esteri (che quindi non sono soggetti al regime di aiuti di Stato), già trattato in un precedente articolo.

La Relazione prosegue con un puntuale rendiconto delle attività (di ogni sorta: di policy, di enforcement, di collaborazione con altri enti, relative all’approvazione dei regimi di aiuti, etc.) svolte dalla Commissione nell’ultimo anno, corredate dai particolari salienti dei casi. La Relazione si rivela un documento utile sotto un duplice profilo: ex ante permette di identificare quali saranno le direttrici del pensiero e dell’attività che la Commissione si ripropone di perseguire; ed ex post fornisce un utile catalogo dell’attività dell’organo che consente di “tirare le somme” dell’anno recentemente conclusosi.

Riccardo Fadiga
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Diritto della concorrenza Italia/Attività di segnalazione, Decreto Milleproroghe e banda ultra-larga – L’AGCM pubblica due segnalazioni

Nel corso delle ultime settimane, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’Autorità) ha inteso svolgere – in due distinte segnalazioni – alcune considerazioni in merito a due tematiche: (a) le distorsioni concorrenziali derivanti da alcune previsioni contenute nel c.d. Decreto Milleproroghe del 2019 (la Prima Segnalazione); e (b) lo sviluppo delle infrastrutture di telecomunicazione fissa e mobile a banda ultra-larga (la Seconda Segnalazione).

Nella Prima Segnalazione, l’Autorità si è interessata inter alia: (i) dell’estensione del rimborso a Poste Italiane delle somme corrispondenti alle agevolazioni postali previste per le spedizioni di prodotti editoriali; e (ii) della proroga del termine in capo ai concessionari per esternalizzare i propri contratti e sul permanere della quota del 60% per i concessionari autostradali.

In relazione al punto (i), il Decreto Milleproroghe estende dai tre anni originariamente previsti a “una durata pari a quella dell’affidamento del servizio postale universale” (ossia fino al 2026) la previsione del rimborso a Poste italiane S.p.A. delle somme corrispondenti alle agevolazioni postali stabilite dalla legislazione vigente per le spedizioni di prodotti editoriali. In particolare, l’Autorità segnala come il trattamento differenziato tra Poste Italiane e gli altri operatori postali sia ingiustificato e ostacoli la piena liberalizzazione del mercato dei servizi postali. I servizi postali, infatti, possono infatti essere resi anche da operatori diversi da Poste italiane, i quali, tuttavia, non potendo fruire dei contributi statali, non sono in grado di sostenere le tariffe agevolate che può offrire invece l’incumbent beneficiando dei rimborsi previsti.

Posto quanto sopra, l’Autorità auspica a una riforma che, fatta salva l’applicazione della normativa europea sugli aiuti di Stato, vada ad ampliare l’accesso ai contributi statali a tutti gli operatori postali, al fine di garantire la concorrenza in questo mercato.

In relazione al punto (ii), il Decreto Milleproroghe ha disposto di prorogare al 31 dicembre 2021 il termine a decorrere dal quale i titolari di concessioni devono affidare mediante procedure ad evidenza pubblica una quota pari all’80% dei contratti di lavori, servizi e forniture, relativi alle concessioni, di importo pari o superiori a 150.000 euro. Allo stesso tempo, ha confermato l’obbligo per i titolari di concessioni autostradali già in essere di affidare, entro il 31 dicembre 2020, mediante procedure ad evidenza pubblica, una quota pari al 60% dei propri contratti. A tale riguardo, l’Autorità evidenzia in primo luogo che l’ulteriore proroga al 31 dicembre 2021 rappresenta un ostacolo alla concorrenza ed evidenzia la necessità di aumentare la quota ‘speciale’ prevista per i concessionari autostradali (portandola anche qui all’80%), anche in considerazione del fatto che la quasi totalità delle concessioni autostradali è stata affidata senza procedure ad evidenza pubblica e per durate particolarmente lunghe.

Con la Seconda Segnalazione, come si è già accennato in apertura, ha ritenuto di indirizzare una segnalazione a diversi interlocutori, tra cui anche l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni e l’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani, con riguardo allo sviluppo delle infrastrutture di telecomunicazione fissa e mobile a banda ultra-larga. Secondo l’Autorità, infatti, come è stato dimostrato durante la recente emergenza sanitaria (soprattutto con riferimento all’istruzione a distanza e allo smart-working), le infrastrutture di telecomunicazioni, sia mobili che fisse, “costituiscono elemento fondamentale per lo sviluppo del tessuto imprenditoriale e la crescita economica”. Pertanto, l’Autorità suggerisce che le istituzioni pubbliche rimuovano gli ostacoli ingiustificati all’installazione ed all’esercizio di infrastrutture di telecomunicazioni.

Alla luce di ciò, l’Autorità auspica un’azione pubblica volta a ridurre gli oneri amministrativi e le barriere allo sviluppo delle infrastrutture di telecomunicazione fisse ed accoglie con favore la previsione di strumenti di sostegno alla domanda - tramite l’erogazione di voucher e dispositivi elettronici - per le famiglie meno abbienti. Al contempo, però, ritiene necessario che gli ulteriori interventi destinati alle famiglie e alle imprese debbano essere erogati esclusivamente per connessioni con velocità di almeno 100 Mpbs, nel rispetto del principio di neutralità tecnologica. In caso contrario si avrebbe un sostegno ingiustificato per tecnologie che hanno dimostrato, proprio durante l’emergenza sanitaria, di non essere adeguate al soddisfacimento delle esigenze di connettività del Paese.

Resta da vedere se le autorità pubbliche terranno in considerazione quanto espresso dall’Autorità e prenderanno in considerazione l’opportunità di attuare anche solo parte dei suoi suggerimenti.

Mila Filomena Crispino
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Tutela del consumatore/Clausole abusive e mercato dei servizi creditizi - Secondo la Corte europea di Giustizia un consumatore non cessa di essere tale al momento in cui un contratto risulta integralmente eseguito

Con la sentenza dello scorso 9 luglio, la Corte europea di Giustizia (la CdG) si è pronunciata su un rinvio pregiudiziale (il Rinvio) presentato dal Tribunale superiore specializzato di Mureș, Romania, (il Tribunale superiore) volto ad ottenere indicazioni circa la corretta interpretazione degli articoli 2, 6 e 7 della direttiva n. 13 del 5 aprile 1993 concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (la Direttiva 13/93).

Con la sentenza in parola, la CdG ha innanzitutto riconosciuto che, ai fini delle azioni relative alle clausole abusive, una corretta interpretazione della nozione di ‘consumatore’ contenuta nell’ articolo 2 comporta che il mero fatto che un contratto risulti integralmente eseguito non determina il decadimento della qualifica di ‘consumatore’ in capo allo stesso. In secondo luogo, la CdG  basando il proprio ragionamento sui fondamentali principi di effettività ed equivalenza  ha stabilito che, sebbene un’azione di ripetizione delle somme versate sulla base di una clausola abusiva possa essere soggetta a prescrizione, la data da cui tale termine di prescrizione inizia a decorrere non può essere diversa (in termini più sfavorevoli per il consumatore) rispetto a quanto previsto dalla normativa nazionale per un’azione analoga.

Al fine di meglio comprendere le motivazioni che hanno spinto il Tribunale superiore a proporre il suddetto Rinvio occorre riportare brevemente la storia alla base della vicenda.

In data 28 maggio 2003 e 26 giugno 2008, due cittadini rumeni avevano stipulato due differenti contratti di credito e di mutuo rispettivamente con la Raffaisen Bank e Société Générale (le Banche). Ritenendo che le clausole inserite nei suddetti contratti avessero carattere abusivo, i soggetti in questione, successivamente all’esecuzione dei contratti, hanno proposto distinti ricorsi dinanzi al Tribunale di primo grado di Târgu Mureș (Tribunale di primo grado), al fine di ottenere la restituzione delle somme interessate. Le Banche avevano quindi eccepito a propria difesa la mancata legittimazione ad agire dei due soggetti, poiché mancanti della qualifica di ‘consumatori’ al momento della proposizione dei ricorsi, in quanto i rapporti contrattuali tra le parti erano cessati. Il Tribunale di primo grado, tuttavia, accogliendo i ricorsi aveva ritenuto, in primis, che i soggetti in esame godessero ancora della qualità di ‘consumatori’ e, in secondo luogo, che il fatto che i suddetti contratti avessero già realizzato i loro effetti non impediva la verifica del carattere abusivo delle clausole lamentate. Le Banche hanno pertanto presentato ricorso al Tribunale superiore, il quale ha notato l’esistenza di approcci divergenti tra i giudici rumeni quanto al riconoscimento della qualità di consumatore nel caso di contratti integralmente eseguiti, nonché con riferimento agli effetti di una pronuncia di nullità delle clausole abusive.

Alla luce di quanto sopra, con il proprio Rinvio, il Tribunale superiore ha inteso richiedere delucidazioni alla CdG sulle seguenti questioni: i) se le indicate disposizioni della Direttiva 13/93 consentano la coesistenza nel medesimo ordinamento giuridico, da un lato, di un’azione ordinaria ed imprescrittibile volta a garantire l’accertamento del carattere abusivo di una clausola contenuta in un contratto concluso con un consumatore e, dall’altro, di un’azione personale e patrimoniale  soggetta questa, invece, a prescrizione triennale - tramite cui eliminare gli effetti delle obbligazioni sorte dalla clausola risultata abusiva (Prima domanda); e ii) se il momento da cui far decorrere tale prescrizione sia identificabile con la cessazione del contratto in esame o in un momento anteriore (Seconda domanda).

Relativamente alla Prima domanda, la CdG si è preliminarmente espressa circa la qualifica di ‘consumatore’ e ha riconosciuto che l’articolo 2 della Direttiva 13/93 deve essere interpretato nel senso che il fatto che un contratto risulti eseguito “non esclude che una parte di tale contratto possa essere qualificata come ‘consumatore’”. Successivamente, questa ha affermato che gli articoli della Direttiva 13/93 di cui sopra devono necessariamente essere interpretati nel senso che non impediscono al legislatore nazionale di adottare una normativa che, seppur stabilendo il carattere imprescrittibile dell’azione di accertamento del carattere abusivo di una clausola contrattuale, preveda un termine di prescrizione entro cui il consumatore deve far valere gli effetti restitutori derivanti da tale accertamento. Sul punto, infatti, la CdG ha riconosciuto che la tutela del consumatore “non è assoluta” e che, pertanto, la fissazione di un termine di prescrizione ragionevole è conforme al diritto UE. La CdG, tuttavia, sottolinea che - in ossequio al principio di equivalenza - il suddetto termine non può e non deve essere meno favorevole rispetto a quello riconosciuto per ricorsi analoghi e non deve - ai sensi del principio di effettività - rendere “praticamente impossibile o eccessivamente difficile” l’esercizio da parte del consumatore dei diritti riconosciutigli dalla normativa europea.

Per quanto concerne, infine, la Seconda domanda, la CdG - tenuto conto della inevitabile situazione di inferiorità in cui versa il consumatore al momento della stipulazione di un contratto con un professionista - ha ritenuto un termine di prescrizione di tre anni (previsto dalla normativa rumena) decorrente dal momento in cui il contratto ha avuto esecuzione come contrario al principio di effettività e, pertanto, non idoneo a garantire al consumatore una tutela effettiva, in quanto suddetto termine rischia di essere scaduto ancor prima che il consumatore possa avere conoscenza della natura abusiva di una determinata clausola. In aggiunta, la CdG notando che per un’azione analoga il sistema normativo rumeno prevede la decorrenza del termine di prescrizione non dalla data di cessazione del contratto bensì da quella in cui il carattere abusivo della clausola coinvolta è stato accertato, ha notato come tale dicotomia sia contraria al principio di equivalenza e ne ha, pertanto, raccomandato la risoluzione in senso più favorevole al consumatore.

Con la sentenza oggetto del presente commento, la CdG ha voluto ancora una volta confermare la particolare attenzione che la tutela del consumatore gode nel sistema europeo, specialmente in caso di clausole abusive. Infatti, riconoscendo la persistenza dello status di ‘consumatore’ anche successivamente alla conclusione del contratto la CdG mira a garantire a tali soggetti una possibilità di tutela effettiva nei confronti del professionista.

Luca Feltrin
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